Bimbi, di Albertine. Le mille espressioni dell’infanzia

 

Bimbi, Albertine, La Joie de Lire 2014

Bimbi, di Albertine, è un libro che, più che un libro, sembra un grande quaderno di schizzi. E’ tutto bianco. Non ha un solo frammento di testo a parte il titolo Bimbi e il colophon, ed è disegnato solo a matita. Invece, è esattamente un libro, perché racconta tantissime storie. O meglio, solo una, la più segreta e intraducibile: quella dell’infanzia.
Protagonisti del libro – soli, in gruppo, contro un genitore, tra le braccia di un nonno, arrabbiati, stanchi, contenti, in fase di coccolite acuta, curiosi, impudichi, di corsa, addormentati, insonni, svegli, timidi… sono, infatti, i bambini.

A volte, un’intera pagina, tutta bianca, accoglie la solitudine di un bambino, altre si trasforma in grande arena dove giocare a rincorrersi in gruppo; in altre ancora una sottile linea di matita traccia un confine sufficiente a diventare nascondiglio. Oppure capita, come se ci fosse bisogno di ancora più bianco, che la pagina sia, senza una ragione apparente, intonsa.
(Durante la selezione della Mostra Illustratori avevamo parlato della necessità, in questo mondo saturato di immagini e parole, del vuoto).

La cosa straordinaria del bianco di Bimbi è la profondità di campo e la sua duttilità spaziale. Sfogliando il libro sembra davvero di avere a che fare con una materia che cambia e si adatta ai giochi dei bambini. A trasformarla basta un semplice accenno d’ombra o una linea che marca lo spazio.
Albertine è bravissima a giocare con il lettore attraverso gli sguardi dei personaggi. A volte i personaggi sono rivolti al lettore con intensità interrogante. A volte si dimenticano di lui perché stanno giocando. Altre gli rivolgono volutamente la schiena, come qualcuno che cerca intimità, per voltarsi verso abissi di bianco che il lettore sente appartenere solo a loro (come nell’esempio qui sotto, che è anche l’ultima pagina del libro).

Nel seminario di psicanalisi su La lettera rubata, del 1955, Jacques Lacan rivoluziona l’idea freudiana del luogo dell’inconscio: l’inconscio non è invisibile perché nascosto, è invisibile per eccesso di evidenza. Per dirla in modo semplice, è così sotto gli occhi di tutti che finiamo per non vederlo.


Il corpo dei bambini, così libero nelle sue espressioni, parla. Tiene un discorso sull’essere. E’ questo che sembra volerci dire Albertine.
Quando ho sfogliato il libro, superata la prima sensazione di un album facile, ispirato ai personaggi di Edward Gorey, sono stata catapultata dentro  il ricordo esatto di cosa significhi essere bambini: avere un corpo.
Non solo tutto era corpo in me, quando ero bambina. Il mondo stesso era corpo. Il suo significato era tattile, fisico, binario. Non metaforico, non simbolico.
I simboli, insieme alla parola, sono venuti dopo. Il mondo era tutto cosa, spazio, superfici. Era un turbinio di luci e sangue dietro le palpebre chiuse. Quando le aprivo, lo misuravo in spanne: era mondo da percorrere, da scalare, da sfidare, da spostare. Era spazio. Non so se è così per tutti i bambini, ma per me non c’era nulla di più interessante degli spazi: dall’interstizio tra letto e armadio, da quello tra dita e dita del piede,  fino a quello aperto, vasto, oltre le cime degli alberi. Era calore: quello rassicurante del letto dei miei genitori, o del giubbotto che veniva a posarsi come una carezza sulle braccia infreddolite dai giochi della sera. Era odore: quello del profumo di mia madre, del cuscino sbausato di saliva di dito succhiato, della notte fuori dalla finestra, della polvere, delle cose assolate.

Ed ero curiosa. Di un oggetto che smontavo, del rapporto tra l’ombra che si muove e il sole, del mio corpo, del corpo degli altri. Il senso che mi costruivo del mondo avanzava per sensazioni fisiche.

Era fisico il rapporto con i grandi. Pesanti da spostare quando la loro grande altezza stava per un no; faticosi da trascinare quando si fermavano a parlare con gli amici; minacciosi quando erano arrabbiati; comodi quando ti portavano in spalla; rassicuranti quando ti guardavano sorridendo; scudi ben robusti quando, al di là di loro, qualcosa faceva paura. Lontani e imperscrutabili quando la loro attenzione non era rivolta a noi bambini.


 

Più tardi, sono venute le parole. E con le parole i segreti, i malintesi, il lungo filo del senso. Il mondo si è complicato di relazioni, fraintendimenti, note scolastiche, voti, silenzi che ferivano.
E’ stato un sublime tuffo nella memoria, sfogliando le moltissime pagine del libro, ritrovare com’era il mondo prima che le parole diventassero importanti.

Bimbi
Albertine
Le espressioni dell’infanzia
28,50


I 5 malfatti di Beatrice Alemagna. O della felicità di avere dei difetti

“È cosa evidente e osservata tuttogiorno, che gli uomini di maggior talento sono i piú difficili a risolversi tanto al credere quanto all’operare; i piú incerti, i piú barcollanti e temporeggianti, i piú tormentati da quell’eccessiva pena dell’irresoluzione; i piú inclinati e soliti a lasciar le cose come stanno; i piú tardi, restii, difficili a mutar nulla del presente, malgrado l’utilità o necessità conosciuta. E quanto è maggiore l’abito di riflettere e la profondità dell’indole, tanto è maggiore la difficoltà e l’angustia di risolvere”. (Zibaldone, Leopardi. Recanati 1821)

“ERANO CINQUE. CINQUE COSI MALFATTI.
IL PRIMO ERA BUCATO, QUATTRO GROSSI BUCHI IN MEZZO ALLA PANCIA.
IL SECONDO ERA PIEGATO IN DUE, COME UNA LETTERA DA SPEDIRE.
IL TERZO ERA MOLLE, SEMPRE STANCO, ADDORMENTATO.
IL QUARTO ERA CAPOVOLTO. NASO IN GIÙ E GAMBE IN SU.
E IL QUINTO… LASCIAMO PERDERE. IL QUINTO ERA SBAGLIATO DALLA TESTA AI PIEDI. UN AMMASSO DI STRANEZZE. UNA CATASTROFE”

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014

Inizia così I cinque Malfatti, l’ultimo libro di Beatrice Alemagna. Un album di una tale fulminante bellezza che alla prima lettura è salito nella cinquina dei miei libri illustrati preferiti nell’universo mondo. Niente ha a che vedere, questa preferenza, col fatto che il libro mi sia stato dedicato: quello, è un ultra plus plus di emozione.

Nella fiabe per bambini, la dialettica tra eroi e antieroi vede sempre premiati i secondi. Dei sette o undici figli del proverbiale contadino delle fiabe, è sempre l’ultimo, il più mingherlino, il più fragile, il più sciocco, che riuscirà, per una ragione o per l’altra, a spuntarla.

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014, dettaglio

Il filosofo Giorgio Agamben lo spiega così:

Forse perché il bambino è un essere incompiuto, la letteratura per l’infanzia è piena di aiutanti, esseri paralleli e approssimativi, troppo piccoli o troppo grandi, gnomi, larve, giganti buoni, geni e fatine capricciose, grilli e lumache parlanti, ciuchini cacadenari e altre creature incantate che al momento del pericolo spuntano per miracolo a trar fuori d’impaccio la buona principessina o Giovanni senza paura.
Sono i personaggi che il narratore dimentica alla fine della storia, quando i protagonisti vivono felici e contenti fino alla fine dei loro giorni; ma di loro, di quella “gentaglia†inclassificabile cui, in fondo, devono tutto, non si sa più nulla. Eppure provate a chiedere a Prospero, quando ha dimesso i suoi incanti e fa ritorno, con gli altri umani, al suo ducato, che cos’è la vita senza Ariele. (Giorgio Agamben, Gli aiutanti, in Il Giorno del Giudizio)

Era agli aiutanti citati da Agamben e agli omini gobbi di benjaminiana memoria a cui pensavo quando ho cucito con un solo filo i libri di Beatrice Alemagna nell’introduzione al suo lavoro sul catalogo di Sarmede, nel 2010 (Il mondo delle cose fragili).
I protagonisti dei libri di Beatrice sono sempre figure incompiute, rotte, sbeccate, distratte, svagate, malinconiche, perdenti e perdute.


I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014

Beatrice mi ha raccontato al telefono che quando ha letto il mio saggio per il catalogo di Sarmede ha trovato la forma per un’idea che aveva in germe, ed è uscito questo libro, che parla della rivincita di tutti gli omini storti.
I cinque malfatti non amano fare niente, perdono tempo, non riparano la loro casa, la quale casca loro in testa. La sola cosa che li diverte è discutere tra loro su chi è il più malfatto.
Il ritmo delle prime pagine del libro è volutamente discreto, blando: un ritmo da perdigiorno. A inizio libro, quando dovrebbe partire l’azione, tutti dormono.
Ma girando la settima pagina, un colpo di scena:

“UN GIORNO, DA NON SI SA DOVE, ARRIVÃ’ UN TIPO STRAORDINARIO”

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014

La storia diventa epica. Arriva l’eroe. E’ il destino stesso che entra in campo con la formula magica “Un giorno, da non si sa dove, arrivò…â€. Un destino capace di capovolgere sorti e animi. Bellissima la diagonale a zig zag della strada che si perde nell’infinito dell’oltre-storia. Sul fondo bianco, l’occhio segue la vertigine del lontano che diventa vicino. Fortissima la tensione teatrale dell’entrata in scena (a sinistra, come tradizione teatrale vuole) del nuovo protagonista. I malfatti sono rientrati in casa e forse stanno cucinando qualcosa (c’è fumo che esce dal camino). Loro non sanno che il destino è arrivato, il lettore sì.
Superba retorica del pathos.

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014, dettaglio

La pagina che segue non delude l’attesa. A presentarsi, occupando tutta la doppia pagina con la sua fluente capigliatura, è nientepopodimeno del perfetto.

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014

“ERA BELLO, LISCIO, PERFETTO, AVEVA UN NASO AL POSTO DEL NASO, UN CORPO BELLO DRITTO, NEMMENO UN BUCO IN PANCIA, PURE UNA BELLA CAPIGLIATURA”

Non si può non ridere davanti a questo ritratto della vanità. I miei nipoti sono scoppiati in una fragorosa risata. E’ la posizione del corpo del perfetto, con la sua posa di vanesio incapace di dubbio, che fa ridere. Beatrice Alemagna ha sempre avuto una facilità felice nell’animare il corpo dei suoi personaggi.
Nella pagina successiva, il perfetto guarda i malfatti dall’alto in basso. Come fanno gli adulti con i bambini. Chiede loro cosa fanno, e quegli altri rispondono: Boh. Niente. Sbagliamo tutto.
Da notare che fino ad ora i malfatti erano tranquilli e allegri. Anche se uno innaffiava il divano invece della pianta. L’altro dormiva sempre. L’altro ancora si bagnava le pieghe quando pioveva. Niente era grave. Non c’era in loro un giudizio di merito sul loro essere al mondo. Sarà solo dopo che il perfetto si indigna e suggerisce loro di farsi venire un’idea (“Bisogna trovarvi qualcosa, un progetto, una soluzione, un’idea!“) che i malfatti cominceranno a riflettere sul senso di loro stessi. Ma che idee potranno mai avere?

Al bucato le idee passano attraverso, il piegato non le trova nelle pieghe, il molle le ha molli… etc.
Il perfetto, sempre più scandalizzato da tanta ignavia, emette la sua sentenza:

“DUNQUE NON SERVITE A NIENTE! Siete delle vere nullità!”

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014, dettaglio

Questa è la frase cardine del libro.
Da una parte c’è un’economia giocosa, pre-industriale, pre-adulta, dove la moneta di scambio è il piacere (la lettura, il riposo, la cucina, la cultura, lo scambio, l’amicizia, la condivisione divertita dei difetti di ognuno, il piacere del gioco e della chiacchiera), dall’altra un’economia post-industriale, dove il valore delle cose viene misurato, quantificato, pesato in funzione della sua utilità pratica (servire a qualcosa, avere un progetto, trovare una soluzione, avere un ego ben pasciuto, un corpo perfetto, avere tutto al posto giusto come le macchine in serie).
Da una parte c’è un gruppo di amici (il difetto non può che essere personale, e l’amicizia non può prescindere della persona), dall’altra la solitudine (la perfezione è sempre seriale, l’amicizia, quella vera, fugge la serie).

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014, dettaglio

Tristi dell’aver scoperto di non valere nulla, ognuno dei cinque malfatti cerca dentro di sé il senso di se stesso. E’ proprio bello, rassicurante, che il senso che trovano abbia origine proprio dal loro difetto: il piegato, nelle sue pieghe, nasconde tutti i ricordi.

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014, dettaglio

Il capovolto vede le cose che gli altri non vedono…

“AHHH! Rise lo sbagliato, IO, CHE SONO TUTTO SBAGLIATO, QUANDO MI RIESCE QUALCOSA, SI FA FESTA!”

Essere felici di essere se stessi significa cambiare prospettiva di lettura di sé. Il cambio di prospettiva scatta nel momento del confronto col perfetto. (Il senso di sé è sempre dialettico: non c’è senso senza un confronto).

Non vi dico come finisce il libro, vi lascio la sorpresa. Vi dico solo che è uno dei finali più lievi e belli che abbia mai letto. E’ un’alzata di spalle. Un salto di Cavalcanti. Un inno alla leggerezza di essere sé.

I cinque malfatti, Beatrice Alemagna, Topipittori 2014

Vorrei aggiungere una testimonianza, che è la reazione dei miei nipoti (6 e 8 anni) al libro. Quando ho letto loro il passaggio in cui il capovolto dice che da capovolto vede le cose che gli altri non vedono, si sono messi a testa in giù sul letto, per provare. Siccome avevano appena cenato, ho suggerito loro che potevamo anche girare il libro al contrario. Così, si sono fatti rileggere tutta la storia da capo, per guardare le figure dalla prospettiva dell’omino capovolto.
L’empatia è l’unica qualità che mancava al perfetto.

I cinque malfatti
Beatrice Alemagna
I difetti sono tesori
17 Euro

ps: Grazie Beatrice per la dedica, da tutte le mie pieghe distese. Anna


Vedere le cose dentro la testa. Un’altra lezione di Martin (6 anni)

Questo week-end l’ho passato in Francia, dove vivono i miei nipoti. Per quattro giorni filati, ho avuto tra le mani (e le braccia) l’allievo più giovane della mia storia di insegnante: Martin. Di Martin, e del suo interesse vivissimo per il disegno e l’illustrazione, vi avevo già parlato in questo post.
Questa volta, ho provato a insegnargli a disegnare dal vero. Dico “provato” perché già dopo pochi minuti che disegnava mi è stato chiaro che ero io ad avere tutto da imparare da lui.

Ai miei corsi di illustrazione, dico sempre che bisogna imparare a vedere. Paul Valéry scriveva: “Dovremmo provare a guardare attraverso gli occhi, invece di guardare attraverso i concetti”. Voleva dire, credo, che gli adulti hanno ormai dei concetti molto precisi attraverso i quali filtrano il mondo: “L’albero”, “La casa”, “Una pietra”… Quando guardano, la maggior parte delle volte, guardano il concetto, e non vedono cosa hanno davvero davanti agli occhi. “Disegnare dal vero” è un esercizio di umiltà davanti al mondo, che non è mai uguale a se stesso.
Vedendo disegnare Martin, disegnando insieme a lui (spesso sullo stesso foglio), mi sono accorta che ho ancora molta strada da fare per imparare a guardare. Una caterva di concetti guidava la mia mano. La mano di Martin, invece, era libera, disinibita, creativa.


Nel paesaggio che avevamo davanti, a un tratto, è passata un gazza; lui l’ha aggiunta al disegno. Non sembrava importante che il soggetto ritratto non fosse più presente. Gli ho chiesto: Come fai a vederla se non c’è più? Mi ha risposto: La vedo dietro gli occhi, qui. E ha indicato un punto sulla fronte. Dopo aver disegnato due zampe, ne ha aggiunta una terza, commentando: Perché andava veloce. Era chiaro che non pensava che la gazza avesse tre zampe: aveva cercato una soluzione grafica per dare l’idea del movimento.

Questo qui sotto è un disegno che abbiamo fatto a quattro mani. Tutte le parti “alla Hockney” sono sue, come anche il pavimento di pietra, dove ha ricalcato le linee che presentavano un’ombra. Io ho fatto il muro in prospettiva e i chiari scuri.

Disegno a 4 mani, Anna e Martin

Abbiamo lavorato concentrati e molto seri per quasi un’ora. Ogni tanto gli facevo un complimento e lui rispondeva, mezzo in francese mezzo in italiano: C’est la vie, vedo le cose dentro la testa.
Alla fine, mi ha chiesto se avrei messo il  suo disegno su facebook. Gli ho detto che l’avrei fatto. Mi daranno quanti “J’aime”? (Mi piace), ha chiesto. Io: Non so, tanti. E lui: Mille? E io: di più, forse.
Io sono di parte, ma gliene darei inifiniti.

ps: Domenica (ieri sera), sono rientrata a Barcellona. Ho aperto il computer e ho trovato una mail di Martin. Si era appositamente fatto aprire dal papà una casella gmail per mandarmi il disegno qui sotto.
E’ il disegno dal vero della sua stanza, fatto quando io ero già partita. Ovvio che ho avuto gli occhi tutti lucidi.

 


Una grande mostra su Carl Larsson al Petit Palais di Parigi

Carl Larsson, l’imagier de la Suède

7 marzo – 7 giungo 2014

Nel post di ieri ho dimenticato questa importante mostra su Carl Larsson al Petit Palais di Parigi (grazie a Florizelle per la segnalazione). Mi sembra comunque un segnale fantastico che due dei più importanti musei di Parigi (e del mondo) propongano mostre sui mostri sacri dell’illustrazione per ragazzi (Doré e Larsson).

L’esposizione «Carl Larsson, l’imagier de la Suède», al Petit Palais di Parigi, presenta per la prima volta in Francia il grande maestro dell’arte svedese del 900. Centoventi opere – acquarelli, oli, stampe e mobili, immergono il visitatore nella calma della vita quotidiana e in una campagna altrettanto rilassante, simboli dell’arte di vivere svedese. (…) Ma è soprattutto per il suo lavoro di illustratore che Carl Larsson (1850-1919) ha conosciuto una gloria internazionale che si è mantenuta intatta fino ai nostri giorni.
Dove: Petit Palais, Mus̩e des Beaux-Arts de la Ville de Paris. Avenue Winston Churchill Р75008 Paris
Web: http://www.petitpalais.paris.fr/fr/expositions/carl-larsson-1853-1919-limagier-de-la-suede

 


Agenda illustrazione 2014: 5 mostre nel mondo

 

Clown mécanique, années 1970 © Les Arts Décoratifs, Paris photo Jean Tholance

PARADE

12 dicembre – 11 maggio 2014 (Parigi)

200 e più giocattoli legati al mondo del circo e del teatro, e una collezione di clowns meccanici. Ad accompagnare l’esposizione un percorso di fotografie, immagini, opere di artisti che hanno lavorato intorno al tema del comico e dell’immagine animata per l’infanzia.
Dove: Musée des Arts Décoratifs, 107 rue de Rivoli 75001 Parigi
Link: http://www.lesartsdecoratifs.fr/francais/arts-decoratifs/expositions
Qui trovate il calendario delle attività legate alla mostra per  adulti e bambini.

ANDRÉ FRANÇOIS – REMEMBER

25 gennaio – 3 maggio 2014
(Margny-lès-Compiègne, Francia)

Prima una notizia meravigliosa: HA APERTO UN MUSEO ANDRÉ FRANÇOIS! Margny-lès-Compiègne, a nord di Parigi.
L’11 aprile 2005 mancava André François, uno dei più grandi geni dell’illustrazione per bambini de novecento (qui un mio post sul suo Roland). Per l’occasione, 50 illustratori gli hanno reso omaggio. Oggi che esiste un Centro a lui dedicato ( Centre André François, Centre Régional de Ressources sur l’Album et l’Illustration), la mostra viene presentata di nuovo.
Opere di: Beatrice Alemagna, May Angeli, Gilles Bachelet, Michel Backès, Christophe Besse, Quentin Blake, Serge Bloch, Michel Boucher, Alice Charbin, Nicole Claveloux, Jean Claverie,Pierre Cornuel, Katy Couprie, Michelle Daufresne, Thierry Dedieu, Etienne Delessert, Claudine Desmarteau, Malika Doray, Jacqueline Duhême, Philippe Dumas, Stasys Eidrigevicius, Pierre Etaix, Isabelle Forestier, Claire Forgeot, Henri Galeron, Letizia Galli, Alain Gauthier, Martin Jarrie, Louis Joos, Kitamura Satoshi, Lionel Koechlin, Léo Kouper, Georges Lemoine, David McKee, Daniel Maja, Alan Mets, Consuelo de Mont Marin, Sarah Moon, Pef, François Place, Yvan Pommaux, Claude Ponti,Denis Pouppeville, Laura Rosano, Tony Ross, Sara, Jean-Charles Sarrazin, Ronald Searle†, Carme Sole-Vendrell, Grégoire Solotareff, Frédéric Stehr, Tomi Ungerer, Christian Voltz, Anne Wilsdorf, Zaü
Dove: 70, rue Aimé Dennel, Margny-lès-Compiègne
Sito web:  http://www.centreandrefrancois.fr/les-expositions-du-centre

I giurati 2014: Chiara Carrer, Carll Cneut, Ewa Stiasny, Valerio Vidali
Un momento dell’esposizione 2014, Crediti foto: Daniela Tieni

ILUSTRARTE 2014

16 gennaio 2014 – 13 aprile 2014 (Lisbona, Portogallo)

La mostra espone gli originali dei 50 illustratori selezionati nel concorso 2014 Ilustrarte. 3 tavole per ogni illustratore. In questo post i vincitori di questa edizione; in questo post le immagini degli italiani selezionati. La selezione di Ilustrarte è, ogni anno, un tornasole imprescindibile del meglio dell’illustrazione europea.
Dove: Museu da Electricidade Av. de Brasília, Central Tejo 1300-598 Lisbona, Portogallo
Web: http://www.ilustrarte.net/PT/ilustrarte2014/juri.htm


GUSTAVE DORÉ: (1832–1883) MASRTER OF IMAGINATION

13 giugno – 14 settembre 2014 (Musée d’Orsay, PARIGI)

Una delle più grandi retrospettive degli ultimi trent’anni su Gustave Doré. La mostra esplora anche le influenze che Doré ha avuto sull’arte e l’illustrazione moderna: da Van Gogh a Terry Gilliam.
Dove: Musée d’Orsay, 1, rue de la Légion d’Honneur, 75007 Paris.
Link: www.musee-orsay.fr/en/events/exhibitions


LE AVVENTURE DI DOLORES WILSON

Dal 12 febbraio al 6 aprile 2014 (Parigi)

Una mostra sul personaggio creato da Aurore Petit, illustratrice dal tratto freschissimo e fantasioso, al crocevia tra graphic novel, fumetto pop e illustrazione. La mostra espone le tavole orriginali dei due primi libri della serie Panique (Ed. Les fourmis rouges)
Dove: Le Musée de Poche, 2 rue Auguste Barbier 75011 Paris
Web: http://museedepoche.fr/

THE ABC OF IT: WHY CHILDREN’S BOOKS MATTER

Fino al 23 marzo 2014 (New York)

Leonard Marcus propone una densa esposizione di libri per ragazzi, la loro storia, il loro ruolo nel rapporto che la società ha avuto coi bambini attraverso il tempo. 250 opere, dal XVII secolo ad oggi: africa post-coloniale, avanguardia russa, manga, india contemporanea…
Per più informazioni il bel post dei Topipittori che hanno visitato la mostra l’anno scorso.
Dove: Stephen A. Schwarzman Building, 5th Avenue E 42nd St 10018-2788 New York
Web: http://www.nypl.org/events/exhibitions/abc-it

Grazie a Cligne Cligne per alcuni di questi link


Avere un corpo, avere un sesso, averne due: il caso politico di Tous à poil! (Tutti nudi)

IL FATTO

Jean-François Copé, politico francese in cerca di consenso da parte dell’elettorato di destra, il 9 febbraio scorso, durante una diretta (qui), è inorridito davanti a un libro illustrato per bambini intitolato “Tous à poil!” (Tutti nudi!), e ha chiesto che venisse tolto dagli scaffali delle scuole. Il libro faceva parte di una lista di libri consigliati alle scuole elementari da un’associazione che lavora per l’educazione alla parità di genere.
La miccia, già accesa dai dibattiti sul valore del programma ABCD  de l’égalité (ABCD dell’uguaglianza), è esplosa.


Claire Franek e Marc Daniau, Tous à poil! Edizioni Le Rouergue, Francia

ABCD de l’égalité è un programma sperimentale, sostenuto dallo Stato francese, che mira a combattere gli stereotipi di genere nelle scuole; programma che dagli inizi del 2013 ha preso il via in 600 classi pilota. Cito l’incipit del programma:

“Trasmettere dei valori di uguaglianza e rispetto tra ragazze e ragazzi, uomini e donne, è una delle missioni essenziali della scuola, alla base della possibile riuscita di tutti gli allievi, delle ragazze come dei ragazzi”.

Tommy Hammarsten

Il progetto è stato preso di mira in modo così virulento e confuso che, per qualche giorno, alcuni genitori non hanno mandato a scuola i figli, convinti che si volesse proporre loro un “cambio di sesso” (!).
In Italia, di recente, sono accaduti episodi simili:

Leggere senza pregiudizi”, progetto promosso nelle scuole venete da Camilla Seibezzi, delegata ai Diritti Civili del Comune di Venezia, che ha proposto alle scuole materne una lista di libri per educare al rispetto della diversità, progetto poi ferocemente attaccato dalla Udc (vedere video). Per un riassunto della vicenda, leggere  Sulle 49 cosiddette fiabe gay di Marnie Campagnaro. Oppure, gli opuscoli dell’Istituto Beck per gli asili e le scuole elementari, promossi dall’UNAR, che, in Umbria, hanno portato alcuni genitori a minacciare di togliere i figli da scuola (qui un articolo, e qui il PDF di uno degli opuscoli).

I temi sollevati da questi episodi sono diversi e complessi: vanno dalla necessaria educazione al rispetto per tutti gli essere umani, a prescindere dal loro orientamento politico, religioso, sessuale (“ABCD” e “Leggere senza stereotipi” mi sembrano andare in questa direzione), al desiderio di mostrare un corpo meno stereotipato (“Tous à poil!”), fino al tentativo di educare all’accetazione di diversi orientamenti sessuali, e alle differenze tra identità biologica e identità di genere (leggere gli opuscoli dell’Istituto Beck).

Claire Franek e Marc Daniau, Tous à poil! Edizioni Le Rouergue, Francia

Ma concentriamoci ora sul caso Tous à poil!, che mi sembra sintomatico.
Jean François Copé ha accusato il libro di diseducare al rispetto dell’autorità e, persino, di istigare alla pedofilia (?). Edito tre anni fa da Le Rouergue, il libro mostra molte persone di sesso, età e mestieri diversi (anche la maestra, il poliziotto, la baby-sitter…) mentre si liberano dai vestiti con allegria, svelando senza inibizione come è fatto il corpo.

I due autori del libro hanno spiegato a LeFigaro l’intenzione del loro progetto:
Abbiamo quattro bambini e ci siamo interrogati sulla questione (del corpo. N.d.r.). I bambini sono circondati da immagini di corpi più o meno svestiti: nella pubblicità, sugli autobus, sulle copertine delle riviste. Queste immagini sono spesso truccate, ritoccate, modificate dalla chirurgia estetica o da photoshop. Abbiamo voluto proporre uno sguardo più onesto sul corpo. Mostrando delle persone che fanno parte dell’ambiente e dell’immaginario dei bambini. E, soprattutto, lo abbiamo fatto con humor”.
Potete vedere i due autori in una foto provocatoria rivolta a Copé, qui sotto.


Gli autori di Tous à poil! Claire Franek e Marc DaniauCrediti, foto Rémy Artiges, Libération

Per difendere il libro e la libertà di espressione, tutto il mondo dell’edizione per ragazzi francese è insorto contro Jean-François Copé (insieme a loro, il Ministro dell’Istruzione + vari ministri e politici): lanciando messaggi, manifesti e campagne di diverso tipo e sapore. Come quella nella foto qui sotto, dove 14 professionisti (editori e librai) si sono spogliati usando i libri illustrati a mo di foglie di fico. Questo, meno ironico, è invece il manifesto della Charte des auteurs et des illustrateurs : La litterature jeunesse attaquée.

14 professionisti della regione francese Nord-Pas-de-Calais, in una campagna per appoggiare la libertà di espressione nei libri illustrati

Moltissimi illustratori, per protesta, hanno re-illustrato i classici della letteratura per ragazzi, però nudi. Potete seguire questa e altre proteste a sostegno di Tous à poil! sulla pagina facebook dedicata.


Claude Ponti, Tous à poil!

Un altro gruppo di genitori-illustratori, in controtendenza, ha dato il via a un progetto paradossale: tutto il governo nudo!
Questa la provocazione: i ministri e i politici che accusano JF Copé di essersi ridicolizzato a voler censurare un libro per bambini, sono così sicuri che si possano togliere i vestiti proprio a tutti? E se fossero loro a venir spogliati in un libro, lo troverebbero ancora divertente? Così, parodiando il libro, questi genitori-illustratori hanno spogliato anche i ministri. Insomma, c’è tutta la Francia in mutande (o senza) :-)
La domanda che questi genitori-illustratori volevano sollevare è: non ci sono proprio limiti? Si può davvero giocare con qualsiasi cosa, istituzione, valore, sotto il pretesto che un libro illustrato è divertente e innocente? Qui sotto potete vedere il ministro francese delle Funzioni Pubbliche… biotta.
(In realtà, c’è un errore di fondo in questa provocazione: spogliare un’istituzione: –la maestra, il poliziotto-,  non è un gesto che può essere messo sullo stesso piano dello spogliare una persona con nome e cognome).

Una parodia del libro Tous à poil con un ministro francese

Non mi interessa, qui, discutere dei risvolti politici della querelle, né di teoria di genere. Vorrei provare a fare un passo indietro e ragionare sul perché proprio dei libri per bambini si trovano al centro di questa ed altre battaglie. Per farlo, penso che Tous à poil!  sia una scelta (forse all’insaputa di Copé) perfetta.

IL SENSO DELLA NUDITA’

Vi dico perché è intrigante, secondo me, il libro accusato da Copé. Perché dice chiaramente che ci sono due corpi: uno pubblico e uno privato. Il corpo pubblico è un corpo vestito. Vestito di stereotipi, mode, stili, comportamenti, regole, che fanno i conti con una data società in un dato momento storico (oltre che con una classe sociale, un gruppo religioso, il sotto-gruppo di una famiglia, etc). Il corpo privato, invece, è un corpo spogliato, intimo come il rapporto che ognuno stabilisce col proprio io,  ed è sentito come peculiare, irripetibile, personale e diverso da tutti gli altri. Sarebbe interessante ritracciare una storia dell’umanità attraverso il rapporto che questi due corpi hanno intrattenuto.
In molti paesi il divario è sottilissimo, si pensi, ad esempio, al Giappone.

Edgar Degas, Cretesi contro spartani

La Francia è, per tradizione, una nazione dove la separazione tra corpo pubblico e corpo privato è molto rigida. Tutto un protocollo di regole ed etichette sociali sancisce, più rigidamente che altrove, come ci si deve comportare in pubblico.
In Spagna, come in altri paesi mediterranei, la separazione è meno rigida. Per fare un esempio, fino a poco tempo fa, in Catalogna, era legale andare in giro nudi per le strade di una città. Il signore qui sotto, con le mutande tatuate, lo si vedeva spesso per le strade di Barcellona. In inverno, si metteva i calzini. :)

Simbolicamente, un essere umano nudo è un essere spogliato di tutto quello che di più umano abbiamo: cioè, la cultura. Nudi sono gli animali. Nudi sono gli angeli quando cadono sulla terra perché Dio li ha spediti a vedere un po’ cosa significa essere uomini (Cosa fa vivere gli uomini, Tolstoj). Nudi sono i primitivi e la loro nudità, nella prospettiva dei colonizzatori, è segno di barbarie e inciviltà. Nudi sono i fedeli e i santi quando si liberano dell’inutile peso di una data cultura e tradizione (vesti, ornamenti, gioielli, simboli). Nudi erano, per eccellenza, Adamo ed Eva, prima che il frutto della conoscenza portasse loro il sentimento della vergogna.

Colonizzatori spagnoli in America
Giotto, San Francesco d’Assisi si spoglia davanti al papa

La nudità è anche simbolo di verità. E’ un bambino che grida Il re è nudo! nella bella favola di Andersen. Essere messi a nudo, significa, metaforicamente, essere ridotti alla propria verità ultima. Venir smascherati.
Il corpo pubblico e quello privato coincidono volentieri quando si è all’interno di una raffigurazione artistica. (Tutta l’arte è un grande, potente, oggetto transizionale winnicottiano, che si pone a metà strada tra la società e lo sguardo di un dato individuo). Ma anche nell’arte la nudità è concessa (e non in tutte le culture!) a determinate condizioni, sancite dalla legge o dalla tradizione. L’origine del mondo di Courbet aveva destato scandalo per quel primo piano così inusuale.

Giorgione
Gustave Courbet, L’origine du monde, 1866

I bambini, nelle raffigurazioni pittoriche, sono spesso nudi, anche quando hanno intorno adulti vestiti. Lo sono anche i putti e le fanciulle pubescenti. L’equazione innocenza-nudità è un tòpos della storia dell’arte.

Caravaggio

E’ lunghissimo l’elenco di simboli e significati che la nudità ha indossato nel tempo. Ma per riassumere, potremmo dire che nudi, in società, non si può stare. I due corpi, pubblico e privato, stanno insieme a fatica. Quando spogliarsi è concesso, lo è dentro confini ben precisi (una legge o un uso che lo consente in un luogo e tempo dati: un rito, un bagno pubblico, una spiaggia, una pubblicità, un quadro, il cerchio ristretto della famiglia o di una coppia).
Fuori da questo recinto, la nudità è sempre una provocazione.
Per riprendere l’immagine inziale dei due corpi, è come se, fuori dai margini in cui la nudità è legittimata, il corpo privato provocasse quello pubblico con il solo fatto di esserci. Il soggetto si mette, lui solo, con la sua forma precisa e irripetibile, di fronte all’insieme di norme che regolano e sanciscono il corpo pubblico, e ne sottolinea il divario (più o meno grande). Per prendere ad esempio il nostro Tous à poil!, il mago nudo non è così provocatorio come lo è un ministro nudo. Perché il corpo pubblico del ministro è molto pubblico, quindi il divario col suo corpo privato, più grande.

La nudità del corpo privato, con la sua forma irripetibile, basta da sola a mettere in discussione un sistema. La rivoluzione del 68, in questo senso, è stata esemplare. Insieme agli abiti ci si liberava degli abiti di un’intera società.

Un’attivista del movimento Femen

Non credo c’entri molto, con la provocazione del corpo nudo, la sua componente sensuale o sessuale (a meno di non dire che l’unicità dell’individuo è esattamente la cifra della sensualità e quindi della seduzione). Le fotografie degli ebrei nudi nei Lager nazisti non sono oscene perché quei corpi sono nudi: sessuati, o sensuali; ma perché in quella nudità possiamo leggere l’unicità e la fragilità di una singola persona, la sua irripetibilità nella storia. Non c’è equivoco, nonostante la magrezza dei corpi: ognuna di quelle persone non è intercambiabile con un’altra. Ognuno di quei corpi è il segno di un’unicità assoluta. Ed è proprio contro quell’unicità che si abbatte il peso schiacciante dei totalitarismi.

Forte come un orso, di Katrin Stangl, Topipittori: uno dei libri che l’Udc vorrebbe bandire dalle scuole veneziane

Ora, i bambini  sono, per la loro nudità, la loro inesperienza, la loro giovinezza, quanto di più provocatorio può esserci per il corpo pubblico. Un neonato ha la massima distanza possibile tra corpo privato e corpo pubblico. Il poco che ha di suo, è solo suo. Da quel momento in avanti la sua peculiarità si misurerà, mescolerà, confronterà con il corpo pubblico: un percorso necessario che darà forma alla sua specificità di persona e cittadino.

Journée de Roger, di M. Vanasek 1925

Secoli fa, quando tutto un popolo era da educare ai nuovi dettami della classe borghese, i bambini, i loro modi, la loro inciviltà, venivano  spesso paragonati al popolo, oppure, dopo le espansioni coloniali, ai selvaggi (leggete, a questo proposito, l’illuminante: Il bambino estraneo, la nascita dell’immagine di infanzia nel mondo borghese).
I fratelli Grimm hanno riscritto le loro fiabe cinque volte, adattandole ogni volta all’evoluzione lenta e radicale che ha visto mutare, nell’arco di pochi decenni, il rapporto tra adulti e bambini in Europa.
L’infanzia non è qualcosa di scontato o assodato: ha bisogno di essere inventata. Detto altrimenti, il corpo del bambino, essendo il più nudo dei corpi, è anche quello che ha maggiormente bisogno di essere vestito.


In the night of kitchen, Maurice Sendak

Il bambino nudo di In the night  kitchen di Sendak, del 1970, (che resta nudo per tutta la durata del libro) è un bambino che si ribella al destino culturale di diventare in fretta un buon borghese educato: rivendica una nudità che è simbolo di fantasia, originalità, irriducibile specificità. Ma non crediate che non sia, anche quell’infanzia libera e spregiudicata, un’invenzione adulta. Non se ne esce. “I bambini”, al plurale, non esistono. Ogni volta che sentite parlare di bambini al plurale, state sentendo parlare di corpo pubblico. Il corpo privato è sempre uno, unico, irriducibile a un sistema di pensiero. E’ un’esperienza e la conosce, nella sua verità, solo il soggetto che l’ha esperita.

Cartello contro la censura, in una libreria americana

Le società e i sistemi di pensiero, più o meno lentamente, cambiano. L’infanzia, da quando si è costituita come categoria sociale, è il terreno più fertile dove seminare nuove idee, o confermare le vecchie.
I libri illustrati veicolano questi cambiamenti. Non sono mai innocenti. Questo non significa che debbano venir censurati. La cultura è l’unico campo, oltre a quello del gioco, dove il corpo privato e quello pubblico possono incontrarsi, scontrarsi, parlarsi, modellarsi a vicenda senza farsi male sul serio (in Gioco e realtà,  Donald Winnicott scriveva che l’oggetto transizionale, il gioco e la cultura svolgono, in un certo senso, la stessa funzione). La mancanza (o l’interdizione) di questo esercizio di confronto genera solitudine e povertà di pensiero nel corpo privato, modelli totalitari nel corpo pubblico. Le due cose vanno sovente insieme.

Questo è quello che penso. E sul tema del genere, che oggi compendia dibattiti molto complessi, come quelli sull’identità sessuale, sull’educazione civica nelle scuole, sul matrimonio e la genitorialità omosessuale, penso questo: al di là di mode e costumi di un’epoca, la vera cartina tornasole di una società è il modo in cui viene rispettato, ascoltato, non deriso, il corpo privato.

Dal film Tomboy