Come si illustra un libro. La lezione di Martin P., dall’alto dei suoi 6 anni.

13 Maggio, 2013

Nelle settimane scorse, molti giovani illustratori che seguono il blog, o aspiranti tali, avranno sentito parlare di correnti, di mode, di stili astratti e realisti. Volevo dirvi che tutti quei bei discorsi sono abbastanza inutili quando si vuole imparare l’arte di illustrare. Prima ancora di indulgere in una qualunque ricerca stilistica, un illustratore dovrebbe imparare due cose fondamentali:
come è fatto un libro e come si racconta una storia dentro un libro. Non è difficile. Basta avere qualcosa da raccontare, dei fogli cuciti tra loro a mo’ di libro e delle matite.

Ora vi racconto del primo story-board di un talentuoso illustratore che ho avuto la fortuna di avere come allievo per qualche ora.
Il fatto che non avesse ancora sei anni non aggiunge nessuna compiacenza alla mia ammirazione per il suo lavoro.

Era venuto a trovarmi a Barcellona qualche giorno. Non so quanti libri avesse all’attivo nella sua giovane storia di lettore ancora analfabeta, ma era molto curioso del mio mestiere. Il tempo di familiarizzarsi con la casa, che non conosceva, e mi dice che vuole fare un libro. Mi sembrava molto complicato fargli fare un libro. Lo lascio insistere un giorno intero, finché, per farlo smettere di martellarmi le orecchie, non mi decido che ci saremmo seduti a fare il libro che voleva.

Mi siedo sulla mia sedia norvegese con lui tra le gambe, prendo la maquette di un mio libro e gli dico:
Martin, questo è un libro. Ti spiego come è fatto. Deve esserci la copertina e poi qualche pagina all’interno. Dentro, con le matite, devi raccontare una storia, quella che vuoi.
Ora ti costruisco una maquette e tu poi tu la illustri, va bene? Se vuoi che ci scriviamo sopra un testo, tu me lo racconti e io lo trascrivo al computer, poi lo incolliamo. Ma se vuoi il testo, devi lasciarmi lo spazio nelle illustrazioni. Come qui, vedi? Oppure puoi anche raccontare la storia solo con le immagini, senza testo.

Poi gli faccio due quartini con due fogli A4, li cucio insieme, li taglio, e gli lascio tra le mani il libricino bianco. Gli indico dove sono le matite. Come si intitola la tua storia? Lui: “Le petit poisson” (Il pesciolino). Stampo il titolo e lo incollo sulla copertina. Mi alzo e lo saluto, lasciandolo solo.
Voi non ci crederete, è stato difficile crederci anche per me, ma un’abbondante mezz’ora dopo viene in sala e mi mostra il libro. Lo apriamo insieme. Mi racconta la storia ad alta voce: sono solo piccoli commenti: tutti e due, sfogliando il libro, abbiamo la sensazione che le immagini bastino da sole a raccontare la storia. Qui sotto, in verde, le sue parole, la traduzione è mia (Martin è francese).

Analisi del libro
IL MIO PESCIOLINO
di Martin P.

Qui c’è un pesce, è tutto solo.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

La tensione narrativa della relazione pesce/ingresso grotta è perfetta. Ha disegnato anche le pietre sul fondo del mare, forse una conchiglia. Notate che in alto a sinistra c’è un personaggio secondario: mi spiega che è un gabbiano. A un mio allievo gli avrei dato 10 e lode per l’idea narrativa del gabbiano. Non so la ragione per cui Martin lo ha disegnato, ma quello di inserire un personaggio secondario che è testimone della storia è un trucco che molti illustratori professionisti usano per dare più spessore e verità alla storia narrata. Il lettore, così, non è il solo testimone della storia, forse è lì per caso, e prova il grande piacere di essere un osservatore casuale.

E qui ha trovato un amico. Il pesce entra nella grotta col suo amico.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Che bello che l’amico abbia sulla testa una lucina per illuminare l’interno della grotta.
A livello compositivo le tavole sono invertite. In un libro illustrato la direzione della storia va, convenzionalmente, sempre da sinistra verso destra. I personaggi entrano in scena a sinistra, escono a destra. Notate che la storia di Martin è sempre capovolta orizzontalmente rispetto alla convenzione della narrazione per immagini occidentale, e questo forse prova che la lettura di un’immagine da sinistra a destra è istintiva solo per chi ha già imparato a scrivere.
I due momenti dell’incontro: saluto coi musi nella grotta (pagina a sinistra) e poi avanzamento (pagina di destra) sono illustrati sulla stessa doppia pagina, come nei polittici medievali, dove vari momenti di una storia condividono lo stesso sfondo.

Erano andati ancora più lontani.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Osservate lo zoom sulla grotta, e lo spostamento della telecamera che segue il tunnel della grotta. Ora il profilo della superficie del mare è sparito (essendo un primo piano), il gabbiano anche. La tensione narrativa è tutta concentrata nell’emozione dei due pesci che entrano nella grotta (il gabbiano, ora, distrarrebbe). Notate la finezza della bava di luce che ricopre le pareti della grotta. Infatti…

E hanno trovato il tesoro.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Ritorna il gabbiano sopra il mare, in alto a sinistra. Ora è rosso. Forse più eccitato. Il filo giallo di luce che contornava le pareti della grotta è sparito. Ora c’è solo il tesoro che brilla nel buio del mare. O forse non brilla più così tanto come quando la sua luce guidava i due pesci lungo la grotta.

Poi sono andati via.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

Di nuovo zoom sul tunnel. Primissimo piano. Controscena. I pesci escono dalla grotta. Ritorna la luce sulle pareti della grotta.
Forse a 5 anni e mezzo si diventa ricchi solo a guardarlo, un tesoro, non c’è bisogno di prenderlo.

Arrivano altri pesci.

Martin P., Mon petit poisson, Edizioni LFDL 2013

L’ingresso della grotta spunta ancora dalla pagina di sinistra, ma appena. Il fondale che prima era marrone è diventato giallo. Il mare è luce pura.
Non ho capito bene il finale (non ci sono altre illustrazioni nel libro). Gli chiedo di ripetermelo. Lui mi ripete: Vanno via e arrivano altri pesci. Io insisto ancora. Di coccio. Nella mia testa un finale deve dirmi che fine fanno i due protagonisti, così chiedo ancora: E i due pesci amici? Lui, paziente, ripete: Se ne vanno.
Capisco che è finita la storia, così, con una dissolvenza leggera e un cambio di protagonisti. Un finale da cinema neorealista, senza catarsi, e anche una grande lezione sulla vita: il tesoro è rimasto nella grotta, la storia può ricominciare. C’è chi va, c’è chi viene. Uno dei (nuovi?) pesci (quello in fondo) è tutto circondato di luce.
Nella risguardia finale ha scritto un pezzo di titolo (lo capirò più tardi). E poi il suo nome: Martin, e Fin.


Vorrei applaudire, ma mi contengo. Sono un’editrice seria. Il libro non è ancora finito. Manca la copertina e gli dico:
Martin, sei stato bravissimo, è stupendo, manca ancora la copertina, vai a farla.
Mentre corre verso lo studio gli urlo dietro: Martin! La copertina deve dire qualcosa della storia, ma non tutto, deve dare la curiosità di entrare nel libro! (Formula magica che ripeto sempre ai miei corsi). Chissà se ha sentito. E’ già di ritorno con questa copertina.

Di sua iniziativa ha illustrato anche la quarta di copertina (il retro).
Io avevo le lacrime…


ps: Il giorno dopo me lo sono portato al parco a disegnare dal vero. Ha fatto questo disegno qui sotto. Era il suo primo disegno dal vero. Davanti alla mia bocca spalancata ha detto: Ma zia Anna, è facile. con quel tono di infinita pazienza che hanno i bambini quando si rivolgono agli adulti per spiegare loro come si fanno le cose.