“L’ora blu” di Antonio Marinoni

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Antonio Marinoni

Dopo aver avuto il privilegio di ammirare i disegni che Antonio Marinoni faceva da bambino, entriamo dietro le quinte della creazione del suo secondo libro illustrato: L’ora blu, edito dai Topipittori. (Potete leggere la mia critica all’Ora blu qui).

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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009

INTERVISTA AD ANTONIO MARINONI

Quando ho visto i disegni che facevi da bambino, sono rimasta a bocca aperta. Poi una laurea in architettura, insegnante in un liceo artistico, decoratore di piastrelle e tessuti… Sono passati molti anni dai tuoi primi disegni, prima di vedere i tuoi lavori entrare nel mondo dell’illustrazione. Cosa ti ha attirato verso questo mondo?
Da sempre, mentre disegno – penso sia così per tutti – mi piace fantasticare e immaginare storie, anche quando i soggetti sembrano inanimati, come sedie e sassi.
Era così da piccolo, quando stavo a disegnare per ore, steso a pancia in giù sul pavimento verde e nero del tinello o sul piano in formica rossa della cucina. Ed è stato così quando, a partire dal 1999, avvicinandomi ai quarant’anni, ho sentito di nuovo il bisogno di dedicarmi con intensità al disegno e ho iniziato a produrre, sostenuto da una volontà ferrea, una serie di ritratti di interni – con o senza figure umane – che nel febbraio 2001 sono stati esposti nella galleria milanese di Silvia e Jean Blanchaert.
In quell’occasione ho conosciuto Alberto Casiraghy che mi ha proposto di collaborare con le sue edizioni Pulcinoelefante (“Satoriâ€, con testo di Carlo Prelz, Giugno 2002 ), e Miro Silvera che, in seguito, mi ha chiesto alcuni disegni per illustrare una sua raccolta di poesie ( “Dio nei dettagliâ€, Novembre 2003 ) e mi ha fatto capire che era il caso di entrare nel mondo dell’illustrazione.

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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, storyboard (Ingrandisci l’immagine)

Veniamo al tuo secondo libro coi Topipittori: l’Ora blu. Con una modalità già usata per altri album, gli editori Topipittori hanno dato lo storyboard del tuo libro allo scrittore Massimo Scotti. Guardando le tavole è così evidente la simmetria tra testo e immagini che mi chiedo, chi erano Hortense, Tony Tanner, Il conte di Saint Germain, prima che fossero ancora loro? C’era una storia nella tua immaginazione o solo il desiderio di certi contorni, certe atmosfere?
I Topipittori hanno consegnato a Massimo Scotti lo storyboard  delle peripezie di Hortense, che avevo preparato in forma di maquette in scala ridotta del libro, intitolato provvisoriamente e piuttosto banalmente “Il viaggioâ€.
La struttura della storia era già definita: P., un giovane viaggiatore, trova su una panchina della stazione un vecchio libro. Salito sul treno si lascia trasportare dalla lettura che, grazie ai suoi magici piaceri, gli fa incontrare i due protagonisti della storia: la bella Hortense – giovane aristocratica francese degli anni della rivoluzione – e il suo amato, il Cavaliere di Saint-………, che, direttamente con la loro voce, continuano a narrare a P. le loro avventure, sino a coinvolgerlo nella loro storia.
Nel testo di Massimo, Hortense è rimasta esattamente come l’avevo immaginata. Nel ruolo del viaggiatore, il rappresentante filatelico Tony Tanner ha preso il posto del ragazzo P.; mentre il famigerato e tenebroso Conte di Saint-Germain ha sostituito il giovane e puro Cavaliere di Saint-……… nel ruolo dell’innamorato di Hortense.

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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, storyboard (Ingrandisci l’immagine)
Hortense, prova
Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, prova storyboard

Da quali suggestioni è nata l’idea di questo viaggio in treno tra ombre cinesi e sfondi antichi?
L’idea di questo viaggio è nata da suggestioni settecentesche. La prima si è presentata quando, durante una vacanza in montagna nel luglio 2001, ho visto nella vetrina di una piccola libreria antiquaria tre stampe con paesaggi svizzeri, tratte da “Tableaux de la Suisseâ€,  monumentale opera di Beat Fidel Anton Zurlauben pubblicata a Parigi negli anni Ottanta del Settecento: folgorato, sono entrato e le ho comprate subito.
Appena rientrato nella mia casa di quei giorni, ho avuto un lampo di intuizione ( subito fissato in alcuni schizzi ): utilizzare con la tecnica del collage le stampe in tre diverse scene come vedute inquadrate dal finestrino di un treno, con l’aggiunta di viaggiatori. Questa associazione tra le stampe antiche e il treno contemporaneo è all’origine dell’idea di questo libro. Alle prime tre stampe si sono poi aggiunte le altre che ho ricercato per completare la storia.
La seconda suggestione sta nell’attrazione che le silhouettes hanno sempre suscitato in me: sia per la loro capacità di trasmettere, nell’estrema sintesi della tecnica, l’essenza di un volto o di una figura, sia per l’effetto percettivo del nero che rafforza il loro significato di ombre e ne sottolinea il senso di mistero.
Inizialmente ho fatto anche qualche prova di tavola rappresentando i tratti dei volti dei protagonisti, ma poi ho deciso di mantenere le silhouettes nere nelle tavole definitive, dopo aver visto come sono piaciute a Giovanna Zoboli.

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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, storyboard (Ingrandisci l’immagine)
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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009

Quanto tempo è passato da quando hai presentato lo story-board della storia agli editori alla pubblicazione del libro? Che tipo di lavoro avete fatto per “comporre†il libro?
Dopo i primi schizzi in montagna del luglio 2001, finalizzati alla realizzazione di tavole non necessariamente legate da una storia ma destinate ad essere incorniciate e appese, ho pensato che dall’accostamento treno-vedute antiche poteva nascere una storia. E la mattina del 21 maggio 2002, seduto alla cattedra  illuminata dal sole, mentre la classe svolgeva tranquillamente una verifica di disegno geometrico, ho schizzato uno storyboard molto essenziale con la storia di Hortense. Quella stessa mattina, a pochi minuti di distanza, è nata anche la prima idea della storia di un ladro che poi è diventata il libro Velluto.
Dopo tre anni, nel maggio 2005, ho presentato la versione più dettagliata dello storyboard,  quella in forma di maquette, ai Topipittori, durante il mio primo incontro con loro. Nella stessa occasione ho presentato anche lo storyboard della storia di un ladro insieme a cinque tavole già realizzate (selezionate a Bologna 2004). Il ladro, grazie alle tavole già eseguite, ha avuto la precedenza e Hortense è rimasta quindi ferma sino all’ultimazione delle tavole di Velluto. Paolo Canton, con la sua estrema chiarezza, ha dato i tempi: “Siamo nel 2005, la storia del ladro uscirà nel 2007 e quella di Hortense nel 2009â€. E così è stato. Dopo aver ricevuto il testo di Massimo nel novembre 2006 ho prodotto una nuova versione di storyboard,  seguita dell’esecuzione delle tavole che, dopo alcune prove con tecniche diverse, sono giunte alla forma definitiva anche con l’aiuto del piccolo Filippo per le velature blu nelle vedute del treno.
Il libro è uscito in Italia lo scorso settembre a otto anni dalla prima intuizione e a quattro anni dalla presentazione dello storyboard agli editori.

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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, storyboard (Ingrandisci l’immagine)

Cosa hai provato quando hai letto la storia del rappresentante Tony Tanner scritta da Massimo Scotti?
Il testo mi è sembrato da subito meraviglioso. Massimo ha sì seguito passo per passo le indicazioni dello storyboard per la costruzione della struttura della storia, però poi ne ha fatto un’opera intimamente sua, ricchissima, profonda e con quel tema affascinante e struggente dell’ora blu.
Inoltre, ha aggiunto mistero con il tocco inquietante dato dalla presenza del Conte di Saint-Germain.
Infine mi ha stupito, e ha accentuato il mio processo di identificazione nel viaggiatore, la scelta – per il rappresentante filatelico – del nome Tony, che è l’abbreviazione del mio, e del cognome Tanner , così simile a “Tanneâ€, la prima parola pronunciata da mio figlio Giacomo  e da lui utilizzata per chiamarmi.
Allora, per giocare con le parole, ho aggiunto in una delle pagine del libro con testo la silhouette “Tanne†dell’artista tedesco Tannert. Sono fiero della collaborazione con Massimo Scotti, come lo sono anche di quella con Silvana D’Angelo per Velluto.

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Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, storyboard (Ingrandisci l’immagine)
Fine
Antonio Marinoni, L’ora blu, Topipittori 2009, storyboard (Ingrandisci l’immagine)

Che cosa traduce il disegno del tuo mondo? Perché disegni?
Disegno perché non posso farne a meno: è una necessità, da sempre. Nelle figure dei libri mi piace radunare le tracce dei miei interessi: storia, pittura, scultura, architettura, arti decorative, design, antiquariato, piante e fiori.  Per arredare le stanze di Velluto ho ricercato per mesi e mesi una miriade di oggetti che poi non ho potuto inserire tutti per mancanza di spazio. La fase della ricerca documentativa mi piace moltissimo e spesso la protraggo oltre ogni ragionevole limite di tempo.
Nelle pagine dell’Ora blu, oltre alle stampe antiche e alle silhouettes nere, ho sparso e maldestramente incollato i fiori delle ortensie dei miei genitori, necessari per suggerire l’idea del diario di una ragazza innamorata e nello stesso tempo traccia di una delle mie attività preferite, quella di giardiniere. Al richiamo del giardino non so resistere: quando chiede il mio aiuto lascio tutto e accorro. Poi, mi piace che nel mio lavoro, e per riflesso nel suo risultato fisico – il libro – ci sia continuità, come Nabokov fa dire al protagonista de “Il donoâ€:

Ma l’essenziale è che ci sia  un un’unica e ininterrotta progressione del pensiero. Voglio sbucciare la mia mela in una sola striscia, senza mai staccare il coltello.

Penso che un effetto di questo desiderio di continuità nelle pagine dell’Ora blu sia stato raggiunto.

Studio_MarinoniLo studio di Antonio Marinoni

Due parole sullo spazio dove lavori…
Il mio studio è una parte del soggiorno, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del lavorare in casa. I libri hanno un ruolo importante e cambiano spesso di posto per seguire e nutrire i flussi dell’ispirazione , e lasciano allora le librerie, passano al divano e infine arrivano sul tavolo – quando mi servono molto vicini –  in un ordine piuttosto promiscuo. Proprio in questo  momento, mia moglie passandomi vicino dice: â€Ma cos’è questa accozzaglia sul tavolo? Cosa c’entrano tra di loro Galileo, le simmetrie in giardino, gli interni dell’Ottocento, Virginia Woolf e la Regina di Biancaneve?†C’entrano, c’entrano…
Poi, mischiati ai libri, ci sono tanti sassi artificiali – prodotti dal mare modificando pezzi di vetro e piastrelle rotte – e conchiglie, fiori e foglie secche, una mano di gesso realizzata alla fine dell’Ottocento dal mio bis-zio Giuseppe, un cervo volante e qualche ala di farfalla che, solo all’ultimo momento, mi sono trattenuto dall’inserire nelle pagine della storia di Hortense.

Leggi l’intervista a Massimo Scotti…


Concorso Favole di la Fontaine, novembre 2009

Concorso Favole di la Fontaine, associazione Crepapelada Milano
Per chi: artisti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni.
Oggetto: due illustrazioni di due favole di Jean de la Fontaine.
Scadenza: lunedì 30 novembre 2009
Scarica qui il bando.

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Sergio Toppi, Edizioni Papel

Antonio Marinoni, o come i bambini vedono il mondo

In attesa di trovare il tempo per prepararvi il quarto post dell’epopea (!) sul plagio, e in attesa di pubblicare una lunga intervista ad Antonio Marinoni, illustratore di due gioielli quali: Velluto storia di un ladro e L’ora blu, editi dai Topipittori, pubblico alcuni disegni fatti da  Marinoni quando era bambino.
(Potete trovarne altri sul blog Ciucci, che aveva pubblicato i suoi disegni un anno fa).

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Velluto, storia di un ladro, Antonio Marinoni, Topipittori 2007

La capacità di Marinoni bambino di esprimere attraverso il disegno, a 6/7 anni, con una mano matura quanto quella di un Paul Klee adulto, il suo personale incantamento verso il mondo, lascia sconcertati. Ma il “modo” di guardare, lo riconosco, era mio alla stessa età, è di tutti i bambini. Ecco come un bambino vede il mondo, mi verrebbe da dire guardando questi disegni dove la luce si incastona tra le linee come gocce di un lampadario di cristallo. Come illustratori, bibliotecari, librai, scrittori, editori, cerchiamo di tenerlo presente: è a un pubblico così esigente che ci rivolgiamo con il nostro lavoro.

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Sedia, Antonio Marinoni all’età di 5 anni


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Interno, Antonio Marinoni all’età di 5 anni


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Corteo con i sette nani, Antonio Marinoni all’età di 6 anni (Ingrandisci l’immagine)


Lussemburgo, quasi 8 anni
Lussemburgo, Antonio Marinoni all’età di 7 anni (Ingrandisci l’immagine)


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La grande Sala, Antonio Marinoni all’età di 8 anni (Ingrandisci l’immagine)


Interno, 8 anni
Interno, Antonio Marinoni all’età di 8 anni


Un gruppo di edifici nel verde, 6 anni
Un gruppo di edifici nel verde, Antonio Marinoni all’età di 6 anni


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Una città sul fiume, Antonio Marinoni all’età di 9 anni


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Le pretendenti, Antonio Marinoni all’età di 7 anni (Ingrandisci l’immagine)

“Nell’appartamento conoscevo già tutti i nascondigli e vi facevo ritorno come in una casa in cui si è certi di trovare tutto come lo si era lasciato. Mi batteva il cuore. Trattenevo il respiro. Qui ero racchiuso nel mondo della materia. Mi diveniva straordinariamente chiaro, si accostava a me senza parole. Nello stesso modo solo chi sta per essere impiccato prende coscienza di cosa siano corda e legno. Il bambino che sta dietro la portiera diviene a sua volta qualcosa di fluttuante e bianco, uno spettro. Il tavolo da pranzo sotto il quale si è accoccolato lo trasforma nel ligneo idolo di un tempio che ha nelle gambe intagliate le quattro colonne.” (…) Da: Infanzia berlinese, di Walter Benjamin


Il plagio, parte III: il copyleft

Torna alla prima parte dell’articolo…
Torma alla seconda parte dell’articolo

IL PLAGIO NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE: il copyleft

Viviamo in un’epoca in cui, con buona probabilità, un abitante di New York stamattina ha indossato la stessa maglietta Zara che ho indosso io, si è svegliato tra le rose dello stesso copriletto IKEA che io considero “il mio preferito” e che è anche il preferito di Karen, ragazzina svedese di 20 anni appena sbarcata a Londra per studiare. Dove le strade delle più belle città europee stanno diventando a poco a poco tutte uguali, con McDonald’s sempre all’angolo. Dove milioni di lettori inseguono nello stesso istante aquiloni che volano, piangono in coro per  bambini con pigiami a righe, e vanno all’unisono dove li porta il cuore, cioè nel magazzino delle emozioni all’ingrosso, quelle capaci, per il tempo di un fiammifero, di scaldare l’attimo presente (come nella fiaba della piccola fiammiferaia, morta comunque stecchita di freddo). Pullulano prontuari d’istruzione d’uso per vivere, dove al prezzo di 12 euro e con un semplice: tu sei OK! (da ripetersi davanti allo specchio tre volte ogni mattina) ti puoi risparmiare 100 anni di psicanalisi e tremila di filosofia (a che saranno serviti poi?).

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La globalizzazione, oltre che omologare, guadagna. Mai come in quest’epoca la cultura è diventata un fenomeno di massa. Internet e televisione complici, la cultura sta diventando un ghiotto introito economico, che sottosta alle stesse leggi del mercato di qualsiasi altro oggetto, dopobarba o automobile che sia. Lobby museali e gallerie si coalizzano per lanciare mostre d’arte come se fossero concerti pop, vedi il caso di Picasso et les maîtres mostra parigina dell’anno scorso che ha registrato il “tutto prenotato” con mesi d’anticipo, anche in fasce d’orario notturne (l’ultimo giorno di mostra era rimasto un posto libero alle 3 e trenta del mattino!): i quadri esposti in mostra  erano tutti quadri normalmente visitabili, senza coda, in pieno giorno, al Louvre o al Prado o al Museo Picasso di Parigi. Fenomeni.

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Picasso et les maîtres, Parigi 2009

La globalizzazione, oltre che omologare e guadagnare, ci cambia. Il senso dell’identità di un ragazzino di 15 anni oggi, il suo senso del tempo, dello spazio personale, della privacy, sono anni luce diversi da quelli che hanno fatto della nostra adolescenza (io sono del ’71) un lungo noiosissimo silenzio intervallato solo da rari amici e buoni libri. Tutto è: urgente, impaziente, onnivoro, già visto, entusiasta, già vecchio dopo un’ora, ripetuto, citato, copiato, ispirato, assimilato, visto, linkato, letto di sfuggita, letto male ma citato lo stesso, bloggato, bannato, “vuoi diventare mio amico?”,”mi piace”, “non mi piace più”.
Internet veicola immagini, brani musicali, testi e pensieri, e li clona a una velocità stellare. Che senso ha in questo panorama parlare ancora di plagio? Eppure…

copyleft

Il simbolo di Copyleft

Nel bailamme di questa rivoluzione culturale nasce un nuovo modo di concepire il diritto d’autore: il copyleft.
Il copyleft è una nuova forma di diffusione dell’opera e delle idee che si prefigge di abolire certi ostacoli dati dal copyright, per una diffusione più veloce e libera della cultura. Caso esemplare Creative Commons, un sito che propone gratuitamente licenze attraverso le quali è possibile mettere a disposizione degli altri i prodotti delle proprie idee (in modo parziale o totale), permettendo che vengano presi, ri-elaborati, copiati, usati, etc…  con solo poche limitazioni.
Due delle più comuni limitazioni presenti in queste licenze:

  • che le opere derivate restino tutelate dalla stessa forma giuridica originale (la licenza di CC), cioè che restino libere.
  • – che l’autore e l’opera originale possano essere rintracciabili (cioè che la fonte venga citata).

Per citare due casi precursori di copyleft non possiamo non ricordare Marie Curie e la sua scelta di non brevettare il processo di isolamento del radio, al fine di favorire il progresso veloce della ricerca scientifica, o Albert Bruce Sabin, che nel 1953, scoperto il vaccino della poliomelite, decise di non brevettarlo e di non affidarlo allo sfruttamento commerciale delle grandi case farmaceutiche, cosa che permise un’economica e velocissima diffusione del vaccino, e la scomparsa della poliomelite.

Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo” Albert Bruce Sabin

MARIE_CURIEMarie Curie e il suo caso di copyleft

Il copyleft artistico, questo nuovo modo di concepire la creatività, che sembra figlio di quest’epoca, non fa che sancire e codificare una libertà che è sempre esistita. L’artista non ha sempre dato in regalo al mondo la sua opera? L’arte non è sempre stata un patrimonio comune, frutto di un lavoro collettivo di rimandi e rielaborazioni? Che senso ha l’idea di copyleft?
Per capire questo paradosso riassumiamo alcuni passaggi chiave della storia del plagio:

  • -> l’arte è un patrimonio comune.
  • -> L’autore (l’artista) è qualcuno che opera una personale (grossa o piccola) rielaborazione di questo patrimonio comune (lo chiamerò per comodità rielaboratore).
  • -> Il plagiario è qualcuno che non apporta nessuna modificazione personale ma si appropria dei vantaggi del lavoro di un altro rielaboratore.
  • -> Il copyright nasce per difendere dal plagio e dal furto la comunità (quindi per garantire la libertà dell’arte e dei suoi rielaboratori)
  • -> Nell’epoca della globalizzazione il copyright smette di difendere l’originalità del rielaboratore ma viene a servire le grandi catene industriali dell’arte (case discografiche, marchi, forme del design, etc) diventando una sorta di cane da guardia con troppi denti.
  • -> Nasce allora il copyleft per difendere l’arte dal copyright.

Sembra un paradosso! ma non lo è. Il copyleft non inficia infatti l’idea di plagio. Se una casa discografica lanciasse un cantante che ha preso un brano musicale tutelato dalla licenza CC, omettendo che il brano era sotto questa licenza e prendendosene meriti e guadagni, sarebbe plagio. Se Pincopallo facesse un libro illustrato copiando delle immagini sotto licenza CC senza più citarne la fonte o senza indicarne la licenza stessa, sarebbe plagio. Etc.

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Il logo di Creative Commons sulle Rocky Mountains in Colorado, USA. Foto presa dall’album di Jeffrey Beall

Allora a cosa serve il copyleft se tutto resta come prima? Il copyleft sembra nascere per denunciare un plagio tutto contemporaneo, cioè quello di un’arte “mercificata”, resa schiava da troppi interessi economici (il plagio, ricordiamone ancora l’etimologia, è vendita fraudolenta di un uomo libero come schiavo). Parlo qui di arte ma pensate a tutti i settori in cui il copyright diventa un cane da guardia assassino (i marchi farmaceutici ad esempio, dove il “generico” ha in questo caso il valore di una sorta di copyleft farmaceutico).
Di fronte allo spettro delle grandi lobby e delle multinazionali  che a poco a poco stanno fagocitando l’arte e il pensiero, trasformandoli in un prodotto di grande consumo (di qualità sempre più bassa), sembra rinvigorirsi il sentimento di un’arte che deve essere e restare libero patrimonio comune. Il reato del plagio non cambia, anzi, si fa peggiore.

Se in epoca classica (dove gli interessi economici non erano così globalizzati e ingenti) il plagio non comportava una condanna sociale troppo grave, oggi il plagio è doppiamente biasimevole perché incoraggia un movimento contrario alla difesa dell’arte come patrimonio comune. Il plagiatore fa dell’arte la stessa cosa che fanno le multinazionali e le lobby: la trasforma in merce per un suo interesse (spesso) biecamente economico.

Per riassumere: l’arte resta un patrimonio comune libero e prezioso a patto che:
– resti un patrimonio comune
– venga riconosciuta l’originalità inestimabile (e/o la paternità) del passaggio di elaborazione che l’individuo (o un gruppo di individui) opera su questo patrimonio comune.

Mi sembra restare immutato e attuale il pensiero di Marziale sul plagio:

(…)
e, qualora colui se ne proclami padrone,
tu dì che sono miei, e da me fatti liberti.
Se quello insiste una terza, una quarta volta a gridarlo,
svergognalo, allora, questo plagiario.

Niente di nuovo sotto il sole avrebbe detto il Qoelet?
Anche se ho peccato di grossolane semplificazioni, mi sembrava importante tracciare alcune linee storiche per definire i confini del plagio. Ora finalmente posso addentrarmi in quella stretta  lingua di terra che sta tra ispirazione e plagio, che è poi quella che ci interessa. Valentina Baldisserotto, avvocato esperto in diritto d’autore, ci preparerà anche un post sugli aspetti giuridici del plagio.


Torna alla prima parte dell’articolo…
Torma alla seconda parte dell’articolo


Un blog sulla grafica anni 50/60/70

Non ho tempo in questi giorni di preparare il terzo post sul plagio, portate pazienza ancora un po’. Intanto a tutti gli appassionati della grafica e dell’illustrazione anni 50/70  lascio questo fantastico blog: GRAINEDIT.COM (Grazie J.!)

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Esquire magazine’s mese di giugno 1955

Cliccando qui trovate un interessantissimo abbecedario fatto interamente con caratteri tipografici.


Il plagio, parte II

Torna alla prima parte dell’articolo…

E’ di Esopo, poi ripresa da Fedro, la favola della cornacchia e del pavone. Una cornacchia ruba delle piume di pavone e si adorna con esse per essere accolta tra i pavoni. I pavoni, scoperto il gioco, le strappano le piume a beccate. Umiliata la cornacchia torna dai suoi simili, ma questi la sberleffano e l’allontanano dicendole: “Se ti fossi accontentato di stare con noi e avessi sopportato ciò che la Natura ti aveva dato, né avresti subito questo affronto né proveresti la disgrazia di questo allontanamentoâ€.

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André Hellé, Le Geai Pare des Plumes du Paon (The Jackdaw and the Peacocks), Berger-Levrault, 1922

Molti secoli dopo, Jean de La Fontaine riscrive la favola e appone una chiosa:

Il est assez de geais à deux pieds comme lui,
Qui se parent souvent des dépouilles d’autrui,
Et que l’on nomme plagiaires.
Je m’en tais ; et ne veux leur causer nul ennui :

Ce ne sont pas là mes affaires.

(Oh quante son le Gazze come questa al mondo che le altrui penne si vestono, che de’ plagiari formano la casta! Potrei scaldarmi contro lor la testa, ma ciò che ho detto basta).

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Kano Tomo-nobou, Le Geai Pare des Plumes du Paon, Parigi, Stamperia di Tsoukidji-Tokio, 1894

Ma vediamo quanta strada ha fatto il termine plagio prima di vestirsi di piume di pavone.
In greco plaghios vuol dire traverso, ambiguo, sghembo (nel senso di sotterfugio). Nel diritto romano plagium indicava il delitto di colui che comprava o vendeva come schiavo una persona che sapeva invece essere libera. Plagiarius era il venditore o il compratore, quando effettuava il commercio consapevole della sua frode. Il primo riferimento al termine plagio inteso in senso moderno lo abbiamo con il poeta Marziale, nel primo secolo d.c:

Veglia, o Quinziano, sui miei versi;
se miei posso ancora chiamarli,
quelli che recita il tuo poeta:
se si dolgono della loro servitù,
fatti avanti a difenderli e a pagarne il riscatto,
e, qualora colui se ne proclami padrone,
tu dì che sono miei, e da me fatti liberti.
Se quello insiste una terza, una quarta volta a gridarlo,
svergognalo, allora, questo plagiario.

La parola plagiarius passa quindi dal campo della compravendita di schiavi a quello dell’arte, conservando però il suo senso originario. Marziale sembra indicare che l’autore ha creato l’opera per darle la libertà, mentre il plagiario, approppiandosene, la ha indebitamente assoggetta a sé, rendendola schiava.

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Nella Roma antica, un liberto era uno schiavo affrancato, ma che conservava verso il padrone un dovere di rispetto e di tributi economici.
Parodiando Marziale si può affermare che un’opera può girare liberamente per le strade della cultura come un cittadino libero, appartenere al mondo, solo a patto che le venga riconosciuto il suo valore di soggetto libero, che continui cioè ad appartenere a tutti e a nessuno.
Implicito in questa libertà, (come una forma di eleganza o buon costume) è che l’opera continui ad avere un rapporto di rispettoso tributo (economico e/o affettivo) verso chi l’ha liberata, il suo autore, e questo rispetto deve essere condiviso dalla collettività. I fruitori dell’opera devono poter individuare in essa il magnanimo gesto del suo autore, la generosità di affrancarla da sé, di liberarla e donarla al mondo. La fama di un autore è infatti il riconoscimento sociale del suo dono,  una sorta di “grazie” che i fruitori restituiscono all’autore.
Il plagiario si appropria di quel grazie in modo illecito, ingannando il fruitore e non dando niente di suo. Quello che lo motiva è l’invidia verso il successo dell’opera o l’interesse economico derivato. (Vuole vestirsi come il pavone, ma se il pavone è bello naturalmente, il plagiario invece, smascherato, fa una figura ridicola).

“se si dolgono della loro servitù,
fatti avanti a difenderli e a pagarne il riscatto”

Marziale non si lamenta per sé, per il suo orgoglio ferito, soffre per i versi stessi, per la loro libertà perduta. Trovo seducente questo connubio tra libertà e valore di un’opera.

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Marcel Duchamp, La fontana, 1917

Duemila anni di storia dell’arte permettono a Marcel Duchamp di ribaltare completamente, in modo provocatorio, il concetto di plagio. L’artista è colui che pone una firma, che dichiara: questo oggetto che prima apparteneva al patrimonio collettivo ora è mio solo perché l’ho deciso, anzi, qualsiasi oggetto, anche il più brutto, se ha la mia firma, è arte (vedi Ready-made). L’artista dunque diventa il plagiario per eccellenza.
L’idea esaltata di autore del romanticismo, che come abbiamo visto nel post precedente, apre la strada  alla nascita del copyright, arriva al paradosso. L’autarchia dell’artista è totale, egli può appropriarsi di qualsiasi cosa e farla sua, tanto che persino la Gioconda, con un piccolo ritocco, smette di essere la Gioconda di Leonardo e diventa la Gioconda di Duchamp.

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Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q, 1919

Non credo che verrebbe in mente a nessuno di accusare di plagio Duchamp per la sua Gioconda rubata, perché?
Perché non è la qualità o la quantità di oggetto rubato che misura il plagio, ma l’intenzione che sta dietro l’atto. Duchamp non vuole rubare la fama a Leonardo, spacciando per sua la Gioconda, vuole imporre un nuovo sentimento dell’arte, s-borghesizzarla. E’ esattamente in questa sottile differenza che si muove l’idea di “proprietà intellettuale”. Duchamp crea un’idea, e per farlo ruba a Leonardo la Gioconda. Ma la sua idea è di nuovo un oggetto libero. Non l’ha rubata per un interesse personale, l’ha rubata per metterla di nuovo in circolo re-inventata.

Invece Duchamp avrebbe potuto essere tranquillamente denunciato di plagio da Sapeck (Eugène Bataille), per avergli rubato l’idea della sua Gioconda che fuma la pipa, se il meno fortunato Sapeck  non fosse morto in un ospedale psichiatrico ben 28 anni prima della creazione della Giconda coi baffi di Duchamp, solo e presto dimenticato.

Sapeck
Eugène Bataille (Sapeck), Monna Lisa fumant la pipe, esposta alla mostra delle Arts Incohérents nell’ottobre del 1883, Parigi, Gallerie Vivienne

Ma, ahimè, quasi mai la storia dell’arte è un sentiero pulito.

Segue…