“Esattamente come gli atomi”, l’alfabeto è un sistema complesso
11 Maggio, 2015“Un’utile invenzione per preservare la memoria del tempo passato e garantire l’unione di un’umanità dispersa in tante e distanti regioni della Terra; invenzione irta di difficoltà , poiché nata da un’attenta osservazione dei diversissimi movimenti di Lingua, Palato, Labbra e altri organi del Discorso, cui dovevano corrispondere altrettante differenze di caratteri così da poterli ricordare”.
Thomas Hobbes
“Esattamente come gli atomi”, l’alfabeto è un sistema complesso
di
Anna Martinucci
Dei primi anni di vita ricordo moltissimi dettagli, che qui non interesserebbero a nessuno, ma uno, in particolare, mi sembra significativo. La mia maniacale attrazione per la scrittura e la forma delle lettere iniziò tra i due e i tre anni, quando mio fratello, che al tempo ne aveva dieci, mi permise di sfogliare il suo ABC di Richard Scarry; e si intensificò l’anno successivo, quando mi ritrovai catapultata in un asilo di suore-generali dove l’unico aspetto positivo fu di imparare a leggere e a scrivere seguendo (anche, tra tanti brutti libri) l’ABC di Babar (sulle tecniche di insegnamento sospendo il ricordo perché potrei immobilizzare l’intera équipe del telefono azzurro).
Quello degli abbecedari, degli alfabetieri e dei sillabari, quali strumenti per l’insegnamento della scrittura e della lettura, è argomento, per propria natura, strettamente connesso allo studio dell’alfabeto che, a dispetto di quello che fa credere, è complessissimo: sulla questione si sono arrovellati scrittori, filosofi, linguisti e semiologi, alcuni con tesi brillanti.
Ne La tirannia dell’alfabeto, Roy Harris scrive:
“Sfuggire alla tirannia dell’alfabeto non è mai facile per chiunque sia stato educato sin dall’infanzia in scuole europee, poiché il sapere tradizionale sull’alfabeto è parte integrante della loro pratica pedagogica elementare. Quest’ultima infatti si basa sull’insegnamento dell’alfabeto in una delle sue molteplici versioni europee ed è cambiata pochissimo nel tempo, tanto da esser rimasta sostanzialmente immutata dai tempi di Hobbes: si può dire anzi che a molti di noi l”ABC’ è stato insegnato con metodi non troppo dissimili da quelli descritti nel primo secolo a.C. da Quintiliano”.
Harris ha ragione, la morsa esercitata dall’alfabeto sul pensiero occidentale è fortissima: quando si parla di tipo di scrittura si fa riferimento unicamente a quella che fin dall’antichità greco-romana ha costituito la base dell’educazione europea, vale a dire la scrittura alfabetica.
“A me non piace neppure il sistema, che parecchi usano, di fare imparare ai bambini nomi e posizione delle lettere alfabetiche prima delle loro figure. Ciò è di ostacolo all’apprendimento, in quanto essi non fanno caso al disegno delle lettere, nel momento in cui ricordano quanto prima hanno mnemonicamente appreso. Questo è il motivo per cui i maestri, anche quando credono di avere bene messo in mente ai ragazzi le lettere dell’alfabeto al modo in cui si suole scriverle per la prima volta, le presentano in ordine contrario a quello consueto e volutamente le confondono, finché i ragazzi loro affidati sappiano distinguerle nella forma [facie], non dall’ordine. Così essi impareranno nel modo migliore figure [habitus] e nomi [nomina] delle lettere, precisamente come imparano quelli delle persone. Ciò che è di ostacolo alla conoscenza delle lettere non lo è, invece, per le sillabe. Non escludo poi – ciò che è stato inventato per eccitare a mo’ di gioco l’interesse della puerizia ad apprendere – l’uso di letterine d’avorio e di qualsiasi altro oggetto, piacevole per quell’età , che i bambini possono gradevolmente e utilmente toccare, vedere e nominare”.
Quintiliano, Institutio oratoria, libro I, I, 24-6
Senza alcuna pretesa di completezza, per evidenti ragioni di spazio – ma anche di scarsità di materiale documentario -, quella che segue è una raccolta degli abbecedari e dei sillabari più interessanti trovati in rete, nella banca dati di Indire, acronimo di ‘Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa’, nell’archivio Gallica della BNF e su archive.org.
Gli “hornbooks“, i primissimi abbecedari diffusi in Europa durante il medioevo, si presentavano come tavole di legno con un foglio di pergamena o carta fermata da una sottile cornice di corno (la maggior parte di bue), da cui prendono il nome. Sul foglio erano riportate le lettere dell’alfabeto (in un primo tempo disposte a forma di croce latina, con la A in alto e la Z in basso), le vocali, la combinazione di vocali e consonanti, i numeri romani all’1 al 9, la benedizione e la preghiera al Lord. Quando, in seguito, le lettere furono trascritte una accanto all’altra su poche righe, l’alfabeto veniva introdotto da una croce per ricordare che “Il timore verso il Signore è l’inizio della saggezza” (“The fear of the Lord is the beginning of wisdom”). È questa la ragione per la quale gli hornbooks erano anche chiamati “Christ’s cross row” o “crisscross row”.
Il poco spazio a disposizione non permetteva di inserire illustrazioni. Il retro, tuttavia, si prestava bene per accogliere incisioni: le più diffuse raffiguravano San Giorgio e il drago, una nave tra le onde o figure immaginarie, come le sirene.
George Rice, The ABC Hornbook in America, American Folk Toys, Games & Crafts, Nashville 2000
Se prima che si diffondesse la stampa era difficile trovare le lettere accompagnate da immagini che ne facilitassero la memorizzazione, dalla metà del Cinquecento fanno la loro comparsa gli alfabeti figurati, come l’Alfabeto mnemotecnico di Russelius nel quale ogni lettera è uno strumento associato alla forma (A=compasso, G=falce, X=forbici) o le pagine dedicate all’alfabeto (in latino e in tedesco) dell’Orbis Pictus di John Amos Comenius, dove le lettere corrispondono ai versi degli animali (la A è un corvo perché fa à -à ; la D “Upupa, dicit” du-du; la L “Lupus, úlulat” lu-ulu…)
John Amos Comenius, Orbis Pictus, 1657 (rimando all’articolo di Gianfranco Staccioli, consultabile qui)
Il primo libro destinato ai bambini delle colonie inglesi, in seguito diffuso anche negli Stati Uniti, è il “The New England Primer”, stampato a Boston nel 1690 da Benjamin Harris e considerato il primo abbecedario moderno. Il Primer serviva sì a insegnare ai bambini a leggere, ma nello stesso tempo – grazie alla lettura – aveva l’obiettivo di infondere loro religione e precetti morali.
The New England Primer, Whiting, Backus & Whiting, 1805. (Potete sfogliarlo qui. Per chi fosse interessato, l’Università di Pittsburgh ha reso accessibile online oltre 140 libri scolastici del XIX secolo: li trovate qui)
Una buona parte delle risorse digitalizzate e di libera consultazione risale all’Ottocento, quando molti degli alfabetieri e dei sillabari iniziano a trasformarsi in tavole a colori e spesso trovano spazio nei libri per bambini.
Abécédaire des petit enfants dédié aux mères de famille, Julien frères éditeurs, Ginevra 1870 ca. (consultabile qui)
Les animaux domestiques: alphabet du premier âge, 1874
L’apprendimento scolastico dell’alfabeto era spesso collettivo: il maestro indicava le lettere con la bacchetta perché gli alunni potessero ripetere ad alta voce e, per limitare gli errori di pronuncia, tenendo la bocca aperta.
Più o meno così:
A. Mazzoni e B. Vettori, Sillabario e piccole letture, Edizioni R. Sandro, Milano 1926
Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Marzocco, Firenze 1940. Le illustrazioni sono di Attilio Mussino.
Va da sé che anche gli abbecedari, come i libri, riflettono il clima politico e sociale nel quale circolano facendosi spesso strumento di propaganda per instillare l’ossequio nei confronti dei valori dominanti.
Ecco un esempio di quel che intendo:
“H come Hurricane: non ha mai fallito”, la pagina fa parte di un alfabetiere inglese del 1940, quando la RAF (Royal Air Force) britannica utilizzava gli “Hurricane”, primi caccia moderni, poi impiegati nella seconda guerra mondiale.
Un altro esempio è l’Abécédeire du Maréchal Petain del 1943, dove ogni lettera diventa il pretesto per trasmettere valori e tessere le lodi del Maresciallo di Francia:
Abécédaire [du Marechal Petain], Bureau de documentario du Chef de L’Etat, 1943. (Lo potete vedere qui)
Tavola tratta dal libro D’Archino, Stabarin, Nel tuo cuore vorrei…: prime letture, classe prima, Paravia, Torino 1946. Le illustrazioni sono di Margherita Gennero.
L’alfabeto, si è visto, si presta a essere veicolato sotto diverse forme: può riguardare in modo specifico la botanica, gli animali, i mestieri, i giochi, l’ambiente in cui si vive, sia esso città o campagna e può essere imparato con l’aiuto di storie, poesie e filastrocche, come nel caso di Belle Lettere di Antonio Rubino:
che terminano con un monito:
Vorrei aggiungere una breve nota etimologica, che non è molto, ma è già qualcosa per tornare alla complessità e al fascino dell’argomento.
Nel greco antico il termine stoikéion sta a indicare sia la lettera dell’alfabeto, sia i princìpi (ta ton panton stoikéia: “i princìpi elementari di tutte le cose” Platone), sia l’elemento celeste, le stelle, i pianeti. Non è certo un caso.
La conclusione la lascio a Carlo Sini:
“L’alfabeto non riproduce, piuttosto ‘spiega’ la parola orale, e così ne produce l’effetto. Esattamente come gli atomi: la loro rotondità ‘spiega’ la sensazione del dolce; la loro sagoma appuntita ‘spiega’ la sensazione dell’aspro”.
Libri citati:
Walter J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 2004;
Carlo Sini, Filosofia e scrittura, Laterza, Roma-Bari 1994;
Johanna Drucker, Il labirinto alfabetico. Le lettere nella storia del pensiero, Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano 2000;
Adrian Frutiger, Segni e simboli. Disegno, progetto e significato, Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 1998;
Roy Harris, L’origine della scrittura, Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 1998;
Roy Harris, La tirannia dell’alfabeto, Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2003.