Il reale si fa astratto: Parte 4. Il linguaggio delle forme
16 Ottobre, 2013“Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell’arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale. L’oggetto in sé non significa nulla. L’arte perviene col suprematismo all’espressione pura senza rappresentazione” Kazimir Malevic
Il quadrato nero, Malevic
Abbiamo fatto degli esercizi (qui e qui), nei giorni scorsi, che andavano in due direzioni molto diverse. Due poli erano in esame: quello dalla rappresentazione astratta, e quello della rappresentazione realistica.
Premetto che nessun esercizio era sbagliato, erano tutti un’occasione per riflettere su cosa è una rappresentazione astratta.
Lasciatemi riprendere alcune considerazioni fatte nei commenti partendo da un po’ lontano: una melanzana.
Il gesto di disegnare ci interroga su cosa è il mondo che vediamo fuori di noi, e su quello che sentiamo vibrare dentro di noi, e ci impone di dare delle risposte. Disegnando, ci accorgiamo che dobbiamo per forza di cose fare una sintesi, scegliere un angolo di visione, un modo di rappresentare la realtà (anche se stiamo facendo una fotografia).
Prendiamo la melanzana. Se vogliamo disegnarla, dobbiamo stare attenti a non togliere quello che ha di essenziale la melanzana per essere riconoscibile come melanzana: una certa rotondità ? Il ciuffo verde? Il colore viola? Ci sono alcuni elementi nella melanzana che evocano la malanzanità . Il colore viola, ad esempio. O la forma del suo profilo. Ma il colore viola, da solo, non basta. Il profilo, sì.
Nel disegnare un toro, per riprendere l’esercizio di Picasso, quanto possiamo sottrarre del toro perché resti un toro?
Qualsiasi disegno, anche il più realistico, è il risultato di un processo di analisi e sintesi.
Picasso ha trovato quell’elemento ultimo che, tolto quello, svanisce il toro: le corna. Elemento così essenziale che da solo rappresenta il toro meglio di una mandria intera.
Nessuna delle sintesi di Picasso è però astratta. L’astrattismo inizia quando smettiamo di riconoscere le forme della realtà .
“Astrarre: (trarre fuori) 1) distogliere dagli elementi o aspetti concreti. rifl/ Straniarsi dall’ambiente per seguire pensieri o immaginazioni. / In filosofia, estrarre o separare mentalmente, per acquisire la distinzione e la definizione concettuale costitutiva di un oggetto.
Astrattismo: Corrente artistica che esclude ogni rapporto della forma artistica con gli oggetti del mondo sensibile, con una conseguente alterazione dei tradizionali rapporti fra artista e pubblico.” (Devoto-Oli)
In realtà , ogni disegno che possiamo fare per ritrarre la melanzana ci dice poco del “cosa è davvero” una melanzana. Potremmo dire che il frutto viola-nero che comunemente chiamiamo melanzana è una zona semantica densa densa, alla cui periferia troviamo cose come: una pianta, una radice, una foglia, un colore, un sapore, la terra, le stagioni, una storia, il piacere, il gusto, l’amaro, un seme, un bruco, tutti gli ortaggi, tutti gli ortaggi viola-neri, il nutrimento, la pasta alla Norma, le ricette, la cucina, gli atomi, i pigmenti… Etc, etc.
Per dire in modo esaustivo cosa è una melanzana non basterebbe la biblioteca infinita di Borges.
La melanzana ha un prima, un dopo, un contesto, ma anche qualità inafferrabili legate ai nostri ricordi e alle nostre esperienze di essa.
Il poeta André Frenaud, per descrivere la giovinezza, scriveva questi versi:
“Tutto era bonomia e ispirava fiducia come il colore della melanzana”.
Quando leggo questi versi penso sempre: è proprio così, essere giovani è quella cosa lì!
Ma riuscirei a tradurre il perché? Potrei dire che la melanzana è giovanile perché è luccicante e bella soda, ma fallirei inesorabilmente nel mio tentativo: solo le parole di Frenaud, esattamente in quell’ordine misterioso, trasportano la melanzana verso la giovinezza e fanno ritorno. Se Frenaud avesse scritto: “tutto era allegro e colorato come una bella soda melanzana” avrei ricevuto l’immagine di un bel giovane dai polpacci torniti, ma non quella ineffabile della “giovinezza”.
Di solito, la poesia, agli appassionati di poesia, parla in modo abbastanza preciso anche quando è molto astratta: sembra che a un livello profondo ci siano ponti semantici e collegamenti non razionali tra le cose che non sono casuali (la brutta poesia ce lo dimostra).
Quando Milos Cvach accosta un’immagine astratta a un paesaggio, fa un’operazione simile a quella di Frenaud. Scava, cioè, nei contenuti simbolici dell’immagine per cavarne fuori elementi e sensi più profondi. Va oltre l’apparenza:
La fatica del percorrere un sentiero in salita.
La fatica dell’andare verso il domani.
L’instabilità della meta.
La speranza.
L’infinito.
etc…
L’immagine di un sentiero che si inerpica su un monte evoca un concerto di sensazioni ben precise, e si collega, per canali empatici, a concetti, idee, simboli che sono riconoscibili da tutte le persone che hanno già camminato in salita su un monte e ne sanno la fatica e le gioie, ma anche a quelle persone che, senza essere state in montagna, sanno capire il valore simbolico di una strada che si assottiglia verso il nulla (non è forse la nostra?).
L’espressione astratta non abbandona il reale, solo lo traduce in un modo che permette di arrivare, per un’altra strada, ai suoi contenuti più sotterranei. Io penso che nessuno, guardando solo la scultura di Cvach, possa dire di vedere un sentiero di montagna. Ma il senso profondo, metaforico, del coraggio di abbandonare la stabilità per andare oltre (il viaggio?), lo ritroviamo.
ASTRARRE: (…) acquisire la distinzione e la definizione concettuale costitutiva di un oggetto. (cit)
L’immagine di Anna Martinucci, per prendere i vostri esercizi, mi sembra una trascrizione molto riuscita, in linguaggio astratto, della fotografia del salto con gli sci: leggerezza, sbilanciamento di forze senza perdere equilibrio, volo…

Anna Martinucci
Come mi sembra riuscita la trascrizione in astratto dell’uccello di Aras, dove la forza luminosa delle barre gialle (la velocità del volo, la leggerezza) viene accolta e fermata da uno stop fatto d’aria (il semicerchio azzurro). Guardate anche l’immagine del trattore di Annie, nel secondo post.

Aras
Le forme ci parlano anche senza bisogno di assomigliare al reale. E ci parlano di cose concrete. E’ come se sapessero andare al fondo del reale, immergersi nel suo pozzo semantico e tirar su qualcosa che era nascosto dall’apparenza (o noi non eravamo capaci di leggerlo perché distratti dai contenuti più evidenti e conosciuti).
Riconoscere un’immagine non significa forse fare l’errore di dare per scontato di conoscerla?
Guardando quest’immagine di Piccolo blu e piccolo giallo di Leonni capiremmo, anche senza il testo, che l’immagine ci parla di una relazione e di un punto d’incontro e fusione tra due entità diverse (i due colori). Simbolicamente, un’amicizia.
Negli esempi qui sopra sono stati sfruttati colori, forme, e forze dinamiche delle linee per veicolare un contenuto. Il testo, o un titolo, potrebbe amplificare o restringere il messaggio simbolico delle forme pure (più primitivo, universale). E’ una scelta dell’artista. Mescolare il linguaggio della parola a quello delle forme astratte può dare luogo a interessanti conseguenze…
A nuove forme poetiche (come è il caso di ogni picture book con un interessante rapporto parole-immagini).
A Moon or a Button, Ruth Krauss e Remy Charlip, Harper & Row, 1959
L’immagine di Caterina Magro è concettuale, estrae un concetto dall’immagine (diversamente da quelle di Anna e Aras, che estraevano dall’immagine dei campi di forze). Non potrei dire, isolando dal contesto i due quadrati realizzati in astratto, che sono case, ma lo stesso penserei a un confronto di due modi diversi di abitare lo spazio. Stesso discorso per la casa vuota di Laura Campadelli, sempre nel primo post.

Caterian Magro
CONCLUSIONI
In questi esempi astratti ci siamo allontanati molto dalla realtà , ma non dobbiamo dimenticare che queste forze, questi concetti, questi contenuti simbolici, messi a nudo ed evidenziati dall’astrattismo, sono SEMPRE presenti dietro le cose che vediamo, come una filigrana sottile e misteriosa, come una bava di lumaca luminescente.
Ogni grande artista, anche il più figurativo, ha saputo coglierli. E non esiste capolavoro della pittura che non comporti un sapiente uso delle forze dinamiche dell’Astrattismo, anche 500 anni prima che fosse inventato, anche 5000.
Ora risaliamo verso la realtà , torniamo a galla piano piano, incontrando terre di confine tra il reale e l’astratto.
I paesaggi di Nicolas de Staël.
(Nei vostri esercizi, guardate l’esercizio 2 di Paolo Lucchini, o la busta di Nicoletta Petruzza, entrambi i lavori sono in un punto di confine tra l’astratto e il figurativo. Forse la busta di Nicky è a un crocevia tra il figurativo, il concettuale e l’astratto).
I cieli di Turner…
Le ninfee di Monet, che sembrano galleggiare su vibrazioni di colore puro…
La materia pura, astratta, da cui prendono forma (o la perdono) certi visi o mani di Rembrandt: chi ha visto The Jewish Bride dal vero sa che la mano della donna esce dal sangue più splendente, dall’oro rosso di pennellate astratte e dense che solo in apparenza sono una gonna…
Ehrenzweig scrive:
“Scopriamo che gli effetti plastici della pittura (lo spazio pittorico), familiare a tutti gli artisti e agli amatori dell’arte, sono determinati da una percezione profondamente incosciente.” Ehrenzweig, L’ordre caché de l’art, Gallimard 1974
Nella parte 5 di questo percorso, (lunedì prossimo) continuerò la riflessione sull’astratto parlando dell’esercizio uno. Ora, chi aveva fatto l’esercizio due e lo volesse rifare stimolato da queste riflessioni, può. Se interessanti, pubblicherò i nuovi esperimenti.
Intanto, se volete approfondire il tema della sintesi del reale, rileggete questi post:
IL RAPPORTO TESTO – IMMAGINE: parte 1, parte 2, parte 3
LE IMMAGINI TANTRICHE DI RAJAHSTAN E UNA RIFLESSIONE SULL’ARTE ASTRATTA