“E poi” di Icinori, l’album raddoppiato

14 Gennaio, 2020

Di Anna Castagnoli

Tra gli addetti al settore, cioè quelle persone che invece di leggere un libro illustrato lo mettono controluce, lo misurano, lo pesano alla ricerca di qualche segreta chiave di lettura riservata ai soli iniziati, Et puis del duo Icinori (Mayumi Otero & Raphael Urwiller), pubblicato in Italia da Orecchio Acerbo (E poi, 2018), è un album che ha scatenato inesauribili dibattiti.
È stato quindi con scarsissima modestia che, invitata ad analizzare l’album per la rivista spagnola Fuera de Margen (1), davanti alla vetta di quel meraviglioso monte blu-Fuji in copertina, mi sono armata di corde, chiodi e scalpello e ho deciso che sarei arrivata in cima.


Parto dalla vista che godo da quassù: E poi è un album “raddoppiato”, definizione che il critico V. Stoichita (2) usa per tutti quei quadri il cui contenuto è una immagine che parla di una immagine: un’allegoria sull’arte. L’oggetto del libro non è una storia, ma il modo di raccontare una storia, lo stile delle illustrazioni, una riflessione sullo stile.

Frans Francken II, The Painter’s Cabinet, 1623
Nicolaes Maes, 1655


Per cominciare, il libro è un calendario: ogni pagina, un mese dell’anno. Come negli antichi libri d’Ore, le pagine offrono un’occasione di riflessione sul tempo. Dentro le stagioni, ci sono i mesi, dentro i mesi, qualcosa accade, qualcosa cade.
I mesi non vanno da gennaio a dicembre, ma da settembre ad agosto: l’anno scolastico dei bambini.

Simon Bening, Calendar Miniatures from a Book of Hours, 1550 c.

Cinque lettere antropomorfe, per l’esattezza le vocali A,E,I,O,U, la cui testa è a forma di utensile (bullone, pinza, martello, chiave inglese, sega) lavorano sulla scena come operai teatrali e cambiano la scenografia sotto gli occhi dello spettatore: spostano quinte, srotolano tappeti, sventrano montagne in un continuo susseguirsi di aperture di botole e sorprese degne del miglior teatro di Bob Wilson.

E poi, Icinori, 2018


Mese dopo mese, mentre gli operai-vocali sono occupati con la scenografia, una miriade di personaggi entra e esce di scena, creando altrettante storie parallele e intrecciate. Alla fine del libro, le quinte vengono spostate fuori scena per lasciare spazio alla costruzione di una stazione ferroviaria. In agosto, un treno porterà tutti i personaggi in vacanza. Fine.


I personaggi, le scene, i segni grafici presenti nel libro sono un pullulare di citazioni della storia dell’illustrazione, dell’arte e del fumetto. Con comparse quali la Venere di Botticelli su una conchiglia; l’uomo-misura di Le Corbusier che, salito sul treno, stende le braccia imitando il suo antenato vitruviano; David Hockney sotto pseudonimo; spiriti della tradizione giapponese e tanti altri, che vi lascio il gusto di scoprire.
Agli Icinori piace mescolare citazioni: gli omini corbusierani indossano i larghi cappelli dei viaggiatori nella famosa opera di Hiroshige Le cinquantatré stazioni del Tokaido.

Le Corbusier
Utagawa Hiroshige
E poi, Icinori, 2018 (dettaglio)

L’identità di tutti i personaggi del libro viene svelata nella risguardia finale, dove compaiono, nominati anch’essi come personaggi, elementi del disegno. Ad esempio, Gribouyi, che ricorda il suono di Gribouillis, “scarabocchio”, in francese (non so come è stato tradotto nell’edizione di Orecchio Acerbo).

E poi, Icinori, 2018 (dettaglio)

I personaggi-citazioni, insieme alle vocali-operaie e ai personaggi elementi-del-disegno sono gli attori di una sontuosa, giocosa e coltissima riflessione sulla rappresentazione grafica.
Il mondo è un linguaggio, sembrano volerci dire gli Icinori. Nell’album, questo linguaggio è fatto di lettere, modi di rappresentazione grafici, segni. In questo senso E poi è un album raddoppiato.
Analizziamolo più nel dettaglio.


Nelle prime due pagine di guardia troviamo, disposta come una quinta teatrale, una foresta. Ricorda un’incisione di Matthäus Merian the Elder.
Il bosco è morbido, barocco, pieno di chiari scuri, profondità di campo, animali nascosti.

E poi, Icinori, 2018
Matthäus Merian the Elder (1593-1650)


Come potete osservare, gli operai-vocali sono già all’opera: con le loro tute povere alla moda dei fumetti degli anni ’80 e le teste-utensili da Avanguardie russe, sono una voce stilistica del tutto moderna. È dunque un linguaggio stilistico contemporaneo che interroga, sposta, sventra l’illusione della scenografia seicentesca.

Se il passaggio dai boschi alla stazione ferroviaria del finale evoca il leitmotiv nostalgico, ottocentesco, della rivoluzione industriale, il discorso sullo stile procede parallelo, decostruendosi di pari passo con il costruirsi della stazione, proprio come è accaduto nella realtà storica, dove l’avvento di una società industrializzata, con sua la visione meccanicistica del mondo, ha finito per scardinare i valori di una rappresentazione borghese e romantica della realtà, aprendo la strada alle Avanguardie e alla società di massa.
Mentre gli operai-vocali costruiscono la ferrovia, tolgono di mezzo l’illusione figurativa. Il monte non era un monte, si apriva come un cappello, il bosco era una tela, il lago, un tappeto.

E poi, Icinori, 2018
E poi, Icinori, 2018
E poi, Icinori, 2018

Anche il modo di inquadrare le immagini è una riflessione sulla rappresentazione artistica.
Nella prima risguardia, dietro la prospettiva del palcoscenico, sale verticale la quinta del bosco. Ma il colophon occupa un rettangolo che proietta sul palco, in primo piano, un’ombra uniforme, ricordandoci che palco non è, ma superficie bidimensionale. Ogni prospettiva è un’illusione.

E poi, Icinori, 2018, prima pagina di guardia e colophone
E poi, Icinori, 2018,
dettaglio colophone


Nella pagina successiva, sullo stesso palco troviamo un tronco messo in prospettiva. Squisito riferimento ai “parergon†citati da Stoichita nel suo discorso sui quadri raddoppiati (3), sorta di oggetti in parte fuori quadro, in parte dentro, che fanno da ponte tra la realtà esterna all’immagine e lo spazio di finzione dell’immagine (mosche, lumachine, cartigli sulle cornici dipinte, tende, sguardi diretti al fruitore…).
Anche David Hockney usa spesso un tronco-parergon nelle sue vedute di The arrival of spring.

E poi, Icinori, 2018 (dettaglio)
David Hockney, The arrival of spring, Annely Juda Fine Art, 2014

E non è un caso che sia proprio Hockney, maestro indiscusso della riflessione sullo stile, che compare nel libro come uno dei personaggi principali, sotto lo pseudonimo David Okny.

E poi, Icinori, 2018 (dettaglio)

Seduto su una tartaruga, Okny cerca di disegnare le trasformazioni del paesaggio ma viene investito dalla Venere di Botticelli in caduta libera e ridotto a braccio e testa fasciati. Impossibilitato a disegnare, si contenterà di guardare un’ultima natura morta.

E poi, Icinori, 2018 (dettaglio)

Torniamo alle inquadrature. A mano a mano che gli operai-vocali spingono via le scene inziali, le quinte che vengono scoperte sono disegnate con uno stile sempre più semplice e lineare. Passando da un ultimo omaggio alle immagini di Épinal ottocentesche, si arriverà al disegno puro della stazione finale.

E poi, Icinori, 2018
Le chemin de fer, Épinal, 1840

La stazione dell’ultima pagina, dopo che tutti sono partiti, è una sorta di città ideale deserta di genti; una scenografia rinascimentale extra-terrestre, perfetta e asettica come la stanza di Kubrick nel finale di 2001 Odissea nello Spazio. È forse lo schema architettonico del mondo quando il tempo ha smesso di dettare la sua legge? Il palco è sparito, una cornice bianca circonda l’immagine. Dal teatro, siamo passati all’illustrazione pura; dalla pittura, al disegno.

E poi?, Icinori, Orecchio Acerbo, 2018, pagina di guardia finale

Gli operai-vocali si riposano e contemplano la loro opera, anche i tre piccoli personaggi corbu-hirosigheani sono presenti (angolo in basso a destra) e in riposo, dopo aver cercato, per tutto il libro, di costruire con dei cubi un, una… (qualsiasi cosa fosse, ha preso fuoco).

“Et puis fin?â€, (E poi, fine?) recita il solo testo presente, nell’ultima pagina di guardia, davanti alla stazione deserta. Una domanda che si rivolge al libro stesso, a noi lettori e all’arte contemporanea.
Fallita la possibilità di rappresentare il mondo, perché ogni linguaggio è chiuso su se stesso, cosa resta? Una nuova alba? Una nuova partenza?

La risguardia finale è un dichiarato omaggio alle pagine di guardia di Hergé, quindi alla linea chiara del fumetto e alle sue inquadrature strette, ovali o quadrate.
Teatro-illustrazione-fumetto: altrettanti modi di rappresentare il mondo.

E poi, Icinori, 2018, pagina finale di guardia con tutti i personaggi
Hergé, Coke en Stock, Le avventure di Tintin, 1958

Dovrei aprire un altro capitolo, dopo questo post già molto lungo, per parlare della riflessione sulla sequenzialità narrativa e il tempo dentro questo libro. Vi regalo un solo esempio geniale: una di due volpi, girata la pagina, si rifiuta di ripetersi identica e decide di crescere in lunghezza; sarà sempre più lunga ad ogni pagina.

E poi?, Icinori, Orecchio Acerbo, 2018

Anche nella risguardia finale il nome della volpe allungata si protrae come in una eco: voooooooolpeeeeee (reeeeeeeenaaaaaard), accanto al nome dell’altra volpe, scritto normalmente, volpe (renard). Ogni rappresentazione del mondo ha la sua lingua, ogni lingua cambia il nostro modo di percepire il mondo.

E poi, Icinori, 2018, (dettaglio)

Per finire di stuzzicarvi, vi dico ancora che le storie dei diversi personaggi sembrano misteriosamente intrecciate a quella del personaggio “bookworm”. Pagina dopo pagina, bookworm ha in mano sempre più pagine (il libro raddoppiato), fino a finire investito dalla volpe allungata e perdere tutte le pagine raccolte (quindi, il filo della storia).
Bookworm è il nome inglese di quelle bestioline che divorano i libri di carta.
E poi, fine?

E poi, Icinori, 2018

Se non avete sfogliato il libro, la descrizione che ho fatto potrà sembrarvi un trip allucinogeno. Ma la coerenza narrativa, formale, la rotondità della riflessione di questo coltissimo duo di illustratori-editori sullo stile trasforma il tic tac dei mesi in un ingranaggio perfetto, di eccezionale eleganza visuale.
Alla fine, il libro è un gioco, e del gioco ha tutta la freschezza.


ps: Ringrazio Ana G. Lartitegui per avermi invitata a scrivere questo articolo per la rivista spagnola «Fuera de Margen».
Anna Castagnoli

Note:
1) L’articolo di questo post è stato pubblicato in Spagna in una versione più ridotta con il titolo: Et puis? de Icinori, El libro desdoblado, Anna Castagnoli, «Fuera de Margen» n° 25, ottobre 2019

2,3)
Victor I. Stoichita, L’invenzione del quadro, Il Saggiatore 2013