Concorso “Ho il Mal d’estro”: prorogato fino all’8 giugno

Aggiornamento 30 maggio: IL CONCORSO E’ STATO PROROGATO FINO ALL’8 GIUGNO (incluso).

NB: C’è stata un po’ di confusione a causa di un mio commento poco preciso. Dovete scusarmi e mi assumo tutta la responsabilità del disagio. Alcuni illustratori hanno inviato le immagini (o stavano per inviarle) considerando una doppia pagina come 2 illustrazioni.
La doppia pagina vale 2 solo se ospita 2 illustrazioni! Se ospita una sola grande illustrazione, anche se l’illustrazione si estende sulle due pagine, è ovvio che vale 1.

Per cui per chi ha fatto questo errore, c’è tempo per rimediare. Dateci dentro e fate la terza tavola. Per chi avesse già inviato e avesse fatto lo stesso errore, può inviare a parte la terza tavola.
Per la copertina: vale 1 in tutti i casi, sia che la facciate singola, sia che la facciate larga prendendo anche il dorso del libro.

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L’Associazione culturale Mal d’estro, con sede in Puglia, indice un concorso e mi ha gentilmente chiesto di fare parte della loro giuria. Ho accettato volentieri.

LEGGI QUI IL BANDO COMPLETO
COSA:
Un progetto libro presentato così:
4 disegni, in bianco e nero o a colori, di cui: una copertina, due illustrazioni, piu lo storyboard del progetto di massimo 30 pagine (questo lo aggiungo io: lo storyboard potete presentarlo in vignette piccole su una pagina, se non sapete usare photoshop, ritagliate gli schizzi, riduceteli con una fotocopiatrice, e incollateli su una pagina, in bianco e nero o a colori, come preferite).
VINCITORE:
La pubblicazione del libro + 500 euro da considerarsi anticipo sui diritti di pubblicazione del libro.
All’autore (se totale) saranno corrisposte 10% di royalties e i diritti saranno ceduti all’Associazione Mal d’estro solo per due anni.
In caso di autore e illustratore separati, all’autore spetterà il 4% e all’illustratore il 6%.

La giuria selezionerà altresì una parte delle opere in concorso per una mostra collettiva che si terrà nel giorno della premiazione (alla quale cercherò di essere presente, se riusciamo a organizzare la premiazione nei giorni dopo il mio corso in Puglia, dunque week end 11/12 agosto). Per le opere selezionate sarà richiesto l’invio del progetto completo in formato jpg RGB, con lato minore di almeno 20 cm a 300 dpi.
SECONDO PREMIO:
300 euro
SCADENZA: 30 maggio 2012

 


Il nuovo stile di Beatrice Alemagna, e il suo nuovo sito

 


Beatrice Alemagna

The topsy turvy book è il nuovo sito-blog di Beatrice Alemagna.  Non sostituisce l’altro, lo correda. In che cosa differisce dal sito ufficiale? The topsy turvy book  è una palestra di gioco e sperimentazione offerta al pubblico in tempo reale, dove Beatrice Alemagna inventa nuove forme e nuovi personaggi e dove vengono raccolti disegni per cartoline, magliette, copertine di libri e articoli di giornale. La freschezza di queste immagini mi fa pensare a una nuova fase di questa preziosa amica e artista. Se tutto il suo lavoro è sempre stato caratterizzato da qualcosa che definirei una lirica poetico-esistenziale, (potete leggere qui un mio articolo di introduzione a una sua mostra in cui analizzo lo stile “Alemagna”), in questo nuovo stile troviamo un registro decisamente ironico, fresco, più lieve.
Inutile dirvi che mi piace tantissimo. Tra non molto avremo la grande fortuna di vedere pubblicato in Italia, per i Topipittori, un libro interamente abitato da questo adorabili curiosi nuovi personaggi.

 

Beatrice Alemagna

Beatrice Alemagna

Beatrice Alemagna


Scrivere per bambini. parte 3. Il soggetto

Sempre restando in tema di racconti brevi e non di filastrocche o poesie o nonsense, provo a fare qualche riflessione sul soggetto.
Vorrei che voi prendeste questi post come uno spunto di riflessione e non come una regola. Non c’è nulla, in materia di creatività, che possa stare dentro delle regole.

Pippi Calzelunghe, Simona Mulazzani

TIPI DI SOGGETTI

Il soggetto, può essere inanimato. Esempio: Una sera di agosto, una stella brillava sopra la città di S., ed era la stella più bella che gli abitanti di quella città avessero mai visto.
Oppure animato: Esempio: C’era una volta un bambino fine come un fiammifero.

SOGGETTI INANIMATI

Un soggetto inanimato può funzionare quando l’album è una sequenza di pagine unite solo da un’atmosfera (io l’ho fatto in Caminos sin nombre), ma quando la struttura che unisce le pagine è “narrativa” e c’è una sola storia che attraversa il libro, il soggetto inanimato deve animarsi per poter compiere delle azioni, avere dei sentimenti, parlare, etc

A meno di non essere Collodi, o il reverendo  Wilbert Awdry (che ha scritto Thomas the tank engine, un libro che dopo 60 anni è ancora in testa alle classifiche di vendita inglesi e americane) o Andersen, o un nuovo grandissimo talento non ancora scoperto: state attentissimi a animare oggetti inanimati.

Thomas the tank engine
Fun and Nonsense, Willard Bonte, Stati Uniti

C’è sempre qualcosa di inquietante in un oggetto inanimato che prende vita. E se non è inquietante è kitsch come le tazzine e le teiere cantanti di Walt Disney. Essere inquietante non è per forza una caratteristica negativa, anzi, ma se non si sa dominare con maestria l’arte della scrittura, si rischia di non saper fargli compiere “il salto” e l’oggetto che avrebbe dovuto prender vita resta a metà tra due mondi, dando al racconto una tonalità sinistra, da post-sbornia o “trip” finito male.

Walt Disney production: La bella e la bestia

Non ne sono sicura, ma aggiungerei che animare oggetti inanimati è un po’ passato di moda. Io mi ricordo un libro di geometria che avevo da bambina dove compassi, squadrette e gomme per cancellare erano personaggi animati e direi che era un libro molto “anni 70”.

SOGGETTI VEGETALI E ANIMALI

Fanno eccezione i soggetti vegetali e animali, che per tradizione letteraria sono capaci di parola e di comportamenti umani.
Nella tradizione fiabistica, alberi e fiori  di solito possono solo parlare (e sono spesso dotati di profonda saggezza), mentre gli animali possono fare tutto: vestirsi, pensare e comportarsi proprio come esseri umani. Più di rado, ma possiamo trovare anche soggetti vegetali che si comportano come personcine: un fiore che si sveglia troppo presto d’inverno, un pisellino che vuole essere diverso dai compagni, etc.
Quando gli animali sono vestiti da umani, e si comportano come tali, il racconto è animato solo da protagonisti animali. Nei casi dove animali e umani abitano lo stesso mondo con le stesse regole, il protagonista è di solito un bambino: gli animali che lo accompagnano (o lo ostacolano) sono “umanizzati†perché vittime di un incantesimo, oppure “aiutantiâ€, oppure animati dalla fantasia del bambino stesso, come nelle deliziose strisce di Calvin & Hobbes , dove un tigrotto è vivo solo in presenza del bambino ma ritorna peluche quando compaiono gli adulti.

 

Se, invece, i due mondi (quello dove gli animali si comportano da umani e quello in cui ci sono solo umani) coesistono con adulti-animali e adulti-umani che condividono le stesse regole e lo stesso habitat (se cioè, anche gli adulti possono vedere gli animali umanizzati), c’è sempre una forte tensione tra i due mondi, e questa tensione è quasi sempre l’asse centrale del racconto. Perché è come dire che il mondo della fantasia e quello della realtà possono coesistere (visione che è giudicata infantile e non adulta). E’ una tensione che di solito viene risolta alla fine del racconto perché le cose tornino al loro ordine naturale.

In Zoo di Susy Lee, come in La notte di Erlbruch, gli adulti e i bambini vedono allo stesso tempo due realtà differenti.
In Zoo la bambina protagonista vede uno zoo colorato dove gli animali giocano con lei, mentre gli adulti vedono uno zoo in bianco e nero, dove non ci sono che gabbie vuote, altri umani, e cartelloni con animali disegnati.

Zoo, Suzy Lee

In La notte un bambino si fa portare dal papà a “vedere†la notte: mentre il papà, mezzo addormentato, gli spiega che di notte non c’è niente da vedere perché tutti dormono (e non vede effettivamente niente perché cammina a occhi semi chiusi), il bambino, lui, vede cose fantastiche.

La notte, Wolf Erlbruch

In entrambi i libri, quando il mondo della realtà ritorna prepotente (il gioco è finito), c’è sempre un pezzettino di mondo fantastico che è rimasto per fare un “clin d’oeil” al lettore: nel libro di Suzy Lee gli animali salutano la bambina entrando per un momento nel mondo grigio, nel libro di Erlbruch il bambino ritorna a casa con una pallina regalatagli da Alice.

Al contrario, se nel libro non compaiono umani ma solo animali umanizzati, potete spostare l’attenzione su altre tensioni narrative. Il lettore saprà che il mondo che avete messo in scena è un mondo reale dentro i confini del vostro libro.

In generale, ricordatevi che per un bambino tutto è VIVO, vivo a un grado che un adulto stenta a capire. Il bambino è animista e percepisce oggetti (sia reali che rappresentati) come animati da intenzioni, anche quando sono immobili. Non c’è bisogno di “calcare troppo la mano†animando qualsiasi cosa con occhi e bocca (questo vale anche per gli illustratori alle prime armi, spesso influenzati dall’immaginario di Disney).

SOGGETTI METAFORICI

Per le stesse ragioni che vi spiegavo nel post precedente, evitate di scegliere soggetti metaforici. “La vitaâ€, “l’amoreâ€, “la pauraâ€, “il coraggioâ€, “la morteâ€, “il bene”, “il male”… sono concetti che a noi fanno vibrare i polsi, a un bambino non dicono proprio un tubo. Per le orecchie di un bambino sono suoni vuoti, senza energia, senza poesia, senza emozione.  Se proprio volete parlarne, dovete incarnarli in qualcosa. La morte può essere, come nello splendido libro di Kitty Crowther, una donnina che è stanca di far paura alla gente. La vita può essere un albero mostrato in tutte le sue stagioni. La paura un lupo. Il male una strega o una tempesta o una vicina antipatica. La paura può essere il suono della notte fuori dalla finestra. Non usate questi soggetti a livello metaforico. Non parlate “di cosa è la vitaâ€, mostratela.

Kitty Crowther, la visite de petite mort

La letteratura per album contemporanea è una letteratura discreta, sobria. Vi suggerisco di seguire il consiglio che Rilke dava al poeta nelle Elegie Duinesi, quando deve descrivere all’Angelo che cosa è il mondo:

… Loda all’Angelo il mondo, non quello indicibile, con lui
non puoi sfoggiare splendore di sentimento; nell’Universo
 dove egli sente più sensibilmente, tu sei novizio. E allora
mostragli
quello che è semplice, quel che, plasmato di padre in
 figlio
vive, cosa nostra, alla mano e sotto gli occhi nostri.
Digli le cose. Resterà più stupito; stupito come rimanesti tu

dinanzi al cordaio a Roma o al vasaio sulle rive del Nilo.
(R.M. Rilke)

PSICOLOGIA DEL SOGGETTO

E’ vero che i protagonisti e i personaggi che animano la letteratura per bambini hanno una psicologia “sempliceâ€, sono cioè, come nella commedia dell’arte, spesso caratterizzati da qualità morali molto ben definite: buono, cattivo, generoso, avido, pigro, coraggioso, etc

Questo non significa che siano marionette tonte in mano allo scrittore, capaci soltanto di reagire in modo determinato a snodi della storia costruiti a pennello per “quel tipo di carattereâ€.

Il piccolo drago Grisù che voleva fare il pompiere

Per la stessa ragione per cui il bambino fatica a capire le metafore (come vi dicevo, il bambino è come un animale senza tane, sempre “all’apertoâ€: il suo pensiero, non ancora astratto, fa fatica a staccarsi da quello che accade nel qui e ora), fatica a capire i sentimenti. Un bambino non sa di essere “arrabbiato†quando lo è. Solo sente che qualcosa dentro lo brucia come il fuoco e che vorrebbe distruggere ogni cosa. Come in uno specchio fedele alle sue sensazioni, il personaggio di un libro sarà un drago che quando si arrabbia brucia tutto e poi per riparare (pentimento) vuole fare il pompiere. O sarà un gigante sputa-fuoco. Raramente troveremo il verbo “arrabbiato†in una fiaba classica; purtroppo lo troviamo in quei terribili libricini fatti per aiutare il bambino a capire le sue emozioni,  dove di solito c’è un bambino e quel bambino è vergognosamente affetto da sentimenti quali: gelosia per un fratellino, arrabbiatura contro la mamma, paura di andare a scuola. Ahi! che vergogna essere così messi a nudo, scoprire anzi tempo di non essere mostri sputa-fuoco ma solo bambini gelosi di un fratellino.

Babes in the wood, Caldecott

Allora, concentratevi bene su questo punto: il personaggio di una fiaba non prova meno sensazioni e sentimenti di un bambino vero, con tutta la complessità mostruosa dei sentimenti umani (quel groviglio di budella in cui si fa sempre fatica a capire dove inizia l’odio e finisce l’amore, e viceversa). Solo che questa complessità deve prendere vita nel racconto attraverso azioni, personaggi, tempeste, inverni gelidi che paralizzano tutto, incantesimi che trasformano in pietre o animali, oggetti o persone che crescono a dismisura o rimpiccioliscono, tesori scoperti, arcobaleni, fate che condannano o fate che salvano,  boschi dove ogni scricchiolio gelerebbe il sangue del più coraggioso eroe,  fiori che nascono nella neve, etc etc etc… e MAI questa complessità deve essere narrata astrattamente dal linguaggio.
Ognuno dei sentimenti che animano la complessità del sentire umano deve incarnarsi in qualcosa.

Non sono mai riuscita a finire neanche un Harry Potter e il suo protagonista mi ha sempre irritato oltre misura proprio per questa sensazione di burattino in un copione già dato. Lui è davvero “semplice†nel senso peggiore del termine.

Come ultimo consiglio sul soggetto vi riporto un consiglio che mi aveva dato Carll Cneut riguardo all’illustrazione: “disegna sempre un protagonista capace di farsi voler bene al primo sguardo”.

Per oggi, non mi viene più in mente più nulla (anche se penso che ci sarebbe una caterva di cose da dire ancora (se avete idee interessanti le ospiterò volentieri sul blog!), ora, con calma, vorrei prepararvi un post sulla trama del racconto.


Ricordando Sendak: Sergio Ruzzier racconta il suo incontro con Maurice Sendak

(Pubblicherò la terza parte delle mie riflessioni sulla scrittura la prossima settimana). Oggi pubblico questo prezioso  frammento di memoria di Sergio Ruzzier (avevamo ospitato una sua intervista qui), che nel 2011 è stato ospite di Maurice Sendak alla The Sendak Fellowship. Sergio Ruzzier, che da molti anni vive e insegna illustrazione a New York, racconta l’influenza di Sendak su tutto il suo lavoro fino all’ultimo saluto del maestro all’ospedale, poche settimane fa. L’articolo è stato scritto per il bollettino della Society of Children’s Book Writers and Illustrators e gentilemente tradotto da Sergio Ruzzier per i lettori di LeFiguredeiLibri.

Questo disegno l’ho fatto mentre ero da Sendak. Gli era piaciuto l’originale, un disegno a biro che avevo fatto in quarta elementare per un tema in classe, cosi’ gli ho regalato questa copia (Sergio Ruzzier).

Tra i primissimi libri che ho mai toccato c’erano i cinque volumetti del Piccolo Orsacchiotto, scritti da Else Holmelund Minarik e illustrati da Maurice Sendak. L’episodio dolceamaro di un Piccolo Orsacchiotto che crede che sua madre si sia dimenticata del suo compleanno, mi affascinava in modo particolare. La storia è commovente e raccontata con grazia, ma la cosa che mi è entrata nella pancia per rimanerci per sempre, è la perfezione di quei disegni a china. La delusione che si legge sul muso di Piccolo Orsacchiotto, le diverse personalità di Gallina, Anitra e Gatto, la malinconia dell’umile minestra di compleanno: tutto questo è illuminato dalla penna di Sendak con grande sensibilità. L’ultima volta che ho dato un’occhiata a quei disegni è stata parecchi anni fa, ma se chiudo gli occhi posso ancora vederli molto chiaramente.

Little Bear,  Else Holmelund Minarik e Maurice Sendak

Da adolescente ho cominciato a immaginarmi un futuro da narratore visivo di qualche tipo. Ho guardato qua e là, sperando di trovare la giusta ispirazione. Ho incontrato Bosch, Alfred Kubin, Elzie C. Segar, George Herriman, Willhelm Busch e altri artisti in diversi settori.
Non avendo ricevuto alcuna educazione artistica degna di tal nome, questi artisti e le loro opere sono stati fondamentali nel mio progresso artistico, nel bene o nel male. Ma quando mi sedevo al tavolo a imparare a usare il mio strumento preferito, il pennino, tenevo sempre a portata di sguardo i disegni di Sendak.

In Italia, dove sono nato e cresciuto, la maggior parte dei libri di Sendak non sono altrettanto conosciuti come negli Stati Uniti o altrove. Solamente dopo essermi trasferito a New York, a metà degli anni novanta, mi sono reso pienamente conto del valore e dell’ampiezza del suo lavoro. Ho cominciato a collezionare i suoi libri, che mi han tenuto compagnia mentre tentavo di costruirmi una carriera.

Un giorno di febbraio del 2011, aprendo la cassetta delle lettere per ripulirla dalle solite bollette e annunci pubblicitari, ho trovato una cosa curiosa: una lettera. Era indirizzata a me e aveva come mittente The Sendak Fellowship. L’ho aperta, immaginando di trovarci una richiesta di donazione per una istituzione benefica di qualche tipo. Si trattava invece di un invito a passare quattro settimane nel Connecticut, in una casa accanto a quella di Maurice Sendak, in autunno. Mi avrebbero dato uno studio dove lavorare ai miei progetti, senza nessun obbligo di produrre niente di particolare. Inoltre, e soprattutto, avrei avuto l’occasione di conoscere Maurice Sendak. Maurice Sendak! Ho accettato, ma avevo paura.

L’idea che Sendak conoscesse i miei libri così bene da volermi invitare a casa sua mi faceva sentire un po’ a disagio. Ho sempre avuto il terrore che un giorno avrei sentito bussare alla mia porta: uno sconosciuto in divisa, un Poliziotto dell’Arte, mi avrebbe comunicato ufficialmente che, mancandomi le giuste credenziali, non avevo l’idoneità per svolgere questa professione. E avrei dovuto consegnare la mia penna e la china, gli acquarelli e la carta.

Una cosa del genere potrebbe succedere benissimo, e temevo che fosse venuto il giorno: lo stesso Sendak mi avrebbe dato la comunicazione ufficiale.

Alcuni mesi prima dell’inizio di questo soggiorno, ho saputo i nomi dei miei futuri compagni: Denise Saldutti, Frann Preston-Gannon e Ali Bahrampour. Conoscevo molto bene l’albo illustrato di Bahrampour Otto: The Story of a Mirror, un libro molto bello e originale. Ho pensato: se anche lui è invitato, allora forse non c’è motivo di aver paura. Dopo aver pubblicato quel suo primo libro, Bahrampour era sparito dal mondo dei libri per bambini, per cui non potevano certo chiedergli di andarsene.

Otto, The story of a mirror, Ali Bahrampour.

Ho cominciato a pensare che la Sendak Fellowship fosse una comunità di recupero per narratori visivi. E in effetti per me un po’ lo è stato.

Durante il mio soggiorno non c’era niente che non fosse incantevole: l’atmosfera conviviale; la straordinaria gentilezza e efficienza di Lynn Caponera e Dona McAdams, che organizzano il programma; il mio studio, con le finestre che guardano nel bosco popolato da uccelli, rane, rospi, tartarughe, cervi, scoiattoli e dei lombrichi particolarmente lunghi e grassi. In quello studio ho potuto disegnare e pensare in libertà, senza scadenze o pressioni di alcun tipo, semplicemente per puro piacere.

La ragione principale per cui disegno e racconto storie è per ritrovarmi in quello stato di grazia e intimo isolamento che si raggiunge quando si è completamente immersi nella propria creazione. Sappiamo bene che spesso è solo uno stato illusorio, ma vale comunque la pena raggiungerlo. In quel mondo che si sta costruendo si vuole essere sinceri, soprattutto con se stessi.

Quando si fanno libri per bambini, ci sono così tanti ostacoli, tabù, cose che non è permesso dire o mostrare. Ci si abitua a questo pensiero, lo si accetta come dato di fatto, ci si censura. Ci si dimentica il motivo per cui si fa questo mestiere. E si producono libri che sono meno buoni di come potrebbero essere. Sendak mi ha ricordato che può non essere così. E’ una persona molto affettuosa, dolce e spiritosa, ma anche molto onesta. Mi ha detto quello che gli piaceva nei miei libri e anche quello che non gli piaceva. Trovava che fossi troppo docile in certe mie scelte, troppo timido. “Devi avere più coraggioâ€, mi diceva. Ho provato a dare la colpa agli editori, e lui ha ammesso che oggi, almeno negli Stati Uniti, l’ambiente non è altrettanto favorevole e incoraggiante rispetto a quaranta o cinquanta anni fa. Però questa non dev’essere una scusa, mi ha detto. Ha assolutamente ragione, e lo sapevo già. Ma chiacchierare con lui mentre passeggiavamo nei suoi boschi col suo cane Herman, mi ha fatto ricordare il motivo per cui disegno e racconto storie.

Ho scritto questo pezzo per il bollettino della Society of Children’s Book Writers and Illustrators. Pochi giorni dopo la pubblicazione, ho saputo che Maurice si era sentito male, e che era all’ospedale. Niente di grave, si sarebbe ripreso. Poi, durante la convalescenza, si è sentito male di nuovo. Questa volta era molto più grave. Talmente grave che anche se l’avessero salvato non sarebbe più stato in grado di disegnare, camminare, forse neanche di leggere, parlare o deglutire. Così ha fatto capire che voleva che lo lasciassero morire. Sono andato a trovarlo all’ospedale il giorno prima della sua ultima notte. Dormiva tranquillamente e mi piace ricordarlo così.

S.R.



Scrivere per bambini. parte 2. Attenti alla metafora

Rileggi la prima parte.

Lorenzo Lippi, Allegoria della Simulazione (1642)

Continuo le mie riflessioni sullo scrivere per bambini e vi ricordo di non prenderle per oro colato. Sono solo un punto di vista personale. In questo post vorrei parlarvi delle principali forme retoriche e del loro uso nei libri per bambini. Spesso, soprattutto quando siamo scrittori alle prime armi, viene abbastanza naturale voler trasmettere messaggi ai bambini sui grandi temi dell’esistenza (la vita, la paura, l’amore, etc) usando immagini metaforiche. Per noi adulti è facile dire “vita” e capire la densità emotiva che si condensa in questa parola. Il problema è che i bambini non hanno una conoscenza del mondo e dei sentimenti tale da permettergli di comprendere parole o concetti troppo metaforici/simbolici. Vi faccio qualche esempio…

Sì alla SIMILITUDINE, no alla METAFORA, si all’ALLEGORIA

La similitudine: La similitudine è una figura retorica basata sulla somiglianza, fantastica o logica, di eventi, paesaggi o pensieri, e di solito è retta da “come”. I racconti per bambini sono ricchi di similitudini:

C’era una volta un vecchio volpone che volle vedere se la moglie gli era fedele. Si coricò sotto la panca e non si mosse più come se fosse bell’e morto. (Grimm, La signora volpe). Le grandi finestre d’ambra erano aperte, e i pesci entravano nuotando, proprio come fanno le rondini da noi, che volano dentro le finestre aperte. (Andersen, La sirenetta).

In entrambi i casi sopra citati la similitudine è una pennellata aggiuntiva, che rende più viva la scena descritta. Un volpone che sembra bell’e morto ma sappiamo che è vivo, e molto più divertente di un volpone che semplicemente si accuccia sotto una panca. In Andersen l’immagine delle rondini (più familiare a noi di quella dei pesci) dà aria alla scena e subito ci trasmette la sensazione di “volo” del branco di pesci. Le similitudini sono fatte per colorare, arricchire o spiegare meglio, e vanno bene nei testi per bambini quando sono “visibili”, quando, cioè, aiutano a raffigurarsi la scena. Non vanno bene quando sono troppo astratte. Esempio: La bambina piangeva e il suo pianto era come un silenzio finalmente liberato dal buio della notte. (??) La metafora: La metafora (cito il Devoto-Oli) è la sostituzione di un termine proprio per uno figurato, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini. Esempio (mio): Da quando era stato abbandonato, era una nave senza più porti. Secondo me, le metafore vanno evitate il più possibile nei libri per bambini, perché il bambino non ha un repertorio di conoscenze adatto a cogliere il salto di significato offerto dalla metafora, e il suo contenuto “simbolico”. Di più: il bambino è sempre nel qui e ora, il rinvio improvviso verso un mondo altro, concettuale, non è qualcosa che può capire facilmente. Una trasformazione, in un libro per bambini, ha sempre bisogno di essere “spiegata”, o ha bisogno di un mago. Nel caso della metafora, il bambino non può capire che lo snodo della trasformazione, il suo incantesimo, è nascosto nella struttura del linguaggio. ATTENZIONE: non sto dicendo che un bambino non può capire che un uomo abbandonato si sente perduto come una nave in mezzo al mare. Un bambino può capire tutto o quasi tutto. Sto solo dicendo che il messaggio va veicolato da un racconto che procede per immagini, senza usare concetti troppo astratti.

Esempio 1: Di recente, una lettrice del blog, Antonella Ruggiero, mi ha inviato alcuni racconti: erano molto poetici, ma non erano, secondo me, adatti ai bambini. In uno di questi racconti le persone di un paese erano malate perché avevano il buio dentro, l’autrice era riuscita a tradurre bene questa prima immagine un po’ troppo metaforica spiegando che il buio era come una grotta. Perfetto. Il protagonista allora si armava di piccozza e corde per scendere a vedere perché queste persone avevano il buio dentro. Bene fino a qui. Poi c’era un salto e il protagonista era entrato nel buio delle persone e ne era uscito. Io mi sono messa nella pelle di un bambino e mi sono chiesta: sì, ma come è entrato? Da che buco? I bambini sono pratici e molto più logici di quanto crediamo. Loro “vedono” realmente le cose che gli stiamo raccontando. Il racconto deve seguire logiche che sono quelle della realtà, e in caso non le segua, deve esserci una logica interna al racconto capace di spiegare perché le cose si comportano diversamente.

“La caja de los recuerdosâ€, Oqo 2010 Anna Castagnoli e Isabelle Arsenault

Esempio 2: In una prima versione del mio libro La caja de los recuerdos, il finale era così: Ora la scatola è vuota. Se sono triste la apro e la avvicino piano all’orecchio: Sento i gabbiani fare Criii nel vento, sento un bambino che grida HO VINTO! e so che ha vinto la gara sulla sabbia perché la sua biglia era piena di coraggio, non aveva paura di andare lontano, sento le foglie farsi mille complimenti, un frusciare d’inchini, e la mia foglia…ha fatto amicizia con le altre, non è più sola, sento Giulia che ride davanti al mare, ascolto il silenzio delle pietre meravigliate, sento una donna, che immagino bellissima, dire: sì. Allora penso che in nessun luogo del mondo esiste una scatola preziosa come questa, con la sua stella che brilla sul velluto. Certe sere io e l’uccellino di lana ci mettiamo a guardare dalla finestra la città piena di luci. Chissà a cosa pensa un uccellino di lana.

Era la storia abbastanza allegorica di una bambina che aveva messo in una scatola alcuni oggetti e poi li aveva liberati o regalati. Nel finale volevo dare l’idea della ricompensa dei doni che aveva fatto e raccontare cosa era successo alle persone che li avevano ricevuti. La scatola era vuota, ma tutte le cose che aveva donato ora avevano preso vita ed erano diventate importanti per qualcuno. Il primo editore a cui mandai questo racconto, era Giovanna Zoboli (Topipittori). Mi rispose che il racconto andava bene, ma che il finale era troppo simbolico. Lì ebbi l’intuizione e dopo un mese di arrovellamenti, conclusi il libro così (rimaneva, nella camera della bambina, un uccellino di lana che lei aveva appoggiato vicino alla finestra): L’uccellino di lana non ci crede che la scatola farà una perla, un giorno. È un uccellino molto dubitoso. Non crede neppure che la biglia l’ha trovata il bambino che abita al n°11 della mia via, proprio il giorno del suo compleanno. Né che la mia foglia e tutte quelle che avevo dipinto sono ritornate portate dal vento nel paese degli alberi rosa. Però che tu sei un uccellino, che tutti gli uccellini volano e dunque che anche tu puoi volare, ci credi? Gli chiedo, e rido. Ma una mattina d’estate invece di ridere sono rimasta a bocca spalancata accanto alla finestra aperta: sulla libreria l’uccellino di lana non c’era più!

Andava bene. E questa è la versione che è stata poi pubblicata da OQO. Ero riuscita a trasformare qualcosa di astratto in qualcosa di “visibile”, concreto. In aggiunta avevo liberato l’ultimo oggetto, che era un uccellino di lana, traducendo in un gesto reale la sensazione di potente libertà e magia che dà l’aprirsi agli altri e al mondo. Forse dovreste leggere il racconto intero per capire meglio: ma la sentite la differenza sostanziale tra le due versioni? ascolto il silenzio delle pietre meravigliate” per un bambino, non significa un tubo! Nella prossima puntata vi parlerò anche di “soggetti metaforici” quali “vita”, “coraggio”, “paura” etc…

L’allegoria L’allegoria è un racconto che cela un significato nascosto. Le fiabe di Esopo, o de La Fontaine, ad esempio, sono allegoriche. Vanno bene per bambini perché il bambino ha comunque, davanti agli occhi della sua immaginazione, lo sviluppo di una storia semplice e “osservabile” nei suoi sviluppi. Ci sono animali e questi animali compiono delle azioni. Che poi queste azioni, o le loro parole, celino un significato morale, questo può capirlo più o meno bene, ma il messaggio arriva lo stesso, perché è incarnato in una storia. Io mi ricordo che mia madre mi raccontava “La cicala e la formica” quando non volevo fare i compiti, e io capivo che in quel caso, ero la cicala. Il bambino ama immedesimarsi. L’allegoria va bene, quindi, se è una storia concreta, con personaggi e azioni. Per riassumere: il bambino ha bisogno di “vedere” le cose che gli vengono raccontate, e di seguire con passaggi logici le trasformazioni che avvengono nella storia (logici può anche voler dire una bacchetta magica o un incantesimo). Difficilmente afferra le metafore, ma può essere trasportato “un po’ più in là” nel mondo delle idee e dei concetti da similitudini o allegorie. Siete abbastanza d’accordo? Notate che sto parlando di racconti. Diverso è il caso di giochi di parole o parole o frasi isolate affiancate a immagini, dove il bambino è invitato da solo a trovare correlazioni e fare salti di fantasia. Lo vedremo nella prossima puntata.

Segue…
Rileggi la prima parte.


Scrivere per bambini. Parte 1. Alcune suggestioni

INTRODUZIONE
Molti di voi mi hanno domandato un post su come si scrive per bambini.
E’ difficile per me scrivere su questo tema, perché appartengo a quella categoria di persone che pensano che la scrittura sia un talento che non può essere insegnato. Penso che tutti possano imparare a disegnare, perché il disegno è qualcosa di naturale e istintivo nell’uomo, e anche quando si pensa di non saper disegnare, in realtà (questa è la mia convinzione) si è solo bloccati.
La scrittura, invece, proviene da una zona del cervello (o dell’anima?) molto più strutturata. Ci sono voluti anni perché imparassimo a scrivere senza errori, in un italiano sintatticamente corretto e ricco (prima meta), ce ne sono voluti altrettanti, se non di più, per formare quel patrimonio morale/culturale/originale che è il nostro pensiero, la nostra immaginazione, il nostro modo di percepire il mondo (seconda meta). La terza e ultima meta, nel caso che si voglia essere scrittori, è imparare a tradurre la nostra visione delle cose attraverso la scrittura.
Materia sinistra, quella della scrittura. Castello di carte che poggia su equilibri misteriosi e delicatissimi. Matrimonio perfetto tra struttura del linguaggio e abissi del pensiero. Leggerezza che attraversa la complessità del sentire umano. Scrivere bene, non è qualcosa che si può improvvisare.
Ezra Pound scriveva:

” Una fondamentale accuratezza d’espressione è il solo e unico principio morale della scrittura”.
Io mi permetto di aggiungere un altro principio morale: “Una fondamentale accuratezza di pensiero.”.

Non ci sono mezze misure, per me, nella scrittura. Sono capace di abbandonare un libro alla prima caduta, e sono ancora più impietosa con me stessa: nonostante ami scrivere, a volte passo anni senza scrivere una riga, tanto mi vergogno di non avere il genio di Nabokov o di Kafka o di Salinger.
Ciò detto, proverò lo stesso a darvi qualche linea guida molto generale sullo scrivere per bambini. E’ il mio punto di vista, ovviamente, e non prendetelo per oro colato. Scrivere bene forse non si può imparare, ma scrivere meglio, sì.

SCRIVERE PER ADULTI e SCRIVERE PER BAMBINI
Scrivere per bambini non è più facile che scrivere per adulti, anzi, è più difficile. In una scrittura per adulti si possono mascherare debolezze di pensiero con una prosa forbita o ermetica; in una scrittura per bambini, la necessità della semplicità, della brevità, dell’immediatezza, impone una trasparenza che mette in luce qualsiasi debolezza. Scrivere per bambini è come scrivere haiku, come scrivere la ricetta per un dolce, come dettare le regole di un gioco: ogni più piccola parola deve essere NECESSARIA.

Agli scrittori per bambini viene sempre chiesto se pensano ai bambini quando scrivono (anche agli illustratori!). Bisogna pensare ai bambini per scrivere per bambini? C’è chi pensa di sì, chi di no. Personalmente, non mi piace sentire compiacenza verso il mondo infantile quando leggo un testo per bambini. Non mi piacciono gli ammiccamenti, i diminutivi, e tutto quel sapore di caramella sciolta che ogni tanto si sente nei libri destinati all’infanzia. Dico questo e taglio la testa al toro: secondo me un buon scrittore per bambini considera i bambini suoi coetanei.

C’è una scena, in In solitario. Diario di volo, romanzo autobiografico di Roald Dahl, in cui lui attraversa da solo, in macchina, una pianura africana e si sente così libero da poter gridare “ciao!” agli stormi di uccelli che volano sopra di lui. Ecco, se da adulti non avete mai urlato ciao! a un gabbiano, forse non potrete diventare scrittori per bambini.
Ma sia chiaro: aver conservato segreta dentro di noi l’età di un bambino, non significa infrangere di tanto in tanto le noiose regole di bon ton che caratterizzano il mondo adulto, non significa essere degli estroversi mattacchioni, significa, al contrario: pensare le cose con molta serietà. Quando Roald Dahl saluta i gabbiani, arriva sul viso del lettore una sferzata d’aria fresca, si spalanca nel costato del lettore una nuova possibilità di esistenza (almeno, io ho sentito questo). Perché quel ciao non è un ciao regressivo (gioco a fare il bambino perché nessuno mi vede), ma un ciao in cui risuona l’intuizione profonda di Dahl di essere una sola cosa con aria, gabbiani, luce, e cielo sopra di lui. Sensazione, questa, che un bambino vive ogni istante della sua giornata.


I bambini vivono una dimensione dell’esistenza simile a quella dei poeti, dei santi, dei mistici, dei giullari che sanno la verità sulla morte del re ma tacciono e ridono, dei vecchi di montagna che non hanno più memoria ma conoscono le leggi che governano il cielo e la terra. Il loro mondo è assoluto, vasto, pieno d’aria, sono, come gli animali, tutti rivolti all’aperto e senza tane.

Ma se da una parte, tutto il loro essere è aperto alle più grandi correnti d’aria dell’esistenza, dall’altro, non sanno quasi niente del mondo che noi adulti abitiamo. Abitano una cultura diversa. Anche se hanno già imparato a parlare, tutto il loro modo di pensare e sentire le cose è profondamente diverso dal nostro. Fiabe, favole, filastrocche, racconti, allegorie, poesie per bambini, sono altrettanti tentativi di  “trasferire” il sapere della nostra cultura di adulti alla loro cultura di neo-nati.

Emanuele Luzzati

Per questa ragione, i testi per bambini hanno delle necessità che non sono le stesse della narrativa per adulti. Solo Seymour (di Salinger) riesce a leggere alla sorellina in fasce un testo taoista facendola smettere di piangere.
Nel prossimo post parleremo di similitudini, metafore e allegorie…

Forse vi interessa:
EDITORIA RAGAZZI.com sta pubblicando a puntate una conferenza che si è svolta a Bologna su “Come si diventa scrittori per bambini“.
Forse vi interessa rileggere anche: “Scrivere per bambini, luoghi comuni da sfatare” di Giovanna Zoboli
Alla fine di questi post vi fornirò una bibliografia.

Segue…