Vai a: Pierino Porcospino, un’opera comica? Parte 1
Vai a: Nascita di Pierino Porcospino
Der stuwwelpeter e un particolare dell'”Ecce homo” di Antonello da Messina
Dopo aver visto, nel precedente post, come H.Hoffmann, in Pierino Porcospino, utilizzi il linguaggio del comico, proviamo a vedere quale è il registro del contenuto del libro.
Fermo restando che un’opera complessa come Pierino Porcospino, che persino Freud analizza nella sua Introduzione alla Psicoanalisi, non permette una parola definitiva (e per fortuna), ancor meno nell’esiguo spazio di qualche post.
Pierino Porcospino di H.Hoffmann (per chiarezza, d’ora in avanti mi riferirò al libro con P.P.e al personaggio dalle unghie lunghe con Pierino Porcospino), nonostante sia suddiviso in 10 storielle, è una sola opera: la sua verità emerge dall’interezza del libro, che è più dalla semplice somma delle parti. Porta a risultati erronei giudicare l’opera in funzione di una qualsiasi delle sue storielle. L’opera è INTERA, racchiusa e definita da un incipit e una fine, che indicano chiaramente l’orizzonte dentro cui va letta. Vediamoli.
Abbiamo visto in questo post come il frontespizio indichi il contenuto e l’atmosfera di un’opera. Ecco cosa recita il frontespizio (qui sopra) di P.P. :
Nella notte di Natale/ Vien dal cielo un angioletto/ A posar presso il guanciale/ Del sopito fanciulletto. E se, a tavola, è obbediente/ Se giocar sa senza chiasso,/ Se tranquillo, fra la gente,/ Suol seguir la mamma a spasso,/ Risvegliandosi il fanciullo,/ Troverà , sul suo lettino,/ La sorpresa ed il trastullo/ D’un dipinto libriccino.
Il frontespizio ci dice che il tema del libro è il bravo bambino e la sua educazione (non fare chiasso, dare la mano alla mamma, essere obbediente a tavola). Se il bambino si comporta bene, avrà un libriccino in regalo. Il libriccino-premio è il libro P.P. stesso: lo vediamo tra le mani dell’angelo, qui sotto. Il libro è dunque un premio. Ma che un uomo sadico era H. Hoffmann per dare in premio un libro così severo e crudele?
Sappiamo, attraverso le sue memorie autobiografiche, che Hoffmann scrisse P.P. per suo figlio, perché non trovava adatti ai bambini i libri della sua epoca. Da psichiatra e da futuro creatore/direttore di uno dei centri psichiatrici per l’infanzia più innovatori dell’Europa ottocentesca, non era d’accordo neppure con la pedagogia dei suoi contemporanei.
Criticava aspramente la moda di minacciare i bambini dicendo: se ti comporti così arriva il medico/poliziotto e ti porta via (o simili varianti), e criticava la noiosa e moraleggiante atmosfera dei libri illustrati, la loro prospettiva adulta e non bambinocentrica.
Un uomo di vedute così moderne, perché mai avrebbe dovuto creare un libro contrario a tutti i suoi princìpi?
P.P. non è un libro di pedagogia nera, al contrario: è una parodia esagerata, ridicolizzante, della severa educazione inflitta ai bambini dell’800. H.Hoffmann si è divertito ad esagerarne le conseguenze, per sorridere insieme al bambino lettore.
Dopo la descrizione del bambino bravo e pio nel frontespizio, la comparsa di Pierino Porcospino, nella prima storiella del libro, è sorprendente. Ma non si stava parlando di un bambino bravo e buono? Chi è questo ragazzo che non si taglia le unghie e i capelli da anni?
C’è qualcosa di meraviglioso in questo manifestarsi selvaggio e irsuto del corpo del bambino, ma anche qualcosa di inquietante. Da una parte, il campeggiare della figura su un piedistallo, ne sancisce la regalità e legittimità . E’ lui il VERO protagonista del libro.
Il bambino che si ribella alle regole degli adulti è protagonista, ma anche martire: gli strumenti della sua tortura sono posti a mo’ di sigillo sul piedistallo: pettine e forbici.
Nella prima versione del libro (quella fatta a mano per il figlio) erano invece posti in aria, a lato del personaggio, quasi a indicarne, come simboli, l’identità di icona.
Beato Angelico
Pierino Porcospino e un particolare dell’Ecce Homo di Antonello da Messina
Dalla prima pagina riceviamo due informazioni (che il bambino saprà decriptare benissimo, anche se a livello inconscio):
– ribellarsi all’idea di “bravo bambino” richiesta dagli adulti è un’impresa da eroi: la possente e regale figura di Pierino Porcospino sul piedistallo, lo dichiara e rivendica il suo diritto alla libertà .
– ribellarsi, subire la tortura dell’educazione senza cedere ai suoi dettami, è anche un’impresa da santi: la posizione delle braccia di Pierino Porcospino, l’espressione contrita del suo volto, e i simboli del martirio infantile (forbici e pettine), ricordano molte immagini di Passioni di Cristo e martirii, e in questa prospettiva anche il piedistallo può essere letto come un sarcofago, da cui il bambino selvaggio, risorge.
Carmélie Jacob nella sua tesi Comique et sadisme dans le Struwwelpeter di Hoffmann (PDF), da cui sono partita, nonostante riconosca nelle forbici e nel pettine gli strumenti della tortura, e sottolinei l’aspetto mortuario di Pierino Porcospino (è ai morti, nella realtà , che crescono capelli e unghie a dismisura), non fa riferimento all’iconografia della Passione di Cristo.
E’ importante invece, secondo me, poter riconoscere i simboli di una Passione nell’immagine di Pierino Porcospino. – Una Passione a portata di bambino, certo, ma non così lontana dalla vera: si pensi alla frusta di Federico, alla mutilazione di Corrado, alla morte della fanciulla dei fiammiferi, o quella del digiuno volontario di Gasparino.- Il bambino lettore, da subito, può sentire ammirazione per questo personaggio selvaggio che è lui stesso come vorrebbe essere, e seguire con empatica partecipazione le stazioni del suo martirio in mano agli adulti.
Ho detto che tutto il libro è chiuso dalle parentesi della prima scena (Pierino martire) e dell’ultima scena, e che queste due pagine indicano come uno zenit e un nadir la giusta collocazione geo-emotiva del libro.
Ecco il testo della storia di Roberto che vola, che chiude il libro, nella versione italiana:
Quando infuria la tempesta/ Quando piove a catinelle/ Fuor non mettono la testa/ Bambinelli e bambinelle./ Ma con stupido ardimento,/ Sfida l’acqua, sfida il vento/ Quello sciocco di Roberto /Con in man l’ombrello aperto./Su nel cielo più lontano/ È Roberto ormai perduto./ Lo cercar dovunque invano,/ E nessun l’ha più veduto.
Ma nella versione tedesca…
Wenn der Regen niederbraust, / wenn der Sturm das Feld durchsaust / bleiben Mädchen oder Buben / hübsch daheim in ihren Stuben./ Robert aber dachte: Nein! / das muß draußen herrlich sein! / Und im Felde patschet er/ mit dem Regenschirm umher.
(Ecco una maldestra traduzione di google. Se qualcuno parla tedesco, lo prego di farmi una traduzione letterale):
Quando la pioggia ruggisce, /quando la tempesta si precipita attraverso il campo / ragazze o ragazzi rimangono /belli a casa nelle loro stanze./Pensò Robert: No! /l’esterno deve essere glorioso!
C’è una vera dichiarazione di guerra nel NO di Roberto, la decisione risoluta di andare a vedere “altrove”. Non sta, come in altri casi del libro, contravvenendo a una regola, sta sfidando gli elementi per cercare un mondo diverso (l’esterno cosa è? E’ il mondo che inizia dove finisce il mondo dagli adulti? E’ un’altra vita migliore? Un mondo senza adulti?). Proprio come Cosimo, il Barone Rampante di Italo Calvino, che, ormai vecchio, piuttosto di scendere dai suoi amati alberi, s’invola via con una mongolfiera di passaggio, Roberto, il bambino VERO, dopo aver subìto, pagina dopo pagina, le vessazioni degli adulti, decide di partire per sempre. “L’esterno deve essere glorioso!”.
Osservate la bellissima sensazione di movimento data dalla prospettiva della macchina da presa che si allontana a velocità vorticosa dal primo piano di Roberto verso un orizzonte vastissimo. Una vera sequenza cinematografica.
Se nel primo piano la tempesta e il grigiore riempiono tutta la scena (interessante e forse non casuale la presenza di una chiesa come indicazione del paese degli adulti), allontanandoci, ampliando la prospettiva, vediamo che quel terribile temporale (vissuto emotivamente dal bambino lettore anche durante il libro) non è che un pezzo di mondo.
Il mondo vero è ben più vasto. Il sereno e la luce spuntano da dietro l’orizzonte, rasserenanti. La furia terribile del temporale resta a sfogarsi sulla casa/chiesa degli adulti (o a fianco? Quasi ad indicare che è nella relazione tra adulti e bambini il conflitto?). Il bambino, lui, dopo aver cercato di dialogare col mondo degli adulti, senza successo, nelle nove storie precedenti, decide di andare a curiosare altrove. E questa è la parola finale del libro.
La comicità di P.P è dunque a servizio di una denuncia, quella della crudeltà di un’educazione rigida.
Nell’immagine della quinta di copertina (sul retro del libro), tutti i bambini della storia sembrano seguire a passo di marcia l’esempio di Roberto, e levano i tacchi. Notate che tutti fanno liberamete quello per cui erano stati puniti, e persino il bambino anoressico è vivo e arzillo: i bambini hanno vinto. A capo gruppo il nostro eroe: Pierino Porcospino, redivivo.
Nella prossima puntata vedremo alcune scene nel dettaglio, sotto questa nuova luce.
Leggi la prima parte: Pierino Porcospino, un’opera comica? Parte 1
Leggi il post: Nascita di Pierino Porcospino