Che cosa è “lo stile”: un’introduzione. parte 1/2

10 Settembre, 2012

Quest’estate, a Martina Franca, come ogni anno, ho tenuto un corso di illustrazione. Quest’anno il tema che ho approfondito è stato “lo stile”. Vorrei portare qui alcune riflessioni.

Da sinistra a destra: Roberto Innocenti (particolare), Beatrice Alemagna (particolare), Sara Fanelli

LO STILE, un’introduzione

Che cosa è “lo stile”? Cosa si intende quando si dice: non ho ancora trovato il mio stile. Lo stile di quell’illustratore mi piace, etc?
Iniziamo da una definizione semplice:
lo stile, è un rapporto con la realtà. Un modo di interpretarla.
Se ascoltate bene i nomi che sono stati dati ai vari stili nella storia dell’arte, vi accorgerete che questi nomi sono un “modo” di mettersi di fronte alla realtà: Astrattismo. Surrealismo. Iperrealismo. Impressionismo. Puntinismo. Divisionismo. Realismo. Verismo. Espressionismo. etc

Infatti, l’arte figurativa è in qualche modo una “copia” della realtà. Da una parte, c’è un soggetto (paesaggio, natura morta, figura, ma anche – dal novecento in poi: un’emozione interna, un pensiero, uno stato dell’anima). Dall’altra parte, c’è un artista che si mette davanti a questo soggetto e cerca di “trasferirlo” sulla carta o sulla tela. Ma come fare? E quanto questo “trasferimento” viene influenzato dall’artista che lo compie? Quanto dal periodo storico?
Anche una semplice natura morta con bottiglia e bicchieri, poggiata su un tavolo, è un abisso di segni, forme, colori, significati, che non basta una vita a sondarlo. Il pittore Giorgio Morandi ne doveva sapere qualcosa…


Giorgio Morandi

Giorgio Morandi

Come scegliere l’angolo di visuale? A che distanza disegnare gli oggetti? Come rendere la plasticità e la rotondità delle forme? E’ obbligatorio renderla? Se disegniamo tutto in bianco e nero, capiamo lo stesso cosa è il soggetto? Cosa è che favorisce la comprensione di un’immagine? Sono le forme, i colori, le linee esteriori degli oggetti, i contrasti, il contesto, o cos’altro? Nella realtà, gli oggetti hanno una linea di contorno o no? Perché, se li disegniamo con una sola linea, li capiamo lo stesso? Hanno bisogno di una prospettiva o no per essere capiti? Dobbiamo disegnare lo sfondo e tutto l’insieme o solo una parte?

Giorgio Morandi
Giorgio Morandi
Giorgio Morandi

La domanda è: quale è il massimo comun divisore della realtà? Come e quanto possiamo alterare quello che vediamo senza snaturarne il senso? Pablo Picasso ha provato a rispondere con questa famosa sequenza:

Pablo Picasso

Fino a quando un toro è ancora un toro? Come è possibile che nella macchia qui sotto noi vediamo un toro che attacca un torero? Non è una semplice macchia d’inchiostro?

Per quale affascinante fenomeno percettivo ci basta il profilo delle cose per capire cosa sono?

E il toro di Guernica, tutto deformato, è ancora un toro?

Pablo Picasso, Guernica, (particolare)

Una mia allieva, durante il corso, ha trovato questa bella parola dal sapore platonico: “torità”. Quale è la torità del toro? L’elemento ultimo che non possiamo distruggere senza che venga distrutta anche la “torità” del toro?

Pablo Picasso

L’altra domanda importante è: il tipo di alterazione/distorsione/omissione che è stata effettuata dall’artista nel ritrarre il corpo del toro, in che modo altera la mia impressione del toro? Io spettatore, sono colto dalla stessa gamma di emozioni guardando la testa di toro fatta con un manubrio di bicicletta da Picasso e la testa di toro dipinta da Goya? Ovviamente no. Eppure, tutt’e due queste immagini hanno la “torità”. Allora?

Francisco Goya

Possiamo dire questo: c’è un’essenza della cosa (un massimo comun divisore di tutti gli elementi costitutivi della cosa: la “torità” dei tori o l'”alberità” degli alberi, ad esempio), che deve essere mantenuta. Tolta quell’essenza, la cosa, perde la sua natura e il suo senso (il soggetto è incomprensibile, o semplicemente brutto come una stonatura musicale). Una volta individuato questo nucleo primitivo della cosa, possiamo poi giocare ad arricchirlo, declinarlo, interpretarlo, per regalare allo spettatore tutta una gamma di emozioni diverse. Lo stile è esattamente quello che noi decidiamo di fare della “torità” del toro. Un po’ come fa il jazz improvvisando intorno ad alcuni accordi (che però devono venir rispettati).
Ecco alcune variazioni dell'”alberità” degli alberi…

Da sinistra a destra: Matisse, Klimt, Giotto, Picasso.

Bene. Una volta che avete imparato a non “stonare” rispettando il massimo comun divisore delle cose che state disegnando (cosa per nulla facile!), potete iniziare a solfeggiare la vostra musica.

Nella mia personale teoria dell’illustrazione, la “scala musicale” dentro cui cercare le note per costruire il proprio stile, si muove tra due poli ben precisi: l’immagine realistica (la fotografia, il realismo pittorico, etc) da un lato, e l’immagine astratta/grafica, dall’altro. Possiamo dire, grossomodo, che il polo reale riproduce la realtà con un’esattezza del 90% (nell’iperrealismo anche del 110%!), la fotografia la riproduce al 100% d’esattezza, mentre nel polo astratto, al punto d’arrivo massimo, si ha lo 0% di realtà (per realtà, intendo qui ciò che assomiglia alla realtà fisica delle cose, come noi la percepiamo ogni giorno).

Un esempio di immagine realistica: Roberto Innocenti, e di una astratta: Sara Fanelli

La quantità di realtà riprodotta, è uno degli elementi che più gioca nella tonalità emotiva che dà l’immagine allo spettatore. C’è una misteriosa legge percettiva per la quale, in un’immagine, più la realtà riprodotta “sembra vera” (nel gergo che sto usando: più realtà c’è nell’immagine), più l’immagine regalerà toni emotivi potenti e inquietanti. Non a caso, molte religioni hanno vietato la riproduzione delle immagini realistiche. La realtà, riprodotta, incute uno strano timore. Forse perché temiamo la libertà che possono avere le immagini?

Per alleggerire il carico emotivo dell’immagine, dobbiamo sottrarre materia, definizione, tridimensionalità, prospettiva, ombre, texture. Più alleggeriamo la realtà riprodotta, più diciamo allo spettatore: siamo su un foglio/tela, nella dimensione della riproduzione artistica, non c’è pericolo! Entrambi questi coniglietti qui sotto sembrano soli, ma se quello di sinistra ci fa tenerezza, quello di Sowa, a destra, ci stringe il cuore in un pugno. Questo “tono emotivo dell’immagine” non è dovuto solamente alla postura dei corpi o al contesto, è dovuto soprattutto al “realismo” dell’immagine. (Almeno, così la penso io).

A sinistra Natalie Russel, a destra Michael Sowa

Su questo punto, un capitolo, nei miei corsi, è riservato anche al modo di inquadrare le immagini in un libro. Ci sarà una bella differenza di “suono” tra un’immagine incorniciata da un bordo bianco, o con un testo inserito sopra (io illustratore ti sto dicendo: questo è un disegno! Un quadro!) e un’immagine a tutta pagina, senza testo né spazi per il testo (io illustratore ti sto dicendo: questa pagina qui, devi far finta che sia un frammento di mondo).

Io sono solita dividere tutti gli stili possibili in tre grandi gruppi: Realista, Lirico, Astratto. Ma li vedremo nel prossimo post…

Segue…
Nota: Il mio prossimo corso sullo stile, sarà a Trento, il 26, 27, 28 ottobre:
“Dallo storybaord allo stile” corso di illustrazione con Anna Castagnoli, Studio d’arte Andromeda, per info: workshop@studioandromeda.net  Tel. 340 6317215