Lorenzo Mattotti in mostra a Milano

Fino al 7 febbraio in mostra “Altrove” di Lorenzo Mattotti alla galleria Nuages di Milano. Ventitré dipinti del maestro sul tema del paesaggio.

mattotti

Orario: 14 – 19
il sabato: 10 -13 / 14 – 19
chiusura festivi e lunedì

dal 3 al 24 dicembre la galleria sarà aperta tutti i giorni dalle 10 alle 19
Ingresso gratuito


Il testo dell’articolo di Angela Dal Gobbo

Nei precedenti post sono state pubblicate due reazioni all’articolo di Angela Dal Gobbo comparso sul numero 80 di Liber: Il picturebook è una galleria d’arte?: la lettera di Diletta Colombo e il mio articolo.
Potete leggere il testo integrale dell’articolo di Angela Dal Gobbo sul sito di Liber.


Secondo voi un album illustrato può essere una galleria d’arte per bambini?
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Leggi la critica di Anna Castagnoli
Leggi la lettera di Diletta Colombo


Il picturebook non è una galleria d’arte. Critica all’articolo di Angela Dal Gobbo

In merito all’articolo di Angela Dal Gobbo: Il picturebook è una galleria d’arte? uscito sul n°80 di Liber, (a proposito del quale Diletta Colombo ha già scritto una importante lettera) mossa dal sentimento che le conclusioni a cui giunge l’autrice sono non solo arbitrarie, ma pericolose per la diffusione di una riflessione errata a proposito delle competenze del picturebook, mi permetto di analizzare e criticare le sue argomentazioni. Invito Angela Dal Gobbo a indicare eventuali incomprensioni e malintesi nella mia interpretazione al suo articolo.

Who am I? Kveta Packovska

Partendo dalla citazione di Kveta Packovska: “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che un bambino visita†e nell’intento di dimostrare che quando si parla di picturebooks non si può parlare di “arte†in senso stretto, Angela Dal Gobbo spiega che cosa è un pictutrebook: il picturebook è un prodotto sequenziale in cui l’immagine non è autonoma ma vive solo in funzione del testo narrativo, insieme, testo e figure formano un prodotto di tipo superiore (una gestalt).

Dunque le immagini non hanno, per questa ragione, valore di oggetti d’arte in sé. Se le immagini possono svincolarsi dal testo è perché allora parliamo di album illustrati in generale e non più di picturebooks in particolare, è il caso di storie che si possono reggere da sole, come le fiabe classiche, ad esempio, che di volta in volta si possono interpretare con illustrazioni di stili diversi.

Nella sequenza logica dell’articolo la differenza tra album e picturebook interviene a ribadire l’unicità del picturebook come prodotto “sequenziale narrativoâ€. Meno chiaro è il perché questa unicità lo allontani dalla possibilità di essere oggetto artistico (o di contenere forme dell’arte).
Angela Dal Gobbo cita Maria Nicolajeva:

“Diversamente dall’arte, i picturebooks sono sequenziali, acquistano significato esclusivamente tramite una sequenza di immagini. E’ perciò inutile studiare separatamente le immagini, esse devono essere sempre considerate come un tutto nell’interazione con le paroleâ€.

Io forse dovrei sapere chi è Maria Nikolajeva, e chiedo venia per l’ignoranza (soprattutto perché, scopro ora, ha pubblicato studi sui picturebooks), dovrei conoscere altresì il contesto in cui era inserita questa frase. Nonostante le mie lacune in merito mi sento di dire che la frase, isolata tra virgolette, non ha molto senso. Mi potrebbe spiegare Maria Nicolajeva nella frase: “Diversamente dall’arte, i picturebooks sono sequenziali†cosa significa “diversamente dall’arte�
Analizziamola:

Dal momento che le immagini dei picturebooks sono sequenziali non ha senso studiarle separatamente. Sarebbe come dire, visto che la Cappella degli Scrovegni di Giotto o la Leggenda della Vera Croce di Piero, sono tutt’uno con la storia sacra che le illumina, non vale al pena prendersi il tempo di studiare ad una ad una le scene? Angela Dal Gobbo scrive:

“ Si può asserire che le illustrazioni del picturebook formano un tutto unitario con le parole e non ha senso analizzarle separatamente. Si può anche aggiungere che non è scopo di tale genere di libri avvicinare i bambini all’arte, o predisporli a una fruizione estetica; il suo fine vero sta nel raccontare una storia con l’impiego di due diversi codici comunicativi.â€

Se c’è stato un passaggio logico, l’ho perso, anche leggendo per intero l’articolo, non è chiaro.
Siccome il picturebook è narrazione sequenziale, il suo fine è narrare e non educare all’arte. (?)

Un manifesto simile è stato impugnato dalle egemonie religiose (cattoliche e non), nel medioevo: scopo dell’artista era quello di illustrare le storie dei Libri Sacri, e non di “fare arteâ€. Manifesto che ha influenzato in maniera decisiva l’arte (appunto) bizantina, araba, cristiana per molti secoli, limitando l’espressione pittorica a “codici†narrativi precisi: quali l’assenza di chiaro scuro, la sobrietà delle linee, etc. Come Gombrich descrive così bene nella sua bellissima STORIA DELL’ARTE: la libertà di espressione dell’arte è stata una conquista strappata alla paura della potenza delle immagini, così viva in ogni epoca storica (odierna inclusa).

Però mi conceda l’autrice dell’articolo: possiamo parlare di arte guardando un Cristo bizantino o dobbiamo solo inginocchiarci? I manoscritti arabi ed ebraici, dove alla figura vietata veniva sostituito un “disegno di lettereâ€, non sono catalogabili nella storia dell’arte? Guardando una tomba egizia, dove la vita del defunto era ILLUSTRATA passo passo, dove i disegni si tessevano in una trama complessa con i geroglifici, possiamo parlare di arte o dobbiamo solo sperare che qualche egittologo ci traduca quante volte Ramses II si è unito in amoroso abbraccio a Nefertari? Possiamo parlare di arte nelle immagini illuminate dei testi medioevali? Nel magnifico libro d’ore del conte Berry? Davanti alla narrazione della vita di Gesù attraversata dal sole nelle stupefacenti vetrate di Chartres?

Anche se dovessimo -per ragione del fatto che la diatriba su cosa è o non è arte non era ancora ben delineata in quell’epoca,- limitarci a dire che le vetrate di Chartres narravano agli analfabeti le storie dell’antico e nuovo testamento e non avevano nessuna pretesa artistica, possiamo negarne il valore di opere d’arte? Possiamo risolutamente asserire che chi le guardava non veniva contagiato dalla loro bellezza? Possiamo dubitare che contadini e bambini non ne afferrassero la grazia? Non sarebbe più corretto, al di là di ogni filosofia dell’arte, dire che era proprio la bellezza e la grazia di quelle vetrate a inculcare nel fedele l’ammirazione per la storia sacra e la sua narrazione? Lo stesso discorso vale per le miniature dei manoscritti latini.

E il cinema? Che unisce codici quali il linguaggio e l’immagine, è arte? E la letteratura romanza, che è narrazione pura, è arte? E il teatro, l’opera e il balletto, che mescolano diverse arti, sono arte? Dobbiamo pensare che una villa del Palladio non sia arte perché è stata costruita per il meschino scopo di essere abitata?
Mi sembra azzardato togliere stelline Michelin all’arte nella misura in cui i suoi codici si affastellano uno sull’altro creando un linguaggio più complesso. L’opera lirica è meno arte del teatro perché alla parola è stata aggiunta la musica?

E, perdonatemi la domanda ingenua: MA CHE COSA E’ L’ARTE?

Valigia Komagata

Angela Dal Gobbo prosegue nella sua riflessione e mette in guardia riviste come la francese Hors Cadres, o libri come “Lire l’album†di Sophie Van Der Linden, che studiano approfonditamente i codici della narrazione grafica degli album. Il rischio, secondo l’autrice, è quello di perdere il contesto narrativo dei picturebooks. Non è invece proprio l’ermeneutica del linguaggio visivo del picturebook che può aprire la strada alla comprensione dei suoi codici narrativi e semantici? Perché il suo linguaggio è VISIVO? Non si parla infatti di LETTRATURE GRAFICHE? (In ogni caso a nessuna delle riviste citate mi sembra faccia lacuna una visione di insieme dell’album, al contrario).

Altro rischio nel prendersi troppa cura delle immagini (di pensarle troppo? Di farle troppo belle?) è quello del proliferare di album in cui le immagini prendono un posto prioritario, autonomo rispetto al testo, in una pericolosa sequenza priva di fondamenti narrativi “sensatiâ€, o alla proliferazione di album “artistici†che non hanno coerenza narrativa interna, o che non si rifanno al mondo conosciuto dal bambino.
(Mi chiedo se qui l’autrice si riferisce anche agli Imagiers, album che propongono -i primi esemplari datano secoli- una raccolta casuale di immagini, al solo scopo di elencare la meraviglia, album a cui si è spesso ispirata una casa editrice come Le Rouergue, che è tra quelle messe all’indice dall’articolo. E mi chiedo quali pericoli si possano mai insinuare per il bambino nelle pagine di un Imagier).

Angela Dal Gobbo asserisce che scopo di questi album “diversi†non è quello di educare all’arte, ma educare a vedere e percepire, a cogliere con meraviglia e stupore l’aspetto fisico del mondo. (…) Alimentare la curiosità, suscitare lo stupore (…).â€

Se, malgrado noi, dovessimo trovare una definizione degli scopi dell’Arte, non se ne potrebbe trovare una più bella di questa descritta da Angela Dal Gobbo: educare allo stupore, alla meraviglia. Alimentare la curiosità. Purtroppo i libri in questione non possono vantare questo scopo alto dell’arte, sia perché non possono essere arte (per la dimostrazione fatta all’inizio dell’articolo: essi sono sequenziali -?-) sia per via, lo vedremo più avanti, di alcuni invalidanti handicap del bambino.
Questi album “scomodi†si limitano a SENSIBILIZZARE AL VISIVO, premessa auspicabile e necessaria per arrivare in un secondo tempo all’interesse verso il mondo dell’arte. Perché? Perché:

“in un primo momento, tuttavia, i bambini non sembrano dimostrare un interesse specifico per il “bello†inteso in senso autonomo, svincolato cioè dall’esperienza, dall’esplorazione concreta dell’intorno, separato dalla narrazione- strumento principale, quest’ultima, per rielaborare in senso cognitivo e affettivo l’esperienza stessaâ€.

Mi piacerebbe invitare Angela Dal Gobbo a spiegarci meglio su che basi scientifiche, o in mancanza di queste attraverso quali vissuti è arrivata ad affermare con tanta risolutezza che il bambino non ha un interesse specifico per il “bello†svincolato dalla narrazione. Sorvoliamo sulla difficoltà etimologica e semantica di “bello†e andiamo al sodo: stiamo dicendo che un bambino sotto i 5 anni non può capire l’equilibrio, la grazia, l’armonia presenti nel mondo di un’immagine con un sentimento estetico simile a quello di un adulto?
Si dice che egli non abbia, sotto i cinque anni, le competenze iconografiche necessarie a interpretare certi difficili album.

Sarebbe carino pubblicare il racconto (commovente) di come Komagata abbia costruito i suoi album spinto unicamente dal bisogno di comunicare con sua figlia neonata, e come abbia pensato immagini e ritmo proprio sulla base di questa relazione silenziosa fatta di attenzione e sguardi che si andava tessendo.

Nel gruppo dei libri “non adatti ai bambini†ci sono quelli di case editrici come Orecchio Acerbo, Editions du Rouergue, Être… passano invece la dogana (a pelo) quelli riconosciuti dalla critica universale, si cita Munari, Komagata, l’ABC della Bataille, etc…:

ABC3D, di Marion Bataille Albin Michel Jeunesse, 2008

Ma Angela Dal Gobbo dichiara che se il bambino piccolo prova interesse per questo tipo di libri è solo perché essi fanno leva sulle modalità attraverso le quali, spontaneamente, il bambino esperisce il mondo.

Se diamo un apparecchio acustico ad un sordastro, e gli facciamo ascoltare una fuga di Bach, il valore della sua esperienza estetica sarà svalutato? Il paragone è fuorviante: qui non parliamo di un lieve difetto dell’udito. Parliamo di un deficit congenito all’infanzia: quello di poter capire “il bello†come esperienza estetica fine a se stessa. Forse continuando nella metafora, si potrebbe dire che i bambini capiscono Munari e Komagata come un cieco potrebbe capire la Nike di Samotracia, palpandone le superfici.
E anche se così fosse, non è sempre alla bellezza che accede? Secondo l’autrice, nel caso del bambino sotto i cinque anni questa palpazione della bellezza è esclusivamente finalizzata all’atto del conoscere, dell’esplorare, del meravigliarsi.
Bene, ma non è esattamente questo quello che tutti gli adulti fanno davanti all’Arte? Esplorare il senso soggiacente all’opera, palparne i significati profondi, meravigliarsi? Non è nell’atto di esplorare la vita e i suoi significati molteplici, come il bambino esplora il suo mondo in miniatura, che inciampiamo nella necessità dell’Arte? Cosa è se non esplorazione profonda del senso l’emozione che ci coglie davanti alla luce di una candela di Georges de la Tour? E non è forse, come il bambino, attraverso i sensi e la nostra limitatezza che accediamo a queste ESPERIENZE emotive così preziose? E non è grazie ad un’educazione estetica, alla mediazione di adulti più preparati di noi, che possiamo più o meno goderne?

Katsumi Komagata, Little tree, One Stroke 2008

Salto alcuni passaggi del testo per giungere alle sue strane conclusioni: Il bello in un album deve essere accessorio. Fondamentale è invece la sua coerenza narrativa profonda, la sua capacità di adattarsi ai limitati strumenti estetici del bambino:

“A nostro avviso è perciò inutile, più che controproducente, proporre libri che presentino una ricerca formale troppo lontana dal concreto, dal vissuto del bambino. Si tratterebbe di una operazione che si fonda più sul compiacimento visivo che non sulla considerazione delle capacità e delle attitudini di un pubblico infantile. Ci sentiamo di sostenere che almeno fino ai 5 anni di età non sia opportuno che i libri non contengano riferimenti visivi troppo complessi, difficili da decodificare, inutilmente sofisticati, che presuppongono un forte bagaglio di elementi iconici.â€

Forse se all’autrice fossero state concesse più pagine si sarebbe potuto capire meglio su che basi abbia avanzato asserzioni personali così severe, poco adatte, mi sembra, alla ricchezza intrinseca dell’infanzia e alla sua varietà, col rischio di impoverire le biblioteche di adulti e bambini. Spero che possa in questa occasione o altre spiegarci con maggiore chiarezza la sua posizione.

Io penso che un picturebook -o album che sia (è indifferente), quando nasce dalla creatività, dalla cultura e dall’intelligenza dei suoi creatori, sia semplicemente un prodotto artistico che risponde ai bisogni e ai codici dell’arte. Se sia o no adatto a un bambino dipende da cosa rispondiamo alla domanda: i bambini possono fruire dell’arte e dell’esperienza estetica? Per rispondere mi limito a ricordare un bambino di 4 anni in un museo di arte moderna, in braccio alla mamma contemplava con la stessa curiosa attenzione quadri di Picasso e Matisse, rideva, allungava le manine verso la pioggia di colori di Calder, lasciato libero sgambettava in direzione di una scultura di Giacometti e si fermava a contemplarla in attento e composto sentire, poi, alzate le braccia al cielo, la imitava divertito. Di rado ho visto adulti capire con più profondità e istinto che cosa è l’Arte.

Anna Castagnoli

illeggibilemunariLibro illeggibile 66, Galleria dell’Obelisco, Roma, 1966 Bruno Munari

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“Libri, immagini, critica, adulti e bambini” di Diletta Colombo

Leggi l’articolo di Angela Dal Gobbo
Leggi la critica di Anna Castagnoli

LIBRI, IMMAGINI, CRITICA, ADULTI e BAMBINI
di Diletta Colombo

Sono una giovane libraia di Milano, interessata e appassionata di letteratura e illustrazione per ragazzi.Vi scrivo perché ritengo importante condividere una riflessione sullo stato della critica sui picturebooks in Italia e sul rapporto adulti-infanzia-immagini-libri.

L’occasione per mettere in luce questo argomento è nata dalla lettura dell’articolo di Angela Dal Gobbo su “Il picture book è una galleria d’arte?” (pp 50-53), uscito sul n°80 di Liber, in cui si affronta proprio il tema dell’illustrazione nei picturebooks che mi sta a cuore e che continuo ad approfondire.
L’articolo della Dal Gobbo si concentra su due premesse teoriche fondamentali: la natura dei picturebooks si fonda sul rapporto inscindibile tra testo e figure e il loro obiettivo non è educare all’arte, quanto piuttosto “alimentare la curiosità, suscitare lo stupore è il grande compito di questi libri; rappresenta il primo passo verso una sensibilizzazione al visivo che potrà portare, successivamente a nutrire interesse anche nei confronti dell’arte. I bambini non sembrano mostrare un interesse specifico per il bello in senso autonomo, svincolato cioè dall’esperienza, dall’esplorazione concreta dell’intorno, separato dalla narrazione – strumento principe, quest’ultima, per rielaborare in senso cognitivo e affettivo l’esperienza stessa” (p. 51).
L’articolo pone inoltre il problema della “leggibilità†dei libri belli e complessi, prendendo le distanze da quelle case editrici che presentano “una ricerca formale troppo lontana dal concreto, dal vissuto del bambino. Si tratta di una operazione che si fonda più sul compiacimento visivo che non sulla considerazione delle capacità e delle attitudini di un pubblico infantile. Ci sentiamo di sostenere che fino a cinque anni di età sia opportuno che i libri non contengano riferimenti visivi troppo complessi, difficili da decodificare, inutilmente sofisticati, che presuppongono un forte bagaglio di elementi iconici†(p.52).

Non è mio interesse emettere un giudizio fine a sé stesso sull’autrice né tanto meno sulla rivista, né difendere le case editrici criticate perché “si vantano di pubblicare libri di qualità, innovativi, basati su sperimentazioni grafiche†e “pur presentando anche titoli molto validi, non si preoccupano se il pubblico a cui si rivolgono è (e rimane) molto ristretto, anzi auspicano una diffusione dell’albo illustrato anche tra gli adulti, i soli a poter apprezzare prodotti tanto sofisticati, quanto di complessa lettura†(p.52).
Questo articolo, come altri che ultimamente seguono la crescente diffusione degli albi (più che la loro ristrettezza), mette in luce come in Italia sia diffusa per lo più un’analisi povera dei libri illustrati per ragazzi.
Innanzitutto la riflessione e la ricerca sui libri illustrati sono andate molto oltre il rapporto tra testo e immagini in venti anni di studi e attività di promozione alla lettura. Continuare a girare intorno a questo aspetto fondamentale, soprattutto senza arricchirlo e ampliarlo, comincia a rimanere un’analisi poco aggiornata, sia dal punto di vista filosofico sia, soprattutto pedagogico.


L’educazione estetica, nel senso più ricco e profondo dato da Marco Dallari, parte dall’età precoce e l’illustrazione non è “una ciliegina sulla torta†delle parole.

Dal punto di vista pedagogico e psicologico non è scientificamente provato che le immagini artisticamente belle e complesse (spesso associate a storie ben raccontate e profonde, seppur di non immediato apprezzamento) siano incomprensibili, fine a se stesse e addirittura diseducative. Anzi, i bambini prima scoprono il mondo con lo sguardo e solo successivamente imparano a parlare: il loro linguaggio primario è quello delle immagini e le loro capacità di osservazione e comprensione sono straordinarie.
Inoltre, fin dalla nascita siamo tutti già immersi in un mondo di immagini, spesso assolutamente brutte, violente e incomprensibili, soprattutto della televisione ma anche di tanti libri stereotipati, banali e mal scritti.
Il senso estetico non è quindi solo affare per “grandi”.
Le immagini, anche sperimentali e grafiche, possono essere altrettanto poetiche, evocative, profonde e stimolanti per “rielaborare in senso cognitivo e affettivo l’esperienza della narrazione”. E’ la costruzione e la profondità di un libro nel suo insieme (parole+immagini+altri codici dalla grafica al formato e ai materiali) a rendere la lettura appassionante e significativa. Uno stile molto innovativo e surreale non allontana automaticamente da un’esperienza di lettura significativa e non ferisce di per sé la sensibilità dei bambini. Penso anche che non tutto debba necessariamente essere assolutamente comprensibile ma che le immagini dei picturebooks conservano un potere simbolico che va oltre le parole, pur essendo a esse legate.
Noi stessi adulti, come da tempo fa notare Faeti, ci ricordiamo con piacere e affetto anche quelle figure più complesse, affascinanti e misteriose trovate nei libri e nei contesti più diversi e non solo quelle tendenzialmente semplici, poco sofisticate, che non richiedono conoscenza estetiche sviluppate.
E’ vero che molti libri non raggiungono un grande pubblico perché difficili da leggere autonomamente, senza la mediazione di un adulto, e non appassionano immediatamente. Ma è giusto tenere in considerazione e promuovere anche quelle immagini belle e complesse e non immediatamente riconoscibili dai bambini.
Non credo che siano inutili e nocive, né che richiedano troppo sforzo.
Da una parte, esistono infinite varietà di bambini per intelligenza e sensibilità e non credo ci debbano essere libri che vadano bene per tutti.
Dall’altra, confido nel ruolo degli adulti, che condividono il piacere di una lettura condivisa, nell’aiutare a decodificare il senso delle immagini in relazione alle storie e nel conservare il mistero della complessità e della bellezza.
Se la forza dei libri illustrati sta nel rapporto tra parole e testo e nella possibilità di allenare lo sguardo, di stimolare una decodificazione del senso, di suscitare meraviglia, stupore e curiosità, allora le immagini belle, innovative e complesse possono essere importanti per rielaborare l’esperienza della lettura e per allargare le possibilità di osservare, emozionarsi, conoscere e ricordare.
L’importante è che le illustrazioni siano metaforiche ed evocative, indipendentemente dallo stile e dal livello di “artisticità†e di grafica, che nascano dalla capacità, profondità, sensibilità, onestà e intelligenza dell’illustratore e dalla sua disponibilità a lavorare insieme allo scrittore, che il lavoro grafico faccia da ponte tra parole e immagini per renderle sorelle inseparabili, che le storie non feriscano la sensibilità dei bambini e possiedano testi curati e ben scritti.

Come libraia, studiosa e semplicemente come donna sensibile, ritengo indispensabile alzare il livello generale della riflessione sugli albi illustrati (molto più avanti negli altri paesi europei) per recuperare il senso e il piacere della bellezza e della complessità. Credo che sarebbe utile a tutti (adulti e bambini, scrittori, illustratori, grafici, editori, riviste, librai, bibliotecari, ricercatori, insegnanti) conoscere e promuovere l’infinità varietà dei libri illustrati come una risorsa culturale, educativa e anche economica.

Grazie per il tempo dedicato a queste parole,
Diletta Colombo

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Mostra illustrazione a Torino, palazzo Barolo (2008)

Inaugura a Torino, nella sede del bellissimo palazzo Barolo, una mostra dedicata ai libri per l’infanzia delle generazioni passate: Tofano e Chiostri, l’arte di illustrare l’infanzia. Quando? Fino a quando? Ci vogliono doti di divinazione per saperlo.

1228402851304_010Filiberto Mateldi, Copertina per Olka, figlio di Dio. Romanzo della Terra del Fuoco di Giuseppe Fanciulli (1935). Carboncino su carta.

Dopo ardua e sudata ricerca sono riuscita a interpretare sull’articolo di Repubblica una probabile data di inaugurazione della mostra: mercoledì 10 dicembre?  Non è chiaro però se mercoledì 10 ci sia stata l’inaugurazione della prima ala del Museo della scuola e del libro per l’infanzia che ospiterà una collezione permanente di classici per l’infanzia del ‘900 e diversi oggetti/riproduzioni delle antiche classi italiane, o l’inaugurazione della mostra Tofano e Chiostri, l’arte di illustrare l’infanzia, o di entrambi gli eventi; sul sito ufficiale di Palazzo Barolo gli indizi sono ancora più scarsi. La data di chiusura della mostra introvabile. Gli orari? Non scherziamo. Non ci interessano! Ci piace pensare di poter vistare la mostra alle due della notte, come Botteghe color cannella aperte a tutte le ore.

1228402849049_002Pietro Bernardini, Copertina per Il pavone della casa blu ed altre storie impossibili di Corrado Tumiati (1940). Tempere su cartoncino.

Una cosa che ho imparato dall’articolo (almeno), è che la Fondazione Tancredi di Barolo possiede in Italia uno dei fondi storici più cospicui del patrimonio “libresco” della letteratura per ragazzi, che si traduce in 6500 volumi di edizioni italiane e straniere dalla fine del Settecento alla metà del Novecento, illustrazioni originali, documenti, giochi e materiale didattico. Tra i suoi tesori 1200 originali dei maggiori illustratori del primo Novecento (tra gli altri: Antonio Rubino, Mussino, i grandi illustratori dei romanzi di Salgari) e circa 300 libri animati della seconda metà dell’Ottocento.

1228402852883_015Sergio Tofano,  Illustrazione interna per Il castello delle carte: novelline bizzarre di Giuseppe Fanciulli (1930). China e acquerelli su cartone.

Vi invito a indagare sul giallo e scoprire le date della mostra, io non ho particolare inclinazione per il genere, soprattutto quando, a proporlo, è un articolo di giornale che si supporrebbe preposto a fornirne la soluzione.

1228402852681_014Sergio Tofano, Illustrazione interna per Il castello delle carte: novelline bizzarre di Giuseppe Fanciulli (1930). China e acquerelli con tocchi di tempera bianca su cartone.

AGGIORNAMENTI GIALLO:
La mostra si intitola: Serenant et illuminant. I grandi libri illustrati per l’infanzia della SEI (1908 – 2008).
Ha inaugurato  il 10 dicembre alle ore 16.30 a Palazzo Barolo, Torino (via delle Orfane 7). Aperta fino al 26 aprile.      (chiusa: 25, 26, 31 dicembre e 1, 6 gennaio 2009)

Per informazioni: info(at)fondazionetancredidibarolo.it

Grazie a Marco per l’informazione!



Il racconto di una bambina magica

Capucine è una bambina con una fantasia esuberante. Inventa storie. L’originalità di queste storie, la loro particolare costruzione sintattica, gli accenti retorici tipici del racconto orale degli adulti, hanno spinto i suoi genitori a riprenderla mentre racconta, e pubblicare online i suoi video. Scelta più o meno discutibile (se io avessi una bambina non me la sentirei), questa testimonianza sui processi mentali di una bambina nella costruzione di una storia mi sembra un documento preziosissimo. Se Rodari fosse vivo ci scriverebbe sicuramente sopra una seconda grammatica della fantasia.

Prendetevi il tempo di ascoltarla con attenzione (Più sotto vi ho tradotto alcuni brani).


Once upon a time… from Capucha on Vimeo

Ascoltate come le associazioni più sorprendenti diventano racconto. A volte un elenco di parole viene usato da Capucine per aspettare l’idea successiva, che la porterà avanti nel racconto. A volte si sente che cerca l’effetto del peso di una parola: mammut pesa più di tigre. Fa intervenire un mammut in un pezzo drammatico e di alta tensione, quello in cui l’ippopotamo si è fatto  uccidere dal leone perché vuole suicidarsi, e il leone ha perso di conseguenza i poteri, come punizione del suo assassinio. Il senso di una parola può anche venir usato come terreno di lancio per un nuovo frammento di racconto: come l’allergia alla magia, che si trasforma in varicella per tutti gli animali. Le connessioni sono radicate nel mondo inconscio di Capucine.

Alcuni passaggi sono strepitosi e sono diventati cult in Francia (il video è stato visto 365.000 volte):
E dopo hanno visto un sacco di cose, erano molto belle, c’erano dei fiori, il sole, le nuvole, un sacco di cose! Ma c’era qualcosa che non andava… Perché c’era un coccodrillo che dormiva nell’erba e quando gli salivano sopra si svegliava e mangiava i bambini! Ma c’era ancora qualcosa che non andava, era un ippopotamo che non sta nell’acqua e preferisce… uccidersi!
Dunque il leone ha ucciso l’ippopotamo e lui va in cielo. Ma non lo sapeva! Lui non voleva andare in cielo, dunque decise di non andare in cielo. Ma il leone disse: è troppo tardi adesso! Tu hai deciso di essere mangiato! E… zaaa (gesto della zampata del leone)
.

E poi il leone se lo è meritato: non aveva più poteri. E così il potere è passato all’ippopotamo, e l’ippopotamo… era allergico alla magia! Così l’ippopotamo, il leone e la tigre, hanno avuto delle bolle, avevano la varicella. E poi la varicella è andata ad un altro animale che era mooolto cattivo, ed era un… mammut. Mammut aveva delle unghie, dei poteri per le persone che sono morte nel cielo, anche gli animali.

Bellissimo il fatto che il potere magico sia per Capucine qualcosa di difficile da eludere, se qualcuno non ce l’ha più, passa a qualcun altro, se l’altro non lo vuole, perché magari è allergico alla magia, si ammala, si prende la varicella (contagiosa quanto il potere di prima).
In ogni caso alla fine è l’anello della madre della bambina, un po’ colorato per non essere troppo riconoscibile, a sconfiggere i poteri malvagi di tutte le streghe e ristabilire l’ordine. L’unico modo per sedare questo “potere” così pericoloso, passato di zampa in zampa durante il racconto, è la protezione (ancora magica) della figura materna.

E dopo c’era una signora che aveva un anello, come te, ma non era uguale, perché era arancione. L’anello arancione ha fatto …tscccc. E ha ucciso tutte le streghe, così tutte le persone sono tranquille, possono fare tutto quello che vogliono, e anche i bambini. Ecco è finita!

Non è meravigliosa?
La famiglia di Capucine ha utilizzato la popolarità del video (che ha fatto il giro del mondo) per contribuire a un progetto di solidarietà in Mongolia: http://edurelief.org/. Leggi l’articolo della mamma di Capucine.