Dalla realtà all’illustrazione: la sintesi delle forme, alcuni consigli

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Lezioni di disegno per la scomposizione geometrica, Hokusai

Grazie a una segnalazione di Sophie Van der Linden ho scoperto questo capolavoro di Hokusai:
Lezioni di disegno per la scomposizione geometrica, e mi è venuto in mente di fare un post su questo tema: come sintetizzare la realtà nell’illustrazione?
A volte, il fatto di mettersi a fare “illustrazione”, luogo dove la realtà è sintetizzata e re-inventata, sembra legittimare una sorta di povertà semantica, di sciattezza della sintesi che altra ragione non ha, se non quella di una falsa credenza: quella di pensare che gli oggetti, le forme, l’equilibrio dei colori, possano sorgere spontaneamente dalla matita per il solo fatto che si ama tanto disegnare.

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Bene, se si ama tanto il disegno, bisogna capirlo, prima di agirlo. Capirlo significa che per arrivare a distorcere la prospettiva di un tavolo, o rendere in poche linee sintetiche un albero su un colle, dobbiamo conoscere come funzionano il tavolo e l’albero.
Che tavolo è? Di che materia? Di che epoca? E l’albero a che specie appartiene? E’ un sempreverde o no? In che stagione siamo?  Queste sono le domande che un illustratore dovrebbe farsi prima ancora di decidere con quale stile farà albero e tavolo.
Ben inteso, non è necessario diplomarsi in architettura e poi a una qualche accademia di pittura per poter fare illustrazione. Ma è indispensabile studio e amore per come sono fatte le cose, perché è questo amore o la sua mancanza che rende poi un’illustrazione speciale o scialba. Guardate qui sotto queste illustrazioni di Kitty Crowther (illustratrice che ha ricevuto l’Astrid Lindgren Memorial Award 2010, che è come dire il nobel dell’illustrazione), apparentemente sembrano semplicissime, ma se guardate bene noterete che ogni albero, per quanto sintetizzato, è un vero albero (ne conto tre specie diverse), che fiori e arbusti sono stati tutti scelti accuratamente e capiti prima di essere disegnati. E’ questa attenzione che rende le sue illustrazioni emozionanti, perché noi, guardandole, percepiamo cura, calma, amore per quello che si sta facendo e ne veniamo contagiati.

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Kitty Crowther, Annie du Lac, Ecole des Loisirs 2009, Prix Baobab 2009
Kitty_Crowther Kitty Crowther, Annie du Lac, Ecole des Loisirs 2009, Prix Baobab 2009e

Quando iniziai questo cammino feci il mio primo corso di illustrazione con Jindra Capek, un grande illustratore della Repubblica Ceca. Il primo giorno di corso disegnai un omino che guidava una macchina decapottabile, i suoi capelli e la sciarpa erano sparati all’indietro, e decorativamente riempivano metà foglio. Lui guardò perplesso il mio schizzo e poi disse: bisognerebbe andare ai 400 allora per avere dei capelli in quella posizione!

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Jindra Capek, Il sogno del pastore, Bohem Press 2001

A quella battuta, qualcosa dentro la mia testa fece clic: illustrazione non significava poter fare quello che volevo sul foglio, perché era carino e decorativamente interessante, ma significava trovare un equilibrio sensato con la realtà a cui il disegno faceva riferimento. Due giorni prima della fine del corso, Capek mi face rifare dall’inizio un disegno ad acquarello su cui avevo passato moltissime ore, perché avevo disegnato delle foglie “generiche”. Che foglie sono? Mi chiese. Io risposi: Foglie. – Si, ma che foglie? Insistette, poi mi disse di rifare tutto. Fu una grande lezione.

Ci sono illustratori istintivi (penso a Beatrice Alemagna) che sembra disegnino così come viene, liberi come bambini. Ma non sono bambini e se arrivano a una sintesi felice nei loro disegni è perché hanno SEMPRE alle spalle una cultura visiva enorme. Cultura fatta non solo di illustratori che si amano ma di arte, passata e presente, scultura, architettura, arte povera e popolare…

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Beatrice Alemagna (particolare di una copertina di Syros Jeunesse)

Infatti, osservare la natura come faceva Hokusai, oggi, non basta più. Da più di un secolo artisti e illustratori di grandissimo talento hanno già scomposto e reinterpretato la realtà, e non si può affrontare questo mestiere senza approfondire il loro lavoro. Bisogna conoscere David Hockney, Saul Steimberg,Tomi Ungerer, Tave Jansson, Jean de Brunhoff, Henri Rousseau, solo per citarne alcuni, ma anche conoscere la storia del comic americano, l’arte classica, popolare, contemporanea  e guardare come gli altri hanno distillato la realtà creando nuove sintesi.
Questo dovrebbe essere il lavoro prioritario di chiunque voglia iniziare a fare illustrazione: guardare, guardare e guardare e poi scegliere la sua personale sintesi della realtà.
E’ importante (e lecito) copiare: dalla realtà, dai maestri, dal cinema, da altri illustratori, l’hanno fatto tutti: ma se conosciamo due illustratori in croce, il nostro copiare produrrà delle copie di serie B di immagini già viste. Più conosciamo, più il distillato che ne uscirà sarà ricco di riferimenti e originale.

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Qui sopra Babar di Jean de Brunhoff in un chiaro omaggio a Henri Rousseau

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Tomi Ungerer
DavidHockneyInsidethecastleweb David Hockney, Inside the Castle
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picasso_ToroPablo Picasso, sintesi del Toro

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Pablo Picasso, Toreri e Tori 1959

Forse può interessarvi anche il post: VISI E STILI


Davide Calì: scrivere per bambini. puntata 6

Ecco nuove risposte di Davide Calì alle domande dei lettori di LeFiguredeilibri sulla scrittura per bambini.
Leggi la puntata 1
Leggi la puntata 2
Leggi la puntata 3
Leggi la puntata 4
Leggi la puntata 5

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Davide Calì, Sonja Bougaeva, Marlène Baleine, Sarbacane, 2009

Francesco Zito
18 dicembre, 2010

Ma che bella opportunità! Avrei un paio di domande.
Quando scrivi un testo, hai già in mente chi potrebbe illustrarlo? O è la casa editrice a cui proponi il progetto che decide a chi farlo illustrare? Complimenti per il tuo lavoro.

Ciao Francesco,

non c’è una regola fissa. Certe volte mando il testo e l’editore mi propone qualcuno, altre parto già con l’idea che mi piacerebbe farlo illustrare da qualcuno che conosco perché mentre scrivevo mi è venuto in mente un certo illustratore. Altre ancora mi è stato chiesto espressamente un libro per un illustratore.

Il primo libro che ho pubblicato con Annalaura Cantone (Un papa sur mesure) era un progetto che abbiamo presentato insieme. In seguito mi hanno chiesto altre storie per lei. La prima collaborazione con Serge Bloch (Moi, j’attends) ed Eric Heliot (Piano Piano) è nata dall’editore che ha assegnato loro due mie storie. In seguito Sarbacane mi ha chiesto altre storie per entrambi e così sono venuti gli altri libri. Con Sonja Bougaeva semplicemente Sarbacane mi ha detto che volevano lavorare con lei, dopo aver tradotto un suo libro dal tedesco, e lei era disponibile ma non avevano storie. Io ho sfogliato il suo album (Les deux soeurs), studiato il suo immaginario e scritto Marlène Baleine. Naturalmente non sempre le cose vanno così bene. Mi è capitato di non trovare nessuna storia adatta per l’illustratore che mi avevano proposto o di veder rifiutato quello che avevo scritto o ancora di non trovare l’illustratore che volevo disponibile verso il mio testo.

Rossana Bossù
20 dicembre, 2010

Grazie per l’opportunità.
Volevo chiedere una cosa in aggiunta a quel che chiede Francesco Zito: qual è il criterio di scelta? Cioé in base a cosa si decide quale illustratore andrà ad illustrare il testo?
Grazie e complimenti per il tuo lavoro.

Personalmente come punto di partenza prendo i limiti dell’illustratore. Ognuno, insieme alla sua impostazione, al suo modo di realizzare le inquadrature e di disegnare i personaggi, ha dei limiti, riguardo alle figure, agli ambienti. Nel tempo ho imparato a scoprire e valutare questi limiti perché guardando le tavole di un bravo illustratore si può credere che dia adatto a qualsiasi cosa e non è così. Ognuno è bravo nel suo “ambiente†e portarlo fuori da esso può rivelarsi un errore fatale. Del resto anche gli autori hanno molti limiti. Nel tempo ho cercato di riconoscere i miei, per non accettare nemmeno per prova di scrivere cose in cui non credo o che non mi riescono perché non fanno parte del mio immaginario.

Sennò, in generale, lavorando sia su storie comiche che più evocative, su storie di stampo fumettistico o più minimali, di volta in volta cerco qualcuno che condivida questa propensione nel suo lavoro. Ecco così che Eric Heliot e Annalaura Cantone hanno illustrato le mie storie più divertenti e in seguito ho riservato giustamente a loro le più divertenti che avevo tra le nuove che scrivevo, mentre Serge Bloch ha illustrato quelle più “particolariâ€.

Certe volte, come ho già detto, parto dalle immagini per scrivere una storia. C’è una ragazza di Roma che da un anno mi chiede una storia. Mi piace, ci siamo conosciuti a Montreuil, siamo stati in giro per giorni a Parigi chiacchierando, mi piace il suo immaginario, ma è tremendamente personale. Nessuna delle mie storie andava bene per lei. Alla fine una mattina, nel dormiveglia, mi è venuta in mente una sua illustrazione e a partire da quella una storia. Che dire? Le storie arrivano quando meno te lo aspetti.

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Io aspetto…, Davide Calì e Serge Bloch, Edizioni Emme 2005 (Prix Baobab 2005)

Komagata, quando un libro può cambiare il mondo

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Ieri pomeriggio alla scuola Elisava di Barcellona c’è stata la conferenza di Katsumi Komagata. Tre classi, ognuna delle dimensioni di una classe universitaria, erano stracolme di pubblico, in due di queste sale il pubblico doveva assistere alla conferenza su grandi teleschermi. Io e tre compagne siamo state dirottate in una delle sale con teleschermi, non ci potevo credere, non avrei potuto assistere dal vivo alla conferenza di Komagata… Dopo essere stata seduta nel mio banco, buona e depressa per cinque minuti circa, in attesa dell’inizio della conferenza, ho sentito il mio sangue di italiana ribollire, mi sono alzata e sono andata a corrompere con ampi sorrisi il personale della scuola… fino a che non ho trovato posto per me e per il mio gruppo nella sala principale!

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La conferenza è durata più di due ore. Komagata ha iniziato raccontando tutto il suo percorso artistico (vi lascio cercarlo su internet qui, qui e qui). E’ stato interessante ascoltare come ogni suo libro sia nato dal desiderio di comunicare qualcosa a qualcuno. Tutti i suoi primi libri, si sa, sono nati per comunicare con la figlia di pochi mesi, ma non sapevo, ad esempio, che il libro Little tree è nato dal disagio di non aver potuto salutare un caro zio morto d’improvviso.

I libri, infatti, secondo Komagata, hanno tre funzioni: quella di informare, quella di creare una comunicazione (dico creare una comunicazione perché nell’accezione di Komagata il libro non comunica solo perché ha un contenuto che arriva al lettore, ma comunica perché crea un legame, unisce cose che prima erano disgiunte, e fa si che qualcosa che prima non c’era, nasca. Lui usa spesso il termine condivisione) e quella di regalare un’esperienza.

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LA STORIA DEL REPARTO PEDIATRICO DI KYUSHU, ILLUSTRATO DA KOMAGATA

Vi faccio un esempio che ieri mi ha lasciata a bocca aperta del senso che Komagata dà alla frase “i libri comunicano”. E’ la storia del reparto pediatrico del  Children’s Hospital of Kyushu (Giappone). Per la prima volta nella storia del Giappone una donna è arrivata ad essere direttrice di un ospedale. Questa direttrice chiama Komagata per chiedergli di fare qualcosa per il reparto pediatrico, che aveva l’aria piuttosto squallida. Lui gironzola un po’ nell’ospedale e poi dice: facciamo un libro!
Decide quindi di fare un libro di dimensioni da “tasca di grembiule d’infermiera” perché tutti gli operatori del reparto possano tenerlo con sé mentre lavorano. Il libro conterrà alcuni elementi che saranno poi disposti in grande nell’ospedale. Come prima cosa, nota che tutti i corridoi e tutte le stanze si assomigliano, e che è facile perdersi, così decide che ogni corridoio dell’ospedale avrà un nome: Via delle Fragole, Via delle Ciliegie, Via delle Giraffe, Etc. Ogni stanza un’animale che la rappresenta e un numero. Le docce saranno indicate da una proboscide d’elefante. I bagni dall’immagine di un ippopotamo che fa il bagno. E tutte queste figure, i bambini potranno poi ritrovarle nel piccolo libro, unite da semplici storie. Conoscendo il libro, conosceranno l’ospedale.

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Purtroppo le fotografie qui sotto sono poco leggibili, perché erano immagini proiettate su uno schermo. Ma si capisce lo stesso quanto è bello! Qui le stanze dei bambini…

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Qui un corridoio.

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Questa qui sotto è la sala del dentista. Avevano chiesto a Komagata un affresco per il soffitto, ma lui ha detto: un affresco non si muove, e diventa noioso doverlo guardare per delle ore. Così ha creato queste girandole mobili.

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Ha poi raccontato altre storie in cui i libri diventavano protagonisti di cambiamenti sociali o umani. Ma preferisco non svelarvi tutto il mondo di Katsumi Komagata, così sarete motivati ad andarlo a cercare, scoprire, incontrare.
Ecco, è tutto. E’ molto…

Trovate altre foto della visita di Komagata a Barcellona su questo blog.


Katsumi Komagata: il workshop

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Questo week-end ho partecipato a due laboratori tenuti da Katsumi Komagata, uno per adulti e uno per bambini. Entrambi erano laboratori dalla struttura semplicissima, che nascondevano tesori. E’ stato un onore conoscere Komagata, il suo sorriso, la sua apertura, la sua intelligenza così vivace e la sua semplicità, sono contagiosi.
I due laboratori, più una conferenza che avrà luogo martedì prossimo 22 febbraio alla scuola di design Elisava (Barcellona) sono stati organizzati dall’Associazione Tantagora, all’interno del Festival di Letteratura Infantile Flic.

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Ora vi descrivo il primo laboratorio: prezzo, 25 euro, durata, due ore, allievi, una quarantina di persone, tutte sedute attorno a un gigantesco tavolo disposto a ferro di cavallo. Ognuno di noi, sedendosi, trovava al suo posto un paio di forbici, una matita, una gomma e un tubetto di colla. In mezzo alla sala, un grande tavolo era coperto di fogli colorati per il collage, portati dal Giappone da Komagata e introvabili in Europa, perfetti per il découpage e il collage per la qualità della loro texture e dei loro colori brillanti (in effetti, ritagliarli era piacevolissimo).
Komagata è arrivato con un traduttore giapponese-catalano e ha cominciato col presentarci alcuni dei suoi libri, spiegandone il significato: ognuno dei suoi disegni nasconde infatti un messaggio simbolico su temi quali la comunicazione con gli altri, l’apertura di sé, la differenza tra apparenza e essenza… ed era appassionante sentirlo spiegare la sua opera e il suo universo semantico.

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Dopo averci mostrato alcuni esempi realizzati da altri allievi, Komagata ci ha spiegato il nostro compito nelle due ore successive:
dovevamo trasformare un triangolo in un mondo!

Poi ha dato ad ognuno di noi un pieghevole pre-stampato, apribile a fisarmonica in tre parti: chiuso, presentava un triangolo, aperto, presentava il triangolo scomposto in tre parti. Dovevamo decorarlo a nostro piacimento, facendo in modo che chiudendolo, si vedesse sempre e solo il triangolo, e aprendolo, il nostro disegno.

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Finito l’esercizio, Komagata ci ha chiamati in ordine alfabetico e ha mostrato il nostro triangolo alla classe, per ogni triangolo diceva: questo è il triangolo della gentile… (nome della persona) e poi lo apriva facendo Ohhh, tra gli applausi di tutti. Il suo Ohhh era ogni volta davvero divertito, e lui sembrava non stancarsi mai! I lavori realizzati erano uno più bello dell’altro e alla fine Komagata ci ha spiegato il significato di questo esercizio: non bisogna fidarsi di come le cose appaiono, esse nascondono sempre dei tesori. E anche: se ti apri e lasci vedere quello che nascondi dentro, sarà una festa per tutti.

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Il secondo laboratorio, domenica pomeriggio, aveva un pubblico di bambini. Funzionava così:  il tuo vicino di banco (il mio era una bellissima bambina con due occhi verdi giganteschi) doveva ritagliare una forma e regalartela. Se ti ritagliava una forma di nuvola, ad esempio, tu dovevi prendere la nuvola e inserirla all’interno di un contesto in cui prendeva un altro significato. Anche qui sono saltate fuori cose sorprendenti e Komagata ha poi chiosato così: la comunicazione è questo, scoprire che l’altro vede la stessa forma in un modo diverso da come la vedi tu, e che il suo modo di vederla arricchisce il tuo. Sulla copertina dei piccoli libricini che abbiamo creato, bisognava poi incollare il negativo della forma, cioè quello che era restato del foglio ritagliato dal nostro compagno di banco. Così:

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Ecco, è tutto. Semplicissimo e meraviglioso insieme, proprio come i libri di Komagata. Un grazie speciale a Tantagora e Muji per aver portato Komagata a Barcellona!
Trovate altre foto della visita di Komagata a Barcellona su questo blog.


Concorso Libri Tattili Illustrati “Tocca a te!”

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Spesso, quando ero piccola, facevo questo gioco: dalla mattina fino alla sera tenevo gli occhi chiusi per poter immaginare come doveva essere la giornata di un bambino cieco. Quando, qualche giorno fa mi è arrivata la richiesta di pubblicare sul blog Tocca a te!, concorso per libri tattili, pensando di partecipare, mi sono ritrovata con gli occhi chiusi a cercare di immaginare come potrei realizzare un libro illustrato per bambini ciechi. E mi sono resa conto che non sarebbe solo un gioco, ma una sfida importante: quella di tradurre in un altro linguaggio il prezioso bagaglio di cultura ed esperienza che un libro illustrato può dare a un bambino.
Vi invito a fare lo stesso, tirate fuori dal cassetto  forbici, colla, carte e cartoni dalle superfici diverse, ago e filo… e partecipate a questo concorso. Ricordate che:

  • Il testo dovrà essere breve e determinerà le dimensioni del libro, per non creare qualcosa di irrealizzabile dovete: Scrivere il testo e inviarlo a tactus@prociechi.it, il testo verrà adattato in braille e vi verrà rispedito stampato su un acetato, o direttamente su carta. Solo dopo avere il testo stampato, potrete orientarvi sulle misure del libro e sugli spazi che restano per l’immagine tattile.
  • Qui e in francese qui, trovate alcune indicazioni importanti sulle caratteristiche che deve avere un libro tattile illustrato.
  • Vi invito anche a scoprire il lavoro della casa editrice Les doigts qui Rêvent, promotrice in tutta Europa della letteratura illustrata tattile.

Scarica qui il BANDO DEL CONCORSO

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Il concorso è promosso dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, la Fondazione Robert Hollman e l’Istituto dei Ciechi di Milano. La giuria premierà gli album più belli tra quelli in concorso e selezionerà i 5 partecipanti italiani alla X Edizione del Concorso Internazionale Typhlo & Tactus, che si svolgerà a Praga l’11 novembre 2011. Dalla prossima edizione infatti, il Gruppo Typhlo & Tactus, avendo esteso la competizione a tutti i paesi del mondo, ha deciso di accogliere al concorso solamente 5 libri per ogni nazione partecipante. TOCCA A TE! rappresenta quindi la preselezione italiana al concorso Typhlo & Tactus 2011.

La Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi raccoglierà sul territorio nazionale i libri partecipanti, farà parte della giuria giudicatrice dei migliori libri in concorso, e si impegnerà, qualora ne esistano le condizioni di riproducibilità, ad editare i libri vincitori, i quali entreranno a far parte della collana per l’infanzia Sotto a chi tocca!.

VINCITORI:
• Il vincitore della prima edizione di TOCCA A TE!, categoria miglior libro italiano riceverà un premio in denaro di 1.500 euro.
• Il vincitore della categoria miglior libro d’artista riceverà un premio in denaro di 500 euro e i 3 libri di Mauro L. Evangelista al quale il premio è dedicato.
• Al vincitore della categoria giovani andrà un trofeo ricordo e una collezione di 5 libri tattili editi dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi.
• Due le menzioni speciali: miglior libro didattico e miglior testo
I TRE LIBRI VINCITORI DEI PREMI E I DUE LIBRI MENZIONI SPECIALI PARTECIPERANNO DI DIRITTO AL CONCORSO INTERNAZIONALE TYPHLO & TACUS 2011, ESTESO PER LA PRIMA VOLTA A TUTTI I PAESI DEL MONDO.

Vi segnalo inoltre due importanti iniziativa della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, entrambe volte a incentivare e promuovere la lettura dei libri tattili:

SCADENZA: 31 maggio 2011
Scarica il BANDO DEL CONCORSO

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Katsumi Komagata, Plis et Plans, Les trois ourses

Vi segnalo anche due importanti iniziative:

DI CHE COLORE E’ Il VENTO: una manifestazione itinerante ideata per portare alla conoscenza del vasto pubblico le potenzialità della didattica speciale e dei libri per l’infanzia editi nelle sue collane editoriali. A Reggio Emilia dal 22 gennaio al 25 febbraio, presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi.

A SPASSO CON LE DITA: Libri tattili per un immaginario a portata di mano.


Intervista a Orecchio Acerbo: identità di un editore

Intervista a Fausta Orecchio, editrice di orecchio acerbo, di Anna Castagnoli
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Giulio Levi e Luigi Raffaelli, Venditempo, orecchio acerbo 2010

Perché editori e perché editori per bambini.
Noi siamo grafici, molto prima -e probabilmente meglio- che editori. Abbiamo deciso di dar vita alla casa editrice perché da qualche anno non riuscivamo più a fare “buona graficaâ€. Nelle case editrici per cui lavoravamo allora (parlo del 2001), già da qualche tempo avanzavano a passi da gigante gli uffici marketing. Le scelte erano sempre più squilibrate su un presunto criterio di vendibilità piuttosto che sulla qualità. E poi era da tempo che ci sarebbe piaciuto affrontare, come grafici, il libro illustrato. Allora, in Italia, di picture book non c’era traccia. E così, nel ’99, quando lo studio grafico ha preso il nome di “orecchio acerbo†–nome decisamente profetico– abbiamo messo nello statuto la possibilità di pubblicare libri. Il primo libro è stato pubblicato dopo circa due anni, quasi per caso. In occasione di “uno + uno fa unoâ€, una mostra dedicata ai lavori fatti insieme con Fabian Negrin, abbiamo deciso di pubblicare un libro prodotto da noi: “Il Gigante Gampibiomboâ€. Era il 6 dicembre 2001 quando uscì quel libro e fu diffuso in pochissime librerie, quelle che con un lavoro davvero faticoso, eravamo riusciti a contattare. Non avevamo le idee chiare sul futuro, ma fin dal primo momento ci rendemmo conto che cominciava una storia molto seria, che avrebbe cambiato non poco le nostre vite. Quello che vedevamo nei libri per ragazzi era sconfortante: buoni testi accostati a pessime illustrazioni, bravi illustratori costretti a lavorare su testi banali o ad andare via dall’Italia. E la grafica? Se si sentiva, il più delle volte era per i danni che faceva.
In sintesi: volevamo far bene il nostro lavoro, amavamo i libri illustrati e quello che c’era in Italia non ci piaceva. Siamo stati molto ostinati nel non ascoltare alcun consiglio degli “addetti ai lavoriâ€, anche di fronte ai moltissimi errori che commettevamo. Volevamo fare qualcosa che in Italia non c’era e sentivamo di doverlo fare da soli.
Rivolgersi ai bambini, o comunque ai giovani, all’inizio è stato un fatto per così dire naturale: in Italia erano i soli lettori di libri illustrati.
Oggi sono invece convinta che fare libri per bambini è una grandissima possibilità: quella di affrontare qualsiasi tema, anche il più spinoso. Intervenire nella produzione e nella formazione di cultura. Attraverso l’uso e la commistione di molteplici linguaggi, dalla poesia alla narrativa, dall’arte all’illustrazione e alla grafica, si può fornire ai ragazzi qualche piccola chiave per capire il mondo. Si può dar luogo a domande cruciali che il mondo degli adulti spesso è troppo vile da porsi.

Quanti titoli in un anno?
Fino ad oggi, dodici, tredici. Più le ristampe. Dal quest’anno diventano quindici.

GrandeAlfredo
Spider, Il grande Alfredo, orecchio acerbo 2010

Nella scelta dei libri che pubblicate potreste individuare un filo conduttore? E’ uno stile? Un messaggio? Un’idea? Un desiderio?
Oggi come allora sono convinta che i libri che pubblichiamo possano piacere solo ad alcuni bambini. Altri li ignoreranno, altri ancora non li capiranno. Ma fin dall’inizio ci siamo posti un problema pedagogico. La parola «pedagogia» deriva dal greco paidos «bambino» e ago «guidare, condurre, spingere avanti». Considero buoni libri quelli che fanno crescere, suscitano domande e aprono spazi di ricerca e immaginazione diversi, spingono avanti, per l’appunto. Grandi o bambini, meglio ancora se grandi e bambini. Lo stile non mi interessa, non è un problema che mi sono posta mai. Credo sia importante l’autenticità.

Quali caratteristiche deve avere un testo o un’illustrazione per sedurvi? Cosa è che vi fa dire: “questo illustratore (autore) è per noi�
Quando mi costringe a pensare, oppure quando mi sorprende, o, ancora, quando mi incanta per la sua bellezza.

Nella situazione culturale e politica del vostro paese vi sentite inseriti in una rete che vi sostiene? Come la definireste? Quali sono i suoi fili principali?
Una rete? Se c’è – ma ne dubito – forse è più saggio starne alla larga. Le reti non sono fatte per intrappolare? Meglio nuotare in profondità. Insieme ad altri, liberi.

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Remy Charlip, Fortunatamente, orecchio acerbo editore 2011

Le co-edizioni: che politica avete di vendita e acquisto dei titoli? Preferite creare i vostri libri, venderli e/o comprarli dall’estero? Perché? Rispetto ai titoli che comprate e/o vendete ci sono differenze di accoglienza nei diversi mercati internazionali?
Proprio ora siamo arrivati a 100 titoli, e i libri tradotti da altri paesi sono 14, quindi, precisamente, il 14% del nostro catalogo. Sono pochi. Quindi, di sicuro preferiamo creare i nostri libri. Il motivo è innanzitutto lo stesso che ci ha spinto a dar vita alla casa editrice: la possibilità di far bene il nostro lavoro, e anche di rendere concrete le idee. E poi, è una vera felicità riuscire a farli tradurre in altri paesi. Non tanto per i soldi, che sono quasi sempre pochi. Per noi stessi, per gli autori e anche, ma solo un pochino, per orgoglio nazionale. Riuscire a fare coedizioni è invece fondamentale anche da un punto di vista economico, vuol dire abbassare di molto i costi di produzione perché quanto più è alta la tiratura, tanto più scende il costo di ogni singola copia. E questo vuol dire anche poter ridurre il prezzo di copertina. Tuttavia credo che un editore abbia anche il dovere di far conoscere nel proprio paese autori di altri paesi. Penso a Remy Charlip -è suo, fra l’altro, il nostro centesimo titolo, “Fortunatamenteâ€-, Blex Bolex, Armin Greder, Atak, Benoît Jacques, Sergio Mora, Martin Jarrie e a molti altri che spero riusciremo a pubblicare. Per quanto riguarda l’ultima parte della tua domanda, la risposta è sì, ci sono differenze grandi di accoglienza di un titolo fra un paese e l’altro. Possono dipendere da vari fattori. Credo che quello decisivo sia la “forza†dell’editore, ma altrettanto importante è il contesto culturale. È una banalità, ma forse vale la pena ripeterla. Viviamo in un paese in cui sulla cultura si è sempre investito poco, e quel poco oggi è diventato nulla. Naturale che un titolo –che sia un libro nato qui o altrove- nel nostro paese ha possibilità di riuscita di gran lunga inferiori a quelle della gran parte dei paesi occidentali.

“Fabbricare cultura” nell’Italia di oggi, una missione, una sfida o una passione a perdere?
Dipende da quale cultura. Sempre, nel nostro lavoro, che lo si voglia o no, “si fabbrica culturaâ€. Io ne sento la responsabilità, so che i libri alle volte possono cambiare la visione del mondo, possono dar vita a -magari piccole- rivoluzioni. E quindi, probabilmente, è anche una sfida. Destinata a perdere? Ancora più probabile.

Una cosa che vi piace del vostro lavoro e una che non vi piace.
Mi piace il momento in cui arrivano le immagini. Ciò che accade fra scrittura e immagini non credo smetterà mai di darmi sorprese. ?Non mi piace vedere proposte di libri inaccettabili, ma ancor meno mi piace rifiutarle.

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Fabian Negrin, Mille giorni e una notte, orecchio acerbo 2008