Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin (due stili a confronto)

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

Volevo postarvi alcune immagini di Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, per proseguire il discorso sugli stili: in particolare sulla “quantità di realtà” che contiene un’immagine, e di come questa quantità determina lo stile e l’emozione dell’immagine (insieme ad altri fattori). Ne abbiamo parlato in questo post, e questo.
Fabian Negrin, che “suona” gli stili a occhi chiusi, dimostrando ad ogni libro una perfetta padronanza e consapevolezza di cosa è lo stile, ha usato in questo libro due stili diversi, uno stile che io chiamo “realismo disegnato” e uno stile che io chiamo “realismo pittorico”, ma potete anche chiamarli Alfredo e Pancrazio che il concetto non cambia.

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

Una bambina passa le vacanze a casa della nonna, per caso (un po’ stufa della televisione a tutto volume), trova alcuni libri. Questi vecchi libri narrano la storia di Sandokan e la bambina li divora in poco tempo. Il giorno dopo, passa a trovarla il suo cuginetto, e lei lo invita a giocare “a Sandokan”.
L’illustrazione è bicromatica (la realtà non lo è mai), personaggi e cose sono ritratti solo con un profilo di gessetto (nella realtà le cose non hanno un profilo così netto), ciò nonostante, le proporzioni tra le cose sono rispettate, la prospettiva è corretta e i due bambini sembrano abbastanza realistici (non sono deformati, caricaturati, macrocefali). Questo è ciò che io chiamo il realismo disegnato. E’ un mondo che assomiglia a quello della realtà, ma disegnato. La storia prosegue. Come si gioca a Sandokan?

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

La bambina inizia a raccontare al cuginetto la storia di Sandokan, poi,  girando pagina, lo spettatore è abbagliato da una scena molto realistica. Ora la scena appare tutta a colori, la realtà è ben definita da chiari scuri, drappeggi di tessuto, onde, nuvoloni carichi di tempesta…

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

I visi non hanno un profilo disegnato con la matita, ma il loro “bordo” è creato da chiari scuri morbidi e dalla luce. Questo modo di disegnare riproduce in modo più fedele il modo che ha l’occhio di percepire la realtà. E’ quello che io chiamo realismo pittorico.

Due esempi di stile realista, pittorico a sinistra, disegnato a destra.

Il colpo di scena è potentissimo. Fabian Negrin porta tutta l’attenzione su questo “salto stilistico” togliendo elementi che possano distrarre l’occhio dello spettatore: la scena, a parte il fatto che i protagonisti sono diversi, è la stessa della pagina precedente, coi corpi dei due personaggi nella stessa posizione. Il cervello ha già registrato la “geografia” della pagina, e ora la riconosce immediatamente, va dunque ad analizzare gli elementi nuovi, che sono i colori e lo stile. Tombola due volte, perché da una parte questo escamotage concentra l’attenzione sul cambio di stile, dall’altra ci sta dicendo che i due bambini sono diventati (graficamente) i personaggi di un romanzo d’avventura. Non sono loro, ma sono “allo stesso posto”, proprio come quando noi ci immedesimiamo nel protagonista di un romanzo.

Il “trucco” affascinante è che Negrin ha usato uno stile realista pittorico per descrivere  il mondo della fantasia (la storia di Sandokan), mentre ha usato uno stile realista disegnato per raccontare il mondo della realtà. Noi sentiamo che avrebbe dovuto essere il contrario (non ci insegnano che la realtà è più reale della fantasia?), e proprio questo contrasto ci regala un surplus di sorpresa e magia.
Ma Fabian Negrin non si accontenta. Dopo questo colpo di scena ritorna alla realtà della casa dei bambini e al tratto semplice del carboncino. Fino a quando i due mondi iniziano a mescolarsi, e nella casa dei due bambini entrano i pirati.

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

Si gira pagina, di nuovo si ritorna alla realtà a carboncino, e senza intrusioni esterne. Il ritmo con cui la realtà della fantasia entra in scena, poi retrocede, poi avanza di nuovo, è prorompente e ricorda la foga dei bambini che saltando e correndo e mimando si calano a poco a poco nel gioco (il gioco: unica realtà totale, dove fantasia e realtà si fondono creando un nuovo livello di realtà).

Guardate che forza ha la tridimensionalità di questi personaggi che dirompono nella doppia pagina del libro. Per “renderla” c’era un solo sistema: usare due livelli di realtà diversi, due stili diversi.

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

Ma i colpi di scena non sono finiti. Dopo qualche pagina di va e vieni della fantasia, hop! I due bambini si ritrovano risucchiati dentro il mondo di Sandokan. Non deve essere meraviglioso per un bambino? Vi lascio continuare il libro da soli. E chapeau a Fabian Negrin per questo tango di stili.

Chiamatemi Sandokan! di Fabian Negrin, Salani editore 2011

 

Chiamatemi Sandokan!
Fabian Negrin
Un omaggio a Emilio Salgari
11,05

Che cosa è “lo stile”. Lo stile Realista, Lirico e Astratto. parte 2/2

Rileggi la prima parte del post.

GLI STILI DELL’ILLUSTRAZIONE

Io sono solita dividere tutti gli stili dell’illustrazione in tre grandi gruppi. Questi tre gruppi si muovono (scivolano) sulla scala musicale di cui vi parlavo nel post precedente, dal realismo pittorico/fotografico, all’astrattismo. Eccoli:

  • STILE REALISTA (Esempi:  Roberto Innocenti, Fabian Negrin, François Roca, Michael Sowa, Maurizio Quarello, Nicolatta Ceccoli (pop-surrealista), Lisbeth Zwerger, ma anche: Oxembury, Quentin Blake, Maurice Sendak…)
Roberto Innocenti
  • STILE LIRICO  (Esempi: Beatrice Alemagna, Gabriel Pacheco, Joanna Concejo, Kitty Crowther, Javier Zabala, Carll Cneut, Simone Rea, Maja Celija, Simona Mulazzani, Philip Giordano, Pablo Auladell, Hanne Herbauts, Serge Bloch, Sergio Ruzzier…)
Philip Giordano
  • STILE ASTRATTO (Esempi: Sara Fanelli, Blexbolex, Ana Ventura, Bernardo Carvalho…).
Blexbolex

(Nota: alcuni degli illustratori sopra citati si muovono fra due o più categorie).

Non c’è una frattura netta tra le tre categorie: sfumano una nell’altra. Ma ogni categoria ha regole precise e tonalità emotive peculiari a quella categoria. Ognuna di queste categorie ha sotto-categorie, (nei  miei corsi le vediamo tutte).
Le tre categorie (e rispettive sotto-categorie) rispondono a queste tre regole fondamentali e solo a queste:

  • Nello stile REALISTA le cose si comportano secondo le stesse leggi fisiche che governano la realtà.
  • Nello stile LIRICO le cose si comportano secondo leggi fisiche leggermente alterate rispetto alla realtà.
  • Nello stile ASTRATTO l’immagine ha perso ogni riferimento con le leggi che governano il reale, e nuove leggi grafiche entrano in gioco.
Qui sopra, tre disegni rappresentanti una città nei tre stili. Realista (Maurizio Quarello), Lirico (Beatrice Alemagna), Astratto (Blexbolex)

Ricordatevi cosa scrivevo nel post precedente: più la realtà riprodotta assomiglia alla realtà, più è inquietante.
La relazione tra “quantità di realtà” in un’immagine e emozione dello spettatore, gioca un ruolo fondamentale nel tono emotivo generale dell’immagine. Gli elementi in gioco nel determinare l’emozione dello spettatore sono:
– quantità di realtà nell’immagine -> (stile)
– il contenuto narrativo dell’immagine -> (contenuto)
– impaginazione dell’immagine nel libro -> (contesto)
– colori, composizione, atmosfera, immagine a tutto campo o parziale, qualità della realizzazione -> (realizzazione tecnica)

Qualche esempio.

STILE REALISTA
Nel quadro degli sposi Arnolfini di Van Eyck, l’artista ha usato una serie di escamotages pittorici (chiaro scuro, prospettiva, colore, etc) per restituire in un quadro la stessa sensazione ottica che avremmo se guardassimo una fotografia o una scena dal vero.

Van Eyck, Gli sposi Arnolfini

La scena “ci sembra” reale. Nello stile REALISTA, infatti, ogni oggetto si comporta come si comporterebbe nella realtà. La forma degli oggetti è anatomicamente corretta. Le persone hanno un peso e un centro di gravità (se volassero, sarebbe perché sono dotate di poteri magici), i quadri stanno attaccati ai muri con i chiodi, i tappeti stanno sui pavimenti e i lampadari appesi ai soffitti. La prospettiva è corretta o abbastanza corretta, le proporzioni tra gli oggetti sono rispettate. Le cose e i visi non sono troppo deformati.
Lo stile realista è uno stile che tende a scomparire per portare l’attenzione al “che cosa” accade nella scena. L’occhio pensa che sia realtà, si lascia ingannare, ed entra subito nel vivo della scena. E’ uno stile che dice allo spettatore, più o meno forte: credimi, siamo nella realtà!

La gamma di emozioni e aggettivi che accompagnano questo stile possono essere: inquietante, potente, sorprendente, spaventoso, incredibile, assurdo, drammatico, violento, fantastico, meraviglioso, etc… In sotto-categorie come nel REALISMO DISEGNATO o nel REALISMO CARICATURALE avremo anche note di emozioni divertenti, leggere, gioiose, comiche.

Michael Sowa

L’immagine qui sopra, di Sowa, è molto inquietante (direi spaventosa) perché la regola dello stile REALISTA è: nell’immagine, le leggi fisiche che governano le cose sono le stesse che nella realtà. Questo significa che il coniglio ritratto è “veramente” di proporzioni gigantesche! Se l’illustratore avesse usato, per illustrare questa scena, uno stile LIRICO (dove la realtà è un po’ sottosopra, come in un’immagine di Chagall, per capirci), non avrebbe ottenuto questo effetto drammatico.

Nello stile REALISTA, la definizione della realtà può perdersi, venir sfumata come un quadro che perda i colori a poco a poco, fino a diventare solo linea (REALISMO DISEGNATO), ma finché le cose continuano a comportarsi secondo le leggi fisiche della realtà, saremo ancora e sempre nello stile “REALISTA”.

Lisbeth Zwerger

L’immagine qui sopra è ancora nel gruppo dello stile REALISTA (un bambino mi chiese guardando questa immagine: ma sono i fiori che sono giganti o i personaggi che sono piccoli?). Qui però l’illustratrice ha depurato un po’ la realtà dalla sua complessità. Le cose continuano a comportarsi come nella realtà: i personaggi camminano sulla terra con un peso e un baricentro, i fiori gettano ombre, ogni dettaglio è “anatomicamente” corretto. Però… il prato non ha texture (rispetto all’immagine di Sowa), i chiari scuri sono più deboli, le campiture di colore più uniformi. Stiamo scivolando verso il REALISMO DISEGNATO, una sotto-categoria del REALISMO. Le emozioni di questa sotto-categoria sono meno forti, più sfumate, dolci, poetiche, o ironiche.

Gilles Bachelet, Mon chat le plus bête du monde

Nel libro Mon chat le plus bête du monde, un elefante vive come un gatto nella casa del protagonista, il quale per tutto il libro lo chiama “il mio gatto”. Non ci farebbe per nulla ridere questa situazione (farci ridere era lo scopo dell’illustratore) se l’illustrazione fosse LIRICA e non REALISTA. E’ il fatto che un elefante sia “realmente” in un appartamento che rende comica la scena.

->   Lo stile REALISTA, quando perde troppa realtà, sfuma nel LIRICO.

STILE LIRICO
Chagall, cosa ha fatto per ritrarre un bacio tra lui e la sua amata moglie? Ha “distorto” alcune leggi fisiche della realtà. Le ha distorte un po’, ma non troppo, in modo che noi possiamo ancora riconoscere una stanza e due persone che si baciano. Ma le ha distorte abbastanza perché noi capiamo che non siamo nella realtà (io spettatore non penso che questi due personaggi stiano volando perché dotati di poteri magici, capisco subito che il loro volo è simbolico/metaforico).

Marc Chagall

Questa calibrata quantità di “distorsione” confonde il mio cervello. Qualcosa mi dice che siamo nella realtà (finestra, tavolo, pavimento: riconosco una stanza!) qualcosa mi dice che non lo siamo (esiste un uomo che possa stare col collo in quella posizione? Neanche il più innamorato! e poi la prospettiva è strana, lo sgabello sembra storto, ci sono poche ombre…). Il cervello è disorientato, si chiede: ma dove siamo? Di sicuro, non siamo nella realtà. E per noi esseri umani, non essere nella realtà, significa che siamo:
– o nel sogno (luogo dalle leggi bizzarre).
– o nella dolcezza della riproduzione artistica, dove l’artista dichiara il suo gioco, lasciando “trasparire” la materia dell’opera. La tela, la carta, i colori, i segni, le pennellate, iniziano a diventare anch’essi protagonisti dell’immagine e non solo un medium. (Nello stile ASTRATTO diventeranno protagonisti quasi assoluti).
– oppure, significa che ci siamo fumati qualcosa e stiamo avendo un’allucinazione.

La gamma di emozioni e aggettivi che accompagnano lo stile lirico saranno: sognante, poetico, buffo, strano, straniante, lirico, malinconico, magico, dolce, etc…

Joanna Concejo

Difficile (anche se nulla è impossibile) avere note comiche o drammatiche nello stile LIRICO, perché l’ironia, come diceva Desproges, è l’eleganza dall’ansia, e l’ansia, come il dramma, è qualcosa che ha a che fare con la realtà. Lo stile lirico ha sempre una nota, appunto, lirica.
Nello stile lirico, le cose perdono peso, si fanno sognanti, simboliche, metaforiche. Gli oggetti e i visi si deformano. Le prospettive si confondono. Il cielo e la terra non sono più così ben definiti. Un disegno può non essere finito, sfumare e lasciar apparire la carta, confondendo i piani tra finizione della riproduzione artistica e realtà (vedi Joanna Concejo).

Simona Mulazzani, Vorrei avere

Osservate l’immagine di Simona Mulazzani: sarebbe impossibile vedere un paesaggio così nella realtà, con la sezione del mare, il suo fondo, e subito sopra le casette che si appoggiano sul profilo dell’orizzonte. Grazie a questo contesto dove gli elementi reali (case, pesci) si mescolano tra loro in modo strano, io posso godere dell’immagine di una balena dipinta senza chiedermi come hanno fatto a farle quei tatuaggi. Capisco che il piano è “simbolico”.

NOTA: Molte volte gli illustratori alle prime armi confondono LIRICO e REALISTA ottenendo una “stonatura”. (Un classico esempio sono le braccine dei personaggi “pieghevoli” che io chiamo “alla playmobil” -invece che con gomito e anatomicamente corrette, usate in un contesto realista).
Se Chagall avesse disegnato, ad esempio, solo il collo del personaggio storto, e lo avesse inserito in un contesto completamente corretto (prospettiva giusta, chiari scuri giusti, anatomia degli oggetti giusta), ne avremmo ricevuto una sensazione fastidiosa, di errore.
L’equilibrio di “rottura” della realtà (quanto distorcerla), nello stile LIRICO, è un equilibrio difficile da conquistare. Sembra uno stile più facile dello stile REALISTA e viene spesso usato per mascherare debolezze nel disegno. Ma è più difficile.

->  Lo stile LIRICO, quando la realtà scompare quasi del tutto, sfuma nell’ASTRATTO.

STILE ASTRATTO
Nello stile ASTRATTO, una serie di codici visivi (tinte piatte, mancanza di prospettiva, assenza di contesti troppo riconoscibili, forme semplici, colori puri, etc) mi indicano che io spettatore non sono nel mondo della realtà, neanche un po’. Sono in un mondo che è quello della superficie cartacea (o digitale). Sono nel mondo puro dell’arte e della riproduzione artistica (lo ero anche negli altri stili, ovvio, ma l’artista me lo aveva fatto quasi dimenticare con alcuni trucchi).

Henri Matisse

E’ un mondo, questo, spesso bidimensionale, dove l’urgenza dell’artista non è darci delle informazioni su fatti e persone, ma regalarci l’incanto puro dell’emozione estetica. Guardando il quadro di Matisse, io non mi chiedo perché l’omino non ha faccia né dita. Non mi chiedo perché ha perso i piedi. Se è un astronauta che sta precipitando nello spazio siderale o un suicida che si è appena fatto esplodere. Mi lascio semplicemente trasportare dall’emozione dei colori e delle forme: e non faccio resistenza. Ma in quell’omino riconosco un uomo, l’Uomo (è un’icona, più che un simbolo). Questo po’ di realtà basta a dare all’immagine un vago sapore lirico.

Pablo Amargo

Più che per raccontare qualcosa, lo stile astratto è usato per “evocare”.

Gamme emozionali dello stile astratto: le emozioni davanti allo stile astratto potranno essere intellettuali: sono colpito da un’idea, l’immagine mi fa pensare a delle cose e pensare e capire sono sempre atti piacevoli. Oppure sensoriali: sappiamo che l’occhio e il cervello si sentono “più rilassati” quando offriamo loro gamme di colori complementari, forme semplici da interpretare, forme chiuse, etc. E’ uno stile che dà emozioni profonde, primitive, che vengono forse dall’ipotalamo: le emozioni che proviamo davanti allo stile astratto sono simili (secondo me) a quelle che proviamo ascoltando la musica (classica o senza parole). Anche se non capiamo di cosa stia parlando esattamente la musica, “sentiamo” il suo discorso a un livello profondissimo. Io capisco di cosa mi parlano Bach o Pollock nella loro opera, ma non posso tradurlo verbalmente (se porto il messaggio sulla superficie della coscienza, lo altero irrimediabilmente).

Nota: Non confondete lo stile che io chiamo “ASTRATTO” con la corrente artistica detta astrattismo. Ci possono anche essere figure e case e alberi, nello stile astratto. Diciamo che è astratto quando è chiaro che l’artista vuole in primo luogo regalare un piacere puramente grafico, e in secondo luogo un contenuto narrativo. E’ ASTRATTO quando chi detta legge sono i colori, le forme, la superficie del foglio.

FINE

Ana Ventura

 

Se vi interessa approfondire questi argomenti, vi aspetto al mio prossimo corso!
“Dallo storybaord allo stile” corso di illustrazione con Anna Castagnoli, Studio d’arte Andromeda, per info: workshop@studioandromeda.net  Tel. 340 6317215

Note sul copyright:
La suddivisione di stili qui sopra esposta è uno strumento di lettura delle immagini che ho inventato, messo a punto e precisato nel tempo. Chi fosse interessato a citare parti o idee contenute in questo articolo, o questo articolo nella sua interezza, può contattarmi a: lefiguredeilibri(@)gmail.com, grazie.

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Che cosa è “lo stile”: un’introduzione. parte 1/2

Quest’estate, a Martina Franca, come ogni anno, ho tenuto un corso di illustrazione. Quest’anno il tema che ho approfondito è stato “lo stile”. Vorrei portare qui alcune riflessioni.

Da sinistra a destra: Roberto Innocenti (particolare), Beatrice Alemagna (particolare), Sara Fanelli

LO STILE, un’introduzione

Che cosa è “lo stile”? Cosa si intende quando si dice: non ho ancora trovato il mio stile. Lo stile di quell’illustratore mi piace, etc?
Iniziamo da una definizione semplice:
lo stile, è un rapporto con la realtà. Un modo di interpretarla.
Se ascoltate bene i nomi che sono stati dati ai vari stili nella storia dell’arte, vi accorgerete che questi nomi sono un “modo” di mettersi di fronte alla realtà: Astrattismo. Surrealismo. Iperrealismo. Impressionismo. Puntinismo. Divisionismo. Realismo. Verismo. Espressionismo. etc

Infatti, l’arte figurativa è in qualche modo una “copia” della realtà. Da una parte, c’è un soggetto (paesaggio, natura morta, figura, ma anche – dal novecento in poi: un’emozione interna, un pensiero, uno stato dell’anima). Dall’altra parte, c’è un artista che si mette davanti a questo soggetto e cerca di “trasferirlo” sulla carta o sulla tela. Ma come fare? E quanto questo “trasferimento” viene influenzato dall’artista che lo compie? Quanto dal periodo storico?
Anche una semplice natura morta con bottiglia e bicchieri, poggiata su un tavolo, è un abisso di segni, forme, colori, significati, che non basta una vita a sondarlo. Il pittore Giorgio Morandi ne doveva sapere qualcosa…


Giorgio Morandi

Giorgio Morandi

Come scegliere l’angolo di visuale? A che distanza disegnare gli oggetti? Come rendere la plasticità e la rotondità delle forme? E’ obbligatorio renderla? Se disegniamo tutto in bianco e nero, capiamo lo stesso cosa è il soggetto? Cosa è che favorisce la comprensione di un’immagine? Sono le forme, i colori, le linee esteriori degli oggetti, i contrasti, il contesto, o cos’altro? Nella realtà, gli oggetti hanno una linea di contorno o no? Perché, se li disegniamo con una sola linea, li capiamo lo stesso? Hanno bisogno di una prospettiva o no per essere capiti? Dobbiamo disegnare lo sfondo e tutto l’insieme o solo una parte?

Giorgio Morandi
Giorgio Morandi
Giorgio Morandi

La domanda è: quale è il massimo comun divisore della realtà? Come e quanto possiamo alterare quello che vediamo senza snaturarne il senso? Pablo Picasso ha provato a rispondere con questa famosa sequenza:

Pablo Picasso

Fino a quando un toro è ancora un toro? Come è possibile che nella macchia qui sotto noi vediamo un toro che attacca un torero? Non è una semplice macchia d’inchiostro?

Per quale affascinante fenomeno percettivo ci basta il profilo delle cose per capire cosa sono?

E il toro di Guernica, tutto deformato, è ancora un toro?

Pablo Picasso, Guernica, (particolare)

Una mia allieva, durante il corso, ha trovato questa bella parola dal sapore platonico: “torità”. Quale è la torità del toro? L’elemento ultimo che non possiamo distruggere senza che venga distrutta anche la “torità” del toro?

Pablo Picasso

L’altra domanda importante è: il tipo di alterazione/distorsione/omissione che è stata effettuata dall’artista nel ritrarre il corpo del toro, in che modo altera la mia impressione del toro? Io spettatore, sono colto dalla stessa gamma di emozioni guardando la testa di toro fatta con un manubrio di bicicletta da Picasso e la testa di toro dipinta da Goya? Ovviamente no. Eppure, tutt’e due queste immagini hanno la “torità”. Allora?

Francisco Goya

Possiamo dire questo: c’è un’essenza della cosa (un massimo comun divisore di tutti gli elementi costitutivi della cosa: la “torità” dei tori o l'”alberità” degli alberi, ad esempio), che deve essere mantenuta. Tolta quell’essenza, la cosa, perde la sua natura e il suo senso (il soggetto è incomprensibile, o semplicemente brutto come una stonatura musicale). Una volta individuato questo nucleo primitivo della cosa, possiamo poi giocare ad arricchirlo, declinarlo, interpretarlo, per regalare allo spettatore tutta una gamma di emozioni diverse. Lo stile è esattamente quello che noi decidiamo di fare della “torità” del toro. Un po’ come fa il jazz improvvisando intorno ad alcuni accordi (che però devono venir rispettati).
Ecco alcune variazioni dell'”alberità” degli alberi…

Da sinistra a destra: Matisse, Klimt, Giotto, Picasso.

Bene. Una volta che avete imparato a non “stonare” rispettando il massimo comun divisore delle cose che state disegnando (cosa per nulla facile!), potete iniziare a solfeggiare la vostra musica.

Nella mia personale teoria dell’illustrazione, la “scala musicale” dentro cui cercare le note per costruire il proprio stile, si muove tra due poli ben precisi: l’immagine realistica (la fotografia, il realismo pittorico, etc) da un lato, e l’immagine astratta/grafica, dall’altro. Possiamo dire, grossomodo, che il polo reale riproduce la realtà con un’esattezza del 90% (nell’iperrealismo anche del 110%!), la fotografia la riproduce al 100% d’esattezza, mentre nel polo astratto, al punto d’arrivo massimo, si ha lo 0% di realtà (per realtà, intendo qui ciò che assomiglia alla realtà fisica delle cose, come noi la percepiamo ogni giorno).

Un esempio di immagine realistica: Roberto Innocenti, e di una astratta: Sara Fanelli

La quantità di realtà riprodotta, è uno degli elementi che più gioca nella tonalità emotiva che dà l’immagine allo spettatore. C’è una misteriosa legge percettiva per la quale, in un’immagine, più la realtà riprodotta “sembra vera” (nel gergo che sto usando: più realtà c’è nell’immagine), più l’immagine regalerà toni emotivi potenti e inquietanti. Non a caso, molte religioni hanno vietato la riproduzione delle immagini realistiche. La realtà, riprodotta, incute uno strano timore. Forse perché temiamo la libertà che possono avere le immagini?

Per alleggerire il carico emotivo dell’immagine, dobbiamo sottrarre materia, definizione, tridimensionalità, prospettiva, ombre, texture. Più alleggeriamo la realtà riprodotta, più diciamo allo spettatore: siamo su un foglio/tela, nella dimensione della riproduzione artistica, non c’è pericolo! Entrambi questi coniglietti qui sotto sembrano soli, ma se quello di sinistra ci fa tenerezza, quello di Sowa, a destra, ci stringe il cuore in un pugno. Questo “tono emotivo dell’immagine” non è dovuto solamente alla postura dei corpi o al contesto, è dovuto soprattutto al “realismo” dell’immagine. (Almeno, così la penso io).

A sinistra Natalie Russel, a destra Michael Sowa

Su questo punto, un capitolo, nei miei corsi, è riservato anche al modo di inquadrare le immagini in un libro. Ci sarà una bella differenza di “suono” tra un’immagine incorniciata da un bordo bianco, o con un testo inserito sopra (io illustratore ti sto dicendo: questo è un disegno! Un quadro!) e un’immagine a tutta pagina, senza testo né spazi per il testo (io illustratore ti sto dicendo: questa pagina qui, devi far finta che sia un frammento di mondo).

Io sono solita dividere tutti gli stili possibili in tre grandi gruppi: Realista, Lirico, Astratto. Ma li vedremo nel prossimo post…

Segue…
Nota: Il mio prossimo corso sullo stile, sarà a Trento, il 26, 27, 28 ottobre:
“Dallo storybaord allo stile” corso di illustrazione con Anna Castagnoli, Studio d’arte Andromeda, per info: workshop@studioandromeda.net  Tel. 340 6317215


Concorso di illustrazione Tapirulan 2013

Il Concorso per Illustratori Tapirulan giunge quest’anno alla sua ottava edizione. Finalità del concorso, aperto ad artisti italiani e stranieri senza alcun limite d’età, è quella di selezionare 40 autori che saranno protagonisti della mostra che si terrà a Cremona dal 1 dicembre 2012 al 27 gennaio 2013.

Tema: Buffet. Che sia imbandito in modo sfarzoso ed elegante oppure informale poco importa, perché il buffet è il momento conviviale per eccellenza, un’occasione per nuovi e forse inaspettati incontri: si possono intrecciare relazioni interessanti, bizzarre o noiose, magari si può trovare il grande amore… Ma è anche teatro di aspre lotte tra personaggi ingordi e famelici determinati ad accaparrarsi più cibo possibile.

Cosa: Ogni partecipante dovrà presentare una sola opera, originale ed inedita, di formato quadrato non inferiore a cm 25×25 e non superiore a cm 40×40, realizzata con qualsiasi tecnica ed ispirata al tema del concorso; in caso di immagine digitale, questa dovrà avere dimensioni di cm 31×31 , una risoluzione di 300 dpi e dovrà essere salvata in formato TIFF o JPG alla massima qualità.

Quota di partecipazione: 10 € (i soci dell’Associazione Tapirulan per l’anno 2012 possono partecipare gratuitamente, mentre i soci dell’Associazione Illustratori beneficiano di uno sconto del 50% sulla quota).

Scadenza: 12 ottobre 2012.

Premio: La giuria, presieduta quest’anno dall’illustratore Federico Maggioni, selezionerà a suo insindacabile giudizio le 40 illustrazioni da esporre in mostra e da pubblicare sul catalogo, scegliendo tra queste anche le 12 da pubblicare sul Calendario Duemila13 di Tapirulan. Al vincitore del concorso verrà assegnato un premio in denaro pari a 2.000 €. Tutte le illustrazioni selezionate saranno inoltre pubblicate sul sito di Tapirulan, dove rimarranno in mostra permanente e dove gli utenti registrati potranno votare il proprio artista preferito; al più votato andrà un premio in denaro pari a 300€.

Considerazioni aggiuntive: Le opere vincitrici del concorso rimarranno di proprietà dell’Associazione Tapirulan; le altre opere saranno invece restituite, su richiesta dei legittimi autori e con spese postali a loro carico, entro la fine del 2013. È prevista la realizzazione di un catalogo, che sarà distribuito gratuitamente a tutti i partecipanti durante l’inaugurazione della mostra.

Scarica il bando in pdf!


Suzy Lee, La trilogia del limite

“Il modo di raccontare” non sta ad indicare semplicemente parole e immagini. Si riferisce a tutti i mezzi che possono trasmettere efficacemente il messaggio al lettore: il modo di combinare parole e immagini, lo stile e la tecnica delle immagini, la forma del libro e la direzione della lettura, e così via…” Suzy Lee


La trilogia del limite, Suzy Lee, edizioni Corraini 2012

Tutti i libri di cui vi ho parlato dall’inizio di questo blog sono belli, alcuni stupendi, altri solo interessanti per qualcosa. Questo libro di cui vi parlo oggi, La trilogia del limite di Suzy Lee,  non è bello né stupendo, è semplicemente: “fuori categoria”. Se volete imparare come funziona un album illustrato, o solo capire che spazio peculiare è l’album, come un attore studierebbe la scena su cui deve recitare: DOVETE LEGGERLO! Se non avete 20 euro per comprarlo (o 17 su Amazon), fatevelo prestare, insultate il direttore della vostra biblioteca preferita se non l’ha ancora ordinato, leggetelo tutto in libreria facendo finta di niente, chiedete l’elemosina, rubate i soldi alla nonna, fate quello che volete, ma LEGGETELO.

Suzy Lee è un’autrice totale, nel senso che quasi tutti i suoi libri sono interamente pensati, in ogni più minuto aspetto, da lei medesima. Se ancora non la conoscete, potete anche iniziare da questo libro, che è una summa di tutto il suo genio. E’ un libro teorico, che parla principalmente di come funzionano i suoi libri (tra gli altri, L’Onda, Mirror, Ombra) e del rapporto tra le immagini, la storia, e il loro supporto fisico/cartaceo:  imprescindibile e troppo spesso trascurato. Non solo, ci racconta della loro genesi (incredibile vedere come ogni minimo dettaglio è pensato e pensato e sentito e sentito), di come sono stati interpretati o fraintesi.

L’onda, Suzy Lee, edizioni Corraini

Nell’immagine qui sopra, è un errore di stampa il fatto che la mano della bambina sparisce nella rilegatura? Il libro di Suzy Lee parte da questa domanda.

Ombra, Suzy Lee, edizioni Corraini
La trilogia del limite
Suzy Lee
Uno studio sull’album illustrato
17 euro

“Il potere dei gruppi”, breve trattato sulla felicità, e tre buoni consigli

Quest’estate appena trascorsa, deliziosa come un sorbetto al limone, la intitolo “il potere dei gruppi”. E ora vi racconto perché. Ma prima, una piccola premessa:

Premessa:

In qualsiasi attività artistica, più della tecnica, dello stile, della ricerca delle proprie fonti di ispirazione, credo che la cosa più importante da ricercare e approfondire sia “se stessi”. Questo vale, ovviamente, per qualsiasi esistenza. Ma se per altri tipi di mestiere un insuccesso su questo fronte non inficia necessariamente la capacità lavorativa, nei mestieri “artistici”, le conseguenze di una cattiva ricerca sono immediatamente visibili: in termini di difficoltà a lavorare, o di qualità della produzione creativa.
Ma cosa significa cercare se stessi? O diventarlo? Difficile dirlo. Winnicott definiva un individuo sano come qualcuno che ha trovato un buon compromesso tra la sua originalità e quello che la società e l’intorno gli chiedono di essere. Ma sappiamo anche che ben pochi artisti sono stati “sani”. Credo che non si tratti di adattarsi a un qualche tipo di definizione, ma di capire quali forze reggono il nostro personale equilibrio, senza renderlo troppo statico.
Questa parola: “equilibrio”, è fondamentale. Perché ci siamo noi, e ci sono gli altri (il mondo), e la tensione tra questi due poli è sempre problematica. Per poter dire “io” (come ci insegna la filosofia) dobbiamo nostro malgrado riconoscere la dipendenza dall’altro. E parallelamente (in un equilibrio paradossale fra questi due movimenti), per poter dire io, dobbiamo affrancarci dall’altro.

(Leggete, su questa dialettica, il meraviglioso racconto di E.A. Poe William Wilson. Se avete un Kindle potete scaricare il racconto gratuitamente qui).

L’artista è quella persona che va e che viene tra esterno e interno, tra l’io e l’altro, continuamente, come un pescatore di perle che si tuffa, risale in superficie, scambia le perle con qualcuno che gli dà in cambio ossigeno, e poi scende di nuovo giù, nel profondo.

Ora veniamo ai fatti:
Se vi ricordate, avevo iniziato l’estate con un viaggio ad Albarracin. Se vi ricordate, avevo parlato qui dell’incredibile forza che si sprigiona quando si riuniscono sotto lo stesso tetto persone con la stessa passione. Il viaggio era solo all’inizio… e oggi che sono tornata a casa, mi sento di dire che nel processo di ricerca del mio personale “equilibrio”, i gruppi hanno un potere terapeutico di inestimabile valore.

Keith Haring

Potere dei gruppi, 1

Appena tornata da Albarracin, senza blog (mio polmone di respiro sociale) e di colpo segregata nel mio studio, mi è caduto addosso il gnocco della solitudine. Pesante, goffo. Non ricordo più dove, avevo letto che uno scienziato aveva dimostrato che uno degli ingredienti necessari alla felicità era passare almeno 3 ore della giornata in compagnia di gente (diversa da compagni/e, parenti). E almeno un’ora, soli.

Anna Castagnoli, Parco del Putxet, Barcellona, disegno dal vero

Sola nel mio studio, un po’ abbacchiata, ho fatto due+due e ho realizzato che se spesso ero affetta da “paturnie” (anche chi mi conosce non ci crede, ma vi giuro che sono spesso affetta da segrete ambage esistenziali di vario tipo), era perché mi isolavo troppo.
Dal dire al fare c’è di mezzo, quasi sempre, una buona idea. Così pensai a 3 amici barcellonesi illustratori, che frequentavo saltuariamente, e proposi loro di riunirsi una volta a settimana, due o tre ore, per disegnare dal vero. L’idea entusiasmò i miei compagni, che accettarono subito. (Vi invito ad esportarla!). Ogni settimana scegliamo un luogo e partiamo con colori e quaderni alla scoperta di un angolo di Barcellona.

Anna Castagnoli, Bar Tripoli, Martina Franca, disegno dal vero

Mi ha sorpreso l’incredibile piacere che ho avuto nel disegnare, mentre chiacchieravo del più e del meno con i miei amici. Riscoprire il disegno come un gesto, un’attività fluida e spontanea dell’occhio e della mano. Riscoprire il piacere di guardare, come fosse la prima volta, un muro, un tronco, la piega di un braccio. Tra parentesi, imparare a guardare è la cosa più difficile di tutte. Ancora più difficile di disegnare.

Nell’antica Grecia, le idee migliori, ai filosofi (e che idee! Roba da non aver più niente da dire di nuovo per i due millenni successivi), sono venute passeggiando in compagnia.

Insegnamento sulla felicità 1: se hai le paturnie, trova degli amici con cui uscire a disegnare (o con cui uscire a passeggiare).

Keith Haring

Potere dei gruppi, 2

Venerdì 13 luglio, facendo qualche scongiuro (sono superstiziosa), sono partita alla volta di Roma, dove mi aspettava il corso sull’editoria tenuto da Paolo Canton, presso lo studio di Simone Rea.
Vi parlerò presto di questo bellissimo corso in un post a parte. Quello che qui vorrei riportare è il potere di questo corso sulla mia psiche.
Come premessa, dirò che faceva un caldo torrido, cosa che deve aver abbassato le difese a tutti, che presenti nello studio di Simone, durante il corso, c’erano anche due personaggi degni di un libro: il magnifico Orlando, detto anche “Il lottatore di Sumo”,

ed Ettorino (forse il cane più simpatico d’Italia, se ci fosse un concorso).

Non so cosa sia stato: se il caldo, i momenti di pausa in ottima compagnia, le mozzarelle di bufala e la porchetta che ci elargiva il papà di Simone a pranzo, il sorriso di Orlando, il fiato bollente di Ettorino sulle gambe, i massaggi di Ilaria, (che senza conoscerci ci ha massaggiati a turno tutti con mani fatate), le corse pazze sulla spiaggia di Ostia, i grossi aghi con cui infilzavamo panetti di fogli nel maldestro tentativo di rilegare libri, il fatto che ogni volta che finivamo un progetto, Paolo Canton faceva partire un grande e caloroso applauso (e sembrava che essere bravi fosse così facile)…

Alcuni momenti del corso di editoria e rilegatura di libri tenuto da Paolo Canton (editore Topipittori), Roma 2012

O forse il fatto che un gruppo, più di ogni altra cosa (quando è un buon gruppo), ti insegna di come ognuno è diverso, e di come sia proprio questa diversità, e la sua espressione, a creare valore aggiunto (abbiamo sempre una paura così grande, e così inutile, di essere “troppo” diversi). Insomma, qualcosa dentro di me ha fatto crack, il crack della matita di Roland nel libro di André François: un crack che rompe gli schemi, le rigidità, la paura di essere bravi, di piacere o non piacere. Sono ripartita verso casa che ero un’altra, alleggerita di un paio di tonnellate di ciccia psichica (e con due chili  in più di ciccia vera, vedi sopra al capitolo mozzarelle e porchetta).

Insegnamento sulla felicità 2: frequentare luoghi dove bazzica gente generosa, simpatica, di buona cultura, appetito, doti chiropratiche, possibilmente con annessi cani bassotti e bambini.

Keith Haring

Potere dei gruppi, 3

Il corso che ho tenuto a Martina Franca dal 6 al 10 agosto, è stato un altro momento di gioia perfetta. Dopo il primo giorno di corso e reciproche conoscenze, ho dato appuntamento a tutta la classe per incontrarsi nella barocca, bianca, levigata piazzetta di Martina Franca, alle 7:30 del mattino dell’indomani, per disegnare dal vero prima dell’inizio del corso. La mia sveglia non ha suonato, o forse non l’ho sentita. Fatto è che il gruppo si è ritrovato per intero, facendo una levataccia, ma senza di me. Che figura barbina da parte di un insegnante! Quasi trent’anni fa, combinai lo stesso guaio con la mia classe delle medie. Dissi a tutti che prenotavo una pizzeria, poi non prenotai e mi dimenticai pure di andare, col risultato che la classe si ritrovò davanti alla suddetta pizzeria nel suo giorno di chiusura e la mia popolarità, già scarsa, ebbe la sua bastonata definitiva. Da quel giorno, mi guardai bene dall’organizzare di nuovo qualcosa per gli altri.


Alcuni momenti del corso di Anna Castagnoli (sottoscritta) sullo stile, a Martina Franca, Agosto 2012

Ma la vita, tant’è, quando non impariamo qualcosa, ci trascina prendendoci per un’orecchia davanti alla stessa stretta porta, e dai e dai, finché non la passiamo. Crediamo di sapere quello che dobbiamo imparare, e invece dall’altra parte della porta c’è una verità che non ci aspettavamo per nulla.
Le ragazze del corso non solo hanno perdonato questa mia distrazione, ma nei giorni a venire mi hanno coperta di disegni bellissimi, fiori, collane, pasticcini, affetto. (Ancora un grazie di cuore a tutte).

Insegnamento sulla felicità 3: si può sbagliare.

La mia estate è poi finita con una piccola vacanza fuori programma nella selvaggia, primitiva, isola di Minorca, in compagnia di due amici più che speciali. Ma questa è un’avventura che avrebbe bisogno di più di 200 pagine, per essere raccontata come si deve.

E la vostra estate? I vostri corsi? Ben ritrovati cari miei lettori, mi siete mancati!