Coinvolgere il lettore 2: la posizione del protagonista e quella del lettore
30 Maggio, 2013Leggi il post: Coinvolgere il lettore: dire meno, dire poco, nascondere.
Uno dei più affascinanti quadri della storia dell’arte è La caduta di Icaro di Pieter Bruegel il Vecchio. Prima di continuare a leggere, guardatelo con un po’ di calma qui, in più alta definizione.
Pieter Bruegel il Vecchio, 1558
Il soggetto del quadro, Icaro, che pensava di poter sfidare le leggi della fisica e raggiungere il sole, non c’è. Al suo posto, al centro del quadro, abbiamo un contadino che ara la terra. Solo in un secondo momento ci accorgiamo che Icaro c’è, in effetti, ma è già caduto, si vedono solo le sue gambe nella parte destra del quadro, in basso.
Quando vidi per la prima volta questo quadro (dal vero), dopo la sorpresa di scorgere Icaro quasi fuori quadro, provai un senso di sgomento. Era una beffa! Tutta l’ottusa macchina del mondo aveva avuto la sua rivalsa su Icaro.
Di Icaro e del suo volo magnifico, metafora dell’ambiziosa ed effimera bellezza dei più grandi sogni umani, non restava più niente. Restava solo, vittoriosa, fastidiosamente presente, l’indifferenza del paesaggio: l’ottuso e sensato lavoro del contadino che arava la terra, l’imperturbabile polvere d’oro del sole che continuava la sua orbita.
Banalmente, il quadro di Breugel ci dice che il centro è il luogo per eccellenza del protagonista: basta un semplice spostamento per dire altro. Ma c’è qualcosa di ancora più complesso in questo spostamento: io, spettatore, nel momento in cui scopro le gambe di Icaro nella parte meno importante della scena, sono “dalla sua parte”. Proprio la posizione secondaria e infima di Icaro muove la mia empatia, mi strugge, mi dà tutta la misura della mia propria fragilità e miseria.
Qualcosa dell’ambizione e della caduta di ogni uomo sono rappresentate nella caduta di Icaro, e quel genio di Bruegel sapeva che per chiamare all’appello la nostra propria miseria, doveva usare un escamotage.
Jacob Peter Gowy, da bozzetto di P. P. Rubens, La caduta di Icaro (1636-1638)
Ora guardate questo quadro di Jacob Peter Gowy. Dedalo e Icaro occupano da veri protagonisti tutta la scena. La tesa di Icaro è quasi perfettamente al centro dell’immagine. Sono molto dispiaciuta per Icaro, ma è LUI che sta precipitando, non io! Posso essere spaventata, preoccupata per la sua sorte, sollecitata dal suo grido, affranta per il suo osso del collo che non avrà lunga durata, ma mentre provo tutto questo il mio sedere resta bellamente comodo sulla poltrona, e al calduccio: penso a Icaro e alla sua triste sorte e sono ben contenta di non essere al suo posto. Guardando il quadro di Bruegel, invece, io sono Icaro. E Icaro è tutti gli uomini del mondo. L’indifferenza della vita che continua nonostante la sua morte ferisce me in prima persona. Bruegel è riuscito in questa acrobazia empatica con due escamotage (e un buon quid di misterioso genio): non ci ha mostrato il viso di Icaro, l’ha spostato fuori scena.
Un paio di mesi fa è stato pubblicato un mio articolo sulla rivista Fuera de Margen dal titolo: Le maschere del discorso narrativo (potete leggerlo in italiano qui). Nell’articolo analizzavo la posizione del lettore davanti alla copertina poco convenzionale del libro El actor, illustrato da Simone Rea.
Da allora, quando guardo un’illustrazione o un quadro, non smetto di interrogarmi su tutti quei segnali, più o meno convenzionali, che indicano al lettore quale è il suo ruolo all’interno dell’immagine che sta vedendo. Chi è il lettore? (chi sono io mentre leggo?): è un semplice spettatore o è chiamato ad essere protagonista? E’ un voyeur o un amico franco?
El Actor, Uday Prakash e Simone Rea, A buen paso, Spagna
Ora, per iniziare a renderci consapevoli del ruolo che occupiamo quando guardiamo un’immagine (e relative sensazioni), facciamo qualche esercizio. Solo allenandoci come spettatori potremo capire e scovare quei trucchi che ci serviranno poi per guidare le emozioni dei nostri lettori al momento di illustrare un libro. Ascoltate le sfumature e le differenze di sensazioni davanti alle prossime due illustrazioni (prima di continuare a leggere, guardatele con attenzione).
Olaf Hajek
Questa ragazza ci guarda (funzionerebbe ancora meglio se lo sguardo fosse esattamente rivolto allo spettatore), noi la incontriamo proprio come potremmo incontrare qualcuno per strada, il suo viso e il suo sguardo ci invitano (ci obbligano, quasi) a una relazione. La sua richiesta di relazione è leggermente aggressiva, per via dell’eccessiva vicinanza a noi (immaginate di ritrarre questa ragazza con una invisibile macchina fotografica che state tenendo in mano: sareste molto vicini al suo viso, troppo, forse, per i codici di comportamento tra sconosciuti), e per via dello sguardo diretto. Non abbiamo scampo, dobbiamo immediatamente darle una risposta, salutarla o girare pagina se non ci è simpatica.
Ritratto di Naoko, di Lizzy Stewart
Ora guardate con attenzione Naoko, di Lizzy Stewart, la ragazza è leggermente più lontana, e non ci guarda direttamente, il suo sguardo è forse indirizzato ad altri, o perso in un pensiero. Guardandola non ci sentiamo sollecitati e obbligati a rispondere subito: possiamo entrare di più nella scena, fermarci più tempo prima di decidere se ci piace o non ci piace, se abbiamo voglia di sapere qualcosa di più di lei o no. Sa che la stiamo guardando? La sua indifferenza ci intriga. Non sei lì per noi, tu, Naoko? Sei al centro della scena e non ci guardi? Ohi! dico io, dopo un primo momento di curiosità : girati a guardarmi!
Vi lascio riflettere su questa introduzione, lunedì prossimo analizzeremo ancora la posizione del protagonista e la conseguente posizione (sensazione) dello spettatore in un’immagine.