“Un leone a Parigi” di Beatrice Alemagna, e il simbolo del leone nella storia

13 Marzo, 2008

Beatrice Alemagna, Un lion à Paris, Autrement 2006

Nel 2006 Beatrice Alemagna pubblica Un lion à Paris (tradotto in Italia da Donizelli editore: Un leone a Parigi), come d’abitudine firma testo e immagini e ci regala quello che, a mio gusto, è il suo capolavoro. Sulla copertina del libro un giovane leone si specchia nell’acqua della Senna. Non è un gesto di vanità, è un gesto di consapevolezza.
Ma per capire fino in fondo tutta la modernità e la poesia di questo gesto e della storia che seguirà, dobbiamo fare un piccolo viaggio a ritroso. Perché proprio un leone? Che usi hanno fatto nel tempo la letteratura e l’arte di questo potente animale?

Albrecht Dürer, Leone, 1494

Il leone è per eccellenza simbolo di forza e regalità. Domina la fantasia dell’uomo da molte migliaia di anni. Nel mito greco era bestia invincibile, figlia di dèi. Era un’ibrida sfinge in Egitto. Simbolo d’oro e di luce in oriente. In Cina difendeva dagli spiriti malvagi.

Oggi si dice: “Essere coraggioso come un leone“, “Fare la parte del leone“… quando un archetipo è così ben installato sul trono del nostro immaginario da entrare come luogo comune nel linguaggio di tutti i giorni, la letteratura è legittimata a spodestarlo.

Hans Sebald Beham, Ercole uccide il leone di Nemea, 1548

Se il Leone di Nemea sconfitto da Ercole era fiera temibile e terribile, il leone del meraviglioso mondo di Oz, due millenni più tardi, manca del tutto di coraggio. Questo ribaltamento è un primo grado di spodestamento letterario: il buffo (il ridicolo) è la parodia di qualcosa che ancora ci incute timore.

William Wallace Denslow, Pubblicato da George M. Hill and Company, 1900
(Potete guardare l’intero libro su BibliOdyssey)

Nel novecento molti altri leoni hanno popolato l’immaginario della letteratura infantile, ma come protagonisti buoni. Il ribaltamento è completo.
Il leone pericoloso, aggressivo, in un capovolgimento caro ai meccanismi dell’inconscio (ergo della nostra cultura), si trasforma nel suo opposto: un animale mansueto. Il nemico diventa nostro aiutante. Il coraggio che dovremmo usare per combatterlo slitta tra le qualità stesse del leone. In un modo più primitivo è lo stesso spostamento rituale che fa indossare ad Ercole la pelle del leone: ciò che è domato, diventa un’energia spendibile. Per la stessa ragione l’uomo ha scelto i leoni come simboli araldici, o li ha posti in forma di statue-guardiani a proteggere città e piazze.

Antonio del Pollaiolo, Ercole e l’Idra, 1471c.

Cairo, leoni guardiani sul ponte Kasr-el-Nil

I bambini, più vicini di noi a queste leggi profonde, amano in modo particolare veder trasformare le cose pericolose in cose buone. Le loro fantasie aggressive, così spaventose, possono in questo modo essere proiettate al di fuori, e trovare una catarsi.

Negli anni ’50 compare in Giappone il manga Kimba il leone binaco di Osamu Tezuka, verrà trasformato in lungometraggio una decina d’anni più tardi. Nel 1994 la Walt Disney firma la regia de Il Re Leone (e si prende una bella accusa di plagio).

Osamu Tezuka, Kimba il leone bianco

Sempre nel 1950 esce il primo volume della saga Le cronache di Narnia di C.S Lewis: Il Leone, la Strega, e l’Armadio. Nel regno incantato di Narnia, il fiero leone Aslan, vittima della terribile strega bianca, che si è impossessata dei suoi poteri, aiuterà i bambini a far trionfare le forze del bene.

The Lion, the Witch and the Wardrobe, illustrato da Pauline Baynes

Un inciso: guardate come Pauline Baynes nell’illustrazione qui sopra ha saputo trattenere in bilico l’equilibrio leone-aggressivo/leone-buono. Il leone insegue i bambini per mangiarli o sta giocando con loro? (Quale è la sorte della mia aggressività? Potrebbe chiedersi un bambino).

Nel 1954 Roger Duvoisin illustra The happy lion, scritto dalla moglie Louise Fatio. Sarà il primo volume di una lunga serie di avventure con lo stesso protagonista.

Una riedizione francese di The happy Lion del 2005, Gallimard Jeunesse

The happy lion è la storia di un leone felice (gentile) che abita nello zoo di una graziosa città francese. Un giorno qualcuno lascia la porta della gabbia aperta e lui comincia la sua passeggiata per la città. Abituato quando era in gabbia ad essere salutato gentilmente dai visitatori, ora saluta gentilmente le persone che incontra, ma quelle, con sua grande sorpresa, scappano terrorizzate in tutte le direzioni.

The happy Lion, Roger Duvoisin

Un nuovo capovolgimento del capovolgimento, in cui per paradosso il leone si ritrova nella sua posizione originaria: quella di un animale temibile. Ma il leone è talmente addomestico nell’immaginario comune che questa sua posizione originaria ora risulta divertente.
E’ bene comunque non giocare troppo con questo leone gentile, infatti nel finale un bambino amico lo riporterà allo zoo, l’unico posto dove il Leone può essere felice (?).


Più di cinquant’anni dopo esce Un lion à Paris di Beatrice Alemagna. Con la sua storia commovente segna una rottura definitiva con tutta la letteratura “leonesca” precedente. Il leone è finalmente libero di non essere una funzione simbolica all’interno della dialettica paura/coraggio. Si annoia, sogna un avvenire, decide di partire per cercare un lavoro, un amore. Ma anche a lui accade lo stesso destino che ha avuto la figura dell’eroe nella letteratura novecentesca: bigie giornate dove niente accade, se non la solitudine e il male di vivere.

Beatrice Alemagna, Un lion à Paris, Autrement 2006

Una volta arrivato a Parigi il leone si aspetta che la gente abbia paura di lui, che lo insegua con fucili, che scappi terrorizzata. Ma nessuno sembra far caso a lui. Immaginate con che facilità un bambino può identificarsi in questo leone che nessuno guarda. (salto una tavola)

Ogni bambino deve rinunciare ad essere il centro del mondo per trovare un posto nella società. Ma quanto è più difficile oggi, nelle nostre città così convulse?
Notate come nella tavola il leone è contraddistinto da una zona di colore più calda rispetto ai grigi della città. E come le uniche altre zone dello stesso colore sembrano come punteggiare una risposta, un diniego.

Beatrice Alemagna, Un lion à Paris, Autrement 2006

Questo leone che ruggisce nell’indifferenza generale non è più divertente come il leone di Duvoisin, non è più buffo come il leone senza coraggio di Oz, non è eroico come Kimba, non diventerà Re. E’ tragico. Incarna tutto il pensiero contemporaneo, il nulla al quale continuiamo ad opporre una domanda di senso.

Beatrice Alemagna, Un lion à Paris, Autrement 2006

(Salto molte bellissime tavole, che sono anche un omaggio a Parigi: il leone visiterà il Louvre, salirà sulla Tour Eiffel, scenderà gli scalini di Montmartre insieme a un’amica trovata per un momento, vi lascio l’emozione di scoprirle sfogliando il libro).

Il libro non sarebbe così riuscito se come protagonista ci fosse stato un bambino o un altro animale. E’ quando quelli che credevamo più forti vengono sconfitti, che il mondo diventa triste.
Ma come scriveva Vittorini nell’introduzione ad Erica e i suoi fratelli (un’altra coraggiosa eroina dei giorni bigi), c’è alla fine sempre un “allegro della vita” che nonostante tutto, trionfa.

Finalmente la sera la città sembra sorridergli da tutte le sue finestre.

Beatrice Alemagna, Un lion à Paris, Autrement 2006

Beatrice Alemagna non disegna, compone con i colori sinfonie musicali. Nella tavola qui sopra esplodono i timpani, i campanelli, un flauto solitario attacca il suo canto sottile e dolce, e il giovane leone danza a questa musica, fa un piccolo passo d’inchino, ringrazia. Nonostante tutta la solitudine che ha attraversato, questo solo giorno di finestre che ridono gli basta per essere felice. La bellezza di questa tavola è commovente.

Il leone troverà infine il suo posto là dove è sempre stato. Al centro di una piazza, “immobile e felice” come guardiano del nostro caotico mondo.
Beatrice Alemagna ci racconta in una breve postfazione che l’idea del libro le è venuta proprio dalla statua di place Denfert-Rochereau a Parigi, e dalla sensazione che quel leone fosse molto felice là dov’era.

Beatrice Alemagna, Un lion à Paris, Autrement 2006

Il leone è dunque sceso dal suo trono di pietra per fare un giro nella nostra città moderna, ma non ha trovato niente per lui. Non la nostra paura, non la nostra fantasia, non la nostra tenerezza.
La sensazione dolce e malinconica che mi lascia alla fine il libro è che il leone sceglie, nonostante la nostra indifferenza, di ritornare sul suo seggio per continuare a proteggerci, o quanto meno (visto che nulla ci spaventa più) per ricordarci del nostro antico ardore, del nostro coraggio, della nostra paura, della nostra fantasia perdute. E questo, da parte di un leone che abbiamo per così lunghi secoli bistrattato, mi sembra un gesto di vero amore, quale solo gli animali sono capaci di dimostrarci.

Place Denfert-Rochereau, riproduzione del leone di Belfort di Frédéric Bartholdi

(L’uso delle immagini di Beatrice Alemagna mi è stato gentilmente concesso dall’autrice stessa. Ogni riproduzione è vietata).


Leggi l’intervista a Beatrice Alemagna…