Le banc, il video sperimentale di Kitty Crowther e Bruno Salamone

Le banc (la panchina) è il titolo di un video d’artista firmato a due mani da Kitty Crowther e Bruno Salamone, e proiettato in occasione della mostra Aller-retour, incontri grafici Parigi-Bruxelles, visitabile a Parigi  fino al 20 marzo.
Non lasciatevi distrarre dalla prima impressione, il video va visto un paio di volte prima di apprezzarne il surreale ritmo narrativo, dopo, conquista.


intervista a A buen paso: identità di un editore (Spagna)

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Vagón de aventuras, diversi autori, copertina di Valerio Vidali, A buen paso 2008

INTERVISTA AD ARIANNA SQUILLONI, EDITRICE DI A BUEN PASO

Perché editori e perché editori per bambini?
Perché mi piace fare libri più di ogni altra cosa, e allo stesso tempo perché non posso non concepire il lavoro editoriale come un lavoro politico. Ogni persona, per il fatto di essere nata nel seno di una società, è politica nella misura in cui non può evitare di entrare in relazione con le persone che la circondano. Meglio allora sarà che la persona viva come un soggetto attivo, cosciente delle sue possibilità, delle implicazioni e delle conseguenze delle sue decisioni, per poter vivere come una persona libera.
Proprio perché il linguaggio dell’album è necessariamente quello dell’arte visiva e letteraria, l’album diventa un territorio privilegiato per stimolare e mantener viva l’innata curiosità del bambino. Un territorio in cui si possono proporre quesiti e suscitare domande, senza per forza imporre al lettore il proprio punto di vista: stimolandolo così a diventare un libero pensatore.

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America, Pere Ginard, A buen Paso 2009

Quanti titoli in un anno?
Per il momento sei, anche se forse quest’anno saranno sette. Si tratta di un numero dettato dall’equilibrio fra l’esigenza di un ritmo di creazione di novità minimo perché la distribuzione abbia senso (da un punto di vista commerciale) e la disponibilità di tempo e risorse della casa editrice.

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El señor G., Gustavo Roldán, A buen paso

Nella scelta dei libri che pubblicate potreste individuare un filo conduttore? E’ uno stile? Un messaggio? Un’idea? Un desiderio?
In una casa editrice piccola come A buen paso, molto dipende dalle manie e dalle passioni dell’editore. Nel mio caso particolare amo la poesia, le relazioni sorprendenti e curiose fra i suoni, le idee e le cose, mi appassionano le persone e mi divertono i sistemi codificati. Quindi la nostra aspirazione è che i libri che pubblichiamo parlino delle persone (di desiderio, paura, speranza, ansia, inquietudine), e siano libri per lettori curiosi disposti a giocare con le parole e le immagini e a immergersi in un mondo fantastico, di cui di volta in volta bisogna trovare le chiavi di significazione. Sì, il gioco è un elemento fondamentale tanto nella creazione quanto nella disposizione alla lettura dei libri di A buen paso. Adoro giocare.

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Papà tatuado, Daniel Nesquens e Sergio Mora, A buen paso 2009 (edito in Italia da Orecchio Acerbo)

Quali caratteristiche deve avere un testo o un’illustrazione per sedurvi? Cosa è che vi fa dire: “questo illustratore (autore) è per noi�
Quello che mi attira in uno scrittore o in un illustratore è il modo di guardare le cose, una prospettiva sufficientemente distorta o sorprendente da generare idee interessanti, e la capacità di plasmare queste idee in un testo o un’immagine la cui unica necessità risieda nella storia che si sta raccontando e/o rappresentando. Mi devono piacere ed emozionare. L’emozione, naturalmente, è piuttosto soggettiva.

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La calle del fantasma, Enric Gonzáles e Riki Blanco, A buen Paso 2009

Nella situazione culturale e politica del vostro paese vi sentite inseriti in una rete che vi sostiene? Come la definireste?
Credo che il problema fondamentale sia che al di fuori dell’ambito scolastico e didattico, le istituzioni, i mezzi di comunicazione e la società in generale non prendono sul serio la letteratura infantile, e così facendo lasciano il terreno completamente in balia dell’aggressione del marketing. Nell’ambito scolastico quello che mi preoccupa è il rischio di finire inglobati nei requisiti del piano curriculare. Ciononostante è proprio in questo ambito che credo che si debba lavorare. In Spagna esistono varie associazioni di maestri, professori, amici della letteratura infantile, reti di biblioteche… che organizzano incontri, giornate, mostre e seminari. Questa rete fa ben sperare.

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Papà Oso, cecilia Eudave e Jacobo Muñiz, A buen paso 2010

Le co-edizioni: che politica avete di vendita e acquisto dei titoli? Preferite creare i vostri libri, venderli e/o comprarli dall’estero? Perché?
In generale preferiamo creare i nostri libri. Anche se non escludiamo la possibilità di comprare i diritti di un libro straniero. L’acquisto di diritti è un’incombenza che assumiamo con calma per non correre il rischio di cedere all’entusiasmo. Dato che A buen paso pubblica pochi libri all’anno, credo che sia fondamentale mantenere una coerenza nello stile, nei temi e, nel limite delle possibilità, nel formato dei libri. Quindi non possiamo proprio tradurre tutti i libri che ci piacciono. In quanto alla vendita: sì, aspiriamo a vendere i libri di A buen paso all’estero. Credo che un aspetto importante della coedizione sia il fatto che permette di creare un libro che altrimenti per un solo editore sarebbe troppo caro. Questo è l’aspetto che più mi interessa, unito alla possibilità di collaborare creativamente con un altro editore. Non è facile, ma sarebbe bello e utile poterlo fare.

Una cosa che vi piace del vostro lavoro e una che non vi piace.
Mi piace l’emozione della creazione. Non mi piace per niente dover convincere i mezzi di comunicazione che bisogna parlare dei libri per bambini e parlarne con la stessa serietà (?) con cui si parla dei romanzi o del cinema o dell’arte.

8_lafabricadenubesLa fábrica de nubes, Arianne Faber, A buen paso 2010
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Pequeña Parka, Arianna Squilloni e Arianne Faber, A buen paso 2009

Appuntamenti Fiera Bologna 2010

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Iela Mari

Non sono sicura che abbiate visto il post sugli appuntamenti di Bologna, perché l’ho pubblicato insieme a quello sui pop surrealisti ed è rimasto indietro.

Poi volevo chiedervi una cosa: giovedì 25 vi andrebbe bene come giorno per l’appuntamento in Fiera di Figuredeilibri?


Per ridere un po’… (Snoopy)

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Vignette inviatemi dall’amica e collega Giovanna Rinaldi.


Il portfolio, il book, la cartellina… come presentare il proprio lavoro?

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Ho pensato, in vista del Salone di Bologna, di provare a fare chiarezza su questa domanda:
Come presentare il proprio lavoro a un editore?
Io ho la mia teoria:
1) se il vostro lavoro vale davvero una pubblicazione, la forma in cui lo presenterete è di secondaria importanza.
2) Se il vostro lavoro è incompleto, ancora acerbo, una bella presentazione potrebbe dargli una spintarella (ma arriva a meta solo se vale davvero, e si ritorna al punto 1)

Quale tipo di cartellina?

Di un materiale impermeabile 100 volte meglio che di cartone: la vostra cartellina deve potervi accompagnare sotto bufere e tempeste. Con manopola per tenerla in mano e tracolla per portarla appesa alla spalla, è molto più comoda. Le più comode, le più eleganti, le più indistruttibili, ma anche le più care, sono quelle della MH Way.
Meglio sceglierne una con gli anelli staccabili,  per decidere se inserire i disegni liberi o se inserirli in buste trasparenti ad anelli. Io anni fa usavo le buste ad anelli, ora presento gli originali sfusi, ma la mia cartella MH è sempre la stessa: 60 x 50 cm. Ha viaggiato per l’Europa per più di 6 anni e sembra nuova.
Se, quando è piena, è molto pesante, non vergognatevi di portare un carrellino di quelli semplici con due ruote, per appoggiarla sopra. Molti professionisti, sapendo quanto è faticoso un salone, fanno così.

Quanti disegni?

Su un Salone del Libro, dove abitualmente gli editori hanno fretta: 15/massimo 20 disegni (se invece andate nella sede della casa editrice, portate tutto quello che avete).
Se il vostro lavoro non solletica il gusto dell’editore che avete davanti, vedrete che dopo 5 o 6 disegni sfogliati in silenzio, inizierà a rallentare e parlarvi, trovando il modo di fuggirvi. Non insistete troppo a volerlo tenere lì con voi. Un editore, ha un occhio di falco, se i vostri disegni non vanno bene per la sua casa editrice, lo sa dopo 5 nano secondi.
Questo NON VUOL DIRE che non potrebbero piacere a un altro editore, non scraggiatevi.
Se ha fretta, vi dirà (bene o male, dipende dal suo umore e della sua educazione) che non è interessato. Se ha tempo e pensa che ne valga la pena, si perderà in qualche commento di spiegazione del suo scarso interesse (sono sempre preziosi, fatene tesoro).
Se, dopo quota 12 disegni, vuole ancora vedere lavori… può essere un buon segno.

Quali disegni scegliere?

Non mettete nella cartella disegni eterogenei, anche se spiegate all’editore che alcuni sono vecchi e altri nuovi, l’editore resterà col dubbio che voi non abbiate ancora uno stile.
Avere uno stile preciso non è un obbligo, lo stile può cambiare durante la carriera di un illustratore, o adattarsi a testi diversi. Ma un editore deve essere sicuro che voi capite cosa è lo stile, e che sapete utilizzarlo per portare avanti una narrazione: in un libro illustrato avrete bisogno di realizzare almeno una dozzina di tavole con lo stesso stile.
Mettete nella cartella una decina minimo, e una ventina massimo, di disegni dello stesso stile.
Se proprio volete presentarvi con due stili diversi, mettete nella cartellina una decina di disegni con uno stile, e altri 10 dell’altro stile.
L’importante è che si capisca che sapete padroneggiare almeno uno stile.

Organizzate la scelta dei disegni in base allo stile della casa editrice che visitate. Se avete due anime, una sveglia di giorno, che ha prodotto decine di disegni puliti e molto grafici, e l’altra sveglia di notte, che ha prodotto quadri fiamminghi dipinti a lume di candela, non rinunciate a nessuna delle due. Ma non andate da Corraini con le tavole fiamminghe!
Mettete in primo piano i disegni più vicini allo stile della casa editrice che visitate e, separati da un grande foglio, gli altri.
Se l’editore è curioso e interessato, potete poi mostrarglieli in un secondo tempo.

Non mettete in cartellina disegni “più vecchi” realizzati con uno stile che non riconoscete più.
MAI essere costretti a dire: “Lei ha ragione… lo so che questo disegno è meno riuscito degli altri, infatti è vecchio. Ora ho cambiato stile e non faccio più queste cose”. Se non credete COMPLETAMENTE nel vostro lavoro, non presentatelo a un editore.

 Come presentare i disegni?

РSe non sono su tavole di legno di due metri per tre, o in digitale, ̬ meglio portare disegni originali.

In caso di fotocopie: che siano belle fotocopie laser, con i colori fedeli, fatte su carta un po’ rigida, opaca, di buona qualità. Per favore no! a fotocopie su fogli mollicci che si piegano nelle mani dell’editore. E no! al formato francobollo. Se potete, presentate le fotocopie in A3, con un bel margine bianco intorno al vostro disegno.
In caso di originali:
-Se i bordi dei vostri disegni sono sporchi, slabbrati, pieni di ditate, meglio un passepartout bianco che li incornici.
-Se invece siete precisi e avete fatto un bel margine pulito al disegno, allora potete anche presentarlo nudo.
Il passepartout: che sia ben tagliato. Che sia bianco o di un leggero crema (è meglio del nero per far risaltare i colori).
NO
a passepartout colorati.
Per incorniciare il disegno originale: potete incollarlo sul retro del passepartout con un po’ di scotch riposizionabile, oppure infilarlo tra il passepartout e un foglio di supporto (ma non dimenticate che più fogli avete, più la cartellina pesa, e dopo 4 ore di Salone lo sentirete!).

Intorno al disegno originale:
Il bianco. Il nulla. Il silenzio.
NO!
a legende lunghe un chilometro con nome e cognome, titolo dell’opera e umore che deve suscitare nello spettatore. Esempi da evitare: Giuseppe Pallino. Pioggia. “Malinconia di un giorno di pioggia. 2008“. Oppure: “Giuseppe Pallino. Cappuccetto rosso. Scena del lupo. 2009″.
Intorno al vostro disegno: il bianco, il nulla, e… b.a.s.t.a.
Se sono illustrazioni di un progetto libro, a parte, presenterete il prototipo del libro con l’immagine impaginata in una doppia pagina, e il suo testo a fianco.

Meglio disegni sparsi o un progetto-libro?
Se non avete mai fatto un libro, avere un progetto (uno storyboard + alcune tavole definitive) permetterà all’editore di vedere come ve la cavate su un “lungo percorso”. Un conto è saper disegnare, un altro paio di maniche è saper fare un libro illustrato.
Se poi il testo funziona e il progetto anche, chi sa mai… potrebbero anche comprarvelo!
Se le vostre tavole sono strabilianti, mai viste, originalissime, ce la farete anche senza progetto.

Cosa lasciare all’editore.
Il mio primo anno di Salone la mia cartellina conteneva: una ventina di CD, decine di fotocopie, duecento biglietti da visita, i prototipi dei mie progetti fatti rilegare da un tipografo (con copertine rigide), penne per gli autografi, spille con la mia faccia che sorride e dice: “sceglimi” (no, qui scherzo!), gomme e matite per correzioni dell’ultimo minuto, puntine, talismani portafortuna e rotoli di scotch.
Sto esagerando… ma neanche troppo.
Diciamo che più la qualità del mio lavoro è aumentata, più è diminuita la scorta dei gadgets. E succederà lo stesso anche a voi.
Un Salone del libro NON E’ il luogo adatto dove lasciare copia del proprio materiale. Chiuso il Salone, l’editore tornerà a casa in macchina, in aereo, in treno, in bicicletta, e cercherà di avere meno peso possibile.
Se l’editore ve lo chiede, lasciategli una bella fotocopia in A4 del vostro lavoro, con tutti i contatti, o un biglietto da visita.
Se è interessato, fatevi sempre dare il suo biglietto da visita, e chiedetegli se preferisce ricevere le copie dei vostri lavori in pdf (via mail) o in fotocopia
. Poi spedite tutto dopo il Salone (se potete, non fate passare 4 mesi, come fa di solito la sottoscritta).

Un inciso: non spedite mai gli originali e non lasciateli a nessuno (tranne dopo che avrete firmato un contratto, allora l’editore li prenderà in prestito per riprodurli e poi ve li restituirà), gli originali restano SEMPRE di vostra proprietà: l’editore, acquista solo il diritto di riprodurli.
Invece, per tutte le “paure” rispetto a eventuali furti o plagi in caso di testi o progetti spediti, tenetele per voi. Sono il sintomo più eclatante di “ansia da principiante”. L’unico rischio reale è quello di non essere pagati, e questo, purtroppo, capita anche ai professionisti.

 Se vi propongono un contratto durante la Fiera…
E’ rarissimo, ma può scuccedere. Non firmate niente su due piedi. Prendetevi il tempo di far leggere il contratto a qualcuno che ne ha già firmati. Se l’editore è interessato davvero, non vi scapperà.

Aspetti emotivi e psicologici del mostrare il proprio lavoro (e postura da tenere durante il colloquio)…
Rileggere il post: “10 non-consigli ai giovani illustratori”.

Varie:
Al Salone di Bologna c’è una stanza, all’ingresso, dove gli illustratori possono appendere, con scotch o puntine, una fotocopia del proprio lavoro con i propri contatti. A me non è mai successo che qualcuno mi chiamasse attraverso questo tipo di contatto, ma so che alcuni editori curiosano. Preparate l’occorrente.

Per altri temi legati a come presentarsi agli editori leggete sul forum: qui e qui.

Per una lista degli editori che ricevono con o senza appuntamento durante il Salone, leggete questo topic.

In bocca al lupo!

ps: Ah! dimenticavo. Se dopo solo poche ore di Salone vi sentite dei perfetti “sfigati” e vorreste un buco dove nascondere la cartellina e voi stessi, non demoralizzatevi, ci siamo passati tutti. Un segreto, nel guardaroba, per soli 2 euro e mezzo, potete nascondere la cartellina e fare finta per un paio d’ore di essere dei comuni visitatori. Aiuta molto…


Surrealismo pop e arte lowbrow, maggiori esponenti

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Ray Cesar, Sisters

L’arte lowbrow nasce in California alla fine degli anni ’70, conosciuta anche col nome di surrealismo pop (anche se alcuni vedono tra le due correnti delle lievi differenze), affonda le sue radici nella cultura underground, nell’arte pop, nei graffiti, nell’iconografica gotica del punk, nel linguaggio dei comics e dei cartoon: universi grafici rivisitati e spesso mescolati alle atmosfere del surrealismo e del surrealismo astratto.
Ne esce un prodotto dal gusto lievemente kitsch, con atmosfere gotiche, e una tendenza verso il macabro o il sarcastico. Oppure, in altre declinazioni, si ritrovano gli accenti grafici dei primi cartoon americani.

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Ray Cesar

Robert Williams e Gary Panter, disegnatori di fumetti underground, sono i primi protagonisti del movimento, che fin dai suoi inizi si struttura in modo estremamente eterogeneo. Sarà proprio Williams a rendere ufficiale il movimento alla fine degli anni ’90, creando la rivistaJuxtapoz.
Il termine “lowbrow” , scelto da Williams per definire il movimento, è volutamente auto-denigratorio e nasce in opposizione all’aggettivo “highbrow”: cultura alta, intellettuale (vedi a questo proposito note nei commenti 7 e 8). L’arte lowbrow,  è un’arte alternativa, volutamente estranea ai circuiti del mercato dell’arte “ufficiale”. Anche se, in America, nell’ultimo decennio, è una delle correnti più “trendy” e il suo successo non accenna a diminuire (grazie anche ad alcune stars del cinema e della musica, che hanno fatto enorme pubblicità al moviemento diventandone collezioniste e sostenitrici).

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Ray Cesar

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Mark Ryden
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Mark Ryden
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Gary Texali
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Camille Rose Garcia
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Gary Baseman
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Nathalie Shau
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Joe Sorren

L’ecletticità del movimento lowbrow, i suoi confini poco definiti, l’apertura democratica verso artisti poco conosciuti, fanno sì che rientrino sotto questa definizione artisti tra i più disparati: fumettisti, illustratori, digital artist, decoratori, tatuatori, decoratori di auto “hot roadâ€.

Per quanto ne ammiri la tecnica e la fantasia, il surrealismo pop mi lascia abbastanza fredda. Lo trovo troppo à la page, troppo manieristico, troppo simile a se stesso anche in autori diversi. Come se scaturisse più da ragioni estetico modaiole, che da una profonda ricerca di qualcosa di originale e profondo. Ovviamente… eccezioni escluse.
In questo libro: Pop Surrealism, The Rise of Underground Art, troverete una bella carrellata di artisti pop surrealisti.

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Pop Surrealism, The Rise of Underground Art

Il surrealismo pop, per la sua forza comunicativa, onirica, spiritosa, è entrato da qualche anno nei libri per bambini, ed è diventato uno degli stili più in voga dell’illustrazione per bambini contemporanea.

Vediamo ora alcuni illustratori per bambini che potrebbero venir definiti pop surrealisti
Abbiamo lo spagnolo Sergio Mora, che ha da poco pubblicato in Italia Papà tatuato, con Orecchio Acerbo. (Analizzerò un suo libro nel prossimo post).

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Sergio Mora, Candyland

Il tedesco Atak, di cui ricordo Comment la morte est revenue à la vie, edito da Thierry Magnier, analizzato su Figure dei Libri due anni fa.

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Atak

Il norvegese Stian Hole, autore di un album che ha vinto molti premi: Germanns Sommer.

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Stian Hole

Il francese Benjamin Lacombe, che sta andando per la maggiore grazie ad alcuni successi commerciali come La petite sorcière e Les Amants Papillons, editi da Seuil Jeunesse.

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Benjamin Lacombe
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Benjamin Lacombe

L’inglese Lisa Evans, dallo stile trasognato e delicato.

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Lisa Evans

Tra gli italiani abbiamo: Nicoletta Ceccoli, illustratrice molto apprezzata dal pubblico, che negli ultimi anni ha virato il suo stile verso atmosfere inconfondibilmente pop surrealiste.

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Nicoletta Ceccoli

Daniele Melani, in arte Spider, di cui vi consiglio vivamente il divertentissimo: Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno?, edito da Orecchio Acerbo.

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Spider, Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno? Orecchio acerbo 2008

e Paola Sala.

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Paola Sala

Se vi vengono in mente altri illustratori lowbrow, potete segnalarli nei commenti, provvederò ad aggiungere un’immagine!
Ringrazio per alcune informazioni il blog dell’Accademia del Giglio. E vi ricordo a Roma il Dorothy Circus Gallery, una galleria specializzata in arte lowbrow (non è l’unica!).