L’Europa e i libri per bambini alla BNF: una conferenza (2008)

L’Europa sia fa unita anche per la letteratura dedicata all’infanzia!
La Bibliothèque nationale de France ospita a Parigi (a fianco dell’esposizione Babar, Harry Potter et Compagnie, Livres d’enfants d’hier et d’aujourd’hui) una mostra dal titolo Tour d’Europe en 27 livres d’images, e con il contributo organizzativo di La Joie par les Livres dedica due giornate di studi al tema della letteratura per ragazzi in Europa: Rencontres européennes de la litte?rature pour la jeunesse.
Due giornate di conferenze e discussioni aperte al pubblico (27 e 28 novembre), finalizzate ad una “fotografia” della situazione europea del mercato del libro per ragazzi, e all’investigazione di possibili risorse comuni.

All’interno di questo ciclo di conferenze, sono stata invitata (!) a partecipare alla tavola rotonda che si terrà il 28 mattina, sul tema dei libri per piccolissimi (0-3 anni). Ho a mia volta coinvolto i Topi Pittori, Giovanna Zoboli e Paolo Canton, per la loro illuminata e illuminante cultura della materia.
Il fine è quello di investigare il rapporto tra posizione sociale del bambino in una data nazione e accessi che può avere alla cultura (in Francia, ad esempio, dove la famiglia è meno “bambinocentrica” il ruolo dell’asilo nido è determinante, visto che già dal primo mese, i neonati lo frequentano molte ore al giorno). Se siete a Parigi venite ad ascoltarci!

Se tra voi ci fossero librai, editori, critici, autori o illustratori che sentono di avere delle cose importanti da dire sul tema della cultura per bambini da 0 a 3 anni in Italia oggi (anche in rapporto al passato), possono contattarmi a lefiguredeilibri(at)gmail.com.


L’Europa e i suoi libri: nasce la biblioteca europea digitalizzata

Oggi, 20 novembre, è una giornata storica per il libro e i suoi destini: l’Unione Europea lancia a Bruxelles la prima Biblioteca digitale europea: Europeana. L’intento è quello di trasferire e rendere accessibile su un solo portale tutto il patrimonio culturale delle biblioteche, dei musei e dei centri archivistici dei 27 paesi membri.
A partire da oggi, libri, ma anche immagini d’arte, musica, films, mappe, potranno essere accessibili gratuitamente on-line. Sono già consultabili due milioni di opere, se ne prevedono 6 milioni per il 2010.

La Francia, che vanta il 52% dei documenti attualmente digitalizzati, ha stanziato per il progetto 8 milioni di euro. Ed è proprio dalla BNF (Bibliothèque nationale de France) e dal suo presidente Jean-Noël Jeanneney, che il progetto Europeana è partito qualche anno fa in risposta alla minaccia di Google di digitalizzare il patrimonio delle biblioteche mondiali. Oltre a innumerevoli articoli e alla costruzione di Europeana, Jean-Noël Jeanneney ha scritto un libro: Quand Google défie l’Europe (Quando Google sfida l’Europa). Il pericolo è che un soggetto privato possa arrivare ad avere l’egemonia sul patrimonio pubblico della nostra cultura. (Leggi articolo su Le Monde e/o Le Figaro).

Un immenso patrimonio culturale, una sconfinata biblioteca di Alessandria che nessuno potrà più bruciare, accessibile a tutti, da ogni angolo del mondo. Entriamo in una nuova era. (Speriamo che l’Italia, con il suo inestimabile patrimonio culturale, non resti indietro).

segue…


Il “Senza nome†di Valerio Vidali: una intervista

Valerio Vidali

Dopo la bellissima intervista a Silvana D’Angelo, l’autrice di Senza Nome, eccoci sull’altra faccia della luna, il libro visto dal suo illustratore: Valerio Vidali. Come si interpreta un testo? Come si mantiene un’unità di stile tra tavola e tavola? Valerio Vidali ci racconta l’avventura del suo primo libro illustrato.

 

Iniziamo dall’inizio. Tu Valerio hai realizzato tre tavole per il concorso Ilustrarte 2005, dove un uomo era sempre semi coperto e un cane faceva da protagonista nelle tavole. Immagino che in te ci fosse un’idea di storia legata a questo cane. Ricordi com’era?
Avevo il mio modo di vedere i protagonisti, immaginavo chiaramente il carattere del cane per esempio, i suoi modi di fare: lo ricordo come una presenza silenziosa, senza voce.La figura del padrone invece è una sorta di “non presenza†, di lui non sapevo praticamente nulla e la cosa mi divertiva, era come disegnare una lavatrice.. o una sedia..

Quando hai ricevuto il testo di Silvana, cosa hai provato? E’ stato facile entrarci dentro, o ci hai impiegato un po’ di tempo? Come hai fatto a dimenticare l’idea iniziale dei disegni e buttarti nella nuova storia?
All’inizio ero molto preoccupato, si trattava di una situazione piuttosto anomala in cui lavorare, e il timore che il testo potesse non piacermi era grande; quando poi finalmente è arrivato mi è venuto un colpo a causa della sua lunghezza! Come ho già detto, io i miei personaggi li vedo sempre molto silenziosi, quasi muti, e mi ci è voluto un po’ di tempo per abituarmi alla loro voce, a tutti quei pensieri su carta. La storia però mi è piaciuta da subito, penso che Silvana sia stata bravissima.

La mia idea iniziale di Reginaldo non l’ho mai dimenticata, piuttosto ho cercato di integrarla con quella di Silvana, dove questo era possibile.

Quando hai iniziato il libro, ad un anno di distanza, hai deciso di rifare completamente le tre tavole: è stato per accordarti meglio al testo o per una tua esigenza formale? (E’ molto interessante studiare i progressi che Valerio ha fatto nel frattempo, le prime tavole risentono ancora di un linguaggio “sporcato” dai codici del fumetto, nelle nuove siamo completamente dentro il linguaggio dell’illustrazione).
Le tre illustrazioni iniziali le ho rifatte per un discorso di coerenza con me stesso, era trascorso più di un anno e mezzo e sia io che i miei disegni eravamo cambiati. E poi il formato che avevo scelto per il libro era diverso…

Valerio Vidali, tavola selezionata al concorso Ilustrate 2006

Valerio Vidali, Senza nome, Topipittori 2008

Le tue illustrazioni sono ricche di mille cose che non vengono citate nel testo (piccole storie parallele). Riusciresti a dirci dentro quali limiti ti muovi nel tuo rapporto col testo? Quanto ti permetti di andare lontano dal testo e quali elementi del testo senti invece che proprio “vanno messi�
È vero, a volte inserisco elementi estranei alla storia (e tu non manchi mai di farmelo notare!:-), rifletto spesso su questo aspetto del mio lavoro e sinceramente non saprei dire se sia un bene o un male: è una cosa che mi viene spontaneo fare, mi piace. Credo sia per il fatto che da piccolo passavo molto tempo guardando le figure dei libri, soprattutto di enciclopedie illustrate, disinteressandomi di quello che, insieme al testo, di concreto raccontavano. Non so, forse per i bambini è importante avere la possibilità di sfogliare un libro in questo modo, divagando, lasciandosi trasportare dall’immaginazione all’inseguimento di “protagonisti nascostiâ€.

Naturalmente la storia principale e le “sotto storie†devono viaggiare su binari diversi, con tempi di lettura differenti, altrimenti si rischia di fare una gran confusione, la discriminante è proprio questa: è un lavoro di gruppo, il “me†illustratore valuta attentamente ogni situazione, cerca di escludere ciò che potrebbe interferire con il testo; il bambino Valerio, invece, cerca di far passare tutti quegli elementi che secondo lui rendono il libro più interessante, più ricco.

Valerio Vidali, tavola selezionata al concorso Ilustrate 2006

Valerio Vidali, Senza nome, Topipittori 2008

“Senza nome†è stato il tuo primo libro. Quali difficoltà hai incontrato?
Di difficoltà ne ho avute tante.
Il fatto che un editore come Topipittori, si sia offerto di far scrivere una storia, partendo da illustrazioni già esistenti, certo la si può considerare una grande fortuna, soprattutto se hai 22 anni e non hai mai pubblicato nulla; ma sicuramente questa non è la situazione più semplice in cui lavorare. Prima di tutto ho dovuto ritrovare l’amore e l’interesse per quei personaggi, poi ho dovuto riprendere confidenza con un modo di disegnare vecchio di due anni : può sembrare una sciocchezza, ma a me in quei due anni sono successe un sacco di cose, i miei disegni erano diversi e le cose che volevo disegnare erano altre.

Inoltre io sono un eterno sprovveduto, senza metodo di lavoro… , ancora non ho iniziato e sono già in ritardo.

Normalmente, quando si deve illustrare un libro, si consiglia di iniziare dalle pagine verso le quali si nutre maggior interesse, per poi procedere in ordine sparso; in modo da avere una maggiore omogeneità di stile che vada dalla prima all’ultima pagina, questo è un ottimo consiglio che io non riesco a seguire, (è stato così per “senza nome†ed è così tuttora) io illustro un libro nello stesso modo in cui lo leggerei, partendo dalla prima pagina e procedendo in ordine fino all’ultima, questo mi aiuta ad avere tutto sotto controllo, o almeno mi dà questa sensazione…

Ogni volta che termino una pagina, metto tutte le illustrazioni per terra, poi cerco un libro da tenere in mano che abbia un formato simile a quello che sto illustrando, e lo sfoglio mentre guardo le mie illustrazioni nel giusto ordine. La coerenza stilistica è stata una lotta continua, pagina dopo pagina.

 

E’ molto bello il contrasto tra il testo e Silvana D’Angelo e le tue illustrazioni. Se Silvana spinge i suoi personaggi alla ricerca di un’identità, i tuoi invece sembrano sfuggirla (il cane è senza viso, il padrone non si vede mai). Perché questo sottrarsi?

Amo i misteri, le identità segrete, le timidezze…

Valerio Vidali, tavola selezionata al concorso Ilustrate 2006

Valerio Vidali, Senza nome, Topipittori 2008

Un illustratore non è un pittore, un illustratore “interpreta†un testo. Sapresti dirci cosa ti piace di questo lavoro di dipendenza da un testo, e cosa non ti piace?
“Dipendenza” forse è una parola un po’ antipatica, interpretare un testo è un privilegio: in fondo la possibilità di raccontare è ciò che realmente mi interessa dei disegni. Lavorare con un testo naturalmente significa avere delle regole, in un certo senso il lavoro dell’illustratore comincia proprio da li, dall’interpretare quelle regole, il giocare con loro…

Il testo è la spina dorsale del libro, e se lo si desidera è più flessibile di quanto uno non immagini, e intorno si possono creare spazi e libertà enormi; per il resto potrei fare un elenco lunghissimo di cose che non mi piacciono di questo lavoro, ma in realtà sono cose che hanno a che fare più che altro con il mio modo di lavorare, il tipo di illustratore che sono e tutti i miei limiti in generale.

Se tu avessi dovuto scegliere un nome per il tuo cane, che nome avresti scelto?
Parli del cane del libro o di un cane nella vita vera? Quello del libro era per me a tutti gli effetti un cane “senza nomeâ€, se avessi dovuto dargliene uno forse lo avrei chiamato Biagio, o Giulio…

Nella vita vera non saprei: dovrei prima conoscere il cane.

Leggi l’intervista all’autrice del libro: Silvana D’Angelo…


Il “Senza nome” di Silvana D’Angelo: una intervista

E’ da poco uscito un bellissimo libro per Topipittori: “Senza nome“, opera prima di un giovanissimo illustratore pieno di talento, Valerio Vidali, con testo di Silvana D’Angelo. Il libro ha una genesi curiosa. Due anni fa i Topipittori notarono con interesse tre tavole di Valerio Vidali selezionate al concorso portoghese Ilustrarte, poco dopo Valerio spedì loro alcuni esempi dei suoi lavori, e zac! La scintilla scoccò. I Topipittori decisero di affidare a Silvana D’Angelo (che già aveva lavorato allo stesso modo per Velluto, storia di un ladro) la decifrazione delle scene contenute nelle tre tavole realizzate per Ilustrate, perché a quanto pare, segretamente, contenevano una storia. Voi, guardandole, che storia avreste inventato?

Valerio Vidali, tavola selezionata al concorso Ilustrate 2006

Valerio Vidali, tavola selezionata al concorso Ilustrate 2006

Valerio Vidali, tavola selezionata al concorso Ilustrate 2006

Silvana D’Angelo ha saputo inventare una storia divertentissima e sorprendente. Non vi rivelerò nulla di più di questo: il cane protagonista è appassionato di nomi, e per malasorte, non conosce il suo. Così tra riflessioni di natura filosofica e doveri quotidiani di cane, arriva alla decisione di una fuga alla ricerca del suo nome…

Ma come nasce una storia? Entriamo dietro le quinte di questo libro, scopriamo su quali alambicchi è maturato attraverso due interviste parallele: alla sua autrice, Silvana D’angelo e al suo illustratore, Valerio Vidali.

 

INTERVISTA A SILVANA D’ANGELO

Immagino che non sia facile iniziare una storia da tre immagini. C’è stato un colpo di fulmine o è stato un lavoro lento di appropriazione dell’atmosfera delle tavole? C’è stata un’immagine in particolare da cui sei partita? Un’emozione? Un frammento di immagine?
All’inizio sono partita tutta baldanzosa, perché la facilità con cui ho elaborato il testo di Velluto mi aveva viziato e illuso. Tutta fortuna da principianti: scrivere Senza nome è stato un lavoro lungo, che ha richiesto tanta pazienza da parte di tutti, anche degli editori. Prima di trovare la linea narrativa attuale ho lavorato su due precedenti ipotesi di testo, che però non funzionavano gran che. E anche dopo aver buttato giù l’embrione dell’ultima versione, ho dovuto faticare non poco per trovare il tono giusto, i dettagli dei singoli episodi, il finale.

Ma sin dall’inizio ci sono stati due punti fermi, due costanti, e cioè l’anaffettività – o trascuratezza affettiva – del padrone di Reginaldo, suggerita dal fatto che non gli si vede mai la faccia, e il talento a tutto tondo del cagnetto. Ricordo soprattutto la tavola in cui Reginaldo parla al telefono – la magia della parola! Della comunicazione! – mentre il padrone si lava i piedi – un’azione di una quotidianità banale e squallida. D’altronde, dal punto di vista grafico, Reginaldo mi sembra l’unico personaggio tridimensionale in un ambiente generalmente piatto: viene proprio voglia di mettergli le mani addosso per grattargli la pancia e strapazzarlo… Anche il suo padrone viene rotondizzato solo quando abbraccia Reginaldo.

Valerio Vidali, Senza nome, Topipittori 2008

Ci puoi raccontare la storia della storia di Reginaldo? Come nasce una storia?
Per me, e immagino per tutti, si scrive su due livelli, o per meglio dire con elementi che fanno capo a due ambiti diversi. C’è la sfera dell’intuizione, dell’ispirazione, dell’idea stile lampadina che si accende sulla zucca di Archimede Pitagorico. Questo è l’ingrediente più difficile da trovare, puoi essere benedetto dall’arrivo di un’idea oppure no. Penso che si potrebbe uccidere, per una buona idea… Perché se in una storia questo elemento manca, tanto vale leggere l’elenco del telefono! Ad esempio, una svolta importante nella storia della storia di Reginaldo è stata l’idea del nome mancante, della caccia al nome, del corteggiamento delle parole. E devo ringraziare Tonino Benacquista per avermela suggerita: stavo leggendo un suo romanzo, in cui un personaggio si riferisce a un altro chiamandolo “Cane rognosoâ€, quando casualmente la benedetta lampadina si è accesa.

Dall’altra parte, ci sono gli elementi cui si può arrivare con tranquillità, con l’osservazione, il ragionamento, l’associazione di idee. Hai bisogno di dare spessore a un personaggio, e fai quadrare l’irascibilità di tua sorella col naso a punta della compagna di banco di prima liceo – faccio per dire. Scegli tutta una serie di elementi ed episodi coerenti che hai vissuto, letto, immaginato nel corso del tempo. Reginaldo va in biblioteca perché io lavoro in una biblioteca, guarda una vetrina di pasticceria perché io mi fermo sempre a guardarle, legge le insegne dei negozi come faceva Sharik, il protagonista di Cuore di cane di Bulgakov, che ho letto tanti anni fa.

Poi, viene la capacità “tecnica†di usare bene la tua materia prima, mettendo sulla carta parole piacevoli da leggere, magari sorprendenti, comunque con un tono coerente all’oggetto, e col ritmo e la vivacità necessaria a tenere il lettore fermo lì con te. E qui il lettore è giudice supremo.

Infine, c’è la tua energia personale, la motivazione, il coraggio che ti fanno prendere la penna in mano per affrontare la pagina bianca, e più passa il tempo più mi accorgo che non è un elemento così scontato. Io scrivo al computer, in genere di mattina, quando il turno in biblioteca me lo permette. Ho sempre avuto bisogno di perdere un sacco di tempo prima di mettermi al lavoro, di cincischiare per casa rovistando nei cassetti o facendo le coccole ai miei gatti. Una volta riuscivo a diventare “operativa†verso le undici. Noto che il tempo di decompressione purtroppo si sta facendo sempre più lungo: fosse per me, in questo periodo mi metterei al pc alle tre del pomeriggio, ma in genere a quell’ora sono già al lavoro, devo farmi un po’ di violenza… Allora, un bagno caldo può aiutare: se non ti rammollisci troppo, trovo che sia un buon metodo per regredire a una condizione pre-natale in cui la tua mente vaga libera, e se sei fortunato le rotelle cominciano a girare da sole.

 

Quando hai visto le immagini per la prima volta, l’incertezza sull’identità di questo bizzarro cane, ha influenzato la tua trama? Nel senso che anche tu, insieme al cane, eri alla ricerca della sua identità e del suo nome?
No, come ho detto, la personalità del cane è stato un elemento sicuro sin dall’inizio. Ho faticato a trovare tutto il resto! Anche il nome mi è tintinnato subito chiaro forte nella testa.

Come ti è venuto in mente un nome così: “originale e distinto, fantasioso senza essere bizzarro†come Reginaldo? E’ così azzeccato che mi viene il sospetto che il cane di Valerio fosse già Reginaldo ancora prima di avere una storia…
In effetti, sì. A me piace dare nomi agli animali, e a volte dei soprannomi alle persone. In genere vengono adottati anche dagli altri, quindi evidentemente sono azzeccati. Come in genere mi capita, il nome Reginaldo mi è risuonato da solo in mente appena ho guardato i disegni, quasi fosse un’emanazione della sua personalità. Se devo scavare nella memoria, credo che questa idea mi sia stata suggerita dai cartoni animati del draghetto Grisù che guardavo da piccola. Ho subito trovato che le tavole di Valerio avessero un’atmosfera inglese, e Grisù ha per amici una coppia di aristocratici inglesi. Forse sbaglio, ma mi pare che il marito si chiamasse proprio Reginald. E’ stata una catena associativa che è andata a pescare abbastanza lontano

 

I tuoi personaggi, in modi diversi, sono spesso alla ricerca di un’identità (vedi Velluto, storia di un ladro). E’ un tema che ti piace particolarmente? Perché?
Tra i tanti inediti che ho scritto, in effetti, questo tema non è poi così presente. Inconsciamente, devo essere stata influenzata dallo schema già attuato per Velluto: con lui aveva funzionato e allora, nelle mie divagazioni per trovare la strada giusta, ho finito per seguire lo stesso percorso.

Me ne sono resa conto solo a cose fatte. Forse non è bello dirlo, ma è stata una scelta un po’ di comodo… Mettere un personaggio alla ricerca di qualcosa è il modo migliore per farlo muovere, quando devi scrivere una storia “per forzaâ€. E ricercare se stessi fa un bell’effetto sulla carta…

Detto questo, la ricerca di un’identità è un tema che, se si parla di letteratura per l’infanzia, quindi rivolta a individui in formazione, ha un peso notevolissimo. E senza stare a scomodare il Propp, fondamentalmente tutti i personaggi di tutte le storie sono alla ricerca di qualcosa. Da qui a dire che, in fondo in fondo, siamo sempre e comunque alla ricerca di noi stessi, perché le nostre esperienze ci ridefiniscono continuamente, il passo è breve.

 

Hai un’idea precisa di come debba essere un testo dedicato all’infanzia? Ti poni dei limiti o delle regole quando scrivi il testo per un album?
Io scrivo da relativamente poco, e non sono particolarmente “consapevole e strutturataâ€. E’ una domanda che mi pongo anch’io, ma non sono arrivata a conclusioni molto precise.

Di certo, trovo che rispetto alla letteratura “per grandi†il mondo della letteratura per l’infanzia sia molto meno convenzionale, ci puoi entrare con maggiore libertà, con la faccia sporca di cioccolato e le mani sporche di ben peggio. E’ il caos calmo di cui parla Veronesi nel suo romanzo. Quando scrivi un testo per l’infanzia, ti puoi permettere delle libertà stilistiche concesse solo ai futuristi, muggendo come una mucca o spiccicandoti a terra come una goccia d’acqua. Puoi scrivere tutto un libro concentrandoti su un’unica idea – io adoro la sintesi, anche se poi mi capita di essere prolissa. Solo le idee forti possono permettersi di reggere una composizione breve e sintetica, e nella letteratura adulta questa sintesi la trovi solamente in alcune poesie, o magari in racconti troppo brevi per godere di piena stima.

Poi, nelle opere per l’infanzia è fondamentale l’aspetto didattico. Io non sono contraria in linea di principio: credo che voler insegnare ai propri cuccioli sia un atto d’amore naturale. Tutto sta nel farlo con garbo e stile, come dire… E a voler ben guardare, forse anche in opere che non vogliono insegnare proprio niente c’è un intento didattico nascosto: si crea una cosa bella per bambini, come può essere un bel libro, semplicemente perché imparino a godere della bellezza, quindi ad essere felici. Mica sempre si nasce con questo talento.
Personalmente, non mi pongo dei limiti particolari.

Che cosa hai provato quando hai visto le tavole finali del libro? Il nuovo Reginaldo di Valerio corrispondeva al tuo?
La sorpresa è stata relativa, mitigata dal fatto che già conoscevo il suo stile e l’atmosfera generale, avendo lavorato su tre tavole, in origine.

Comunque, no, i suoi disegni non corrispondevano gran che alle mie immaginazioni, penso che statisticamente sia impossibile che avvenga: il gatto era più magro, la biblioteca più piatta…

Valerio Vidali, Senza nome, Topipittori 2008

Però, ad esempio, i tre amici di Reginaldo sono proprio perfettissimi, spiccicati a come li immaginavo!

Valerio Vidali, Senza nome, Topipittori 2008

Lo scarto che c’è tra come mi raffiguro io una mia storia e come questa viene rappresentata mi provoca sempre un’emozione molto forte. Quando vedo delle illustrazioni per la prima volta mi vengono sempre gli occhi lucidi… Non che mi sia capitato così spesso, e non posso dire che l’emozione sia del tutto piacevole, ma vedere concretamente – perché un’illustrazione io la trovo molto concreta – che un’idea tua, nata dalla tua testa, si è comunicata alla testa di qualcun altro, e che questo qualcuno ha proseguito questa idea, l’ha interpretata e ne ha fatto qualcosa di diverso, di personale, io la trovo una grande magia.
Penso che tutte le interpretazioni e le rielaborazioni di qualcosa che crei tu siano fondamentalmente lecite, a condizione che siano fatte in buona fede.

Immagino che in qualche caso le illustrazioni potrebbero non piacermi dal punto di vista estetico, perché com’è naturale non apprezzo tutti gli illustratori, ma finora sono stata decisamente fortunata: i lavori di Valerio, di Luigi Raffaelli e di Antonio Marinoni mi sono piaciuti tutti moltissimo!

Leggi l’intervista a Valerio Vidali…


Come si fabbrica un teatro-giocattolo (video antico)

Tullio ci indica questo affascinante antico cortometraggio, dove si intravedono i processi di produzione di un Toy Theatre. Che lavoro!

Leggi l’articolo sui Toy Theatres e l’illustrazione…


Il Toy Theatre e l’illustrazione

Tullio ha sciolto il mistero della Cenerentola di Harris del 1825. La posa delle braccia e la staticità centrale dei personaggi, sembrano ispirarsi ai Toy Theatres, molto di moda in quegli anni a Londra.

Un po’ di storia:
Questi teatrini “fai da te” iniziano ad essere venduti in Inghilterra nei primi anni del 1800. Per l’esattezza fu William West, un impresario teatrale dell’epoca, che nel 1808 affidò a un suo apprendista, John Kilby Green, la prima produzione di teatrini per giovani in forma di foglio su cui comparivano alcuni dei personaggi teatrali più conosciuti. Il teatrino fu chiamato “Juvenile Theatrical Print†e in poco tempo fu un successo. L’anno dopo Green costruisce il primo “proscenio” da ritagliare e si mette in proprio vendendo delle scatole che contenevano tutto il materiale per costruire il proprio teatrino: proscenio, quinte, sfondi diversi, i personaggi e il libretto col testo dello spettacolo. Sarà sempre Green nel 1832 a progettare il primo Toy Theatre in formato economico, permettendone una distribuzione più popolare (le scatole di imballaggio fino ad allora avevano avuto prezzi esorbitanti).

Due immagni tratte da “Cinderella or the little glass” Qui potete scaricare il pdf per costruirvi un teatrino tutto vostro. Il sito da cui è tratto il pdf e parte della storia dei Toy Theatres è quello del Theatre Museum di Londra, che raccoglie nella sua vastissima collezione diversi Toy Theatres. Altre fonti molto precise le potete trovare qui.

Nel 1884 Robert Louis Stevenson scrive un articolo intitolato “A Penny Plain and Two Pence Colouredâ€. L’articolo terminava con una frase che è rimasta celebre: “If you love art, folly, or the bright eyes of children, speed to Pollock’s!â€. L’editore Benjamin Pollock, è stato uno degli ultimi e più noti editori di Toy Theatres, ed ancora oggi è possibile acquistare i suoi teatrini.

Lasciando i teatri e tornando all’illustrazione, mi chiedo quanta parte abbia avuto la loro fama nel formarsi dei canoni iconografici dell’età d’oro dell’illustrazione. Concordo con Tullio sul fatto che la loro influenza debba essere stata ricca. Pensate solo al concetto di “scena”.

George  Cruikshank Cinderella and the Glass Slipper, 1854

George  Cruikshank Cinderella and the Glass Slipper, 1854

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