MACERATA E LA FABBRICA DELLE FAVOLE: un senso, una storia. Di E. Sarti (parte I)

Qualche tempo fa avevo chiesto a Monica Monachesi di farci entrare dietro le quinte della Mostra internazionale di illustrazione di Sarmede (qui e qui), ora entriamo dietro le quinte dell’altro grande polo dell’illustrazione italiana: l’associazione fabbricadelleFavole di  Macerata. Ce ne parla Eleonora Sarti, presidente dell’associazione.

ELEONORA SARTI:
Sono nata ad Ascoli Piceno (nelle Marche) nel 1968, ma ci son rimasta pochissimo, solo il primo mese di vita, perché poi la mia famiglia ha cominciato a viaggiare su e giù per l’Italia, a causa del lavoro di mio padre. Sono stata a lungo figlia unica e questo mi ha portato ad “affratellarmi†con i libri molto presto: il primo libro di cui ho memoria è I Pattini d’argento, il secondo una straordinaria edizione illustrata de I Viaggi di Gulliver, che purtroppo si è perso nei meandri della cantina dei miei genitori.

I libri mi hanno sempre permesso di creare uno spazio tutto mio, ovunque mi trovassi, rendendomi più facile sopportare tutti i “traslochi familiari obbligatiâ€; poi, finalmente, quando stavo quasi per terminare il liceo, i miei decisero di ritornare nelle Marche e al momento di intraprendere gli studi universitari, quasi per caso, sono arrivata a Macerata, dove vivo ancora oggi.

Macerata, città dal fascino accogliente, ha significato molto per me: innanzitutto la prima vera possibilità di mettere radici, poi l’opportunità di avere una vita tutta mia e di stabilire delle relazioni che durano ancora oggi. Tra le tante persone che ho conosciuto negli anni dell’Università e con le quali sono nati bei rapporti d’amicizia, c’è anche Mauro Evangelista, allora giovane illustratore e un vero vulcano di idee.

 

Macerata, Piazza della Libertà, Loggia dei Mercanti       

Mi entusiasmava la sua carica intraprendente e ricordo ancora perfettamente la prima edizione della Mostra Internazionale d’Illustrazione LIBRIAMOCI (1994), che vide la partecipazione di importanti figure del settore come Walter Fochesato e Montocchi e che aprì un mondo assolutamente nuovo a tutta la città, dando anche il via a tutti progetti sviluppati successivamente da fabbricadelleFavole, realtà nata ufficialmente nel 2001.

All’inizio la mostra era una collettiva dedicata a giovani illustratori emergenti, ma nel 2003 (dopo ben 10 edizioni) divenne una retrospettiva, dedicata ogni anno a un grande maestro dell’illustrazione internazionale, da qui mostre importanti come quella dedicata a Emanuele Luzzati (2003) o a Jozef Wilkon (2004) con la collaborazione di Monica Monachesi,

Jozef Wilkon e la sua opera

o ancora quelle dedicate a Dusan Kallay e Kamila Stanclova (2005),

  Il compleanno dell’Infanta, illustrato da Dusan Kallay, immagine del manifesto di LIBRIAMOCI 2005.

O ancora a Carll Cneut (2006), AnnaLaura Cantone (2007),

Invito Mostra LIBRIAMOCI 2006, immagine di Carll Cneut

a Mauro Evangelista (2008),

Immagine del manifesto LIBRIAMOCI 2008, dedicata a Mauro Evangelista

a Nicoletta Ceccoli (2009),

Javier Zabala (2010) e a Pia Valentinis (2011)

All’inizio LIBRIAMOCI significava non solo l’appuntamento invernale con la mostra, sotto l’egida del Comune di Macerata, ma anche un appuntamento estivo con 2/3 corsi di illustrazione, realizzati generalmente nel mese di luglio con la collaborazione dell’Accademia di Belle Arti. Grazie a questi corsi estivi, importanti illustratori come Carll Cneut, Francesca Ghermandi, Javier Zabala, AnnaLaura Cantone, Francesca Chessa hanno iniziato a frequentare regolarmente Macerata e con loro sono nati splendidi rapporti.

Nel frattempo io seguivo tutto questo come appassionata spettatrice e amica dell’organizzatore (Mauro, naturalmente), impegnata a fare carriera nel mondo della moda e ignara che nel 2007, davanti ad un caffè, proprio il mio amico Mauro, mi avrebbe proposto di rivoluzionare la mia vita. Quel pomeriggio di febbraio mi stavo godendo delle meritate ferie dopo un lungo e faticoso viaggio in estremo oriente e Mauro mi telefonò per vederci per un caffè; ci incontrammo e il caffè si protrasse quasi fino all’ora del tè e rimasi molto colpita dalla gran quantità di idee e progetti di cui mi parlò Mauro, ma letteralmente trasecolai quando mi propose di unirmi a lui, occupandomi di organizzazione e gestione, come presidente dell’associazione.

Ci pensai alcuni mesi, poi, con entusiasmo ed incoscienza, accettai.
Da quel momento abbiamo iniziato a lavorare al progettoARS IN FABULA.

Segue….


Intervista a Ekaré (Venezuela/Spagna): identità di un editore

Intervista a Irene Savino, art director della casa editrice Ekaré: un appassionante viaggio editoriale dal Venezuela alla Spagna.

Perché editori e perché editori per bambini?
La casa editrice Ekaré nasce a Caracas (Venezuela) nel 1978 come un progetto del Banco del Libro, una istituzione no profit dedicata alla promozione della lettura.
Negli anni ’70 non esisteva in Venezuela nessun editore che si dedicava alla pubblicazione di album per bambini. L’offerta di libri era sostanzialmente composta da titoli importati dalla Spagna, e, saltuariamente, da qualche titolo argentino.
L’universo dei titoli disponibili si riduceva a questo: pochi libri interessanti e una gran quantità di libri non venduti in Spagna che venivano riproposti sul mercato venezuelano.
Al di là della loro qualità, gli album disponibili sul mercato venezuelano mostravano il Natale con la neve, bambini e bambine biondi, case e villaggi europei e nei testi, ovviamente, forme e sintassi tipiche dello spagnolo parlato in Spagna, molto diverse da quelle usate in America Latina.

En casa de mis abuelos Arianna Squilloni, Alba Marina Rivera, 2011

Carmen Diana Dearden e Verónica Uribe del Banco de Libro si impegnarono a portare avanti pubblicazioni di titoli capaci di riflettere la realtà del lettore locale; capaci di avvicinarsi alla sua quotidianità, al suo ambiente, ai suoi colori, alla sua forma di parlare lo spagnolo. Si impegnarono anche a che questi album fossero di qualità: curati esteticamente come i più bei libri stranieri.
Sia il pubblico, attraverso le librerie, sia le istituzioni (biblioteche e programmi di promozione alla lettura) ricevettero con entusiasmo questa offerta editoriale. In pochi anni Ekaré crebbe e si separò dal Banco de Libro diventando una Associazione indipendente senza scopo di lucro.

 
Los tres erizos, Javier Sáez Castán, Ekaré 2003

Per la fortuna di Ekaré, il catalogo incontrò un grande interesse in altri paesi dell’America Latina, e nel mercato di lingua spagnola degli Stati Uniti. Ekaré si rese conto che la specificità del suo catalogo (destinato inizialmente a un pubblico venezuelano) aveva un potenziale più grande.
Contemporaneamente, la casa editrice, per completare l’offerta, decise di incorporare titoli di altri paesi. Così, a Ekaré cominciarono a comparire nomi come Leo Lionni, David McKee, Satoshi Kitamura, Arnold Lobel, Chris Van Allsburgh, Ed Young… che completavano un catalogo non troppo esteso ma preciso e forte sia nei titoli propri come in quelli acquisiti.

Chamario, Eduardo Polo, Arnal Ballester, Ekaré 2004
El contador de cuentos, Saki, Alba Marina Rivera, Ekaré 2008 (Bologna ragazzi award 2009)

Questa linea editoriale ha permesso a Ekaré di essere presente in quasi tutta l’America Latina (con una sede addizionale in Santiago del Chile) e di restare, da dieci anni, presente sul competitivissimo mercato spagnolo. Nel 2002 abbiamo aperto una sede a Barcellona e scoperto che quello che era servito come riflesso della realtà latinoamericana, come specchio del lettore venezuelano o di altri paesi latino americani, serviva alla Spagna come una finestra verso quelle realtà.

Quanti titoli in un anno?
Editiamo poche novità: tra gli otto e i dodici titoli, con tiraggi che variano da quattro a seimila esemplari. Però ri-editiamo tra i 40 e i 60 titoli ogni anno.
Siamo una casa editrice “di fondoâ€: selezioniamo e produciamo con molta attenzione i nostri libri, con la speranza che durino e che ci siano sempre bambini che possano approfittarne per molti anni. Abbiamo un catalogo costituito al 60% di titoli nostri, e il resto sono traduzioni.

Nella scelta dei libri che pubblicate potreste individuare un filo conduttore? E’ uno stile? Un messaggio? Un’idea? Un desiderio?
Riassumendo, il nostro filo conduttore sono le buone storie; racconti ben scritti, interpretati da belle immagini che possano interessare ed emozionare il lettore.

El dueño de la luz, Ivonne Rivas, Irene Savino, Ekaré 1994

Quali caratteristiche deve avere un testo o un’illustrazione per sedurvi? Cosa è che vi fa dire: “questo illustratore (autore) è per noi�
Come scrivevamo poco sopra, ci seducono le buone storie. Si dice che tutte le storie siano già state raccontate, per questo ci interessa il modo di raccontarle, il luogo dove si colloca l’autore per fare del suo racconto qualcosa di originale e vivo
Ci piacciono illustratori con capacità di adattamento al testo, capaci di produrre una versione personale del racconto, con una buona qualità plastica.
Sapere se un manoscritto ha buone possibilità di trasformarsi in un futuro album non ci pare troppo complicato, ciò nonostante i buoni testi per bambini sono rari.
La cosa più difficile è la scelta dell’illustratore e questo non perché ce ne siano pochi – oggi ci sono molti professionisti di qualità in questo campo-, la difficoltà risiede nel saper fare del testo e dell’immagine una “coppia feliceâ€.
Molti illustratori potrebbero essere adatti a creare immagini di alta qualità per un testo, la difficoltà è capire quale sarà il più adatto ad incastrarsi nel progetto che abbiamo ideato a partire proprio da quel testo.
Nell’equipe editoriale cerchiamo di chiarire cosa vogliamo da un determinato manoscritto: un libro che enfatizzi l’umorismo, o con più enfasi sull’aspetto affettivo, o sulla sorpresa?… e poi cerchiamo nel lavoro di molti illustratori il registro che consideriamo più adeguato e efficace.

Un abuelo, sí Nelson Ramos Castro, Ramón París, Ekaré 2011

Nella situazione culturale e politica del vostro paese vi sentite inseriti in una rete che vi sostiene? Come la definireste? Quali sono i suoi fili principali? 
Anche se possiamo dire che il Venezuela è il paese dove è nato Ekaré e dove ancora affonda le sue radici, oggi grazie alle sedi addizionali a Santiago del Cile e Barcellona, la risposta passa al di sopra delle frontiere nazionali.
In Venezuela, in una prima tappa della nostra storia, le biblioteche e i programmi di aiuto al libro furono alleati importantissimi. Oggigiorno questi programmi ci hanno aiutato in altri paesi come, tra gli altri: Cile, Messico, Colombia e Argentina.
Per fortuna, il catalogo di Ekaré è molto apprezzato dagli specialisti: il prestigioso programma governativo di contribuito al fondo bibliotecario messicano, il SEP, ha scelto fino ad ora 80 libri del nostro catalogo (quasi il 40%) con tiraggi fino a 400.000 esemplari.
Qualcosa di simile è successo in Colombia, Cile e Argentina, dove lavorano raffinati specialisti di letteratura infantile; anche in Spagna, dove non ci sono programmi di acquisti massivi, è difficile incontrare una biblioteca, per quanto piccola, che non abbia una parte del nostro catalogo.

Forse il problema principale si incontra nelle librerie. L’offerta editoriale può essere così soffocante che è difficile emergere ed essere visti dal compratore occasionale. Ma il contributo degli specialisti serve anche in questi casi, infatti, nelle librerie specializzate il nostro catalogo è abitualmente presente e ben raccomandato.

Le co-edizioni: che politica avete di vendita e acquisto dei titoli? Preferite creare i vostri libri, venderli e/o comprarli dall’estero? Perché?
Inaugurammo la casa editrice con l’intento di aprire, attraverso i nostri libri, una finestra su noi stessi, vista la situazione che ho descritto poco sopra (totale assenza di testi capaci rispecchiare la realtà venezuelana).

Abbiamo avuto la fortuna di vedere molti dei primi titoli pubblicati con Ekaré suscitare l’interesse di editori stranieri, come nel caso di: La calle es libre, tradotto in quattordici lingue, libro che tratta dell’esperienza di un bambino in un quartiere povero di Caracas; o, più avanti, il caso di La composición, tradotto in nove lingue, album in cui un bambino deve prendere da solo la decisione di non denunciare la sua famiglia alla dittatura militare che governa il suo paese.

La composición Antonio Skarmeta,  Alfoso Ruano, Ekaré, 2000

Il fatto di creare i nostri titoli è un processo che ci piace molto. E’ la nostra marca.
Però la casa editrice ha bisogno anche di altre proposte, in sintonia con quello che pensiamo sia un buon libro per bambini: libri che ci raccontino una storia, che ci facciano passare un buon momento, che ci diano il piacere di leggere (tanto le parole come le immagini).
In più di trent’anni di vita della casa editrice, abbiamo incontrato grandi libri e grandi autori di tutto il mondo che ci hanno fatto crescere. Abbiamo la fortuna di poter vedere qualcuno di loro nel nostro catalogo, e questo amplia la nostra offerta.

E’ stato importante per la nostra evoluzione oltrepassare la frontiera e aprire una sede a Barcellona. Fu naturale incorporare nuovi autori e illustratori coi quali potevamo avere un contatto diretto; a volte, attraverso il loro lavoro, nuovi paesaggi e situazioni raggiungevano i nostri lettori latinoamericani. Però, ripeto, cerchiamo di non allontanarci dalla nostra linea editoriale di base.

La merienda del señor verde, Javier Saéz Castán, Ekaré 2007

La co-edizione non è uno dei nostri strumenti favoriti. Ne abbiamo fatto uso, tanto comprando quanto vendendo titoli, però ci impone un calendario di scadenze che può trasformarsi in una camicia di forza. Le edizioni Ekaré giocano con l’inconveniente e il vantaggio di essere una Associazione senza animo di lucro. Questo ci permette di dare tempo ai nostri libri. Il tempo necessario per sentire che un libro è pronto, che si può mandarlo in stampa. Oppure, a volte, che è meglio aspettare. Non necessariamente un illustratore lavora con una qualità migliore perché una scadenza lo obbliga. Tentiamo, e quasi sempre riusciamo, di stare dentro le scadenze programmate, però il giorno e la ora della pubblicazione è il libro stesso che le detta. E’ il libro che ci dice che può andare in stampa.

Una cosa che vi piace del vostro lavoro e una che non vi piace.
Durante 34 anni hanno lavorato con Ekaré molte persone. Molti di loro sono ancora qui. Forse quello che continua a darci la stessa motivazione iniziale, è che ci entusiasma che ogni nuovo libro sia, ogni volta, una nuova avventura.

 


Le donne-fiore di Grandville, 1867

Immagini tratte da Les Fleurs Animées di J. J. Grandville. Paris: Garnier Freres, 1867

Les fleurs animées
J.J Grandville 9,37 Euro

Lorenzo Mattotti al lavoro su Hansel e Gretel

  Hansel e Gretel
Lorenzo Mattotti
Orecchio Acerbo
17,00 Euro

Intervista di Ivan Canu a Lorenzo Mattotti (sull’applicazione iPad di Repubblica)

Premessa:
Ivan Canu è illustratore, scrittore e direttore del MiMaster di Illustrazione a Milano, durante il corso che Lorenzo Mattotti ha tenuto presso il MiMaster, gli ha rivolto qualche domanda.
L’intervista è stata pubblicata sulla versione iPad di Repubblica e mi è stato domandato di condividerla. La pubblico volentieri (immagini e link sono stati aggiunti da me).

Lorenzo Mattotti

I taccuini di Lorenzo Mattotti, viaggiatore per immagini.
Intervista di Ivan Canu a Lorenzo Mattotti

I.C:
Li chiama I disegni della linea fragile, stanno in taccuini di formato spesso lungo e stretto, riproducendo pensieri, associazioni mentali, figure oniriche a penna che rimandano a Redon e alle forme di Ernst. Da uno di questi, due amanti che in una stanza fatta di solo letto futon e tappeto si replicano in abbracci, torsioni, sguardi, contatti, Lorenzo Mattotti ha tratto il doppio Stanze, edito da Logos, il taccuino originale a matita e il catalogo di una mostra del 2010. Quando parla, Lorenzo ha il volto e i repentini sorrisi di un giovane Bruno Ganz e un’immediata e spontanea cordialità mitigata dal carattere schivo.

È un viaggiatore per immagini e di viaggi parla volentieri con entusiasmo e sono racconti di luoghi interiori, di amici, di artisti e di vecchi e nuovi progetti.

Ci incontriamo a Milano, dove Lorenzo torna dopo molti anni per un workshop di progettazione editoriale al MiMaster di Illustrazione, con giovani professionisti venuti per questa occasione da tutta Italia, ma anche dalla Francia e dalla Polonia. Nel parco di Villapizzone parliamo degli itinerari sul taccuino, il suo mezzo preferito per tracciare le prime impressioni, le idee veloci e dirette, che a volte diventano progetti.

Nel 2003 si è messo alla prova con un diario di viaggio ed è nato il bellissimo Angkor.

L.M:
Ad Angkor sono stato inviato dalla rivista “Geo†per un numero speciale di reportage illustrati in giro per il mondo. Mi avevano destinato a Città del Messico, ma non volevo andare nel casino di una metropoli, sballottato per 15 giorni a far non si sa bene cosa. L’alternativa è stata la migliore possibile. Angkor è un’area molto circoscritta e per dieci giorni ho potuto visitare i luoghi più lontani, meno frequentati dal turismo mordi e fuggi. Per il taccuino di viaggio mi chiesero di essere molto libero, non la solita descrizione del luogo con l’illustrazione.

I.C:
Immagino quanto sia molto lontano lui dal journal de voyage, che di solito ha la formuletta con il biglietto del tram, la fotografia, la strada, la persona che hai incontrato, la leggerezza dell’acquarello, del disegno veloce. Il suo è un viaggio dentro un’inedita Angkor, come se fosse la scenografia di uno spettacolo da farsi, sotto gli occhi sorridenti dei colossali buddha.

L.M:
Il manierismo del
carnet non mi appartiene, mi domando invece quale sia il mio valore aggiunto, perché il mio disegno sia più interessante di una foto, cosa interessi a me di questo viaggio, cosa possa fissare il mio disegno che non abbia alternativa. Quel che mi interessa è appropriarmi di un luogo, prendere quelle forme, un tipo di costruzioni, di colore e quasi ripulirli e cercarne l’essenza, farli rifarli reinterpretarli e infine, sono miei e con il disegno ho trovato la mia Angkor.

I.C:
A Parigi, luogo della seconda vita artistica di Lorenzo Mattotti, sua moglie Rina Zavagli ha aperto da alcuni anni la Galérie Martel, tappa significativa di un percorso di riflessione sull’arte della visione e della narrazione per immagini.

L.M:
La galleria è soprattutto l’energia di Rina e la sua capacità di organizzare e concretizzare quelle che a volte, per me, sono suggestioni buttate lì. Io tremavo quando cominciava a organizzare e a programmare e non la fermava più nessuno, però pian piano si è sviluppata l’idea di una galleria naturalmente basata sull’illustrazione e il fumetto. A Parigi la situazione stagnava: due o tre gallerie di fumetti, una storica, quella di Christian De Bois, ma sempre quei cinque o sei nomi esposti ogni anno. Ci pareva mancasse un respiro. Era forse il momento per proporre gli artisti che ci veniva naturale esporre perché li avevamo sempre amati, le nostre passioni e gli amici di tanti anni. La seconda mostra che Rina ha fatto era dedicata a Breccia, che non si vedeva da 20 anni, quasi dimenticato. È stato un atto d’amore, il  desiderio di divulgare e far conoscere di nuovo al pubblico parigino un artista di massima grandezza, la cui memoria si stava annebbiando.

I.C:
La Martel segue l’idea del viaggio di affetti: ha esposto Topor, Charles Burns, Gary Panter, Mariscal, Art Spiegelman, del quale si conosce la ritrosia verso le mostre.

L.M:
Di Art (Spiegelman) eravamo già amici da anni , anche per via della mia collaborazione con la moglie, Françoise Mouly, direttrice del New Yorker. Rina era restia a chiedergli una mostra, sapendo che non ne faceva. Il fatto curioso fu che invece lui le chiese di curargliene una, cosa che poi altri amici hanno fatto. È interessante vedere la prospettiva che Rina, in quanto gallerista, ha degli illustratori e dei fumettisti dal lato della gestione e organizzazione del loro lavoro, come lo espongono, le loro angosce e ossessioni. Interessante perché io sono come loro quando lavoro ed espongo. È questo un tempo in cui forse l’estetica non è più la tavola e lo spessore delle tecniche, l’olio, l’acrilico, le tempere, le incisioni, ma esporre la stampa digitale, i video. È un linguaggio che evolve.

I.C:
Come sempre quando parla di sé, Lorenzo è schivo e ride, muovendo le mani in circoli davanti al viso come per allontanare il pensiero del sé in terza persona. Come il giorno di oltre un anno e mezzo fa, quando lo chiamai a Parigi per invitarlo a tenere un workshop al MiMaster e mi disse: cosa posso raccontare io a degli studenti? Non era sicuro di essere interessante e la parola che per mesi pronunciava riguardo a un suo ritorno all’insegnamento dopo anni era: angoscia. L’insegnamento comporta a un artista leggersi e farsi leggere.

L.M:
Nei giovani che si affacciano alla professione riconosco l’ansia di emergere, di lavorare, di pubblicare che avevo alla stessa età. L’insicurezza mi dominava e capivo che alcune cose che mi dicevano mi facevano proprio male, magari toccavano dei nervi sensibili; allora ci riflettevo, ci tornavo su, mettevo in crisi il percorso intrapreso. Col tempo capisci che in quei momenti sei cresciuto di più. Il problema, semmai, è quando questi talenti devono poi scendere nella realtà, se siano pronti per affrontare un lavoro così duro, seguirne le tappe e fare i sacrifici o si perderanno del tutto. Nella maggior parte dei casi capisci che si sono persi, non hanno deciso, non hanno il carattere, il bisogno, la tenacia di continuare.

I.C:
Quando Lorenzo è sceso dall’aereo, aveva rotto gli occhiali. Ha detto: come faccio a vedere i loro lavori? È come se fossero immersi nella nebbia. A pranzo, chiacchierando di quel che avremmo fatto il giorno dopo al workshop, quell’idea nebulosa ha suggerito un programma di lavoro. Abbiamo dato a tutti i partecipanti un taccuino su cui affrontare questo viaggio fuori da sé e dalla confusione delle suggestioni, per tracciare le linee di una nuova esplorazione. Un’isola che affiorasse dalla nebbia.

L.M:
Ce l’avevo in tasca questo piccolo romanzo di Golding,
Il Signore delle mosche. Un libro concentrato, forte, che dovrei presto illustrare su richiesta di un editore; non lo leggevo da tanti anni ed è stato spontaneo pensare che i ragazzi del MiMaster potessero fare un percorso che sarebbe servito anche a me. È un testo potente, interessante perché si svolge tutto in uno spazio chiuso, l’isola simbolica, l’illustratore può metterci la propria dentro, entrarci. Mi interessa sempre la fase di preparazione, con cosa partire, chi l’ha illustrato prima di me, cosa ho bisogno di sapere, come si fanno gli alberi, il mare, la roccia, i bambini. Materiali da raccogliere, ordinare, metterti nella testa e affrontare. È la base del metodo, di come si affronta un lavoro complesso come un libro. Rileggendo Il Signore delle mosche ho capito che mi aveva influenzato molto per Fuochi e che lo avevo letto prima di realizzare quel lavoro.


Lorenzo Mattotti, Fuochi, Einuadi Stile Libero 2009

C’era l’isola, la tensione, la natura selvaggia e l’incubo; anche la maniera di scrivere certe frasi le ho messe dentro inconsciamente e son venute fuori immagini già nella testa, cosa che non mi è del tutto consueta. Anche qui come in Hänsel e Gretel c’è molto nero dentro, ma pure molto colore, luci meravigliose, questi ragazzi che si fondono nella natura, questa testa di porco che si decompone, il fuoco, il male. Spesso quando faccio libri nuovi, vorrei distruggere tutto quello che so fare e ho fatto prima, vorrei trovare nuove strade. Con Fuochi ho affrontato per la prima volta la natura, ho appreso come disegnarla; adesso son passati anni e ho un diverso approccio. L’interesse di questo lavoro è che riesca assolutamente a impossessarmene. Non sono molto freddo nel progetto, non dico: prendo e faccio tutto. Non penso ad esempio di farlo come Il padiglione sulle dune, il primo Stevenson che ho illustrato. Lì ci sono personaggi persi nel paesaggio, mai un grande ritratto. Non ho uno spirito freddo, descrittivo, forse non mi interessa neanche illustrare questi ragazzini. Lo sento come un romanzo di emozioni, mi lavora dentro.

Sigmund Freud, Racconti analitici, Lorenzo Mattotti, Millenni Einaudi 2011

I.C:
Il lavorare dentro, appunto. È in libreria Sigmund Freud, Racconti analitici di Freud, per la serie dei Millenni Einaudi, in cui era stato già edito il Pinocchio arricchito dei bozzetti e degli schizzi preparatori. L’interiorità che lavora e divora, l’angoscia di non voler essere quello per cui altri ci destinano, come nel caso del tragico protagonista di Stigmates, con Freud sembra trovare un suggestivo inizio e pure un approdo fatalistico dei disegni perturbanti e surreali della linea fragile.

L.M:
Ho accettato con grande entusiasmo, forse due anni fa ormai. L’assurdo di Freud è che ha talmente tante maniere di interpretare e reinterpretare una stessa visione analizzata e poi rivoltarla e cambiarla, che diventa un vero labirinto. Io volevo fare un lavoro complesso su quel che Freud aveva da dirmi e così dare al libro un aspetto più classico, meno gettato e laboratoriale dei taccuini. Questo mi ha frustrato e mi ha fatto rimandare. Isolavo un soggetto, poi un altro, sottolineavo frasi. Ma non trovavo un picco ed è stato da un lato
Pinocchio e dall’altro The Raven fatto con Lou Reed, quasi libri-laboratorio, a suggerire tonalità meno drammatiche, partendo dalla mia esperienza di illustratore dell’infanzia e su quegli schemi innestando bizzarrie e inquietudini sui soggetti freudiani. Dopo aver rimandato di mese in mese ho cominciato a rompere i blocchi, ho fatto la prima immagine e ho trovato la strada. Ora son contento perché mi sono liberato dell’enormità di illustrare Freud, creando pure due immagini inventate che non fanno parte dei casi, coerenti con le altre e anche col libro; casomai il lettore andasse a cercarle, vediamo se saprà trovarle. Però questa è la prova che c’è sempre un momento in cui ti viene naturale fare un’immagine che non parta dal testo ma lì debba stare, è naturale che venga fuori. Anche nel libro su Venezia ci sono una decina di scorci che non esistono ma sono possibili al punto da far dire: qui ci sono stato, è un angolo che riconosco e invece l’ho inventato ed è quello il momento in cui mi sono appropriato del soggetto, dei segni, del contenuto, dell’atmosfera di Venezia. Così è successo con Freud…

I.C:
Mostrando le sue tavole, i ritratti per Domus o il manifesto per il festival di Cannes, Lorenzo mostra anche i pastelli usuali e usati, racconta con passione della loro matericità e degli imprevedibili effetti dell’unione di colori diversi, qualità di paste e gli effetti che diverse punte e materiali hanno nell’unirsi. Massaggiandosi i polsi dice che per lui è un lavoro fisicamente stancante, che usura anche il corpo a donarcisi completamente. A lato ha un iPad, ci scambiamo opinioni su cosa serva e come serva un artista degli spessori e della materia.

L.M:
Con l’arrivo dell’iPad è arrivata anche una dimensione tattile, il disegno con le dita sullo schermo e non con la mediazione della tavoletta e questo rapporto più diretto mi piace. Vedendo i disegni che David Hockney ha realizzato per il New Yorker con
iPad, in mostra a Parigi, mi ha affascinato il  programma Brushes, in cui tu disegni e lui ti restituisce tutte le fasi del lavoro, dal primo segno al lavoro finale, un iter di creazione che nel lavoro tradizionale si perde, può solo essere raccontato o resta se qualcuno ti filma.

David Hockney, Me draw on iPad

Un’idea che ho sempre avuto anche nell’animazione, fissare la linea del disegno in metamorfosi, il fondersi che è parte del mio modo di disegnare da Chimera a Stigmate. Il canale Tv France 3 mi ha chiesto di fare un’animazione all’interno del film C’era una volta, forse no, in cui un padre racconta la storia della sua famiglia, in maniera quasi fiabesca. Produttori e regista lo vedevano con il mio stile, ma animato. I problemi erano il tempo e il budget, ovviamente. Subito ho pensato a Brushes, lavorando non con una vera animazione ma con un disegno che si crea e si modifica mentre il padre racconta.

Con l’iPad ho disegnato d’istinto per due ore, come nelle mie linee fragili, partendo da un volto che si trasforma, diventa un mostro, diventa nero, mettendoci i bianchi, trasformandolo in una casa, in una nuvola, cancellando e disegnando. E il tutto registrato. Dodici minuti di animazione quasi ipnotica che sono poi diventati i cinque nel film, in cui graficamente si è fissata la creatività in ogni istante, portandola a una vertigine. Non è più solo utilizzare mezzi nuovi per cose che puoi fare benissimo in tradizionale, ma usarli per creare nuovi linguaggi. In questo film usiamo stili diversi: disegno per bambini, stile “mattottiano†o molto cartoon sovrapposti, che giocano; mi affascina e c’è la mia impronta nel modo in cui li concateno, decido che da una donna che cammina crescono montagne, poi questa donna scompare in una città, qui arrivano dei ventagli… Mi emoziona questo mezzo perché nei suoi limiti è leggero e ci obbliga alla leggerezza, si tende all’idea semplice, spontanea, diretta che invece di finire in un canale digitale va a milioni di spettatori in prima serata.

I.C:
Con un’altra intenzione ma pure affine è nato il progetto per il Jekyll & Hyde, in cui Einaudi ha voluto sperimentare la via dell’iBook e dell’app da scaricare su iTunes.

L.M:
Abbiamo pensato fosse il progetto ideale, utilizzando la storia a fumetti fatta a suo tempo, aggiungendo una lunga intervista sul lavoro, che grazie alla tecnologia si smonta e rimonta nel corso delle tavole, così che il lettore può seguire la lettura tradizionale del fumetto, ma pure toccare la vignetta e scegliere di vederla com’è stata disegnata in origine, quali cambiamenti ha avuto dalle matite al colore, i riferimenti pittorici utilizzati; Kramsky ha aggiunto uno spettacolo realizzato con voci di attori, musica, suoni, immagini elaborate, come se si desse al lettore una nuova chiave di lettura del fumetto. C’è poi la possibilità di leggere il testo di Stevenson a parte. Un’idea ricca, che sfrutta le possibilità che il libro non ha per sua natura fisica e lo espande, senza togliere al fumetto cartaceo la sua necessità e specificità.

I.C:
Ogni artista ha un progetto di cui sente l’urgenza, che soccombe alla necessità del lavoro ma sta lì ed è a volte un’ossessione, lo si vive con senso di colpa e con la continua promessa di tornarvi su. Mattotti ne ha decine, compreso un fumetto ormai disegnato per metà su storia dell’amico Jerry Kramsky e che lui promette con un largo sorriso di finire entro l’anno. O forse più tardi, si sa mai.

L.M:
Lo abbiamo pensato forse dieci anni fa, con l’intenzione che fosse uno di quei progetti semplici, immediati, da fare in pochi mesi. Nasce dal mondo di linea fragile, una storia fantastica che potrebbe intitolarsi
Nel paese di Ghirlanda. Ci lavoro d’estate, nel ritiro toscano, fra i cipressi da piantare nel viale e gli amici che vengono a trovarci. Quando un lavoro parte da te, vorresti fare solo quello ma poi tocca abbandonarlo per l’urgenza di altri più contingenti oppure perché arrivano progetti affascinanti e allora dici: be’ tanto quello sta lì. E cominci a lasciarli indietro. C’è sempre questo rapporto con i progetti nuovi che diventano vecchi, che vuoi finire per te stesso e quelli che ti arrivano davanti e che affronti per altre ragioni o perché semplicemente sei un disegnatore, ti metti davanti a un taccuino e lavori. Vorrei anche fare tabula rasa, andare in studio e avere il foglio bianco e dire: cosa sono io oggi. E lasciarlo uscire. Quando succede, questo è uno dei grandi sogni che si avvera.

Stanze
Lorenzo Mattotti
Logos edizioni
29,75 Euro(spedizione gratuita)
Angkor, tratti, pastelli, acquarelli
Lorenzo Mattotti
Carnet de Voyage
27,20 Euro (spedizione gratuita)
Fuochi
Lorenzo Mattotti
Einaudi Stile Libero Extra
16,15 Euro
Sigmund Freud, Racconti analitici
Sigmund Freud e Lorenzo Mattotti
Einaudi
72,25 Euro (spedizione gratuita)
The raven
Lou Reed e Lorenzo Mattotti
Fantagraphics Books
16,65 Euro
  Hansel e Gretel
Lorenzo Mattotti
Orecchio Acerbo
17,00 Euro
Stigmates
Claudio Piersanti, Lorenzo Mattotti
Casterman
27,16 Euro (spedizione gratuita)

Cappuccetto rosso di Kárpáti Tibor: una lezione di “ritmo”

Premessa: prima di leggere le mie note sul ritmo e i suoi meccanismi, vorrei che leggeste il libro senza farvi distrarre dai miei commenti. Così da poter sperimentare da soli il ritmo della lettura.

Little Red Riding Hood di Kárpáti Tibor, edito da Katordór Csimota KFT, 2006

Le fiabe classiche, ormai illustrate in tutte le loro declinazioni, e con tutti gli stili possibili, sono il territorio ideale per la sperimentazione: Little Red Riding Hood di Kárpáti Tibor (2006, Ungheria) ne è un esempio perfetto. Un silent-book (e che bisogno c’è, in effetti, di riscrivere un testo che conosciamo a memoria?) dove il ritmo è protagonista assoluto. La semplicità del disegno, composto di moduli geometrici che per forma e colori ricordano il lego e i giochi elettronici, consente al ritmo di esprimere tutta la sua potenza narrativa. Lasciatemi aprire una piccola parentesi sul ritmo: quanto più è semplice il disegno da osservare (soprattutto lo sfondo), tanto più possiamo percepire con facilità il ritmo delle immagini.
Lo stesso effetto lo si può ottenere anche con immagini complesse (un disegno alla Innocenti, per intenderci) ma in tal caso l’immagine deve ripetersi identica o quasi identica pagina dopo pagina (come nel libro di Innocenti “Casa del tempo“). Perché?
Perché meno tempo impiega il cervello per tradurre e capire l’immagine che ha davanti agli occhi, più potrà focalizzarsi con facilità sul significato di quello che contiene, o sull’azione che vi si svolge. Come nel gioco della Settimana Enigmistica “trova le differenze”.

Se lo sfondo è simile o uguale a quello della pagina precedente (o della vignetta precedente) il mio occhio e poi il mio cervello registreranno come “già vista e decifrata” l’immagine e cercheranno immediatamente quello che c’è di nuovo (il cambio di posizione del protagonista, o uno movimento del suo corpo). Se osservate le 4 vignette qui sopra, vi accorgerete di come il vostro sguardo rallenta (e con lui il ritmo della lettura) nell’ultima scena, quando lo sfondo cambia. E’ infatti lì che l’autore vuole farvi fermare, perché lì c’è un contenuto importante, uno snodo della storia: Cappuccetto Rosso sta dicendo al lupo dove va (a casa della nonna).

Un altro modo per creare ritmo è quello di ripetere un elemento identico. Guardate con che forza, quasi musicale, ritornano nel libro: l’immagine della casa, quella della bocca del lupo e la vignetta con la parola “hamm”.

Ancora sul ritmo: vogliamo rallentarlo? Nelle prime 4 vignette delle due immagini qui sopra, io lettore percepisco un ritmo piuttosto veloce: nessuno sfondo, il mio occhio si concentra esclusivamente sul contenuto dei dialoghi, non troppo complessi. So che Cappuccetto sta dicendo: che naso grande che hai, che orecchie grandi che hai…etc.
Ma ecco che la stessa immagine mi viene proposta ingrandita e isolata nella pagina successiva. Questo ingrandimento è una messa a fuoco che
1) mi dice che l’immagine (anche se è la stessa che ho già visto 4 volte) è diventata più importante (vuole dirmi qualcosa?)
2) mi porta nuove informazioni sull’immagine perché mi permette di “vederla meglio”.

Queste due informazioni mi portano a soffermarmi con più attenzione sulla quinta vignetta (rallentamento del ritmo). Mi soffermo a guardare il lupo, il viso di Cappuccetto Rosso, ed ecco che mi accorgo che i pixel che compongono il muso del lupo sono esattamente identici e speculari a quelli che compongono la frase di Cappuccetto (ma che bocca grande che hai…). Sarà la bocca, infatti, la protagonista della prossima scena. Hamm!
Ascoltate come la sorpresa della bocca del lupo “hamm!”che mangia e divora, nella pagina successiva, ci fa sobbalzare proprio perché viene dopo un rallentamento del ritmo. Non avrebbe un effetto così dirmpente se l’autore non ci avesse fatto rallentare sulla quinta vignetta.


Un altro elemento che contribuisce al ritmo di un album è la grandezza delle pagine (più grandi sono, più tempo impiegherò a girare le pagine e osservarle, più lento sarà il ritmo). Avendo trovato questo libro su internet, non so dirvi quanto sia grande.
Fine. Quella qui sotto è la risguardia con (immagino) i nomi dei protagonisti. E infine la quarta di copertina.
Non è un gioiello del ritmo?

Tutte le immagini di questo post appartengono a Little Red Riding Hood di Kárpáti Tibor, edito da Katordór Csimota KFT, 2006.