Selezionare la Mostra Illustratori 2014. Diario del giorno 3: la discussione

27 Gennaio, 2014

READ ENGLISH TRANSLATION (thanks Sergio Ruzzier!)

Terzo giorno
La grande sala stava cambiando aspetto, i nostri movimenti erano concentrati intorno a pochi tavoli. Altri erano stati liberati per ospitare la selezione finale. In un’altra ala, in fondo, c’erano alcune persone che con grande attenzione raggruppavano i disegni scartati nei giorni precedenti e li mettevano dentro delle cartelle.
La Mostra doveva contare un’ottantina di illustratori, più o meno. Tra i 160 lavori con post-it sopravvissuti alla selezione dei giorni precedenti, dovevamo sceglierne, quindi, una settantina (una decina era già stata messa da parte perché aveva 4 post-it). Abbiamo iniziato il lavoro di discussione: il lavoro di un giurato non è avere delle preferenze ed esprimerle, ma è quello di tradurre, in un linguaggio chiaro e condivisibile, il perché e il per come di ogni sua singola idea, gusto o sensazione.

Il livello della discussione era altissimo. Avevamo argomenti convincenti e li usavamo con passione, eravamo anche un po’ agitati. Eravamo tutti e quattro così abili a difendere le nostre posizioni, che abbiamo rischiato di fare corto circuito. Dopo il terzo lavoro discusso, abbiamo deciso di fermarci per ritrovare la calma. E’ Isabel Minhos che ancora una volta ha trovato le parole giuste. Lo scopo non era far prevalere le proprie ragioni su quelle degli altri, e non era grave se qualcuno degli illustratori che piaceva a uno di noi non sarebbe passato. Non avremmo potuto avere la Mostra che sognavamo.
Credo sia stato in quel momento che è nata in me la sensazione forte che eravamo un gruppo, e che sarebbe stato quel gruppo a selezionare la Mostra, non ognuno di noi sommato agli altri. Questo significava mettere se stessi un po’ da parte. La Mostra sarebbe stata preziosa perché specchio di qualcosa che nessuno di noi avrebbe potuto prevedere prima del nostro incontro. Ed è andata così.

L’illustrazione cambia con un testo a fianco
Ci siamo ritrovati a sparpagliare illustrazioni per terra e inventare storie per capire se quelle immagini avrebbero funzionato bene dentro un libro per ragazzi, consapevoli che la presenza di un testo influenza tantissimo la percezione dell’immagine. A volte non c’era modo di capire con che storia sarebbero andate d’accordo le immagini: – Sono troppo cartoline, non momenti di una possibile storia! – diceva uno (con un po’ di rammarico se le immagini erano molto belle). – Potremmo affiancarle a delle poesie? –  Proponeva un altro, non troppo convinto. – E se le mettessimo nella categoria non-fiction? – No, non sono abbastanza descrittive, non possiamo. –  Passiamo al prossimo.


Un momento della discussione.

Un’illustrazione non è un quadro né un poster
Le immagini dovevano avere quelle caratteristiche che fanno sì che un’illustrazione sia un’illustrazione, e non: un poster, un quadro per un museo, un’immagine da rivista di tendenza. In un libro, ogni singola pagina è un momento di una storia, questo fa sì che l’immagine debba avere una certa leggerezza narrativa, essere, in qualche modo, un passaggio incompleto (sarà la sequenza di tutto il libro a completarla).

Un’illustrazione dalla Repubblica Ceca che vedrete in Mostra

Ma il linguaggio dell’illustrazione per ragazzi sta cambiando. Lo stile “nuove tendenze” di cui molti si sono lamentati nelle scorse edizioni della Mostra, non era solo responsabilità dei giurati. Era davvero difficile trovare delle modalità narrative classiche in quelle migliaia di immagini. Dovevamo trovare queste caratteristiche prestando orecchio ai linguaggi nuovi, e provando ad ascoltarli espressi in “lingue” che non conoscevamo (Iran, Giappone, Corea, Cina, Argentina…). Ci voleva tempo per capire, e lo prendevamo. A volte, leggevamo il titolo dell’opera dietro il foglio per essere aiutati maggiormente. Discutevamo moltissimo. C’era però una caratteristica che ci sembrava imprescindibile: l’abbiamo chiamata “entrare dentro“.

Una delle immagini che saranno in Mostra (non ricordo il nome dell’illustratore)

Entrare dentro un universo coerente e credibile
C’erano immagini dentro cui si aveva la sensazione di entrare (o, siccome le guardavamo dall’alto: cadere). Anche se avevano tinte piane e nessun gioco prospettico, ci chiamavano dentro e ci coinvolgevano.
Il mondo che vi era rappresentato aveva delle leggi tutte sue, magari assurde, ma coerenti. In qualche modo era un mondo credibile. Altre immagini, invece, restavano sul foglio, non ci sembrava dessero vita a un mondo. Più semplicemente, non leggevamo in esse (con l’espressione usata spesso da Kitty Crowther) un’anima.
Cosa, da un punto di vista stilistico, riusciva a contribuire a questa qualità un po’ misteriosa, è difficile dirlo; ma vi riassumo qui alcuni punti salienti che mi hanno inviato, nei giorni successivi alla selezione, Kitty, Isabel e Errol, per il brano collettivo che devo redigere per il catalogo:

  • Qualità della tecnica usata
  • Controllo dello stile: coerenza stilistica nelle diverse tavole, ritmo, capacità di mettere lo stile a servizio del messaggio
  • Ricchezza e varietà della composizione (piani, espressioni, dettagli, varietà delle espressioni emotive dei visi)
  • Onestà (non copiare stili già visti: un conto è avere referenze, altro copiare soluzioni trovate da altri ; non pretendere di essere o di dire qualcosa che non viene da un movimento profondo e sincero di sé. Scartavamo tutto quello che ci sembrava già visto, cliché)
  • Capacità di sperimentazione e ricerca di linguaggi innovativi
  • Storytelling, capacità di narrare qualcosa attraverso una o più immagini
  • Capacità di catturare il lettore: freschezza, energia; capacità di sorprendere, coinvolgere lo spettatore, financo disturbare
  • Capacità di empatia col mondo dei bambini e il loro bisogni di esagerazione, avventura, sentimenti profondi (con un’attenzione anche al genere maschile e femminile: ci siamo chiesti se i maschi hanno bisogno di illustrazioni diverse, più avventurose, forti, meno infiocchettate)
  •  Avere un contenuto “solido”: non avere la sensazione che si voglia nascondere qualcosa ai bambini, edulcorare la verità della vita
  • Attenzione alla relazione tra i personaggi
  • Abbiamo cercato di ascoltare il dialogo che ha avuto l’illustratore con la sua illustrazione, quali emozioni ha trattato, cosa voleva dire, in fin dei conti

 (Se volete, possiamo discutere e approfondire qualcuno di questi punti nei commenti a questo post).

Una delle immagini che saranno in Mostra (non ricordo il nome dell’illustratore)

Avevamo deciso che ognuno di noi aveva un Joker. Cioè, in un solo caso, avrebbe potuto far passare un illustratore anche se non piaceva a nessun altro. Ce lo tenevamo stretto e non volevamo giocarcelo subito. Era più divertente riuscire a spiegarsi e far cambiare punto di vista agli altri. Ci riuscivamo spesso. Bastava che uno di noi trovasse le parole giuste per dire perché un’immagine gli “parlava”, e zac!, capivamo. Cambiava proprio il nostro sguardo su quell’immagine. Era incredibile, per me, imparare così tanto. Anche gli altri giurati hanno avuto la stessa sensazione: di crescere, di imparare a spostare il punto di vista.
Era bello affidare i “sì” alle braccia di qualche organizzatore o di Deanna, sempre pronti dietro di noi. – E’ un sì? – Chiedevano pieni di speranza. E noi: – sì, sì,  è un sì! – , con un sospiro di sollievo, quasi porgessimo un neo-nato in salute. Piano piano, il tavolo che ospitava la Mostra si stava popolando di immagini.

Qualcosa che non stanca mai, che sfugge…
Molte immagini a cui alla fine abbiamo detto “sì” avevano questa caratteristica: non ci stancavamo di guardarle. Si ritornava volentieri, ancora e ancora, a interrogarsi su di esse. Non erano per forza perfette o bellissime, a volte avevano anche dei difetti. A volte, addirittura, non ci piacevano. Ma qualcosa come un quid che non si riusciva mai a chiarire del tutto dava loro una vibrazione, un’intensità, una forza, che non si esaurivano. Allora, dicevamo sì.

Il plagio
Un motivo di esclusione era quando si sentiva troppo presente, nell’immagine, un altro illustratore conosciuto. Abbiamo trovato: 3 falsi Géraldine Alibeu, 1 falso Maurizio Quarello, 1 falso Quentin Blake, così Quentin Blake che per un attimo ci è venuto il dubbio che fosse lui che usava uno pseudonimo per metterci alla prova, 2 falsi Beatrice Alemagna, 1 falso Isabelle Arsenault, 1 falso Jockum Nordström, e 2 falsi Wolf Erlbruch dalla Germania.
Per gli altri continenti, forse qualche falso-illustratore ci è scappato. Ma su quelli europei eravamo ferratissimi.

Ma. C’è un ma. A una tratto ci balzano davanti agli occhi 5 bambine giganti, una per foglio. Danzano, o semplicemente sono lì (non le ho fotografate). Hanno un occhio solo come dei ciclopi. Sono dolci, simpatiche, enigmatiche con quel solo occhio. Fresche. La tecnica con la quale sono realizzate è molto simile a quella di Beatrice Alemagna: simile modo di usare il collage, i colori, il segno. Ma in quelle figurine c’è qualcosa di nuovo e originale. Decidiamo che le vogliamo in Mostra. Vola la battuta: chi è poi che se la vede con Beatrice?! :)

Insomma, abbiamo pensato che non è detto che non si possa copiare un po’, se poi quello che si ha da dire è nuovo e originale.
(@ Beatrice: sii clemente!).

Il digitale
La percentuale di immagini in digitale era bassa. Forse il 10% . Per le prossime edizioni sappiate che la Fiera incoraggia la scelta di immagini originali, essendo il fine primo della selezione una mostra.  Ma, naturalmente, se la qualità era alta, non facevamo differenza. Il problema era che la maggior parte dei lavori era mal stampata, su fogli A3 sottili e stropicciati, con colori sbiaditi e pixel sgranati. Se volete partecipare con stampe digitali, stampate su carta di buona grammatura, possibilmente mat, e allegate i disegni preparatori, se ci sono. Di un’illustratrice inglese, abbiamo messo in Mostra i bozzetti preparatori che abbiamo trovato nella busta (gli organizzatori le chiederanno il permesso, ovviamente).

Gli illustratori già selezionati nelle scorse edizioni
C’erano molti illustratori che avevano già vinto nelle scorse edizioni della Mostra. In alcuni casi non ci convincevano. In altri ci convincevano ma andavamo a guardare nei vecchi cataloghi se avevano partecipato proponendo un’evoluzione nel loro stile. Se proponevano lo stesso stile identico, li scartavamo per lasciare più spazio a illustratori mai selezionati.

Il pranzo lo abbiamo saltato, abbiamo mangiato solo qualche salatino dal vassoio delle paste. C’era troppo lavoro. A me sembrava di esplodere di gioia: il lavoro critico che stavamo facendo è quanto più mi piace del mio mestiere. Il confronto e la condivisione messi a servizio di una comprensione sempre più profonda del linguaggio proprio dell’illustrazione per ragazzi, per definirlo, capirlo, venirne sedotti. Per una volta mi sono dimenticata del mio calo di zuccheri.

Nel prossimo (e ultimo) post vi parlerò nel dettaglio di alcune scelte fatte perché, a nostro parere, aprivano la strada a nuovi linguaggi dell’illustrazione. E poi concludo.
Leggi il seguito…

Leïla Chaix (Francia). Una delle immagini che saranno in Mostra