
Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010
Sono certa che esistono centinaia di libri sul tema dell’adozione: profondi, importanti, utilissimi, e sono certa che la maggior parte di questi libri (Coniglietto cerca casa/ Ti abbiamo tanto aspettato/ L’uccellino Piò ha ritrovato un nido…, tanto per inventare qualche titolo che avrà senz’altro un suo corrispettivo) serve moltissimo ai bambini adottati e alle loro famiglie, per spiegare quel passaggio difficile che è l’essere accolti da una nuova famiglia.
Ma, fino ad oggi, nessuno di questi libri mi aveva interessato. Tutti i libri a tema su cui mi era capitato di inciampare, erano, appunto “a tema”. Quando un libro vuole centrare un bersaglio, difficilmente ci riesce. Un libro “a tema” ha qualcosa che non può, per definizione, essere spontaneo. Il voler a tutti i costi far passare un messaggio dà quasi sempre al libro un sapore pedagogico, fasullo, zuccheroso.
Il libro che sto per presentarvi non racconta l’adozione, racconta la storia di una bambina.

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010 (particolare)
Il libro si apre sul suono di una voce che racconta in prima persona. E’ una voce limpida, diretta, dice:
“Quando sono nata, mia madre mi ha messo in una scatola di cartone, una di quelle scatole dove si mettono le scarpe, chi ha le scarpe. Quella scatola era la mia culla, la mia camera, la mia casa, le pareti ammortizzavano il pianto di mamma.”
Subito, vedendo la scatola di cartone, ho pensato che il bambino stesse per essere abbandonato, posato sulle acque di un qualche fiume… Niente di tutto questo, per molte pagine, quasi fino alla fine del libro, la relazione tra questa mamma poverissima e il suo bambino sarà centrale. Non ci sarà nient’altro che questa mamma coraggiosa e il suo bambino in braccio.
La donna spende tutti i suoi risparmi per comprare il viaggio su una nave che li porterà “in un paese dove i bambini non dormono nelle scatole”. E’ sempre la voce della bambina che racconta, senza cambiare tono, con quella sorta di accettazione passiva del proprio destino, tipica delle persone nate nella povertà più estrema. La barca fa naufragio. Si possono sentire le grida di chi non sa nuotare. Ma la mamma trae in salvo la bambina, nuotando fino a riva.

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010
La piccola scatola di cartone affonda. Mamma e bambina dormono a cielo aperto. Camminano e camminano nella speranza di incontrare un viso conosciuto, fino a che non trovano una grande scatola, che diventa la loro casa (notate nell’illustrazione qui sotto che bella interpretazione di una casa di cartone, l’illustrazione ci dice: non ripara davvero). La sigla TV rimanda al vecchio contenuto della scatola? Lo stesso televisore dentro cui noi, al caldo delle nostre case, stiamo forse guardando questa scena?

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010
” La scatola divenne il nostro letto, la nostra stanza, la nostra casa, le pareti proteggevano il nostro pianto.
Mangiammo radici e scoprimmo che, ovunque andassimo, il sapore della terra era sempre identico. Non so perché, ma questo ci riconfortava”.
Chi sono queste figure? Immigrati? Rifugiati? Sono scappati da una guerra? Dove sono sbarcati? Non lo sappiamo, perché il punto di vista di chi racconta è quello del bambino. Un bambino conosce solo quello che gli accade, la misura del suo mondo è quella che va dal viso di sua madre al suo. Non ha nomi da dare alle situazioni, non ha riferimenti per contestualizzare il suo mondo, accetta il suo destino con una grazia tragica.
Le illustrazioni di Hassan Amekan sono strepitose. Gli spazi dentro cui si muovono i due protagonisti è immenso, siderale, costellato di arcane cifre, stelle, cerchi magici. Non avere una casa è questo: è vivere una dimensione siderale, dove il destino gioca a dadi sopra le nostre teste.

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010 (particolare)
Tra tutte queste linee, che viene voglia di decifrare come il disegno del palmo di una mano, spicca la linea tratteggiata che unisce in ogni pagina madre e bambina. E’ un filo di voce, è un filo di lacrime, è il filo che lega la madre alla scatola durante il naufragio, sarà il filo che legherà la bambina alla scena dell’incendio.
E’ questo filo sottile il vero protagonista del libro: il mistero di una relazione.
Finché la vera tragedia accade. Qualcuno dà fuoco alla piccola città di scatole che si era creata intorno alla casa-cartone dei protagonisti. Tutte le scatole si incendiano.
La madre muore nell’incendio. E’ questa l’unica tragedia. Prima c’era sofferenza, dolore, ma non tragedia. Quel filo che univa mamma e bambino bastava a dare un senso al mondo. Per un bambino, l’unica vera tragedia è la solitudine.

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010
“Finalmente mi adottarono, e dopo un po’ di tempo, ritornai a sorridere”. Racconta la bambina con la sua voce di cristallo. E anche qui, il libro non cade in uno stereotipo: non c’è una coppia mamma-papà , ma una coppia di due donne che accoglie la bambina. Senza che il testo lo dica, come per pudore di non voler “chiudere l’adozione in nessuna griglia” l’illustrazione illustra una coppia di due donne (vi ricordo che in Spagna, per le coppie omosessuali, sia il matrimonio che l’adozione, sono legali).

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010
“Ora sono felice insieme alla mia nuova mamma. La amo e lei mi ama. Mi ama per come sono.
Vivo in una casa. Ho la mia stanza, il mio letto, il mio armadio…”
Tutto sembra essere ritornato dentro il suo ordine. Ma le stelle, le linee, i cerchi, i grandi spazi che pagina dopo pagina sottolineavano la solitudine della bambina, ora riempiono la casa, come ad indicare una continuità emotiva: non c’è un prima e un dopo.
Nelle ultime due pagine, infatti, ritroviamo la bambina sola. Dice di possedere una scatola, una di quelle scatole dove i bambini che hanno scarpe tengono le scarpe… ma:
“Nella mia scatola non ci sono scarpe, ma ricordi. Perché non voglio dimenticare. Non voglio dimenticare il pianto di mamma, né il suo sorriso”.

Caja de carton, Txabi Arnal e Hassan Amekan, Oqo editora 2010
Si conclude così questo libro fortissimo, che finalmente parla dell’adozione vista dalla prospettiva del bambino, senza metafore, conigli, orsacchiotti (solo in alcuni punti, tra cui il finale, il racconto è un po’ retorico).
Con o senza naufragi, è questo spazio siderale che tutti i bambini adottati hanno attraversato e che li accompagnerà sempre.
Sono le illustrazioni di Amekan che mi hanno dato la vera emozione di questa storia. Il testo secondo me ha una debolezza: se il tempo del racconto cambia al momento dell’adozione, cioè, se il tempo della narrazione è il momento in cui la bambina viene adottata, la sua voce è troppo da adulta, didascalica. A mio modesto parere il libro avrebbe funzionato meglio anche con una voce neutrale, in terza persona, oppure con la voce della bambina diventata adulta.