Di fronte o di profilo: l’orientazione dei volti e il suo significato. Parte 1/2
14 Settembre, 2015Beatrice Alemagna, La promenade d’un distrait, Seuil Jeunesse 2005
Questa estate, a Sarmede, insegnando illustrazione a più di 80 allievi, mi sono accorta che una delle cose che ripetevo più spesso era di girare i personaggi di profilo o di tre quarti, e di non metterli in posa, davanti al lettore, come se si stessero facendo fare una fotografia.
I personaggi, sulla scena dell’album, dovrebbero avere l’aria di vivere in un mondo che non riguarda il lettore, a meno che non ci sia un gioco voluto, esplicito, tra i personaggi e il lettore.
I personaggi di un album sono come attori sul palco di un teatro. Se recitano le loro parti rivolti verso il lettore perché il lettore li veda meglio, devono (dovrebbero) dare l’impressione, il meno forzata possibile, che sia naturale essere in quella posizione, girati così.
Fanno eccezione a questa regola la copertina e la prima pagina, dove di solito viene presentato il personaggio: vedremo meglio queste eccezioni nel prossimo post.
A teatro, tradizionalmente, gli attori entrano in scena e fanno finta che il pubblico sia invisibile. Anche il pubblico ama sentire di essere invisibile.
Una quarta, invisibile, impenetrabile parete separa la finzione in cui recitano gli attori sul palcoscenico dalla realtà della sala dove siede il pubblico.
Un attore, allora, potrà fare un intero monologo con la testa e il corpo rivolti verso il pubblico, ma dare l’impressione di parlare solo a se stesso, come se davanti a lui non ci fosse nessuno.
Teatro della Cittadella dei Giovani di Aosta “Aspettando Godot”
Oppure, gli attori possono entrare in scena e rivolgersi direttamente al pubblico con un dialogo franco e diretto. In questo caso, la quarta parete scompare. Questa diversa maniera di recitare e considerare la distanza tra lo spazio della finizione scenica e quello della realtà dove siede il pubblico dovrà essere esplicita, come è chiaro in un testo il “Tu, lettore, che leggi queste righe...” con il quale l’autore si rivolge al lettore in un romanzo.
In questo caso, un po’ della finzione che c’è sul palco arriverà fino alla sala e un po’ della realtà che c’è nella sala salirà fino al palco.
Il libro illustrato ha molto in comune con il teatro e con il cinema. L’illustratore deve sempre essere molto chiaro nel far capire al lettore se la quarta parete c’è o non c’è.
L’attore Mauro Monni
Jean-Claude Floch
Fronte e profilo sono due codici molto importanti nella storia del libro illustrato e nella storia dell’arte. Entrambi hanno un significato narrativo che si è depositato, lungo i secoli, nella cultura di chi guarda le immagini.
Riassumo in questo post i principali significati della posizione di fronte e di profilo nell’arte e nell’illustrazione. Tralascio quella di ‘tre quarti’, che è una posizione intermedia meno codificata. Forse, per questa minore codificazione, la posizione di tre quarti traduce una dimensione psicologica più intima e raccolta (M. Schapiro).
Il bacio di Giuda, Cimabue (1240-1302)
Nelle immagini raffiguranti il vangelo, miniate o affrescate, il Cristo è spesso ritratto di fronte e gli apostoli di profilo. Questa posizione lo rende distante dalla vita degli apostoli: egli rivolge lo sguardo fuori dalla scena, il suo viso e il suo sguardo, perpendicolari alla scena, si sottraggono all’azione. Egli è un’icona.
Essere di profilo significa essere paralleli alla storia, al tempo, alla dinamica narrativa che scorre parallela alla tela o alla carta.
Gli apostoli, messi di profilo in opposizione al Cristo frontale, sono dentro il tempo secolare (almeno fino a che non saranno santi o martiri e prenderanno a loro volta la posizione frontale in antagonismo alle belve o ai demoni tentatori), il Cristo ne è fuori.
Quando Giotto illustra il Cristo di profilo mentre Giuda lo bacia, parallelo a Giuda, uguale a Giuda, solo appena più alto, ne sottolinea tutta l’umanità e la fragilità . Egli è un Cristo del tutto umano. Interamente dentro la storia.
Il bacio di Giuda, Giotto, 1303-1305 c. Cappella degli Scrovegni, dettaglio, Padova
Nell’affresco di Giotto, il passaggio dalla posizione frontale con cui Cristo veniva solitamente rappresentato in questa scena, a quella di profilo, avviene attraverso il movimento, quasi cinematografico, della teste di due soldati dietro i due personaggi principali.
Traccia che svanisce di un Cristo-icona, ma anche stratagemma per seguire con un movimento fluido l’intercambiabilità di Cristo e Giuda.
Forse, solo per un caso, Cristo non è Giuda e Giuda non è Cristo, sembra volerci dire Giotto.
Nell’arte antica egiziana, dove quasi tutte le figure erano ritratte di profilo, una parziale frontalità veniva concessa, come eccezione, alla rappresentazione dei morti.
Nell’arte medioevale, i demoni e i malvagi venivano ritratti di profilo. Nelle rappresentazioni dell’Ultima cena, a volte il profilo è riservato esclusivamente a Giuda, in opposizione alla frontalità di tutti gli altri discepoli.
Sarà per questa tradizione che il lupo di Cappuccetto Rosso è quasi sempre illustrato di profilo o di schiena quando si presenta a Cappuccetto? E lei di fronte o tre quarti?
Ecco alcuni esempi.
Anonimo, (fine 1700?), Musée du loup au Cloître Saint Thégonnec, Bretagna
Gustave Doré, Chaperon Rouge, 1867
Arthur Rachkam, (1867 – 1939) Cappuccetto Rosso
Chissà se Walter Crane, nel 1875, quando ritrae l’incontro di Cappuccetto Rosso con il lupo, mettendo entrambi di profilo, ha un’intenzione narrativa simile a quella di Giotto .
Walter Crane, 1875
Fronte e profilo si sono delineati nel tempo come una coppia dialettica, ma i loro significati non sono mai fissi: è il modo in cui vengono giustapposti che crea il messaggio, l’ipertesto narrativo. Il profilo e il ritratto di fronte, presi individualmente, non sono che due modi diversi di disegnare un viso.
Il critico d’arte Meyer Schapiro, in un saggio sublime del 1996, scrive che possiamo paragonare il profilo alla terza persona del discorso narrativo, e il ritratto frontale, alla prima.
Non è affascinante questo raffronto?
“Il profilo, per dirla nelle grandi linee, è come la forma grammaticale della terza persona, l’impersonale “egli” o “ella” con la forma verbale concordata e appropriata; mentre al viso di fronte viene accreditata un’attenzione, uno sguardo latentemente o potenzialmente rivolto all’osservatore e corrisponde al ruolo dell'”io” nel discorso, con il suo complemento “tu” (…).” Words, Script, and Pictures: Semiotics of Visual Language, 1996
L’affermazione di Schapiro è corretta, secondo me, per tutti i casi in cui il ritratto frontale buca la quarta parete invisibile per rivolgersi volutamente verso lo spettatore. Come il “Tu, lettore…” del narratore di un romanzo.
Ma quando il ritratto frontale è usato per sottrarre alla storia e all’azione il personaggio, per renderlo icona, io credo che non sia più EGLI, ELLA, LORO, ma diventi: IL, LA o I, seguito da un sostantivo e non da un verbo.
Stepan Zavrel, affresco a Sarmede, Treviso
Nelle illustrazioni di Emanuele Luzzati, come in quelle di Stephan Zavrel, che prendono molta ispirazione dall’arte delle icone russe, i soggetti rappresentati hanno spesso la testa rivolta verso lo spettatore, anche quando il corpo è girato di profilo per svolgere l’azione.
È quasi come se, con la loro testa girata verso di noi, ci dicessero che non hanno un nome, che non si chiamano Giovanni, Teresa o Pallino, ma che sono icone. Quando sono bambini, sono ‘I bambini’ e stanno per tutti i bambini del mondo, oppure I pastori, IL principe, LA principessa, etc.
In questo caso, una certa distanza impersonale separa lo spettatore dai protagonisti, ma è una distanza diversa da quella della narrazione in terza persona. E di sicuro non è intima come quella del discorso diretto.
Se si può parlare di ‘tono narrativo’ anche per un’immagine, le illustrazioni dove le teste sono girate di fronte mentre l’azione spinge i corpi trasversalmente avranno un tono esemplare: come quello di una massima, di una favola morale o di una storia proverbiale.
Guardate come è diverso il tono narrativo, il sapore retorico dell’immagine, in queste due scene di Luzzati, che rappresentano entrambe la morte apparente del personaggio principale: Biancaneve e La Bella Addormentata.
Nella prima immagine, la testa di Biancaneve è frontale, così come quella dei nani.
È il simbolo di tutte le fanciulle ingannate da una matrigna gelosa, un’icona. Ed è forse, anche, l’icona della Morte. I nani sono un coro, anche loro simboleggiano il dolore di tutti i lutti.
Davanti alla seconda tavola, qui sotto, proviamo una sensazione diversa. I visi del Principe e della Bella Addormentata sono perpendicolari al lettore (uno di profilo e uno di tre quarti) e paralleli alla bidimensionalità della pagina.
Paralleli, dunque, a quella pellicola sottile che è la storia che scorre sul libro: indifferenti al nostro sguardo, come nascosti dietro un’invisibile velo (la quarta parete), essi si incarnano in due soggetti totalmente immersi nella storia. Non sono icone, sono personaggi credibili nell’azione, umani e reali.
Guardandoli entriamo, quasi cadendo, nella finzione scenica.
La testa di profilo o di fronte nell’immagine è un elemento che influenza il tono retorico della storia che viene raccontata, e in un certo senso, anche il suo stile.
Cari illustratori, se vi ho messo un po’ di confusione in testa, non vi preoccupate, nel prossimo post faremo altri esempi e vedremo che in generale, ad eccezione della copertina e della prima pagina del racconto, nell’album illustrato i personaggi sono quasi sempre di profilo o di tre quarti.
14 Settembre, 2015 at 10:18
Ciao Anna e bentornata su queste pagine. Molto interessante la tua analisi. Volevo chiederti: da quello che so, il viso illustrato in modo frontale è scelto anche per rendere più riconoscibile e chiaro il personaggio agli occhi dei bambini molto piccoli. Nei primi libri per bambini, infatti, alcuni personaggi sono ritratti così (mi viene in mente Pina di Lucy Cousins, o Miffy…) per non confondere il bambino e renderlo più chiaro e familiare. Tu concordi con questa interpretazione?
Grazie come sempre per le utilissime risorse che condividi sul tuo blog
14 Settembre, 2015 at 10:25
Francesca cara sto uscendo, ti rispondo nel pomeriggio e approfitto del ritardo per riflettere su questo tuo importante contributo.
grazie!
14 Settembre, 2015 at 11:59
Bentornata Anna e che inizio!
Visto che si parla di teatro, riporto qui la mia esperienza :)
In teatro adesso si tende molto a recitare perlopiù di fronte. Anche se ti stai rivolgendo ad un altro, molte volte si tende a rimanere di fronte.
Ovviamente la posizione frontale non implica che tutto il corpo sia un blocco rettangolare. A livello visivo, è come privo di anima.
Poi lo sguardo. Ci viene detto che è essenziale l’accogliere tutti e portare lo sguardo lontano. Quindi si consiglia di guardare un punto che sia oltre lo spettatore. Questo sguardo viene molto utilizzato nel monologo (un discorso diretto agli spettatori) o un soliloquio (un monologo con se stessi. Il famoso “Essere o non essere” è un soliloquio)
Il guardare il punto lontano sopra gli spettatori poi permette a tutti loro di essere compresi nello sguardo. E’ come essere un faro e il tuo sguardo la luce.
E poi sì c’è la rottura della quarta parete ed è meglio non abusarne a meno che non sia già implicito. Molti spettacoli adesso, soprattutto di un teatro di ricerca, tendono a colloquiare con il pubblico.
Un bacio!
14 Settembre, 2015 at 12:05
La Bella Addormentata con i nani? Ma non era Biancaneve?
14 Settembre, 2015 at 13:31
Marina, che ridere! Sì, la prima è di Biancaneve!
Correggo, grazie. ;-D
14 Settembre, 2015 at 20:15
Francesca, eccomi.
Sai mica se ci sono fonti/esperimenti che provano che il bambino piccolo capisce meglio un’immagine di persona/personaggio frontale che di profilo (parlo di immagini)?
Sono curiosa.
In generale, penso sia vero in assoluto, anche nella realtà , che è più facile capire l’emozione di un viso che vediamo interamente: soprattutto per la posizione della pupilla nell’occhio, che dà molte informazioni su dove sta guardando il soggetto (me che gli sto davanti? altrove?).
Avevo letto che negli animali la pupilla è mimetizzata con la cornea e l’iride, quasi sempre scuri, proprio per evitare che l’avversario intuisca le intenzioni dell’animale; mentre l’uomo è l’unico animale che ha una pupilla visibile su una cornea più chiara e un’iride bianca, per la ragione esattamente contraria: perché siano più chiare e leggibili le sua intenzioni e emozioni.
Essendo l’illustrazione un’arte mimica, cioè un’arte che riproduce, anche se con diversi stili, emozioni e sentimenti umani, credo che la posizione frontale o di profilo davanti al lettore riproduca una relazione realistica (che avverrebbe nella realtà ).
Nel secondo post parlerò del fatto che quando un illustratore intende mostrare le emozioni del personaggio, più che un’azione, quasi sempre lo mette di tre quarti o di fronte.
Prova a verificare!
Sono anche io all’inizio di questa ricerca affascinante.
@Alma: grazie
16 Settembre, 2015 at 14:16
Ciao Anna, grazie per la risposta. Sì, nei libri di Rita Valentino Merletti e Luigi Paladin è stato affrontato questo argomento. In particolare su “Nati sotto il segno dei libri”, il loro ultimo lavoro, a pagina 47, si dedica un piccolo paragrafo a questo. Ti mando via email la foto della pagina, di modo che tu possa vederla. In ogni caso non è detto molto, sono solo poche righe e piacerebbe anche a me avere maggiori riferimenti. Un caro saluto, Francesca
16 Settembre, 2015 at 14:51
Grazie Francesca, molto interessante!