Riunione LeFiguredeiLibri 2013 e la ricetta dei biscotti Bianchini

Quest’anno la riunione Le Figure dei Libri alla Fiera di Bologna è stata informale (rispetto a quella dell’anno scorso, con la conferenza su come si diventa illustratori: Il video integrale lo trovate qui).
Ci siamo seduti per terra e abbiamo fatto una chiacchierata su tutto e su niente intorno al mestiere di illustratore, sono intervenuti anche Miguel Tanco e Marina Marcolin.

3 immagini della riunione Le Figure dei Libri alla Fiera di Bologna 2013

Se penso alla prima riunione LeFiguredeiLibri, a Montreuil, nel 2008, mi vengono i lucciconi per la tenerezza: eravamo 6!, con tanto di cartello per riconoscerci. (Nella foto qui sotto, da sinistra: non mi ricordo il nome, Philip Giordano, non mi ricordo il nome, Francesca Cappellini (col cartello) io e Alessandro Sanna, tutti agli esordi di una bella carriera).
Ne abbiamo fatta di strada, con Le Figure dei Libri, ma non abbiamo mai perso, mi sembra, lo spirito semplice e conviviale dei primi anni. Spero che non lo perderemo mai.

Le riunioni con voi lettori sono momenti speciali per me. E’ molto gratificante sentire che abbiamo creato legami profondi e misteriosi anche senza esserci mai visti. E al diavolo chi dice che le relazioni virtuali sono povere.

Quest’anno, finita la riunione, una ragazza si è avvicinata discretamente per regalare al gruppo una scatola (in latta, deliziosa) piena di biscotti fatti da lei, poi è discretamente scomparsa. Quei biscotti hanno fatto impazzire mezza fiera, erano drogati: li si mangiava e immediatamente saliva il tasso di allegria nel sangue, il sorriso spuntava sulla faccia dei più rabbuiati, l’energia scoppiettava nei muscoli dei più stanchi. Erano BUONISSIMI.
Erano così buoni che dopo la fiera ho messo un annuncio su Facebook per ritrovare la loro misteriosa cuoca, e con lei la ricetta. Al post su Facebook hanno risposto un sacco di persone che avevamo assaggiato i biscotti, pregando in un ritrovamento. E il miracolo si è compiuto: Anna Martinucci era nei miei contatti, si è palesata e ha promesso di inviarci la ricetta, poi è sparita di nuovo. Qualche settimana dopo, cioè pochi giorni fa, è riapparsa con: LA RICETTA DEI BISCOTTI BIANCHINI illustrata.
Il nome “Bianchini” è arrivato dai nonni di Anna, ma l’inventore dei biscotti Bianchini continua a rimanere sconosciuto. Anna sarà al mio corso a Sarmede, ha promesso nuovi biscotti con una nuova ricetta.
Posso fare una dichiarazione d’amore al mio mestiere? Dove altro capita di ricevere in dono biscotti che danno effetti stupefacenti e ricette illustrate? Ora vado a fare i biscotti Bianchini. Grazie Anna per questa meraviglia!

TEMPERATURA FORNO. Anna scrive: con il forno a 180° ventilato di solito i biscotti sono pronti in 20 minuti, ma consiglierei di valutare in base al tipo di colore che vanno via via assumendo (il tipo di forno e le dimensioni dei biscotti sono anche variabili da non sottovalutare!).

Una volta freddi, si possono spolverare di zucchero al velo.

Biscotti Bianchini, ricetta illustrata da Anna Martinucci

Regalare ai bambini il dono del disegno: un’illustratrice italiana in Nepal

I ragazzi al lavoro coi primi bozzetti per i murales da realizzare prossimamente qui alla Rarahil Scho

Marta Farina, una giovane illustratrice che avevo conosciuto anni fa a Sarmede, ci racconta di come è riuscita a conciliare la necessità di un lavoro con il suo amore per la cultura asiatica e il disegno: sta insegnando arte in una scuola nepalese, vicino a Kathmandu. Sulla sua esperienza sta tenendo un appassionante diario, su questo blog.

CHE CI FACCIO QUI?
Di Marta Farina

Sono ancora, e per l’ennesima volta, in Asia. Negli ultimi sette anni della mia vita ci sono tornata spesso ed ogni volta è stato per rimanervi a lungo. Se metto assieme tutti i periodi passati qui, di questi sette anni, più di due li ho spesi “perdendomi†piacevolmente per le strade d’Asia, visitando moltissimi paesi. L’India, soprattutto, rimane il mio grande amore, una terra in cui continuo a tornare e a sentirmi stranamente a casa, nonostante l’immensa diversità che contraddistingue le nostre rispettive culture.

Marta Farina, il viaggio di Shiva

Viaggiare è per me importante quanto dipingere: quando sorseggio una tazza di thè al latte in mezzo alla confusione di un mercato asiatico chiacchierando con un anziano signore che a malapena mastica un poco di inglese provo la stessa felicità di quando dipingo. Mi piace contemplare il mondo, specie se è molto differente da quella parte del globo da cui provengo; e di viaggiare anche per mesi e mesi di seguito col mio fedele zaino in spalla non mi stanco mai.

Amber, Marta Farina

Ho visto migliaia di templi, ammirato paesaggi da fiaba e dormito nei luoghi più disparati. Ho condiviso riso e dahl con gli abitanti dei villaggi alle pendici dell’Himalaya, incontrato ragazzini meravigliosi nelle pianure cambogiane, ammirato risaie verdi smeraldo nel piovoso nord del Vietnam, camminato sui sentieri a fianco di magrissime e forti donne delle tribù del nord della Thailandia, nuotato con le grandi tartarughe indonesiane, giocato con dei bambini sulle nere spiagge dello Sri Lanka, e molto molto altro ancora. In tutti questi mesi passati qui, tra lo splendore di una pagoda dorata del Myanmar e la bellezza di un lungo viaggio in buona compagnia a bordo di uno sgangherato autobus laotiano, non mi sono mai fermata in un luogo troppo a lungo. Questa volta è diverso.

Dzao woman, Vietnam, Marta Farina

Spesso i miei occhi si sono posati sulle schiene ricurve di donne intente nella raccolta dei cereali o del riso, o affannate nel trasportare l’acqua dalla sorgente sino a casa con grandi secchi di metallo. Quasi sempre hanno grandi mani piene di segni, sembrano stracci stropicciati dal duro lavoro e spesso appaiono più vecchie di quello che in realtà sono.

Io passo in mezzo a tutto questo e spesso disegno, sul mio taccuino di schizzi, ciò che vedo. E’ il modo di registrare la realtà che mi è più consono, ben più di un semplice scatto fotografico. E’ quando disegno un tempio che poi davvero lo porto via con me nei miei ricordi; è quando traccio le linee di un ritratto di una donna che se ne sta immobile a vendere le sue merci al mercato che la faccio mia, e resta impressa nella mia memoria per sempre.

Small Thai train station, Marta Farin

Ma ho sempre avuto un pensiero fisso in testa.

Quante di queste donne impiegate in lavori manuali e umili avranno ricevuto il dono della capacità di disegnare e creare, e non hanno potuto scoprirlo? Tra quei bambini scalzi che non frequentano nessuna scuola e quegli uomini che trasportano sacchi di riso sui loro carretti tirati dai buoi, quanti potenziali artisti vi saranno?
Quanti bravissimi scultori, musicisti e poeti ho incontrato lungo il mio cammino senza che nessuno di essi abbia mai scritto una canzone, dipinto un quadro o composto dei versi, se non nella loro immaginazione? Quante mani e menti dotate di splendide capacità e fervida immaginazione sono impiegate quotidianamente in lavori ripetitivi e poco creativi, magari faticosi e poco appaganti?

Marta all’interno della scuola con qualche allievo

Perché se è vero che io ho ricevuto un dono nella mia vita ( che è quello del saper disegnare e esprimermi attraverso segni e pittura), è anche vero che quel dono è stato riconosciuto e coltivato fin da subito, e questo solo perché sono nata in una situazione privilegiata.
Cosa farei e chi sarei ora se solo fossi nata in uno sperduto villaggio nepalese?
Me lo sono chiesto spesso stando in Asia, e sono ricolma di un infinito senso di gratitudine nei confronti del caso e del destino poiché, assieme, mi hanno permesso di diventare ciò che sono e di vivere di ciò che più amo fare, combinando così la necessità del lavoro con la gioia del creare.

Dopo tanto girovagare stavolta ho deciso di fermarmi in un luogo e restarci a lungo. Sono capitata nuovamente in Nepal, paese meraviglioso che avevo visitato poco più di un anno fa, con l’intento di restituire almeno in parte la gioia provata incontrando la gente dell’Asia. In questi anni di viaggio ho fatto abbondante scorta per il resto dei miei giorni di sorrisi e gentilezze ricevute, che spesso ho pensato di non aver potuto ricambiare adeguatamente. Mi sono sempre e comunque sentita in debito.

Ora mi trovo in una semplice scuola poco lontana da Kathmandù, a Kirtipur – una scuola come tante altre- a tentare di trasmettere ai ragazzini di qui la magia che sta nascosta nell’atto del disegnare, del creare dal nulla con la propria fantasia.

Il contatto con la scuola di Kirtipur l’ho avuto tramite un gruppo di medici residenti nella mia stessa città (Belluno) che da un paio d’anni hanno avviato un progetto di aiuto alla scuola attraverso la costruzione e l’avvio di un ambulatorio medico. Solitamente in questo luogo vengono ospitati solo i medici che qui si alternano per monitorare lo stato di salute dei ragazzi e per dare una mano effettiva in loco. Io, che medico non sono, ho pensato però di poter dare un contributo in altro modo: un contributo fatto di colore e sogni, per decorare gli spazi che i bambini vivono e occupano quotidianamente.

Sono qui da poco ma ancora di strada da fare ce n’è molta, siamo solo all’inizio. Voglio realizzare assieme ai ragazzi dei murales, lavorare fianco a fianco e, con la scusa di insegnar loro le tecniche pittoriche murali di base, soprattutto far capir loro che con passione e tenacia si arriva molto lontano. Quando da piccola e da adolescente sognavo di diventar un giorno una pittrice ( e illustratrice!) mi pareva una meta irraggiungibile. Ora non lo è più, e vorrei che qualcuno di loro che magari è seriamente portato per l’arte possa prendere ispirazione e decidere di intraprendere questa non facile ma soddisfacente carriera, magari anche grazie a questa esperienza fatta insieme. Io ho avuto la fortuna di incontrare nel mio cammino parecchi “maestri†che mi sono stati di ispirazione, e il desiderio di vivere come loro, libera e appassionata, mi ha portato sino a qui, ad esser così come sono.

Ma il talento pittorico è cosa rara, ma indipendentemente da ciò che questi ragazzi diventeranno, resterà impressa l’esperienza magica della condivisione di una grande bianca superficie da decorare tutti insieme.


In questi giorni abbiamo preparato i bozzetti per i murales, disegnato vari soggetti su carta e nel frattempo io ho imbiancato le varie pareti. Ieri li ho portati a vederle, le pareti che li attendono: erano quasi timorosi nell’avvicinarcisi, come tutte le cose sconosciute forse quei muri bianchi incutevano un po’ di timore. Ho detto loro di passarci vicino invece, posarci le mani sopra, toccarli, carezzarli, sentirli. Questi muri saranno nostri amici e saranno i nostri campi di battaglia nelle prossime settimane: saranno, ovviamente, battaglie non violente, combattute a colpi di pennello e risate, che lasceranno il segno colorato del nostro passaggio sia sul muro che nell’anima, ne sono certa.

Appropiarsi del muro per il murales

Il mio lavoro è meraviglioso poiché posso portarlo a spasso con me. Qui come in Italia posso gioire nello stare con i ragazzi, insegnare loro qualche cosa, gioire della loro spensierata compagnia ed esser a modo mio un poco utile al loro cammino verso l’età adulta. Se anche qualche parola in inglese ci sfugge poco importa: parleranno i colori e i segni, il linguaggio universale più antico del mondo. Così come il sorriso.


Progettare libri. Un corso imperdibile con Paolo Canton (Topipittori)

PROGETTARE LIBRI. Con Paolo Canton. Sàrmede (Treviso) 17-22 giugno 2013
Imparare a progettare albi illustrati nel rispetto dei vincoli tecnici e della coerenza fra forma e narrazione. Sperimentare forme e strutture di libro non convenzionali. Realizzare piccoli progetti a partire da strutture di libro analizzate e realizzate in aula.
Per info e iscrizioni: info@sarmedemostra.it

Come ho scritto nel post di lunedì scorso, due sono le cose da sapere per diventare dei bravi autori/illustratori di libri: come è fatto un libro e come si racconta una storia dentro un libro. Vi sembrerà strano, ma non è neanche così indispensabile saper disegnare. Dicono che Bruno Munari, uno dei più grandi autori-illustratori per bambini di tutti i tempi, non sapesse disegnare granché bene a mano libera. Quello che sapeva fare era avere delle idee perfette da riporre in quei cassetti perfetti che sono i libri.


Sopra: una fotografia e un libro di Bruno Munari

Paolo Canton, editore di Topipittori, sta ripetendo da un paio d’anni, in diverse città italiane, un corso che secondo me è uno dei più interessanti nel panorama italiano, oggi così ricco di proposte didattiche intorno al libro illustrato. Centrare l’attenzione didattica sulla relazione tra forma e contenuto dell’album significa aver chiaro che un album non è il supporto a una mera successione di belle immagini, accompagnate da una bella storia, ma un oggetto, un meccanismo, un cubo magico, un gioco da smontare e rimontare.

Il corso non è rivolto esclusivamente a illustratori, possono frequentarlo anche gli autori, e tutte quelle persone che sentono che la loro creatività avrebbe bisogno di un libro illustrato per esprimersi.
Ma lo consiglio vivamente a tutti quegli illustratori che, come me, sono arrivati al pieno ritmo della loro carriera senza sapere cosa è una segnatura, o come reagisce un rosso su una carta usomano (vergüenza).
E’ un corso perfetto anche per chi fosse appassionato di auto-edizione (si impara a rilegare libri d’artista, fanzine, leporelli…).

Simone Rea con ago e filo

Ho frequentato questo corso a Roma (Cecchina), l’estate scorsa, ed è stata un’esperienza formativa indispensabile. Uno di quei corsi che mi hanno fatto fare un salto professionale. Da illustratrice, ero abituata a pensare al libro immagine dopo immagine. Sapevo che le mie immagini dovevano finire in un libro, essere in sequenza e avere una coerenza ritmica, ma immagini, storia e libro erano, per me, elementi che sarebbero stati assemblati alla fine, come in una catena di montaggio.
Nel corso, invece, ago e fili alla mano, l’oggetto della mia creatività è diventato “Il libro” stesso.

Barbara e Ilaria (alias Passpartu) al corso tenutosi al Castello Sforzesco di Milano

Durante il corso, si impara a costruire un libro, anzi, più libri, e a furia di assemblare quartini e cucire segnature si capiscono finalmente gli ingranaggi segreti di questo oggetto così affascinante.
Si impara il processo di stampa (visita guidata a una stamperia inclusa nel pacchetto). Cosa è un dot-gain. Su che dorso si può mettere una copertina brossurata. Come reagiscono i colori a seconda della carta usata per la stampa. Quali colori sono difficili da riprodurre, quali impossibili… Si impara come funziona la quadricromia: bellissimo vedere i vari livelli di riproduzione: dall’originale, alle prove di stampa, fino al prodotto finito. E mille altre cose indispensabili da sapere per progettare un libro da veri professionisti.

Non so negli altri corsi, ma in quello di Cecchina, se le mattine erano un concentrato di informazioni tecniche sull’oggetto libro e sul processo di stampa, i pomeriggi erano tutti dedicati alla creatività.

Monica Monachesi al corso di Cecchina
Francesco Chiacchio al corso di Cecchina

Liberati dall’ansia di fare “il bel disegno”, abbiamo tutti buttato giù idee in abbondanza, velocemente e allegramente (non vi preoccupate, le idee vengono, sarà il libro stesso e il suo formato che vi guiderà). Collage, forbici, colla, matite, impronte, tutto era permesso. Per darvi un’idea del livello di esplosione di follia generale, qualcuno (credo fosse la sottoscritta), a un certo punto ha preso il piedino di Orlando, l’ospite  più delizioso del corso di Cecchina, per usarlo come stampino!

Orlando, detto anche Il lottatore di Sumo

Ma il corso ha un valore aggiunto: è la grande sensibilità umana di Paolo. Il suo occhio esperto non si fermava ai pigmenti della stampa, proseguiva fino ad ognuno dei nostri visi concentrati per cogliere la nostra personalità, i talenti, i tic, le esitazioni…

In senso orario: Sara Stefanini, Emid Antonioni, Paolo Canton, Daniela Tieni, Cecchina

e sulla personalità di ognuno di noi Paolo lavorava come un vero editore: scompaginando timidezze, incoraggiando tagli, allisciando ruvidezze, tanto che alla fine siamo usciti dal corso impaginati a nuovo. Ci ha persino costruito un libricino su misura: alla fine del corso ognuno aveva il suo libro personalizzato, con tanto di titolo, da illustrare come compito a casa. Il mio si intitolava “Sbagliare le misure” (io non sono precisa, avrei dovuto lavorare su questo e non essendo precisa, non l’ho ancora fatto. L’unica che ha fatto i compiti è Marina Marcolin (secchiona), e sembra che i suoi compiti si trasformeranno presto in un libro vero…).
Sul condensato di energia esplosiva che si era creato nel gruppo di Cecchina, avevo già scritto qui: Il potere dei gruppi. Breve trattato sulla felicità.
Per concludere, se potete permettervelo, non perdete l’occasione di questo corso a Sàrmede.

ps: Marina, scherzavo! non sei secchiona, sono solo io che sono una “niña sin lapiz”! (una compagna spagnola, al corso, ci aveva insegnato che in Spagna gli allievi indisciplinati li chiamano “niños sin lapiz” – i bambini senza penna-). La penna delle immagini qui sotto, invece, è di quel genio di Francesco Chiacchio.

Francesco Chiacchio, dal post La versione di Chiacchio

NOTA: Il corso a Sarmede prevede anche una gita alla stamperia Tipoteca Italiana di Cornuda (giovedì mezza giornata)
e un incontro (con tutte le classi riunite, anche la mia) sul contratto di edizione (mercoledì sera) dal titolo:
Tutto quello che avete sempre voluto sapere e non avete mai osato chiedere sul contratto di edizione.

Un momento del processo di stampa, dal post: La fatica che c’è dietro un’immagine

E ora vi lascio con una lunghissima serie di post da spulciare, che diversi allievi, tutti usciti dai corsi tenuti da Paolo con sindrome di Stendhal per il libro illustrato, hanno scritto nel tempo (il corso fa questo effetto a tutti).

Sul corso di Cecchina (Roma)
IL POTERE DEI GRUPPI. Breve trattato sulla felicità di Anna Castagnoli
La versione di Chiacchio di Francesco Chiacchio
Cinque giorni un’estate di Ettorino
Quando passa l’uragano di Ilaria Falorsi, Gloria Pizzilli ed Elisabetta Romagnoli

Sul corso alla scuola del Castello Sforzesco (Milano)
Posso fare un libro anch’io? di Ilaria Mozzi
Presentarsi bene di Paolo Canton

Sulle gite annesse al corso
In questo mondo dell’invenzione: un’illustratrice in gita di Giulia Zafferoni
Gita scolastica, editori per un giorno di Marta Ferina
La fatica che c’è dietro un’immagine di Marina Marcolin

PER ISCRIVERSI (restano pochi posti liberi) SCRIVERE A:
info@sarmedemostra.it
Il programma del corso lo trovate qui.


I mostri selvaggi in mostra, a Torino

Chiara Carrer

COSA: Una mostra di mostri selvaggi. 50 illustratori, 50 disegni per i 50 anni dalla pubblicazione di Where the wild things are di Maurice Sendak. La mostra è stata curata da Eros Miari, Francesca Archinto e Gabriela Zucchini. Il catalogo sarà edito da Babalibri.
DOVE: Apertura della mostra: dal 9 al 21 maggio a Torino, presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Via Modane, 16 – Torino
QUANDO: A Torino, dal 9 al 21 maggio 2013
Orari di apertura: giovedì ore 20 – 23 / Venerdì, sabato e domenica ore 12 – 19
La mostra sarà ufficialmente inaugurata alla presenza di numerosi illustratori “selvaggi†il 17 maggio 2013 alle ore 17.

Emanuela Bussolati

Ho scelto dal catalogo qualche immagine per questo post e rubato la bellissima introduzione di Rosellina Archinto, una delle donne che hanno costruito la storia dell’illustrazione italiana, portando in Italia con la sue edizioni il meglio di un’editoria internazionale coraggiosa e innovativa.

Introduzione al catalogo Mostri selvaggi in mostra
di Rosellina Archinto
© Babalibri

Caro Maurice Sendak, ci siamo incontrati tantissimi anni fa a New York ( credo nel 1967) quando io ti ho cercato per pubblicare in Italia il tuo libro Where the Wild Things are. Mi guardavi con una certa perplessità: chissà chi sarà mai questa giovinetta che vuol pubblicare il mio libro. Accettasti la mia offerta e io lo pubblicai. Il pubblico italiano di quegli anni era molto dubbioso, abituato com’era a libri per l’infanzia popolati da fatine e animaletti gentili e con non poca fatica ho cercato di far capire il tuo grande valore. Tu avevi già vinto la Caldecott Medal, il primo di tanti importanti premi negli USA e in Europa: National Medal of arts – Astrid Lindgren Memorial Award e molti altri. Dopo tanti anni il tuo libro ha ispirato un film, un’opera lirica e ha stimolato l’immaginazione di più generazioni.

Marina Marcolin

Ricordo una frase che mi hai detto quel giorno: «Mi rifiuto di dire bugie ai bambini e di assecondare le sciocchezze dell’innocenza». E avevi ragione. Poi vennero tanti altri tuoi libri e io ti ho sempre seguito con attenzione e ammirazione.
Certo il tuo modo di scrivere libri per bambini è sicuramente molto speciale: non sei né enfatico né patetico ma determinato nel voler trasmettere i tuoi pensieri al pubblico giovane. Il tuo tratto non è melenso o insipido, ma forte e sicuro e talvolta anche crudo.

Alicia Baladan

Le tue illustrazioni sono senza dubbio ispirate ad alcuni grandi pittori e scrittori come William Blake, Hermann Melville, Francisco Goya e altri. Grande era la tua ammirazione per Mozart ed Emily Dickinson. «Leggo spesso le sue poesie», hai detto in un’intervista, «è così coraggiosa e così forte che quando la leggo mi sento meglio.»
Ricordo che quando hai pubblicato In the Night Kitchen hai avuto molti problemi. Il libro è stato infatti oggetto di varie censure perché il protagonista della storia appare nudo e il cuoco che vuole cuocere il protagonista nel forno ha i baffi alla Hitler.
Non ne hai fatto un problema e hai continuato a scrivere e disegnare come volevi.
Ora il tuo Where the Wild Things are compie 50 anni: e io sono ancor oggi molto felice di averti fatto conoscere al pubblico italiano. Ormai il tuo grande successo a livello internazionale è indiscusso, forse sei stato il più importante inventore di storie per l’infanzia. Un’infanzia che avrebbe ancora bisogno di persone che possano con la forza del loro pensiero riempire i tremendi vuoti di un mondo dominato da immagini digitali che riversa su di loro una visione effimera della vita.
Conoscerti per me è stato non solo un insegnamento ma anche un grande piacere e ti ricorderò sempre con grande ammirazione.

Rosellina Archinto

Mauro Evangelista

Anna Castagnoli
Philip Giordano
Michele Ferri

ps: Molti i laboratori associati alla mostra!


IllustraMeeting. Professione illustratore. Palermo 14 maggio

IllustraMeeting
Palermo, 14 maggio 2013
potete seguire l’evento in diretta a
questo link


A Palermo, con grande energia ed entusiasmo, Rosanna Maranto ha organizzato una giornata tutta dedicata al mestiere di illustratore. Con molti illustratori in collegamento diretto da diverse parti d’Europa, una platea piena di studenti, e il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. Potete seguire tutto in streaming.
PER SEGUIRE IN DIRETTA CLICCATE QUI

 


Come si illustra un libro. La lezione di Martin P., dall’alto dei suoi 6 anni.

Nelle settimane scorse, molti giovani illustratori che seguono il blog, o aspiranti tali, avranno sentito parlare di correnti, di mode, di stili astratti e realisti. Volevo dirvi che tutti quei bei discorsi sono abbastanza inutili quando si vuole imparare l’arte di illustrare. Prima ancora di indulgere in una qualunque ricerca stilistica, un illustratore dovrebbe imparare due cose fondamentali:
come è fatto un libro e come si racconta una storia dentro un libro. Non è difficile. Basta avere qualcosa da raccontare, dei fogli cuciti tra loro a mo’ di libro e delle matite.

Ora vi racconto del primo story-board di un talentuoso illustratore che ho avuto la fortuna di avere come allievo per qualche ora.
Il fatto che non avesse ancora sei anni non aggiunge nessuna compiacenza alla mia ammirazione per il suo lavoro.

Era venuto a trovarmi a Barcellona qualche giorno. Non so quanti libri avesse all’attivo nella sua giovane storia di lettore ancora analfabeta, ma era molto curioso del mio mestiere. Il tempo di familiarizzarsi con la casa, che non conosceva, e mi dice che vuole fare un libro. Mi sembrava molto complicato fargli fare un libro. Lo lascio insistere un giorno intero, finché, per farlo smettere di martellarmi le orecchie, non mi decido che ci saremmo seduti a fare il libro che voleva.

Mi siedo sulla mia sedia norvegese con lui tra le gambe, prendo la maquette di un mio libro e gli dico:
Martin, questo è un libro. Ti spiego come è fatto. Deve esserci la copertina e poi qualche pagina all’interno. Dentro, con le matite, devi raccontare una storia, quella che vuoi.
Ora ti costruisco una maquette e tu poi tu la illustri, va bene? Se vuoi che ci scriviamo sopra un testo, tu me lo racconti e io lo trascrivo al computer, poi lo incolliamo. Ma se vuoi il testo, devi lasciarmi lo spazio nelle illustrazioni. Come qui, vedi? Oppure puoi anche raccontare la storia solo con le immagini, senza testo.

Poi gli faccio due quartini con due fogli A4, li cucio insieme, li taglio, e gli lascio tra le mani il libricino bianco. Gli indico dove sono le matite. Come si intitola la tua storia? Lui: “Le petit poisson” (Il pesciolino). Stampo il titolo e lo incollo sulla copertina. Mi alzo e lo saluto, lasciandolo solo.
Voi non ci crederete, è stato difficile crederci anche per me, ma un’abbondante mezz’ora dopo viene in sala e mi mostra il libro. Lo apriamo insieme. Mi racconta la storia ad alta voce: sono solo piccoli commenti: tutti e due, sfogliando il libro, abbiamo la sensazione che le immagini bastino da sole a raccontare la storia. Qui sotto, in verde, le sue parole, la traduzione è mia (Martin è francese).

Analisi del libro
IL MIO PESCIOLINO
di Martin P.

Qui c’è un pesce, è tutto solo.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

La tensione narrativa della relazione pesce/ingresso grotta è perfetta. Ha disegnato anche le pietre sul fondo del mare, forse una conchiglia. Notate che in alto a sinistra c’è un personaggio secondario: mi spiega che è un gabbiano. A un mio allievo gli avrei dato 10 e lode per l’idea narrativa del gabbiano. Non so la ragione per cui Martin lo ha disegnato, ma quello di inserire un personaggio secondario che è testimone della storia è un trucco che molti illustratori professionisti usano per dare più spessore e verità alla storia narrata. Il lettore, così, non è il solo testimone della storia, forse è lì per caso, e prova il grande piacere di essere un osservatore casuale.

E qui ha trovato un amico. Il pesce entra nella grotta col suo amico.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Che bello che l’amico abbia sulla testa una lucina per illuminare l’interno della grotta.
A livello compositivo le tavole sono invertite. In un libro illustrato la direzione della storia va, convenzionalmente, sempre da sinistra verso destra. I personaggi entrano in scena a sinistra, escono a destra. Notate che la storia di Martin è sempre capovolta orizzontalmente rispetto alla convenzione della narrazione per immagini occidentale, e questo forse prova che la lettura di un’immagine da sinistra a destra è istintiva solo per chi ha già imparato a scrivere.
I due momenti dell’incontro: saluto coi musi nella grotta (pagina a sinistra) e poi avanzamento (pagina di destra) sono illustrati sulla stessa doppia pagina, come nei polittici medievali, dove vari momenti di una storia condividono lo stesso sfondo.

Erano andati ancora più lontani.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Osservate lo zoom sulla grotta, e lo spostamento della telecamera che segue il tunnel della grotta. Ora il profilo della superficie del mare è sparito (essendo un primo piano), il gabbiano anche. La tensione narrativa è tutta concentrata nell’emozione dei due pesci che entrano nella grotta (il gabbiano, ora, distrarrebbe). Notate la finezza della bava di luce che ricopre le pareti della grotta. Infatti…

E hanno trovato il tesoro.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Ritorna il gabbiano sopra il mare, in alto a sinistra. Ora è rosso. Forse più eccitato. Il filo giallo di luce che contornava le pareti della grotta è sparito. Ora c’è solo il tesoro che brilla nel buio del mare. O forse non brilla più così tanto come quando la sua luce guidava i due pesci lungo la grotta.

Poi sono andati via.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Di nuovo zoom sul tunnel. Primissimo piano. Controscena. I pesci escono dalla grotta. Ritorna la luce sulle pareti della grotta.
Forse a 5 anni e mezzo si diventa ricchi solo a guardarlo, un tesoro, non c’è bisogno di prenderlo.

Arrivano altri pesci.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

L’ingresso della grotta spunta ancora dalla pagina di sinistra, ma appena. Il fondale che prima era marrone è diventato giallo. Il mare è luce pura.
Non ho capito bene il finale (non ci sono altre illustrazioni nel libro). Gli chiedo di ripetermelo. Lui mi ripete: Vanno via e arrivano altri pesci. Io insisto ancora. Di coccio. Nella mia testa un finale deve dirmi che fine fanno i due protagonisti, così chiedo ancora: E i due pesci amici? Lui, paziente, ripete: Se ne vanno.
Capisco che è finita la storia, così, con una dissolvenza leggera e un cambio di protagonisti. Un finale da cinema neorealista, senza catarsi, e anche una grande lezione sulla vita: il tesoro è rimasto nella grotta, la storia può ricominciare. C’è chi va, c’è chi viene. Uno dei (nuovi?) pesci (quello in fondo) è tutto circondato di luce.
Nella risguardia finale ha scritto un pezzo di titolo (lo capirò più tardi). E poi il suo nome: Martin, e Fin.


Vorrei applaudire, ma mi contengo. Sono un’editrice seria. Il libro non è ancora finito. Manca la copertina e gli dico:
Martin, sei stato bravissimo, è stupendo, manca ancora la copertina, vai a farla.
Mentre corre verso lo studio gli urlo dietro: Martin! La copertina deve dire qualcosa della storia, ma non tutto, deve dare la curiosità di entrare nel libro! (Formula magica che ripeto sempre ai miei corsi). Chissà se ha sentito. E’ già di ritorno con questa copertina.

Di sua iniziativa ha illustrato anche la quarta di copertina (il retro).
Io avevo le lacrime…


ps: Il giorno dopo me lo sono portato al parco a disegnare dal vero. Ha fatto questo disegno qui sotto. Era il suo primo disegno dal vero. Davanti alla mia bocca spalancata ha detto: Ma zia Anna, è facile. con quel tono di infinita pazienza che hanno i bambini quando si rivolgono agli adulti per spiegare loro come si fanno le cose.