Davide Calì: scrivere per bambini. puntata 5

Ecco nuove risposte di Davide Calì alle domande dei lettori di LeFiguredeilibri sulla scrittura per bambini.
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Cristina
17 dicembre, 2010

Grazie per esserti reso disponibile a rispondere alle nostre domande. Una cosa che vorrei chiedere è come mai gli editori italiani ti hanno deluso? E poi, visto che lavori prevalentemente all’estero, come hai fatto a proporti agli editori stranieri? Hai un agente?
Se ti sei affidato a un’agenzia o a un agente, potresti dare qualche consiglio sui contratti che si stipulano con loro? Ci sono aspetti dei contratti a cui bisogna fare attenzione?
Cara Cristina non ricordo se pubblicamente ho mai parlato di “delusione”, ma è vero che non mi sono trovato bene con gli editori italiani ed è un fatto noto che da anni lavoro quasi esclusivamente all’estero. In generale posso dire che dopo l’esordio, che in Italia non si nega quasi a nessuno, non ho trovato spazio per continuare a pubblicare le mie storie. A parte l’incontro assai proficuo con Zoolibri, con cui lavoro ormai da dieci anni, con altri editori ho incontrato molte difficoltà e quindi mi sono rivolto al mercato francese dove invece avevo già trovato molti editori stimolanti e sulla stessa linea d’onda dei miei progetti. Per quel che riguarda il proporsi, non è difficile: occorrono progetti interessanti, saper parlare almeno un paio di lingue e spirito di iniziativa. Le fiere e il web fanno il resto. Quasi nessuno viene a cercarti, quindi sta a te fare la prima mossa, sempre. Non è facile ottenere subito una risposta, ma questo perché tutti hanno molto da fare. Anche in seguito, alle volte resta difficile non perdere i contatti. In merito agli agenti, ho avuto rapporti con alcuni che pensavo potessero agevolarmi il lavoro ma devo dirti che non mi sono trovato bene e alla fine sono tornato ad occuparmi dei miei progetti da me.


Paper moon (luna di carta), un film perfetto

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Se vi piace il cinema quando è cinema, quando ai campi si alternano i controcampi, ai primi piani i piani americani, quando il bianco e il nero rivendicano la loro differenza senza mezzi toni, se vi piace il cinema americano, quando ogni scena è un quadro di Hopper e ogni campo lungo l’America, quella vera: delle pompe di benzina che brillano al sole, di Lolita, dei venditori di bibbie false, dei motel, dei frullati di fragola e dei caffè bollenti… non potete non vedere : Paper Moon di Peter Bogdanovich.

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Paper moon è un film del 1973, girato in un superbo bianco e nero (fu Orson Welles che consigliò al regista di mettere un filtro rosso agli obiettivi per rendere più intensi i contrasti), e racconta l’amicizia tra Moses, un furfantesco venditore di bibbie ed Addie, orfana di una madre prostituta, durante la grande depressione americana, alla fine degli anni ’20. Il giorno del funerale della madre di Addie, Moses si presenta rubando un mazzo di fiori a una tomba vicina: è un ex-amante della donna morta e forse (il dubbio rimane fino alla fine del film) padre della bambina. I pochi presenti al funerale gli chiedono di riportare Addie da una zia che vive nel Missouri. L’uomo accetta controvoglia e inizia il lungo viaggio che vedrà Moses e Addie diventare una coppia inseparabile.

Ma non è tanto per le scene perfette (ognuna degna di una fotografia di Evans) che vi parlo di questo film, o per la bravura magistrale di Ryan O’Neal (due anni dopo l’uscita del film lo vedremo interpretare Barry Lyndon) e di Tatum O’Neal (che si è presa l’Oscar per questo film e che nella realtà è la vera figlia di Ryan), quanto per l’incredibile ritratto che il regista fa dell’infanzia, della sua forza, della sua capacità di costruirsi una morale basandosi sulla verità che sta dietro le apparenze. Addie, alla fine del film,  dopo aver passato mezz’ora nella casa della zia – la casa borghese che aveva sempre sognato, con un pianoforte e i fiori sui tavoli- deciderà di scappare per ritornare a rubare e truffare e viaggiare insieme a Moses, perché è a lui che vuole bene).

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Incredibile è anche il ritratto che esce degli adulti, infantili e ridicoli personaggi che hanno bisogno dello sguardo serio di Addie per ricomporsi e ritrovare una voce più autentica. Godetevi la scena in cui una fidanzatina di passaggio di Moses fa i capricci per convincere Addie a lasciarle il posto in macchina davanti, è strepitosa.

Il film potete comprarlo qui (in diverse lingue, tra cui l’italiano) a soli 9 euro e… non si dovrebbe dire… ma si trova anche in rete.

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Basato sulla stessa idea (un orfano viene usato per impietosire i clienti e truffare meglio) vi consiglio anche il bellissimo There will be blood.
Ringrazio Florizelle per avermi suggerito Paper Moon.


Intervista a Trois Ourses, III parte (ultima)

Pubblico in tre parti l’intervista a Elisabeth Lortic, fondatrice ed editrice de Les Trois Ourses. L’intervista fa parte della tesi finale che Marissa Morelli, architetto, ha svolto per il Master in Illustrazione per l’infanzia ed educazione estetica all’Università di Padova ed è una ricchissima testimonianza della storia di uno degli editori più interessanti del panorama francese, nonché una profonda riflessione su cosa significa nutrire i bambini di immagini graficamente “adulte”. Ringrazio Elisabeth Lortic e Marissa Morelli per avermi concesso di pubblicare questo prezioso documento.

Rileggi: INTERVISTA ALLA CASA EDITRICE LES TROIS OURSES, PARTE I
Rileggi: INTERVISTA ALLA CASA EDITRICE LES TROIS OURSES, PARTE II

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Ti chiederei qualche parola su Louise Marie Cumont. Guardando e sfogliando i suoi libri, mi sono accorta che oltre all’esperienza tattile e visiva vi è anche un’esperienza olfattiva, sono coinvolti 3 sensi. I suoi libri trasposti su carta, seppur accessibili a tutti, non ottengono lo stesso tipo di coinvolgimento.
Nel 1990 ci hanno chiesto se volevamo partecipare alla conferenza di design di Aspen. Quell’anno il tema era “Growing by design” e abbiamo pensato di portare Bruno Munari, ma si sentiva troppo anziano ed aveva paura di andare in montagna. Abbiamo deciso di presentare Roland Roure. Lui si occupava di mobili e sculture per l’infanzia e così abbiamo organizzato la mostra. Lui è venuto con sua moglie, Louise Marie, che era incinta del suo primo bambino, scultrice anche lei, a quei tempi lavorava il marmo.

Dopo la nascita del bambino, ha iniziato a fare dei giochi, delle immagini con i tessuti. Quando le ho viste, le ho proposto di farne dei libri. I suoi libri sono molto costosi e hanno alle spalle un lavoro infinito. È impossibile mantenersi con questo tipo di lavoro. Poco a poco è venuta l’idea di trasporli su carta.

I libri funzionano esteticamente anche se sono di carta, ma è vero che perdono il valore originale. È come vedere un’opera d’arte dal vero per poi comprarne solo la cartolina. I libri originali si vendono ad esempio alle biblioteche e fanno parte delle collezioni speciali. Sono usati per fare mostre e incoraggiamo di adoperarli per fare degli eventi. Ad esempio, abbiamo fatto un workshop con Ianna Andréadis che lavora con libri fatti da tessuti, abbiamo chiesto alle persone di portare le macchine da cucire, lavorando insieme; questo ha creato interessanti discussioni sulla differenza tra arte e artigianato, sulla differenza nel fare cose per il proprio bambino e di fare cose per bambini che non si conoscono. Credo che la Cumont abbia voglia di comunicare qualcosa della sua sofferenza, i suoi libri sono senza parole, ma attraverso gli occhi dei personaggi creano dei racconti molto intensi. È interessante notare il parallelo con i bambini molto piccoli, che infatti comunicano così, solo con gli occhi.

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Louise Marie Cumont, Les Chaises, libro di tessuto, Les Trois Ourses, 1997

Trovo molto interessanti le trame di cuciture che Ianna Andréadis crea all’interno delle pagine dei suoi libri, c’è l’immagine, la cui costruzione potrebbe essere in realtà molto più semplice. In qualche modo “chiude” anche molto le sue figure, incorniciandole, e i tagli delle cuciture proseguono, anche al di fuori dei corpi. Si potrebbero dare tante interpretazioni. Mentre invece ieri guardavo i libri della Andréadis, che personalmente trovo meno comunicativi e sofisticati.
I libri di Ianna Andréadis sono singolari perché frutto di una contraddizione. I tessuti africani che lei usa sono stati creati per fare vestiti, non per fare libri e questo fatto ti obbliga a  cambiare il punto di vista sulle cose. È molto curioso discuterne con bambini che hanno una doppia cultura, che vedono le mamme con le loro vesti colorate e poi vedono le stesse immagini su dei libri di stoffa. Immagina il percorso che fanno questi tessuti, vengono venduti qui a Parigi, ma vengono dall’Olanda per raggiungere i mercati africani. La varietà dei soggetti rappresentati sui tessuti è ampia, dalle cose più classiche come i frutti, alle cose più moderne, come i cellulari, le tv, facendo naufragare l’idea preconcetta che in Africa ci sono solo animali e frutti esotici!

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Ianna Andréadis, Le Livre à compter, libro di tessuto, Les Trois Ourses, 2002

Parlami di Komagata, mi interessa carpirne l’essenza.
Katsumi è un intuitivo. Ha creato tutto dalla sua sensibilità. È una cosa molto rara. Possiede un potere visivo molto forte.

I testi li scrive tutti lui? Cosa pensi dei suoi testi e del legame fra testo e immagine?
Penso che non sia uno scrittore. Si potrebbe pensare di creare un altro testo, ma non saremo noi a doverlo proporre. Se un poeta un giorno incontrasse i libri di Komagata e creasse un testo poetico appositamente per loro mi piacerebbe moltissimo. Dall’altra parte nei suoi testi comunica tutta la sua verità, è una persona sincera ed integra; allo stesso tempo comunica anche la sua fragilità.  Rigoroso, semplice, diretto, molto sensibile e delicato. Lui come la sua scrittura.

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Katsumi Komagata, Du Bleu au bleu, One Stroke, 1995

Testi molto semplici, come dici tu, ma le immagini sono molto sofisticate, oltre al pregio della carta, della matericità, delle forme, della loro composizione, sono immagini  ricchissime. Forse va bene così questo matrimonio, non credi?
Direi di sì. Ricorda che c’è anche il problema delle traduzioni dal giapponese, che non sono traduzioni ma piuttosto adattamenti in inglese. È veramente molto difficile tradurlo.  Ma credo che anche nei testi brevi si possa intuire una grande capacità poetica. Questo è sicuramente il suo caso.

Les Trois Ourses oggi. Cosa fanno, cosa desiderano per il futuro?
Io risponderò per ciò che mi concerne. Esistiamo da ventidue anni e oggi siamo fieri di vedere dove siamo arrivati, di constatare di aver potuto fare quello che abbiamo desiderato. Vorremo poter conservare questa struttura. Tentiamo di tutto per non chiudere, in realtà. Abbiamo tanti progetti da fare, ma è tutto molto faticoso. Per ogni progetto abbiamo dovuto trovare i soldi. Continuare con l‘attività editoriale, didattica e formativa, in una struttura più ampia e consona. Ragionare a livello europeo, creare sinergie con altri paesi dove ci sono strutture che si occupano di tenere viva l’attenzione sul mondo della stimolazione visiva per l’infanzia. Difficile combattere le burocrazie, saranno i giovani a venire a prendere le decisioni in merito.

Ho finito con le domande. Grazie davvero per la disponibilità.
Grazie a te, per non aver fatto le solite domande! E’ stato divertente.


Davide Calì: scrivere per bambini. puntata 4

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Davide Calì, L’abbraccio dell’imperatore, Baldini Castoldi Dalai 2000

Ecco nuove risposte di Davide Calì alle domande dei lettori di LeFiguredeilibri sulla scrittura per bambini.
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Premessa: vorrei aggiungere alla risposta di Davide una nota: io come scrittrice di libri per bambini non ho mai preso un anticipo. Vengo poi pagata in percentuale sulle vendite (4% o 5%).

Luppola
16 dicembre, 2010
Spesso si è parlato della cifra che deve (più o meno) chiedere un illustratore a immagine. Come funziona per gli scrittori? Si fanno pagare a cartella? E se sì, quanto?
Cara Luppola, di norma, sia come autore che come illustratore o fumettista, mi è sempre capitato di lavorare con un budget già fissato dall’editore o dalla redazione della rivista. Lo trovo per altro un sistema pratico, anziché dover contrattare, e trovo anzi in malafede chi disponendo, faccio per dire, di 300 euro per un’illustrazione, ti chieda quanto vorresti, sperando che tu ne chieda 120. Aldilà di questo: il numero di battute medio per un libro illustrato si attesta intorno alle 3000-4000 e non supera di solito le 7000, quindi un paio di cartelle. Per la narrativa è diverso ma non mi risulta che comunque che i romanzi siano pagati a pagina. Il progetto si considera nel suo complesso, anche se io per esempio ho ricevuto anticipi diversi per un libro di 40 o per uno di 72 pagine. Si trattava però di fumetti.

Anche come illustratore ho sempre lavorato in funzione del budget. Premesso che cerco di mettere la medesima qualità in ogni cosa che faccio, se mi chiedono una copertina da 150 euro, sarà una copertina adeguata alla cifra. Se me ne offrono 400, sarà una copertina più ricercata alla quale dedicherò più tempo. Idem per le illustrazioni nelle riviste. Insomma, cerco di fare contenti tutti secondo le rispettive esigenze e secondo la disponibilità economica, però chi ha 150 euro da spendere non avrà, ovviamente, una copertina o un’illustrazione da 400.


INTERVISTA ALLA CASA EDITRICE LES TROIS OURSES, PARTE II

Pubblico in tre parti l’intervista a Elisabeth Lortic, fondatrice ed editrice de Les Trois Ourses. L’intervista fa parte della tesi finale che Marissa Morelli, architetto, ha svolto per il Master in Illustrazione per l’infanzia ed educazione estetica all’Università di Padova ed è una ricchissima testimonianza della storia di uno degli editori più interessanti del panorama francese, nonché una profonda riflessione su cosa significa nutrire i bambini di immagini graficamente “adulte”. Ringrazio Elisabeth Lortic e Marissa Morelli per avermi concesso di pubblicare questo prezioso documento.

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In Italia, qualche anno fa, Topipittori ha pubblicato un libro di poesie scritto da Giusi Quarenghi e illustrato da Chiara Carrer, che si chiama E sulle case il cielo. È un esempio molto felice di interazione fra le parti, fra intensità di testo e leggerezza iconica. Forse manca nell’editoria per l’infanzia questo tipo di pubblicazione…
Sì, adesso che mi ci fai pensare, vorrei in realtà fare un bel libro di poesie. Vorremmo fare un libro di poesie di Gertrude Stein. In effetti, l’abbiamo sulla lista.

La vostra produzione è costituita da  libri  molto diversi e variegati fra loro. Mettendoli tutti insieme credi di riuscire…
Scusami, ti interrompo, vorrei tornare al legame con Père Castor. In realtà ci interessa molto per il tipo di educazione che proponevano questi libri, una nuova educazione artistica, una sorta di cultura del fare. Crediamo di avere la stessa filosofia, in altre parole, pensiamo che s’impari facendo, che è poi la stessa filosofia di Munari. Quando si fa si capisce, diceva lui. In Père Castor c’era una collana di libri per ritagliare, costruire, incollare, fabbricare, divulgando una filosofia del fare insomma.

La differenza con Père Castor è che non siamo una scuola, per noi è più importante la libertà totale, per aprire il più possibile l’immaginario nella fantasia del bambino. Ovviamente non l’abbiamo inventato noi, ma ogni volta che veniamo a conoscenza di un progetto di cui intuiamo queste specifiche caratteristiche, facciamo di tutto per farlo pubblicare e conoscere.

Pensi che ci sia un particolare valore educativo nella vostra produzione? Vi appoggiate a studi di pedagogia particolari?
Avete ad esempio legami con strutture come A.c.c.e.s (Actions Culturelles Contre les Exclusions et les Ségrégations)
che da molti anni indaga sul legame bambino/libro, su cosa dare al bambino, come e quando darglielo? In Italia è una discussione molto accesa e fervida; ci sono grossi contrasti su questo tema.
Non abbiamo approfondito nessuna particolare teoria prima di fondare l’associazione. Noi appartenevamo alla corrente di La joie par les livres (N.d.r: Movimento culturale francese nato negli anni 70 nelle biblioteche francesi nel tentativo di avvicinare i bambini ai libri e stimolare l’editoria per l’infanzia). Siamo nati col movimento delle biblioteche pubbliche per ragazzi, un tempo  molto vivo; all’inizio era un gruppo privato, poi diventato statale. A.c.c.e.s  era costituito da  un gruppo di psichiatri e lavoravamo insieme a loro sui progetti. Abbiamo suggerito parecchie volte alla direttrice di porre l’attenzione sulla comunicazione visiva, ma non è mai stato fatto. Sono stati bravi ad aver trovato soluzioni prima che nascessero i problemi, a porre l’attenzione sul mondo infantile. Ma in realtà nessuno di loro è venuto a chiederci di tenere qualche corso sull’educazione visiva.

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Alcuni libri di Bruno Munari. Crediti foto Tropismes jeunesse

Credi che in qualche modo si sottovaluti l’immagine? Ad esempio noto che ai bambini fino ai 6 anni, che si trovano in età pre-scolare, vengono dati libri con immagini, ma dopo sei anni, basta, si deve leggere, non vengono più proposti libri con immagini. Non viene attribuita il giusto valore alla potenzialità iconica?
Certamente è come dici. In realtà noi di Les Trois Ourses ci troviamo su una sorta di valico, labile, modificabile, che è sempre una specie di frontiera. Nei pre-libri di Munari non c’è niente di figurativo, è un’ esperienza multi sensoriale; il libro illustrato invece è un’altra cosa. Per bambini molto piccoli sono molto importanti il tatto, le forme… sono importanti libri come Piccolo blu e piccolo giallo, ma non importa ad esempio che non sia chiaro che piccolo giallo non sia una persona raffigurata come tale. Funziona perfettamente lo stesso. È una vera e propria introduzione all’arte moderna.

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Petit arbre, Katsumi Komagata, Les Trois Ourses

Se mostri ai bambini i libri di Komagata, in bianco e nero, hanno forti reazioni, ma, apparentemente, agli adulti non comunica niente. Hanno lasciato le emozioni nel loro passato. Komagata ha inventato e fatto tutti i suoi libri guardando la sua bambina. Forte del suo mestiere di grafico, ha adattato le cose che faceva rispondendo alle reazioni di sua figlia. È una persona che vuole comunicare qualcosa. Non qualcuno che fa un libro e dice “ah che bel libro” e basta.

Tornando alla domanda precedente ti posso dire che se proprio vogliamo trovare dei riferimenti pedagogici, seguiamo la scia della Nouvelle Education, di Montessori, ma sopratutto ci interessano Froebel e Rousseau, senza però appoggiarci a teorie specifiche.

Se osservo il lavoro di Munari o anche di Komagata, vedo una sorta di progettualità che dura nel tempo, cose che si susseguono e che creano un percorso definito. Sembra che oggi manchi questa continuità progettuale, questa ricerca di un percorso, nell’affrontare il tema dell’educazione estetica e comunicazione visiva.
I tempi sono cambiati, di certo: non c’è più tempo! Tra i vari artisti che mi vengono in mente ci sono Paul Cox, Sophie Curtil e Malika Doray, quest’ultima è in realtà più illustratrice ma ha un modo di parlare ai bambini che è raro. In Francia denoto una carenza nella scrittura per bambini piccoli. Mancano sopratutto testi che parlano di cose importanti, come la vita e la morte.

Parlavamo della progettualità. Non ti viene voglia di indire un concorso, per capire se c’è qualcuno che ha un buon progetto?
Ci piacerebbe fare un concorso sui libri tattili. Ci sono pochi libri per i bambini non vedenti e gli stessi libri possono essere anche per i bambini piccoli vedenti. Credo sia un ambito in cui ci sia molto da esplorare.

Continua…

Rileggi: INTERVISTA ALLA CASA EDITRICE LES TROIS OURSES, PARTE I


Little tree di Katsumi Komagata

Domani pubblicherò la seconda parte dell’intervista a Les Trois Ourses. Ma per riuscire a comunicarvi l’importanza di portare in occidente autori come Katsumi Komagata, volevo prima ri-pubblicare questo video che avevo girato tre anni fa sul suo capolavoro: Little tree. Non so perché, ma il post era scomparso.
Komagata sarà a Barcellona il 19 febbraio per alcuni laboratori sul collage a cui mi sono già iscritta. Documenterò tutto e vi farò un bel post!

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Petit arbre, Katsumi Komagata, Les trois ourses 2009