Il reale si fa astratto: Parte 4. Il linguaggio delle forme

“Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell’arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale. L’oggetto in sé non significa nulla. L’arte perviene col suprematismo all’espressione pura senza rappresentazione” Kazimir Malevic

Il quadrato nero, Malevic

Abbiamo fatto degli esercizi (qui e qui), nei giorni scorsi, che andavano in due direzioni molto diverse. Due poli erano in esame: quello dalla rappresentazione astratta, e quello della rappresentazione realistica.
Premetto che nessun esercizio era sbagliato, erano tutti un’occasione per riflettere su cosa è una rappresentazione astratta.
Lasciatemi riprendere alcune considerazioni fatte nei commenti partendo da un po’ lontano: una melanzana.

Il gesto di disegnare ci interroga su cosa è il mondo che vediamo fuori di noi, e su quello che sentiamo vibrare dentro di noi, e ci impone di dare delle risposte. Disegnando, ci accorgiamo che dobbiamo per forza di cose fare una sintesi, scegliere un angolo di visione, un modo di rappresentare la realtà (anche se stiamo facendo una fotografia).
Prendiamo la melanzana. Se vogliamo disegnarla, dobbiamo stare attenti a non togliere quello che ha di essenziale la melanzana per essere riconoscibile come melanzana: una certa rotondità? Il ciuffo verde? Il colore viola?  Ci sono alcuni elementi nella melanzana che evocano la malanzanità. Il colore viola, ad esempio. O la forma del suo profilo. Ma il colore viola, da solo, non basta. Il profilo, sì.

Nel disegnare un toro, per riprendere l’esercizio di Picasso, quanto possiamo sottrarre del toro perché resti un toro?
Qualsiasi disegno, anche il più realistico, è il risultato di un processo di analisi e sintesi.


Picasso ha trovato quell’elemento ultimo che, tolto quello, svanisce il toro: le corna. Elemento così essenziale che da solo rappresenta il toro meglio di una mandria intera.

Nessuna delle sintesi di Picasso è però astratta. L’astrattismo inizia quando smettiamo di riconoscere le forme della realtà.

Astrarre: (trarre fuori) 1) distogliere dagli elementi o aspetti concreti. rifl/ Straniarsi dall’ambiente per seguire pensieri o immaginazioni. / In filosofia, estrarre o separare mentalmente, per acquisire la distinzione e la definizione concettuale costitutiva di un oggetto.

Astrattismo: Corrente artistica che esclude ogni rapporto della forma artistica con gli oggetti del mondo sensibile, con una conseguente alterazione dei tradizionali rapporti fra artista e pubblico.”  (Devoto-Oli)

 

In realtà, ogni disegno che possiamo fare per ritrarre la melanzana ci dice poco del “cosa è davvero” una melanzana. Potremmo dire che il frutto viola-nero che comunemente chiamiamo melanzana è una zona semantica densa densa, alla cui periferia troviamo cose come: una pianta, una radice, una foglia, un colore, un sapore, la terra, le stagioni, una storia, il piacere, il gusto, l’amaro, un seme, un bruco, tutti gli ortaggi, tutti gli ortaggi viola-neri, il nutrimento, la pasta alla Norma, le ricette, la cucina, gli atomi, i pigmenti… Etc, etc.
Per dire in modo esaustivo cosa è una melanzana non basterebbe la biblioteca infinita di Borges.
La melanzana ha un prima, un dopo, un contesto, ma anche qualità inafferrabili legate ai nostri ricordi e alle nostre esperienze di essa.

Il poeta André Frenaud, per descrivere la giovinezza, scriveva questi versi:

“Tutto era bonomia e ispirava fiducia come il colore della melanzana”.

Quando leggo questi versi penso sempre: è proprio così, essere giovani è quella cosa lì!
Ma riuscirei a tradurre il perché? Potrei dire che la melanzana è giovanile perché è luccicante e bella soda, ma fallirei inesorabilmente nel mio tentativo: solo le parole di Frenaud, esattamente in quell’ordine misterioso, trasportano la melanzana verso la giovinezza e fanno ritorno. Se Frenaud avesse scritto: “tutto era allegro e colorato come una bella soda melanzana” avrei ricevuto l’immagine di un bel giovane dai polpacci torniti, ma non quella ineffabile della “giovinezza”.
Di solito, la poesia, agli appassionati di poesia, parla in modo abbastanza preciso anche quando è molto astratta: sembra che a un livello profondo ci siano ponti semantici e collegamenti non razionali tra le cose che non sono casuali (la brutta poesia ce lo dimostra).

Quando Milos Cvach accosta un’immagine astratta a un paesaggio, fa un’operazione simile a quella di Frenaud. Scava, cioè, nei contenuti simbolici dell’immagine per cavarne fuori elementi e sensi più profondi. Va oltre l’apparenza:

La fatica del percorrere un sentiero in salita.
La fatica dell’andare verso il domani.
L’instabilità della meta.
La speranza.
L’infinito.
etc…

L’immagine di un sentiero che si inerpica su un monte evoca un concerto di sensazioni ben precise, e si collega, per canali empatici, a concetti, idee, simboli che sono riconoscibili da tutte le persone che hanno già camminato in salita su un monte e ne sanno la fatica e le gioie, ma anche a quelle persone che, senza essere state in montagna, sanno capire il valore simbolico di una strada che si assottiglia verso il nulla (non è forse la nostra?).
L’espressione astratta non abbandona il reale, solo lo traduce in un modo che permette di arrivare, per un’altra strada, ai suoi contenuti più sotterranei. Io penso che nessuno, guardando solo la scultura di Cvach, possa dire di vedere un sentiero di montagna. Ma il senso profondo, metaforico, del coraggio di abbandonare la stabilità per andare oltre (il viaggio?), lo ritroviamo.

ASTRARRE: (…) acquisire la distinzione e la definizione concettuale costitutiva di un oggetto. (cit)

L’immagine di Anna Martinucci, per prendere i vostri esercizi, mi sembra una trascrizione molto riuscita, in linguaggio astratto, della fotografia del salto con gli sci: leggerezza, sbilanciamento di forze senza perdere equilibrio, volo…


Anna Martinucci

Come mi sembra riuscita la trascrizione in astratto dell’uccello di Aras, dove la forza luminosa delle barre gialle (la velocità del volo, la leggerezza) viene accolta e fermata da uno stop fatto d’aria (il semicerchio azzurro). Guardate anche l’immagine del trattore di Annie, nel secondo post.


Aras

Le forme ci parlano anche senza bisogno di assomigliare al reale. E ci parlano di cose concrete. E’ come se sapessero andare al fondo del reale, immergersi nel suo pozzo semantico e tirar su qualcosa che era nascosto dall’apparenza (o noi non eravamo capaci di leggerlo perché distratti dai contenuti più evidenti e conosciuti).
Riconoscere un’immagine non significa forse fare l’errore di dare per scontato di conoscerla?
Guardando quest’immagine di Piccolo blu e piccolo giallo di Leonni capiremmo, anche senza il testo, che l’immagine ci parla di una relazione e di un punto d’incontro e fusione tra due entità diverse (i due colori). Simbolicamente, un’amicizia.

Negli esempi qui sopra sono stati sfruttati colori, forme, e forze dinamiche delle linee per veicolare un contenuto. Il testo, o un titolo, potrebbe amplificare o restringere il messaggio simbolico delle forme pure (più primitivo, universale). E’ una scelta dell’artista. Mescolare il linguaggio della parola a quello delle forme astratte può dare luogo a interessanti conseguenze…
A nuove forme poetiche (come è il caso di ogni picture book con un interessante rapporto parole-immagini).

A Moon or a Button, Ruth Krauss e Remy Charlip, Harper & Row, 1959

L’immagine di Caterina Magro è concettuale, estrae un concetto dall’immagine (diversamente da quelle di Anna e Aras, che estraevano dall’immagine dei campi di forze). Non potrei dire, isolando dal contesto i due quadrati realizzati in astratto, che sono case, ma lo stesso penserei a un confronto di due modi diversi di abitare lo spazio. Stesso discorso per la casa vuota di Laura Campadelli, sempre nel primo post.


Caterian Magro

CONCLUSIONI

In questi esempi astratti ci siamo allontanati molto dalla realtà, ma non dobbiamo dimenticare che queste forze, questi concetti, questi contenuti simbolici, messi a nudo ed evidenziati dall’astrattismo, sono SEMPRE presenti dietro le cose che vediamo, come una filigrana sottile e misteriosa, come una bava di lumaca luminescente.
Ogni grande artista, anche il più figurativo, ha saputo coglierli. E non esiste capolavoro della pittura che non comporti un sapiente uso delle forze dinamiche dell’Astrattismo, anche 500 anni prima che fosse inventato, anche 5000.

Ora risaliamo verso la realtà, torniamo a galla piano piano, incontrando terre di confine tra il reale e l’astratto.
I paesaggi di Nicolas de Staël.

(Nei vostri esercizi, guardate l’esercizio 2 di Paolo Lucchini, o la busta di Nicoletta Petruzza, entrambi i lavori sono in un punto di confine tra l’astratto e il figurativo. Forse la busta di Nicky è a un crocevia tra il figurativo, il concettuale e l’astratto).

I cieli di Turner

Le ninfee di Monet, che sembrano galleggiare su vibrazioni di colore puro…

La materia pura, astratta, da cui prendono forma (o la perdono) certi visi o mani di Rembrandt: chi ha visto The Jewish Bride dal vero sa che la mano della donna esce dal sangue più splendente, dall’oro rosso di pennellate astratte e dense che solo in apparenza sono una gonna…

Ehrenzweig scrive:

“Scopriamo che gli effetti plastici della pittura (lo spazio pittorico), familiare a tutti gli artisti e agli amatori dell’arte, sono determinati da una percezione profondamente incosciente.” Ehrenzweig, L’ordre caché de l’art, Gallimard 1974

Nella parte 5 di questo percorso, (lunedì prossimo) continuerò la riflessione sull’astratto parlando dell’esercizio uno. Ora, chi aveva fatto l’esercizio due e lo volesse rifare stimolato da queste riflessioni, può. Se interessanti, pubblicherò i nuovi esperimenti.

Intanto, se volete approfondire il tema della sintesi del reale, rileggete questi post:
IL RAPPORTO TESTO – IMMAGINE: parte 1, parte 2, parte 3
LE IMMAGINI TANTRICHE DI RAJAHSTAN E UNA RIFLESSIONE SULL’ARTE ASTRATTA


Il reale si fa astratto: Parte 3. I vostri esercizi (seconda parte)

Ecco la seconda parte dei lavori arrivati. Farò qualche considerazione nei commenti e sto preparandovi un post, datemi ancora qualche ora. Vi lascio con quest’altra domanda, di Nicky: qual è l’ultimo grado di riconoscibilità di un’immagine?

Paolo Lucchini Addioni (Ferrara). Esercizio 2
Collage di carte colorate all’acquarello.

Anna Martinucci. (102 anni e mezzo). Esercizio 1

Anna Martinucci. Esercizio 2

Silvia Monteni. Esercizo 1

Silvia Monteni. Esercizio 2

 

Francesca Massai. Esercizio 1
Titolo: Sugli sci

Francesca Massai. Esercizio 1. Bis
Titolo: Buonanotte piccolina

 

Fran. (57 anni) Insegnante, bibliotecaria
Titolo: Piscina ( Piscina… linea più lunga acqua, quella nera il trampolino , quella rosa il tuffatore).
(Ndr: la qualità dell’immagine è dovuta ad una riproduzione fotografica di questa qualità)

Matilde (17 anni). Esercizio 1
Commento: Dovrebbe essere qualcosa che sta per cadere (o è appena spuntato) in un campo.

Silvye Garrone (anni 42). Esercizio 1
Commento: Il primo esercizio è molto difficile e l’ho fatto diverse volte, ogni volta mi infastidiva quello che avevo fatto, avevo in mente una sensazione e il risultato era l’opposto, poi ho capito che mi dava fastidio il fatto che fossero 3 colori diversi ed il fatto che le linee si toccassero. Alla fine il risultato che più mi rasserenava è questo.

Silvye (nei commenti Sylvie) Garrone. Esercizio 2
Commento: Il secondo esercizio, invece, come ti ho scritto, non mi è piaciuto il risultato a matita, l’ho fatto in vettoriale ma sarebbe stato altrettanto simpatico forse con un collage di cartoncini? Se non mi fossi ridotta come sempre a fare le cose all’ultimo momento forse lo avrei fatto così.
Questa è la mia versione del Lago del Brugneto.

Castino Berardi (53 anni). Esercizio 1
Titolo: Il funambulo

Castino Berardi (53 anni). Esercizio 2
Titolo: Correnti

Aras. (25 anni). Esercizio 2

Aras. Esercizio 2

Annie. (37 anni). Esercizio 1
Titolo: L’arrivo

Annie. Esercizio 2
Titolo: Trattore tra le vigne

Manuela (età 43 anni). Esercizio 1

Manuela. Esercizio 2

Nicoletta Petruzza (29 anni). Esercizio 1

Nicoletta Petruzza. Esercizio 2

Ciao Anna, ho cercato il superlativo assoluto di “difficile” ma non l’ho trovato! Caspita, per me che quando disegno un albero se non ci faccio tutte le foglie vado in panico, è stata un’impresa cercare di astrarre qualcosa.. e non credo nemmeno di esserci riuscita! Mentre facevo l’esercizio numero 2  mi veniva da chiedermi: qual è l’ultimo grado di riconoscibilità di un’immagine? Credo che esista una linea di confine precisa tra il reale e l’astratto. Ho scelto un paesaggio perché mi sembrava più “semplice”, ma ho fatto altre prove di cui una prendendo un’immagine di una lampada, ho usato il collage, ma nel mio lavoro la lampada era riconoscibilissima come lampada, era un disegno “grafico” ma non-astratto. Non aveva oltrepassato il confine.

Mentre cercavo la carta per fare il collage, mi sono imbattuta in una busta da lettera: l’ho guardata e ci ho visto il mio paesaggio coi monti… in quel momento mi sono resa conto che il mio cervello  stava cercando la “sintesi” e l’ha riconosciuta in quelle linee.


Il reale si fa astratto: Parte 3. I vostri esercizi (prima parte).

Ecco, in ordine di arrivo, la prima parte dei vostri esercizi-gioco sull’astratto, a partire dal lavoro di Milos Cvach, di cui abbiamo parlato qui e qui. Sono lavori interessanti per diverse ragioni e  ho deciso che tutti meritavano di essere pubblicati. Domani pubblicherò la seconda parte del materiale che mi è arrivato e farò qualche considerazione. Voi, intanto, potete scrivere nei commenti quello che vi comunicano questi lavori, o, se avete giocato senza inviare i lavori, raccontare la vostra esperienza.
Potete anche provare a interrogarvi su questo, è una domanda sibillina: secondo voi, nell’esercizio 2, hanno tutti usato lo stesso “traduttore” (lo stesso procedimento di sintesi) ?

Paolo Lucchini Addioni (41 anni). Esercizio 1
Titolo: Con tre sole linee si può solo esser soli.
Commento: L’immagine è stata realizzata con matita seppia su carta Fedrigoni Savile Row color bruno.

Francesca Massai. Esercizio 1

Francesca Massai. Esercizio 1 (bis)

Gioia Marchegiani. Esercizio 1
Commento: Prima avevo pensato ad un albero stilizzato, allora ho cominciato a provare. Guardando il disegno, invece, ci ho visto un pennino e la riga da esso tracciata. Poi ho cominciato a guardarlo in vari versi e ci ho visto altre cose, come per esempio un decoltè, un becco… Quindi sono partita da una immagine e l’ho stilizzata poi nel realizzarla ne ho scoperta un’altra e poi un’altra ancora e un’altra ancora!

Gioia Marchegiani. Esercizio 2
Commento:Davanti a me avevo un sacco da fare, compreso questo simpatico soggetto che mi è sembrato subito perfetto…
Qualche linea a matita e tre ritagli di forma da una rivista, ed eccolo qua!
Ora non mi rimane che ritirare la biancheria e stirarla. Ma lo farò con spirito diverso!

Alessandra (43 anni)- Esercizio 1

Alessandra. Esercizio 2

Lisa Massei. Esercizio 1
Titolo: Faccia
Commento: Gli esercizi mi hanno fatto riflettere sulla composizione e sul “dire con poco”, dando importanza agli spazi vuoti.

Lisa Massei. Esercizio 2

Laura Campadelli. Esercizio 1

Laura Campadelli. Esercizio 2.
Commento: La foto di partenza è presa da Google street view ed è un paesaggio della Bretagna francese in Finistere. I “blocchi” di colore hanno una texture sia perchè avevo solo quella carta a disposizione, sia perché la trovo adatta alle rocce. Il triangolo è vuoto in quanto abitabile. Ho scoperto che è molto divertente ridurre e astrarre le immagini, impegna la mente in un modo diverso dall’illustrare, assomiglia all’atto di scrivere qualcosa che debba rispettare vincoli estremi di numero di battute, quasi un sms.

Franchessa. Essercizio 1
Titolo: Neve

 

Franchessa. Esercizio 2
Titolo: Dover

Sabina Botti. Esercizio 1

Sabina Botti. Esercizio 2

Raffaella Bolaffio (36 anni). Esercizio 1
Commento: Il primo gioco ha diversi significati legati tra loro: famiglia, protezione, casa. Ma le variazioni potrebbero essere infinite…

Raffaella Bolaffio. Esercizio 2
Commento: Il secondo gioco trovo sia più stimolante farlo guardando la foto del paesaggio al contrario, in quel modo si possono distinguere meglio le linee e le forme che lo compongono senza distrazioni sulla riconoscibilità degli elementi e trovo che il risultato finale sia molto più interessante (ovviamente è una cosa possibile con una foto, se si vuole fare la stessa cosa dal vero bisogna diventare pipistrellli). Quindi ti mando foto e disegno al contrario (anzi, il disegno è nel verso giusto)… ma se vuoi puoi ruotare il tutto.

Cristina Storti Gajani. Esercizio 1

Cristina Storti Gajani. Esercizio 2
Commento: Mi sono inaspettatamente divertita, non so perchè mi aspettavo che mi sarei trovata poco confortevole. Invece è un esercizio da tener presente per migliorare la composizione e la pulizia. Ho voluto apposta usare un paesaggio a caso, nemmeno tanto bello.

Caterina Magro (34 anni). Esercizio 1
Commento: Il gioco delle tre linee è stato illuminante. Giocare con lunghezze, proporzioni e rapporti di equilibri è molto più facile a farsi che a dirsi. Le due linee “oblique” sono instabili, fragili, in movimento. La terza blocca ed è bloccata.

Caterina Magro. Esercizio 2
Commento:  Il paesaggio che ho trovato proprio dietro casa mia qualche giorno fa è difficile da riassumere; ma ho provato a esprimere graficamente il gioco di due case che si incontrano, una strutturata ma “asettica”, l’altra piena di vita ma instabile. Ma questo vale logicamente per me. Il bello è che ognuno poi può vedere nel riassunto grafico quello che vuole.

segue…


Il reale si fa astratto: un gioco-esercizio di Milos Cvach. Partecipate!

Durante la mostra di Milos Cvach: En quelques lignes (galleria Les Trois Ourses), di cui abbiamo parlato qui, l’artista proponeva ai visitatori un gioco da fare. Un grande quaderno accoglieva gli esperimenti, e io ovviamente non ho perso l’occasione di giocare (la faccia da scema nella foto qui sotto è quella che mi viene quando mi dicono che c’è da giocare a qualcosa).



Vi propongo l’esercizio-gioco di Cvach, anzi, vi propongo due esercizi.
Pubblicherò su Lefiguredeilibri le immagini che mi sembrano più interessanti. L’idea non è quella di fare un concorso, ma di fare un esercizio divertendosi, per riflettere insieme su cosa ci succede quando abbiamo a disposizione solo forme elementari per esprimere qualcosa (e altri limiti).
Come cambia la nostra creatività? Come cambia il modo di pensare lo spazio? Pensiamo in maniera diversa?
Anche se non volete partecipare attivamente al gioco delle Figuredeilibri, provate!
Può partecipare chiunque abbia un’età compresa tra i 0 e i 120 anni.

In fondo al post trovate la modalità per inviare le immagini.
Scadenza 13 ottobe ore 24

PRIMO ESERCIZIO (testo e regole di Milos Cvach)

E’ possibile esprimere qualche cosa tracciando solo tre linee dritte?
Una sfida da accogliere graficamente.

Alcune regole da rispettare:

– Tracciare tre linee su una sola pagina.
– Servirsi di un righello per tracciarle
– Una prima linea deve attraversare la pagina da un bordo all’altro, una seconda linea deve entrare dal bordo (o uscirne), una terza linea deve cominciare e terminare dentro la pagina.
– Nessuna linea può intersecarsi con l’altra, ma possono toccarsi.
– La pagina bianca può essere usata orizzontalmente o verticalmente

Scegliete 5 colori diversi e disponeteli sulla scrivania: potrete usarne solo 3, con queste combinazioni possibili:
–  Scegliere un solo colore per tutte e tre le linee
–  Sceglierne solo 2: lo stesso colore per due linee, l’altro per la terza linea.
–  Scegliere un colore diverso per ognuna delle tre linee

Nessuna regola per la pressione (forza) con cui potete tracciare le linee.

(Nota mia: Ricordatevi che dovete ESPRIMERE qualcosa!)

——–

SECONDO ESERCIZIO (ispirato al lavoro di Milos Cvach)

Ispirandovi al gioco delle linee, o a quello delle forme di Cvech (post di ieri) fare un disegno dal vero usando solo linee o forme molto astratte. In questo caso dovrete inviare la foto del paesaggio (o della natura morta o composizione ritratta) e il jpg dell’immagine.

Ardèche: Chemin de terre montant à une ferme isolée
R-5/2008, 105 x 182 x 21 cm, Analogies et correspondances

MODALITA’ DI INVIO

– Entro il 13 ottobre a mezzanotte (cioè, avete solo il week end a disposizione)
– A questa mail: lfdlminiconcorsi@gmail.com
– Tutte le immagini dovranno arrivare obbligatoriamente a 72 dpi di risoluzione, tagliate a 450 pixel di larghezza (alte quanto volete, ma non troppo).
– Insieme all’esercizio, potete scrivere qualche riga con le vostre impressioni dopo averlo fatto (non più di 4/5 righe).
– Nella mail specificare età e nome o pseudonimo

 Buon esperimento!

Milos Cvach En quelques lignes, Galerie les Trois Ourses, Parigi, ottobre e novembre 2013

Il reale si fa astratto: Milos Cvach. Parte 1

 

Ardèche: Chemin de terre montant à une ferme isolée
R-5/2008, 105 x 182 x 21 cm, Analogies et correspondances

In questo post vorrei farvi conoscere un artista-illustratore che ho da poco scoperto, e incominciare un discorso sull’astrattismo nell’illustrazione.

Originario della Repubblica Ceca, scultore, pittore, illustratore di libri d’artista, professore, Milos Cvach porta avanti la sua ricerca artistica con la stessa grazia con cui si disegna, con un bastoncino trovato, un segno sulla sabbia umida, prima che passi l’onda.

Milos Cvach, En quelques lignes, Galerie de Les Trois ourses

Se l’Astrattismo, come corrente pittorica, è nato agli inizi del ‘900 in controtendenza al realismo, per dare corpo a movimenti e segni che fossero solo interiori, Cvach cerca, invece, quel segno o quella forma che possa tradurre, nella maniera più sintetica possibile, quello che lui vede nella realtà. Si potrebbe dire, se ho capito bene il suo lavoro, che “disegni dal vero” usando l’astrattismo come mezzo espressivo. L’ho trovato interessantissimo.
Ai miei corsi sullo stile faccio declinare un’immagine in tre stili: realista, lirico e astratto (della mia categorizzazione degli stili avevo parlato qui e qui) ed è sempre sorprendente vedere come la realtà (la scena, l’oggetto che vediamo, o un’immagine inventata) abbia una sua filigrana sottilissima, fatta di  forze, misure e pesi, che può essere tradotta in astratto, senza venir alterata nella sostanza. Qui sotto un esempio di una mia allieva di quest’estate.

Veronica Meitre, Sarmede 2013

Nel libro-catalogo Analogies et correspondances, Milos Cvach va costantemente avanti e indietro tra il paesaggio (che poi fissa in una fotografia) e le sue sculture in legno, per ritrovare ogni volta assonanze e corrispondenze tra la complessità del reale e la semplicità della forma pura.

Milos Cvach, Analogies et correspondances

Può essere che una forma su cui lui ha lavorato trovi la sua corrispondenza in un paesaggio che lui si trova ad attraversare, o al contrario, che un paesaggio gli ispiri una nuova forma. Nel catalogo, ogni doppia pagina accoglie una corrispondenza, in un dialogo accattivante.

Londres: Colonnes laquées rouge dans une cour de la City, janvier 2007
R-4/2007 125 x 25 x 11 cm, Analogies et correspondances

Mi è piaciuta anche molto l’introduzione al catalogo della mostra Retour à Douarnenez, dove Cvach racconta di cosa provò la prima volta che arrivò in Francia, lasciando le colline dell’Europa Centrale e arrivando davanti all’immensità dell’Oceano Atlantico: era la prima volta che vedeva il mare, aveva 29 anni. Ma proprio l’infinito del mare ha rappresentato, per lui, per paradosso, un limite, e da qui ha avuto origine la sua ricerca artistica.

“Mi fu subito chiaro che il mare significava la libertà finalmente raggiunta. Ma c’era dell’altro. L’infinito dell’orizzonte si opponeva agli orizzonti a ripetizione che mi avevano circondato fino ad allora. Già da bambino provavo un bisogno incessante di oltrepassare gli orizzonti che circondavano la valle del mio villaggio natale, nella speranza di scoprire qualcosa di nuovo, di meraviglioso. Invece, scoprivo sempre un nuovo orizzonte, e ricominciavo, e così via. L’infinito dell’oceano rendeva questo movimento di ricerca dell’inconoscibile caduco. Ormai dovevo cercarlo, per soddisfare la mia curiosità e la mia attesa, dentro di me.
Ma non era così semplice. Il cammino sarebbe stato lungo, ma le mie deambulazione sul litorale bretone mi erano di grande aiuto. Tutto quello che provavo aveva per me un’importanza nuova: innanzitutto la l’orizzontalità della superficie dell’oceano, poi, per contrasto, i piani più o meno inclinati della spiagge, delle falesie, del litorale in generale, che confondeva la bella orizzontalità acquatica. (…) ” Milos Cvech, Retour à Douarnenez

Bretagne: Phare de la Pedrix près du port de Loctudy, 2006
R-5 2004, 1222,5 x 212 x 19,5 cm, Analogies et correspondances

ps: Fino al 9 novembre 2013, alla galleria de Les Trois Ourses, a Parigi, si può visitare l’esposizione di Milos Cvach: En quelques lignes.
Segue…


L’anatomia del corpo, ovvero che cosa ci abita

«Nel gregge della fatalità non cadono i teurghi » (Oracoli caldaici, frammento 153.)

The anatomy of the human body, Mansur ibn Ilyas, 1480, Persia. Illustrazione su pergamena, National Library of Medicine, Stati Uniti
The anatomy of the human body, Mansur ibn Ilyas, 1480, Persia. Illustrazione su pergamena, National Library of Medicine, Stati Uniti
The anatomy of the human body, Mansur ibn Ilyas, 1480, Persia. Illustrazione su pergamena, National Library of Medicine, Stati Uniti
The anatomy of the human body, Mansur ibn Ilyas, 1480, Persia

Cosa c’è dentro il nostro corpo? Quale è la sede delle emozioni o di un dolore? Sapere che la malinconia è dovuta a una carenza di serotonina e non a un accumulo di bile, ne spiega il mistero? Da secoli e millenni, da milioni di anni, il corpo è oggetto di studi e riflessioni.

Body “Pop Up”, 1884, L.W. Yaggy, Chicago

Quanti di voi ricordano il fascino che avevano le tavole anatomiche in fondo alla classe, con quegli scheletrini dinoccolati in bella posa, quei fegati luccicanti, quei nervi rossi e blu, quei cuori grossi come cuori di bue, quei bulbi allucinati e caprini che portavano la dicitura “sezione di occhio umano”?
Poter vedere dentro! che meraviglia, che sollievo sapere di avere, là dove pensiamo di essere abitati da fantasmi, spiriti maligni e correnti d’aria: un fegato, una milza, qualche metro di intestino. M è tutto qui quello che siamo?

Prima che arrivasse Ippocrate  di Kos (460 a.C. – 377 a.C.)  a dire che la sede di tutti i mali era da individuare nel corpo, nel suo funzionamento e nel suo equilibrio, la cura dell’uomo era affidata a stregoni e sacerdoti che, con riti di vario tipo, fingendo di placare demoni e dei arrabbiati, si rivolgevano direttamente all’inconscio del malato, parlandogli una lingua segreta, fatta di simboli e allegorie. Oggi pochi di noi si affiderebbero ai riti della Teurgia per farsi curare, ma la scoperta (o riscoperta), nel 1900, del potere dell’inconscio sul nostro corpo, riporta in auge il valore fondamentale di quelle pratiche: perché se è vero che siamo pieni di nervi, neuroni, fegatelli e milze, siamo anche abitati dall’inconscio, il quale parla ancora, dopo milioni di anni, una lingua animista, infantile e credulona.


Leonardo da Vinci, 1453-1519


Poster cinese di anatomia, 1940 circa

I miracoli di Val Morel, Dino Buzzati, 1971
A che pensi? Laurent Moreau, Orecchio Acerbo 2012
Beatrice Alemagna, Giselle de verre

“La teurgia si attuava attraverso operazioni rituali, di carattere cerimoniale – gesti ineffabili condotti con precisione e solennità – che utilizzavano simboli, formule o altro che, in senso analogico, erano adeguate ad attirare la divinità desiderata. I simboli, i gesti e la lingua usata non dovevano essere comprensibili e non dovevano in alcuna maniera essere conoscibili in senso razionale. Gli stessi nomi delle divinità evocate erano in “lingue barbare” antiche o comunque sconosciute ai partecipanti. L’efficacia del rito dipendeva dalla sospensione della razionalità umana per consentire l’attivazione degli elementi psichici superiori che ricevevano l’energia divina o daimonica.” (Teurgia, wikipedia).

Dopo Ippocrate, Galeno di Pergamo (130-220 d.C) fu uno dei più importanti medici dell’antichità, solo che basò le sue teorie mediche sull’osservazione della dissezione di animali (buoi, maiali, etc), facendo errori di interpretazione del corpo e dei suoi funzionamenti che si tramandarono per secoli.

Illustrazione tratta dal frontespizio dell’edizione giuntina (Venezia 1541) delle Opere di Galeno

Fu il medico fiammingo Andrea Vesalio il padre della moderna anatomia, con il suo De humani corporis fabrica (1543), 663 pagine in folio illustrate con 300 silografie da Jan Stephan van Calcar. Vesalio corresse molti degli errori di Galeno e prese la sana abitudine di separare il corpo dallo spirito e le sue credenze, separazione che ha contribuito a fare della nostra società post-rinascimentale un ricettacolo di batteri e nevrosi.

Georg Bartischm, Ophthalmodouleia Das ist Augendienst, 1586
Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica, silografia di Jan Stephan van Calcar
Tobias Cohn, Ma’aseh Tovviyah, un’enciclopedia del 1707,  via  Varieties of Unreligious Experience

Ascoltiamo Vesalio mentre critica il brutto carattere dei pittori e degli incisori, i quali, insieme ai barbieri muniti di bisturi, sono stati gli indispensabili strumenti della storia della medicina:

« Al presente non avrei più voglia alcuna di trascorrere lunghe ore a portare alla luce delle ossa nel Cimetiére des Innocentes di Parigi, né tantomeno di andarne in cerca a Montfaucon: una volta che mi recai in quel luogo in compagnia di un’altra persona, corsi infatti un grave pericolo a causa della presenza di un branco di cani selvaggi. E non mi metterei più nella situazione di farmi chiudere fuori dell’Università di Louvain, solo e nel cuore della notte, per prelevare da un patibolo delle altre ossa utili per costruire uno scheletro. Non mi abbasserò più a rivolgere suppliche ai giudici perché procrastinino il giorno dell’esecuzione di un criminale fino al momento per me più opportuno per dissezionarne il cadavere, né raccomanderò più agli studenti di medicina di osservare il luogo di sepoltura di una persona o li esorterò ad annotare le malattie dei pazienti in cura dei loro insegnanti, così da poter in seguito entrare in possesso dei loro corpi. Non terrò in camera per diverse settimane cadaveri riesumati oppure offertimi dopo una pubblica esecuzione, e non tollererò il caratteraccio degli scultori e dei pittori, per me fonte di pena più grande dei corpi morti che sono oggetto delle mie esercitazioni anatomiche. Pur essendo troppo giovane per trarre un guadagno economico da quest’arte, ho sopportato con prontezza e di buon animo tutto ciò, spinto dal desiderio di assimilare e far progredire le nostre comuni conoscenze » De humani corporis fabrica, Andrea Vesalio (1543)

Da un manuale di Giulio Casseri
Miriam Wosk, 2004

E’ di Alejandro Jodorowsky un libricino dal titolo: Psicomagia. Una terapia delle ambage dell’anima molto semplice: se l’inconscio si esprime in modo simbolico, è bene parlargli in modo altrettanto simbolico: attraverso azioni.
Non amo la deriva commericale di Jodorowsky, ma ricordo il fascino magnetico della sua persona una volta che ero stata alla presentazione di una sessione di psicomagia, a Genova. Lo avvicinai per chiedergli un atto psicomagico: lui mi rispose, in francese, ridendo: prima, bisogna che lei abbia un problema.

William Fairland, 1869

Per una ritrovata armonia tra corpo e simboli nei libri illustrati vi ricordo il bellissimo Dictionnaire fou du corps, di cui ho parlato qui, Dentro me, di Kitty Crowther, edizioni Topipittori, di cui si parla qui e A che pensi? di Laurent Moureau, edizioni Orecchio Acerbo, di cui si parla qui.

Dentro me, Kitty Crowther, Topipittori

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Nota: le illustrazioni del The anatomy of the human body di Mansur ibn Ilyas sono di edizioni più tarde del manoscritto, datate tra il 1500 e il 1600. Per maggiori informazioni e altre immagini tratte dagli stessi manoscritti: qui.

Dictionnaire fou du corps
Kati Couprie
Un dizionario del corpo reale e letterario
32,21 Euro
Dentro me
Kitty Crowther
Un viaggio dentro il sé
13,60 Euro
A che pensi?
Laurent Moreau
Scopri a cosa pensano con un pop-up
13,03 Euro