Piccole poesie per giorni di pioggia e di sole, di Edmond Jabès

Piccole poesie per giorni di pioggia e di sole è l’unico libro di poesie dedicate ai bambini scritto da Edmond Jabès, uno dei più squisiti e ineffabili poeti del ‘900. Ne sono stati stampati 350 esemplari in italiano dalle Edizioni San Marco dei Giustiniani, a Genova, nel 2001. Io possiedo il numero 85.
«Lei non ama i bambini!» gli era stato rimproverato con tono giocoso da un redattore della Gallimard, «Non ha mai scritto per loro!». Così Jabes scrisse questo scrigno di 11 poesie, tristissime, bellissime. Ve ne copio qualcuna (traduzione di Federico Nicolao).

La libellula e il lumachino

Una libellula si era
invaghita
di un timido lumachino.
«Amore mio così grazioso
con quei cornini per portare gli occhi»,
gli diceva.
Ma chi può sentire
le parole di una libellula?
Certamente non
un lumachino,
che, per di più,
non ha buona vista.

—-

L’asino in pena

Un asino era davvero in pena
a raccontare la sua vita d’asino
al bel cavallo bianco
che lo sdegnava.

«Esprimiti come un cavallo»,
gli diceva il cavallo.

E l’asino gli rispondeva:
«Non posso che esprimermi come un asino:
lo sono. »

Ma irritato il cavallo gli diceva
«Un asino sta zitto davanti a un cavallo.
Non te l’hanno insegnato?»

E l’asino piangeva, piangeva.
E le sue lacrime – era mattino in una torrida estate –
rinfrescavano il suolo che, a modo suo,
ringraziava.

——-

L’albero volante ve l’ho scannerizzata, perché quando la poesia è uno spettacolo sulla scena del foglio, non si può improvvisarla altrove. Quel “Tornate foglie, cadranno” deve restare com’è.
Qui trovate la versione in francese: L’arbre volant.

Ps: In una nota al libro redatta da Federico Nicolao si legge che il rimprovero del redattore Gallimard non era del tutto fondato. Tra il 1943 e il 1945 Jabès scrisse “Canzoni per il pasto dell’orco“.


Stili dell’illustrazione, moda e percezione: cosa è il gusto? Parte 4

Leggi la prima parte (Critica di Etienne Delessert)
Leggi la seconda parte (Come funziona il concorso)
Leggi la terza parte (Arte, illustrazione, innovazione)

Sul gusto

Dal film Danton, di Andrzej Wajda, 1983

… Diamo per buono che le illustrazioni inviate a Bologna siano esteticamente e narrativamente autosufficienti e giudicabili anche senza testi. A questo punto, ai giurati e al pubblico, si presenta uno dei dilemmi che hanno fatto impazzire i filosofi di tutti i tempi e che Gita Wolf, editrice di Tara Books, una delle casa editrici più innovative del pianeta e giurata 2013 della Mostra Illustratori, ha sintetizzato con scintillante efficacia:

“Come uscire dal cerchio dei propri gusti personali? Una maniera per farlo consiste nel cercare di stabilire un contatto con persone che rispettiamo, anche se non sono come noi. Ed è qui che sono entrati in gioco i miei colleghi della giuria (…). Un ulteriore elemento di indiscusso valore era rappresentato dalla nostra appartenenza a paesi diversi… e a culture visive diverse. Come individui, quindi, cercavamo e guardavamo cose diverse e il nostro modo di vedere era estremamente differente.”

“Guardavamo cose diverse.” Questo punto è di fondamentale importanza e viene trattato ampiamente nel libro sulla percezione visiva: Guardare, Pensare, Progettare, Neuroscienze per il design, di Riccardo Falcinelli. Un libro imprescindibile per chi disegna o si occupa di immagini.

Le neuroscienze e i più recenti studi sulla percezione hanno dimostrato come il vedere/capire/interpretare un’immagine artistica (bidimensionale) sia un atto diverso da quello del guardare la realtà che ci circonda; e sempre conseguente a un’educazione culturale (dunque non istintivo e naturale).
Ad esempio, alcune tribù africane hanno avuto difficoltà a comprendere un viso in una riproduzione fotografica. Oppure, non sono state in grado di capire, nell’immagine qui sotto, il codice (occidentale) della profondità di campo dato dalla riduzione dell’animale al centro: per loro la freccia era indirizzata all’elefante.

Esperimento condotto da Wiliam Hudson. Crediti: Guardare, pensare, progettare. di R.Falcinelli

Quando gli occidentali spiegarono ai cinesi la prospettiva e gli effetti di realismo dati dalla tecnica ad olio, da poco scoperte in occidente, i cinesi definirono questi trucchi inutili e persino un po’ volgari.

A sinistra Andrea Mantegna (Italia  1431 – 1506) a destra Xu Wei (Cina 1521-1593)

Vedere e gustare un quadro, un’immagine, un’opera artistica, sentire che ci piace o che non ci piace, è il risultato di un processo culturale e neurologico insieme. Proprio come accade per il gusto dei cibi.

Crediti: Guardare, pensare, progettare. di R.Falcinelli

Noi pensiamo che certe immagini siano più facili da capire di altre, più o meno adatte ai bambini, etc. In realtà, qualsiasi immagine, dalla più figurativa alla più astratta, da quella più fotografica a quella più simbolica, è comprensibile grazie all’assimilazione dei suoi codici. Non ci sono immagini oggettivamente semplici da capire.
La comprensione di un elefante disegnato col chiaro scuro, o fotografato, non ha niente a che vedere con la comprensione di un elefante vero, perché i neuroni che si attivano nella lettura della realtà che ci circonda non sono gli stessi che si attivano guardando un’immagine piatta. Cito sempre Falcinelli:

“Gli ingenui sostenitori dell’immediatezza delle figure credono anche vero quell’adagio per cui le immagini dicano più delle parole, ma questa è una sciocchezza basata su un malinteso: non si rendono conto che siamo sempre immersi nella cultura e quello che pare immediato è solo un codice assimilato profondamente”.

Significa che la nostra cultura, la nostra età, l’epoca in cui viviamo, la nostra nazionalità, la nostra personalità, financo il nostro umore, avranno un’influenza decisiva sulle immagini che guardiamo, sulle informazioni che traiamo da esse e sul conseguente giudizio.

Adriaen von Utrecht, Natura morta con lepre e uccelli, 1646

Un esempio semplice portato da Falcinelli è questo: nella natura morta riprodotta qui sopra, un cacciatore, un bambino, uno storico dell’arte percepiranno e guarderanno cose completamente diverse. Cito Falcinelli:

“Esploriamo la scena in maniera diversa a seconda del momento della vita, delle nostre competenze, della nostra cultura, della nostra età, e dello stato emotivo del momento. Ma se guardare è un processo attivo e se il cervello deve sapere cosa cercare prima di vederlo, come si impara a vedere la prima volta? Per gradi, attraverso uno scambio continuo, fin dalla nascita, tra i dati esterni e una mente pronta a elaborarli. Esattamente come pensava Kant, la nostra sensibilità per i dati grezzi ha bisogno dell’intelletto per imprimergli un senso.”
Qui sotto avete un esempio di differenti percorsi visivi che fa l’occhio su un dato quadro in funzione delle aspettative.

Nella pratica, significa che una persona può trovare bello un quadro che voi trovate bruttissimo, e viceversa, e che litigare su questo è perfettamente inutile, perché in realtà state guardando due quadri diversi. Ognuno dei vostri due cervelli reagisce agli stessi stimoli in modo completamente differente.

Detto questo, possiamo scivolare in un relativismo totale e dire alla zia Evelina che la natura morta fatta da suo nipote è un capolavoro dell’arte per la sola ragione che lei la trova sublime? O dire a Jan Vermeer che la sua opera non è di universale bellezza perché un aborigeno australiano non ha capito minimamente l’interesse di una donna seduta alla finestra?
No. Questo significa che:
Uno: a guardare si impara. E che essendo il gusto un prodotto culturale, lo si può educare.
Due: il confronto con l’altro dovrebbe sempre avvenire nel rispetto della sua diversità di sguardo. Il bello universale non esiste.

Ecco perché generazioni diverse si scontrano sempre frontalmente: i gusti, la cultura, ciò che si ritiene giusto o sbagliato, bello o brutto, cambia ed evolve col tempo. A distanza di qualche generazione si può essere lontani come abitanti di due nazioni ai rispettivi antipodi del mondo.

Ci vuole molto tempo perché l’intuizione di un artista o l’innovazione portata da un nuovo stile venga assimilata da una cultura e diventi leggibile e comprensibile da tutti.
Ancora oggi ci sono persone che non capiscono i quadri di Picasso o di Pollock, ritenuti ormai dalla maggior parte del pubblico mondiale dei capolavori.

Io, la prima volta che ho visto un quadro di Jackson Pollock, ho riso di scherno. Oggi, a distanza di anni (e di studi) davanti ai quadri di Pollock non riesco a trattenere le lacrime per la portata universale del messaggio che veicolano. E sono sensazioni fisiche, profonde, quelle che provo, non un esercizio di mera intellettualizzazione.


In un bell’articolo di Melania Mazzucco su La Repubblica (qui,), si ricorda di come Paul Cézanne dovette scappare dall’ambiente accademico di Parigi, dove veniva disprezzato e considerato una scarpa di pittore, per isolarsi nella solitudine della sua campagna, là dove il suo sguardo e la sua mano potevano investigare liberamente una montagna amata. La investigò così bene, quella montagna, che oggi chi va a visitare quei luoghi vede prima la montagna di Cézanne, della montagna tout court.


Paul Cézanne, La montagna Sainte-Victoire, 1905

Per ritornare alla critica di Etienne Delssert

Non mi interessa decidere qui se Delessert aveva ragione o torto, se le illustrazioni dell’Annual 2012, criticate così duramente, erano realmente vacue e inutili (insieme, pare, a tutta l’illustrazione contemporanea).
Penso che in assoluto una critica così severa verso la sperimentazione di nuovi linguaggi sia improduttiva per la crescita della cultura.
E’ fisiologico che l’innovazione e la ricerca producano un pullulare di strade inutili, ma è esattamente in quel pullulare di tentativi che affonda la sua falcata la cultura, e fa un passo nuovo.

Dall’alto, da sinistra a destra: un appartamento borghese di fine ‘800, un salotto disegnato dalla scuola Bauhaus, una stampa dei primi del ‘900, La modella Twiggy, Cappuccetto Rosso di Gustave Doré (1832 – 1883), Cappuccetto Rosso di Milimbo (2012)

Etienne Delessert scrive:
Date queste immagini scarne a dei bambini normali: gireranno le pagine, per essere educati, ma non ci si ritroveranno. Si domanderanno soprattutto, chi sono questi adulti che sono furbi solo quando dirigono le banche e che, da artisti, seguono una moda rapidamente superata. (su Ricochet)
Bisogna ricordarsi che “le mode” (io le chiamerei piuttosto correnti stilistiche) non spuntano mai come funghi dal nulla.
Ogni cambiamento di stile nella storia dell’arte è sempre stato una risposta a nuove scoperte tecniche, da una parte, e nuovi bisogni sociali dall’altra. Lo stile minimalista degli arredi disegnati dalla Bauhaus, che ha spazzato via i salotti borghesi, è nato dalle nuove esigenze della società di massa, ed è stato permesso dall’invenzione delle materie plastiche (o viceversa).
Strumenti nuovi: non si può non tenere conto del fatto che l’uso del computer come strumento per disegnare sta portando un cambio di stile pari a quello che portò la scoperta, nell’arte, della camera scura (Jan Van Eyck), o, nell’illustrazione, dell’incisione su rame (Gustave Doré).

Bisogni nuovi: i bambini di oggi e quelli di domani saranno presto lontani anni luce dall’immagine sottesa al leit motive “questa illustrazione non è per bambini”. La loro tribù d’appartenenza è cambiata, i loro bisogni e i loro gusti anche. Parlano una lingua nuova. Il bombardamento di immagini (soprattutto digitali) a cui vengono sottoposti, attraverso videogiochi, lavagne L.I.M., internet, iPad, televisione – che non ha precedenti nella storia della cultura umana- li doterà di una capacità mostruosa di lettura e decodificazione delle immagini.
Forse, i bambini di domani, faranno fatica a ritrovarsi in un’illustrazione di Etienne Delessert?

Guardare, pensare, progettare
Riccardo Falcinelli
Un approccio neuroscientifico alla percezione
18,79

Ringrazio Francesca Chessa per il link all’articolo su Cézanne.


Mostra Illustratori di Bologna. Arte, illustrazione, innovazione. Parte 3

Sulla differenza tra illustrazione e arte

Di recente, due libri letti: L’uomo senza contenuto di G. Agamben, e Guardare, pensare, progettare di R. Falcinelli, mi hanno aiutata a cambiare la mia opinione su una questione annosa: il gusto.
Vi parlerò del libro di Falcinelli nel prossimo post.
Agamben, nel suo saggio, traccia le origini storiche del gusto, sorprendentemente recenti nella storia dell’umanità.

La stanza degli sposi felici del Mantegna

Il buongustaio, colui che con conoscenza di causa sa distinguere il bello da cioè che bello non è, nasce in Italia intorno alla metà del 1600: è l’antenato del critico moderno.
Secondo Agamben, è proprio la figura nascente del critico che a poco a poco ha relegato l’arte nel campo esclusivo dell’estetica, sottraendola all’humus vitale delle differenti esigenze pratiche della società umana (la religione, il sacro, la politica, l’educazione, il prestigio di un nome di famiglia, la decorazione d’ambienti, etc), e finendo per farla ammuffire nei musei.
E’ un discorso vasto, ma mi serva qui per dire che a differenza dell’arte moderna, l’illustrazione non ha un funzione prettamente estetica.

Museo dell’Accademia di Brera, Milano

Infatti, è vezzo di molti illustratori definirsi artigiani e scansare la definizione di artisti.
Si chiede all’illustrazione di essere a servizio di un testo o di un articolo, del programma di un teatro o della vetrina di un negozio. Quando è “per bambini” le si chiede di adattarsi alle idee che una data nazione ha dell’educazione estetica e morale dell’infanzia in un dato momento storico.
Può avere una funzione narrativa, decorativa, didascalica o documentale, ma sarà sempre a servizio di qualcosa. Questo significa che il suo valore risiede più nella sua funzionalità, che nella sua intrinseca bellezza.

Fortunatamente, Remy Charlip, Orecchio Acerbo

Per fare un esempio, ci sono illustrazioni di Remy Charlip, grandissimo illustratore americano, che non mi piacciono neanche un po’, però nella loro funzione, all’interno della storia, le trovo geniali.
Non per niente la critica contemporanea dell’illustrazione (vedere la definizione sulla rivista francese Hors Cadre[s]) parla di letterature grafiche, volendo dire con questa espressione che l’illustrazione ha preso lo statuto di un vera forma letteraria, dove parole e immagini (o idee e immagini) formano un tutt’uno inseparabile e funzionano come un linguaggio.

A moon or a button, Ruth Krauss e Remy Charlip, 1959

Sul senso di una mostra di illustrazione

Le considerazioni fatte qui sopra fanno nascere spontanea una domanda: se un’illustrazione non è un quadro, quale è il senso di una mostra di illustrazione?

A meno che le illustrazioni non siano state create espressamente per il contesto espositivo della mostra, le illustrazioni vengono sottratte dal loro contesto e dalla loro funzione originale (un testo, un articolo, una locandina…) per diventare degli oggetti estetici. Il loro senso, senza il contesto che le accompagnava, sarà decisamente alterato, o parziale. E’ per questo che in molte mostre di illustrazione, insieme alle immagini, vengono esposti i libri.

Una mostra di illustrazioni decontestualizzate dal loro luogo d’origine potrebbe essere paragonata ad una mostra letteraria dove al posto del romanzo Lolita di Nabokov vengono esposte, incorniciate, le parole “Lolita” “Lo” “Calzino” “Criminale”.  Affascinanti o no che possano essere, solo chi ha letto il romanzo potrà interpretarle correttamente.

La consapevolezza di questo fatto dovrebbe rendere cauto qualsiasi critico davanti a delle illustrazioni estrapolate dal loro contesto d’origine (come è il caso di molte immagini che arrivano al concorso della Mostra Illustratori).
Delle illustrazioni definite da Delessert deboline o vacue potevano essere, affiancate al loro testo, delle vere colonne d’Ercole, per quel che ne sappiamo.

Faccio un piccolo esperimento. Guardate con attenzione l’illustrazione qui sotto (citata da Delessert nel suo post), poi provate ad associarla a questo testo che ho scritto e ditemi se, dopo aver letto il testo, guardate l’immagine in maniera differente.

C’era una volta una casa invisibile. Dentro la casa invisibile vivevano un bambino e una bambina invisibili. La loro scuola era appena fuori dal villaggio e tutte le mattine, quando attraversavano il paese per raggiungerla, nessuno li vedeva.

Leire Salaberria, Spagna, Mostra Illustratori 2012

Mi chiedo se non si arricchirebbe enormemente la riflessione portata dalla Mostra Illustratori se si chiedesse agli illustratori di presentare 5 tavole coerenti narrativamente (cioè legate da un’idea narrativa o da una storia raccontata senza testo), e agli editori di mandare 5 tavole consequenziali tratte dai loro libri (magari con il testo allegato). Ed eventualmente fare due sezioni distinte: illustrazioni create ad hoc per la Mostra e illustrazioni decontestualizzate dal loro contesto d’origine.

Ma forse la Mostra diventerebbe un’altra cosa da quello che vuole essere. Cioè un campionario degli stili dell’illustrazione, selezionato da addetti ai lavori e destinato ad un pubblico di addetti ai lavori (quale è il pubblico della Fiera di Bologna), per una riflessione sulle nuove tendenze dell’illustrazione per ragazzi.

Sulla vera querelle intorno alla Mostra Illustratori

Detto questo, cioè che non ha molto senso discutere sulla forza o debolezza narrativa delle immagini inviate e poi selezionate alla Mostra, veniamo al vero nodo della querelle: l’innovazione e la ricerca nel campo dell’illustrazione per ragazzi, di cui la Mostra ha rappresentato, in questi ultimi anni, un campionario più che significativo.

Evelyne Laube, Nina Wehrle, selezionate nell’edizione 2012, Premio SM 2012

L’innovazione (preziosissima testa d’ariete senza la quale non ci sarebbe nessuna storia dell’arte o dell’illustrazione) deve sempre (da sempre) farsi largo in una densa coltre di perplessità, nasi che si arricciano e indignazione.
Ma, d’altro canto, è legittima la domanda di chi si chiede se con la scusa dell’innovazione si può proporre qualsiasi scarabocchio e spacciarlo per illustrazione o arte.
E’ un dibattito difficile in sé, ma nel caso dell’illustrazione si complica ulteriormente perché si fa carico di un tema estremamente complesso che è quello dei bambini come destinatari privilegiati dei libri illustrati.

La nostra discussione, nei prossimi post, avanzerà su questi temi:
– la soggettività o universalità del gusto e la sua completa affiliazione al campo fluttuante e in continua evoluzione della cultura umana.
Рil concetto: ̬ per bambini versus non ̬ per bambini e la sua completa affiliazione al campo fluttuante e in continua evoluzione della cultura umana.

Ora vi lascio con questa domanda: cosa vi fa dire se un’immagine vi piace o non vi piace?

Segue …


Mostra Illustratori di Bologna. Cosa è, come funziona. Parte 2

Prima di addentrarci, nei prossimi giorni, nel dibattito sulle tendenze proposte dalla Mostra Illustratori di Bologna, vorrei spiegare ai non addetti ai lavori cosa è la Mostra e come funziona il concorso che la origina, e sottolineare, per gli addetti ai lavori, qualche punto critico.
Concesso che una selezione non può piacere unanimemente a tutti, penso che alcune incomprensioni tra pubblico, giurati, illustratori, siano dovute a un difetto nella condivisione di informazioni sul senso della Mostra e sul regolamento del concorso.

COSA E’ LA MOSTRA DEGLI ILLUSTRATORI
La Mostra degli Illustratori, organizzata dalla Fiera del Libro per Ragazzi è uno dei più prestigiosi concorsi internazionali dedicato esclusivamente all’illustrazione per ragazzi. Ha visto la sua prima edizione nel 1967. Ed è giunta alla sua 47a edizione.
Quest’anno (2013), hanno partecipato 3147 illustratori da 64 paesi. Sono stati selezionati 77 artisti.
La giuria era composta da Etienne Delessert (illustratore, Svizzera), Tàssies (illustratore, Spagna), Maria Grazia Mazzitelli (direttore editoriale di Salani, Italia), Junko Yokota (professore di letteratura per ragazzi, USA), Gita Wolf (editrice di Tara Books, India).

CHE OBIETTIVI HA
Cito dai cataloghi  2011, 2012, 2013 che hanno lo stesso testo di introduzione alla Mostra:
La Mostra degli illustratori si pone come obiettivo l’esplorazione delle possibilità espressive dell’illustrazione di libri per l’infanzia.
(…)
La partecipazione alla selezione è aperta a tutti gli illustratori, sia esordienti sia affermati: questa caratteristica produce un interessante mix, in cui opere di artisti pubblicati si alternano a lavori di giovani studenti, offrendo numerosi spunti per la previsione delle nuove tendenze editoriali e dell’illustrazione nel mondo.

E nell’introduzione al regolamento del concorso, sul sito della Fiera, si legge:
La Mostra degli Illustratori offre una panoramica globale delle tendenze più innovative nell’ambito dell’illustrazione per ragazzi.

Joo Hee Joon (Corea), selezione 2013

Innovazione, nuove tendenze, tendenze più innovative… E’ ben chiaro, mi sembra, che l’intenzione della Mostra di Bologna sia quella di mettere in luce le nuove tendenze editoriali.
Che poi queste tendenze convincano o non convincano il pubblico, è una faccenda che affronteremo nei prossimi post.
Ma a ritroso, se si sfogliano i cataloghi passati, ci si accorge della precisione con cui, negli anni, la Mostra Illustratori è stata testimone (e forse propulsore) delle evoluzioni che ha avuto il linguaggio dell’illustrazione per ragazzi.


Esempio di etichette da attaccare dietro le tavole

COME FUNZIONA IL CONCORSO
La Mostra illustratori è preceduta da un concorso, aperto a tutte le persone maggiori di 18 anni. Viene richiesto dal bando (che potete leggere per intero qui) di spedire 5 tavole che abbiano in comune un tema (non viene specificato altro). Le tavole possono provenire da un libro (e non necessariamente in ordine cronologico di pagine), essere fatte ad hoc per la Mostra, o venire da qualsiasi altro contesto dell’illustrazione per ragazzi. Gli illustratori sanno che a giudicarli saranno eminenti figure dell’editoria per ragazzi, ma non conoscono i nomi dei giurati in anticipo.
Ci sono due sezioni: Fiction e Non fiction. (Dove per Non fiction si intende Illustrazione documentale e manualistica).


©foto Topipittori

NELLA PRATICA

Vediamo questo regolamento cosa comporta per la Fiera:
Di anno in anno, La Fiera, per soddisfare la sua esigenza di investigazione delle nuove tendenze editoriali, promuove il concorso e sceglie una giuria. Ogni giurato e ogni giuria (una giuria è il risultato di un compromesso ogni volta imprevedibile tra giurati) interpreteranno l’innovazione – la sua bontà e la sua necessità, in un modo diverso.
L’esempio della selezione di quest’anno, con immagini più figurative e classiche dovute (forse) alla presenza in giuria di un illustratore reazionario come Delessert, lo evidenzia in maniera chiarissima.

La parola ai giurati, Sidney Lumet, 1957

Vediamo questo regolamento cosa comporta per gli illustratori:
Gli illustratori (o editori) dovranno spedire 5 tavole sapendo che in generale l’intento della Mostra è promuovere l’innovazione, ma che in particolare ogni giuria interpreterà questa innovazione in modo diverso. Non conoscendo i nomi dei giurati, l’invio delle tavole avviene alla cieca.


Il settimo sigillo, Igmar Bergman, 1957

Nella lunga discussione sui concorsi che c’è stata su LFDL, (qui), è emersa l’esigenza degli illustratori di conoscere i nomi dei giurati in anticipo, per poter avere una visibilità, anche minima, sulla direzione che prenderà la selezione.
Mi chiedo (e vi chiedo), però, se non conoscere i nomi permetta al materiale inviato di essere più eterogeneo, ricco di differenze e variegato. Una sorta di grande calderone da cui i giurati pescheranno il loro discorso sull’illustrazione di domani.

Vediamo questo regolamento cosa comporta per i giurati:
I giurati di Bologna si ritroveranno a dover fare una selezione tra:
– illustrazioni decontestualizzate dal loro luogo di nascita e senso (un libro, un testo, un manuale…).
– illustrazioni fatte ad hoc per la Mostra Illustratori di Bologna, nella speranza di piacere ai giurati (dunque immagini  narrativamente autosufficienti, pensate per essere significanti o narrativamente coerenti anche senza un testo).
Рillustrazioni fatte velocemente, senza intenzione di partecipare sul serio alla gara, solo per avere un Pass di ingresso alla Fiera. (Quello di partecipare alla Mostra ̬ il solo modo per gli illustratori di avere un Pass gratuito per tutti i 4 giorni di Fiera e conosco molti illustratori -e anche non- che usano questo sistema per entrare. Forse vale la pena interrogarsi su questa provocazione).


Michelangelo Pistoletto

RIFLESSIONI APERTE

Mi e vi chiedo: quale può essere il massimo comun divisore capace di permettere un confronto onesto tra, ad esempio, 5 immagini create ad hoc per raccontare una storia senza testo per il contesto espositivo della Mostra Illustratori e 5 immagini tratte da un libro illustrato (non in sequenza e di cui non si sa nulla del testo d’origine)?
Come nei grandi concorsi scolastici nazionali americani, dove per non fare ingiustizie si abbassa notevolmente il livello delle domande (perdendo molta della ricchezza in gara), restano pochi gli elementi confrontabili. La qualità tecnica, la qualità compositiva e cromatica, la coerenza stilistica delle 5 immagini, la forza innovatrice del linguaggio usato nelle immagini rispetto al panorama editoriale contemporaneo.

Molti si lamentano dell’incapacità delle tavole selezionate di raccontare una storia. Su questo punto mi dilungherò nel prossimo post. E’ importante comunque sapere che nel bando non viene chiesta nessuna coerenza narrativa tra le 5 tavole, ma solo che siano unite da un tema.

Intanto vi lascio con questa domanda:
quale è la forza narrativa dell’immagine qui sotto senza il testo che la descrive e senza la storia a cui appartiene?


“Questo è piccolo blu”
. da Piccolo Blu Piccolo Giallo. Leo Lionni

Segue…


Mostra Illustratori di Bologna. La Fiera e il niente: l’arringa di Etienne Delessert. Parte 1

Quest’anno, alla Fiera di Bologna, ho lavorato per la Charte des Auteur et des Illustrateur, un’associazione francese.
Géraldine Alibeu mi aveva chiesto se potevo fare una visita guidata alla Mostra Illustratori per accompagnare il gruppo di 12 illustratori selezionati dalla Charte per un viaggio alla Fiera di Bologna ricco di stimoli. Mi sono quindi ben preparata un discorso sulla Mostra, e ho avuto la fortuna di trovare molti argomenti di discussione, essendo questo un anno ghiotto di dibattitti. Ora vi racconto perché è stato ghiotto.

L’anno scorso, Etienne Delessert, storico illustratore e curatore di uno dei siti di informazione più completi sul mondo dell’illustrazione europea (Ricochet), ha lanciato una bomba al napalm sulla selezione della Mostra Illustratori 2012. Delessert scrisse che la mostra era una vetrina del puro niente.
Ho trovato molto simpatica, da parte della Fiera, l’idea di invitarlo quest’anno a essere giurato della selezione.

Un’immagine di Etienne Delessert
Un’immagine di Etienne Delessert

A parte l’aneddoto divertente, credo che questo episodio sia prezioso perché raccoglie un dibattito che si è animato, da alcuni anni, intorno alla Mostra Illustratori.
C’è chi sostiene che negli ultimi anni la Mostra abbia presentato uno stile troppo uniforme, modaiolo, grafico, estetizzante, poco narrativo in senso classico, e poco per bambini. C’è chi, invece, ha visto in questo segno la capacità della Mostra Illustratori di selezionare un panorama innovativo, contemporaneo, nuovo e stimolante.

Più che dirvi per che bandiera parteggio (mi sa che già lo sapete), mi piacerebbe gettare le basi di una riflessione solida e condivisibile sull’annosa questione dell’innovazione nel campo dell’illustrazione per bambini.
Ora vi lascio riflettere sul testo tradotto di Delessert, per chi non lo avesse ancora letto.

LA FIERA E IL NIENTE
di Etienne Delessert
(2012)

(Qui, sul sito Ricochet, trovate il testo originale in francese)

Ho guardato attentamente il catalogo della Fiera del Libro di Bologna, intitolato Illustrators Annual 2012
Bell’oggetto, superba la riproduzione delle immagini e la stampa, 184 pagine che lasciano un gusto amaro. 2685 illustratori hanno inviato 5 disegni ciascuno. E i 5 membri della giuria, venuti da: Giappone, Francia, Italia, Inghilterra, Polonia, ne hanno selezionati 72 per l’esposizione e per includerli in questa opera. L’Esposizione andrà in Giappone.
Che cosa resta di questa selezione severa?: niente, rien, nothing, niet, nada.
Si potrebbe declinare in tutte le lingue. Un po’ di polvere su un angolo del tavolo.

Mika Ianoto, Giappone, Mostra Illustratori 2012

Vi sembro duro? È tempo che qualcuno di noi dica ciò che pensa, a rischio di vedere i propri libri bruciare in Piazza Maggiore.
Cerco le parole scorrendo le pagine del catalogo: vuoto, nullità, inanità, vacuità?
Soprattutto: non-essere.
E non è il risultato delle scelte della giuria, composta da personalità rispettabili del mondo dell’editoria internazionale. Poiché ciascuno rileva la difficoltà prima di allineare 5 disegni che abbiano una minima coerenza, che possano costituire l’embrione di una storia!

“Twitter†ci permette di balbettare qualche parola, un’idea forse, e di cambiarla immediatamente!
Gli illustratori scelti fanno lo stesso.
Partecipano allo stile della globalizzazione scarabocchiando a malapena dei personaggi senza metterli in scena, sarebbe a dire senza voler creare delle tensioni, degli accordi o delle rotture tra di loro: gli artisti non si preoccupano di essere interpretati da giovani lettori e dai loro genitori.
Non c’è né suono, né silenzio, solo dei rumori disordinati.
Una lettura elementare senza alcun mistero. Questo vuol dire che in un mondo di comunicazione istantanea, non si ha più tempo di guardarsi attorno, di riflettere, di raccontare una storia personale, quella della propria tribù?

Katie Oberwelland, Allemagne

Io adoro l’Art Brut, il vero ( e tutto ciò che non somiglia ai miei disegni!), ma ciò che passa qui per illustrazione di libri per l’infanzia, immagini per albi in preparazione, non è che la ripetizione senza frontiere di segni mal posti, senza alcun significato. Senza emozione, poco leggibili, e, soprattutto, senza alcuna idea.
“Brain dead†come si dice dalle mie parti. E perdonate l’uso dell’inglese: è la sola lingua ufficiale della Fiera, il francese non esiste più. In nessun colloquio, nemmeno al Café des Artistes.
E pretenziosi, oltre tutto, poiché tutti i concorrenti sperano di essere pubblicati e letti da questo giovane pubblico che cerca delle risposte alle domande essenziali che si pone.
Date queste immagini scarne a dei bambini normali: gireranno le pagine, per essere educati, ma non ci si ritroveranno. Si domanderanno soprattutto, chi sono questi adulti che sono furbi solo quando dirigono le banche e che, da artisti, seguono una moda rapidamente superata.
Si può adottare questo stile o quello, che importa se non si ha niente da dire?
Che solitudine, che disperazione sono imposte ai bambini.

Leire Salaberria, Spagna, Mostra Illustratori 2012

E chi è responsabile di questo disastro annunciato? La Crisi, si dice. Da 30 anni si trascura l’insegnamento delle arti nella scuola primaria, è vero. Da quando ti dicono che un cavallo non può essere blu, né il cielo rosso, sei fregato!
E le cose non migliorano, malgrado gli sforzi di Google Art Project, la tendenza nei paesi sviluppati, è di tagliare i fondi destinati all’educazione.
I ricchi spendono fortune per riempire le loro collezioni, chiave del loro potere sociale, consigliati da galleristi-conservatori-critici.
Niente per i bambini.
Poi le Scuole d’Arte: per quelli che hanno voglia di esprimersi con le immagini è una tappa necessaria.
È più facile convincere i genitori a pagare i corsi di arti grafiche e di design. Ma nella maggior parte delle Scuole Superiori, non si disegna che per caso e accademicamente e si va molto presto verso il computer: non si insegna come mettere in scena una situazione, come studiare un personaggio.
Il risultato della selezione di Bologna mostra che le storie che si vogliono fare leggere ai bambini sono frammentarie, senza conseguenza alcuna che brillare per 5 secondi come lucciole impazzite.

Le tendenze espresse in Fiera sono adottate dagli altri responsabili di questo malessere: gli Editori.
Oppressi dai bilanci finanziari, non hanno più voglia di sfidare il torrente.
Volete carta colorata e scenette di vita di tutti i giorni? Ne avrete: il mio cane si è fatto rubare la palla (A ball for Daisy di C.Raschka) premio Caldecott 2012.
Non sono l’unico ad inquietarmi: “Abysmal!…†ruggì Sendak quando lo si interrogò in TV sull’Editoria nel suo paese. E la direzione della Fiera dovrebbe essere molto inquieta, mentre si appresta a celebrare i 50 anni della sua esistenza, il prossimo anno.

Ci si può andare e sperare di vendere delle coedizioni, ma ci fu un tempo in cui i professionisti di tutto il mondo ci andavano per mostrare libri originali, che si potevano tradurre, perché le loro storie erano forti, bizzarre anche, erano il riflesso della società. E loro erano felici di condividere le loro esperienze di vita per qualche giorno con altri editori. Oggi non resta che grana (soldi) e polvere.

Conosco una Art-director che ha visto anche lei questo famoso catalogo. Me l’ha restituito pochi minuti dopo. Cercava da settimane un illustratore per una raccolta di poesie: ha scelto Ayano Imai dal Giappone, che ha scoperto in questo volume. Ci ho anche visto i disegni di due o tre Iraniani, piuttosto saggi; d’Ali Su di Taiwan, di un’arte naïf graziosamente colorata, e ho rilevato che Eun-Young Cho, la giovane coreana di cui abbiamo presentato LA COURSE su Ricochet, non avrebbe dovuto accettare che si riproducesse quel disegno in copertina.
Illeggibile. Dimenticato.

Etienne Delessert
FINE

Vai al post La Mostra illustratori, Cosa è, come funziona.

La traduzione è stata fatta da  Luisa N. sul forum delle FDL, che l’anno scorso ha ospitato il dibattito.
Un’altra accesa discussione era partita sul profilo facebook dei Topipittori, qui, ed era intervenuto anche Delessert.
Sul blog Gavroche trovate delle immagini della Mostra 2012
Sul sito di Ricochet quelle scelte da Delessert per illustrare il suo post.


La Parada. Una libreria per bambini nel mercato di Gracia. Un’idea da esportare

Il mercato dell’Abaceria di Gracia è uno dei più carini della città di Barcellona, e anche il mio preferito. Mi piace andarci a piedi, anche se mi prende venti minuti solo ad andare. Le stradine di Gracia sono quasi tutte pedonali. Un villaggio dentro la città. Nelle sue piazzette, come nella miglior idea di piazza rinascimentale, convivono vecchietti, bambini ruspanti, ragazzi seduti a tutte le ore davanti a un cerveza (birra alla spina), cani, gatti, innamorati e altri volatili di vario tipo.


Il mercato è un mercato coperto, e intorno si affollano bancarelle di ogni tipo. La più sorprendente bancarella, tra un venditore di biglietti della lotteria e un verduraio, è La Parada (la fermata), una libreria per bambini con una selezione di libri di impressionante bellezza, tanto che a mettere il naso tra le ceste ripiene non ci si crede di essere al mercato e non in qualche raffinatissima libreria specializzata.


Si trova di tutto: da un pop-up delle edizioni Helium ai libri di Suzy Lee, dalle prestigiose edizioni di Milimbo a quelle di Planeta Tangerina, fino a piccoli capolavori autoprodotti di sconosciuti autori. Più in là di qualche cesta, alla Parada si incontrano anche fotografie, contemporanee e d’antan. Non mancano libri di poesia illustrati.

Le due ragazze che gestiscono la libreria da 7 mesi, Raquel Villa e Xenia Bagvé, hanno le idee chiare:
la cultura deve essere portata in strada, non deve avere porte d’accesso troppo strette, mi spiegano quando chiedo loro il perché di una libreria nel mercato.
Una delle due ragazze è appassionata di fotografia, l’altra è un architetto che ha deciso di improvvisarsi libraia, ma scegliendo e promuovendo solo libri che lei definisce: speciali. Infatti sono tutti speciali, dal primo all’ultimo.
Se hai le mani occupate dai sacchetti della spesa, come è capitato a me stamattina, te li leggono loro i libri (ne ho liberata una, di mano, per filmare questo capolavoro di ingegneria libresca).


Edizioni Tralarì
(i loro deliziosi libricini cercano librai ospitali)

E’ caro affittare questo spazio? Chiedo io con spirito pratico (e una mezza idea di installarmi nel mercato vicino e rubar loro il mestiere). Per niente, mi rispondono. Vendete abbastanza libri? La ragazza sorride. Mi spiega che c’è molta curiosità, e che piano piano le persone si stanno abituando a fermarsi per sfogliare  i libri, tra una spesa e l’altra. Ma ci vuole tempo, sette mesi sono pochi per entrare a far parte integrante di un mercato dove la gente ha i suoi riti.

Per creare interesse, la Parada organizza letture pubbliche, mini festival e altre ghiotte diavolerie. Qualche mattina fa, erano stati invitati Pablo Larragibel e Arianna Squilloni, rispettivamente editori di Ekaré e A buen paso, per parlare del senso delle loro case editrici e leggere ad alta voce qualche libro. La gente che assisteva era gente del quartiere: erano divertiti e interessati come bambini.

Chissà se è la crisi o il solo fatto di chiamare un mercato Abaceria, con quel suono di abecedario nel nome, che fa nascere libri così belli tra i cespi di insalata. Ad ogni modo, se passate da Barcellona, non perdetevi una fermata alla Parada. Trav. de Gràcia, 186