Mostra Illustratori di Bologna. Arte, illustrazione, innovazione. Parte 3

25 Aprile, 2013

Sulla differenza tra illustrazione e arte

Di recente, due libri letti: L’uomo senza contenuto di G. Agamben, e Guardare, pensare, progettare di R. Falcinelli, mi hanno aiutata a cambiare la mia opinione su una questione annosa: il gusto.
Vi parlerò del libro di Falcinelli nel prossimo post.
Agamben, nel suo saggio, traccia le origini storiche del gusto, sorprendentemente recenti nella storia dell’umanità.

La stanza degli sposi felici del Mantegna

Il buongustaio, colui che con conoscenza di causa sa distinguere il bello da cioè che bello non è, nasce in Italia intorno alla metà del 1600: è l’antenato del critico moderno.
Secondo Agamben, è proprio la figura nascente del critico che a poco a poco ha relegato l’arte nel campo esclusivo dell’estetica, sottraendola all’humus vitale delle differenti esigenze pratiche della società umana (la religione, il sacro, la politica, l’educazione, il prestigio di un nome di famiglia, la decorazione d’ambienti, etc), e finendo per farla ammuffire nei musei.
E’ un discorso vasto, ma mi serva qui per dire che a differenza dell’arte moderna, l’illustrazione non ha un funzione prettamente estetica.

Museo dell’Accademia di Brera, Milano

Infatti, è vezzo di molti illustratori definirsi artigiani e scansare la definizione di artisti.
Si chiede all’illustrazione di essere a servizio di un testo o di un articolo, del programma di un teatro o della vetrina di un negozio. Quando è “per bambini” le si chiede di adattarsi alle idee che una data nazione ha dell’educazione estetica e morale dell’infanzia in un dato momento storico.
Può avere una funzione narrativa, decorativa, didascalica o documentale, ma sarà sempre a servizio di qualcosa. Questo significa che il suo valore risiede più nella sua funzionalità, che nella sua intrinseca bellezza.

Fortunatamente, Remy Charlip, Orecchio Acerbo

Per fare un esempio, ci sono illustrazioni di Remy Charlip, grandissimo illustratore americano, che non mi piacciono neanche un po’, però nella loro funzione, all’interno della storia, le trovo geniali.
Non per niente la critica contemporanea dell’illustrazione (vedere la definizione sulla rivista francese Hors Cadre[s]) parla di letterature grafiche, volendo dire con questa espressione che l’illustrazione ha preso lo statuto di un vera forma letteraria, dove parole e immagini (o idee e immagini) formano un tutt’uno inseparabile e funzionano come un linguaggio.

A moon or a button, Ruth Krauss e Remy Charlip, 1959

Sul senso di una mostra di illustrazione

Le considerazioni fatte qui sopra fanno nascere spontanea una domanda: se un’illustrazione non è un quadro, quale è il senso di una mostra di illustrazione?

A meno che le illustrazioni non siano state create espressamente per il contesto espositivo della mostra, le illustrazioni vengono sottratte dal loro contesto e dalla loro funzione originale (un testo, un articolo, una locandina…) per diventare degli oggetti estetici. Il loro senso, senza il contesto che le accompagnava, sarà decisamente alterato, o parziale. E’ per questo che in molte mostre di illustrazione, insieme alle immagini, vengono esposti i libri.

Una mostra di illustrazioni decontestualizzate dal loro luogo d’origine potrebbe essere paragonata ad una mostra letteraria dove al posto del romanzo Lolita di Nabokov vengono esposte, incorniciate, le parole “Lolita” “Lo” “Calzino” “Criminale”.  Affascinanti o no che possano essere, solo chi ha letto il romanzo potrà interpretarle correttamente.

La consapevolezza di questo fatto dovrebbe rendere cauto qualsiasi critico davanti a delle illustrazioni estrapolate dal loro contesto d’origine (come è il caso di molte immagini che arrivano al concorso della Mostra Illustratori).
Delle illustrazioni definite da Delessert deboline o vacue potevano essere, affiancate al loro testo, delle vere colonne d’Ercole, per quel che ne sappiamo.

Faccio un piccolo esperimento. Guardate con attenzione l’illustrazione qui sotto (citata da Delessert nel suo post), poi provate ad associarla a questo testo che ho scritto e ditemi se, dopo aver letto il testo, guardate l’immagine in maniera differente.

C’era una volta una casa invisibile. Dentro la casa invisibile vivevano un bambino e una bambina invisibili. La loro scuola era appena fuori dal villaggio e tutte le mattine, quando attraversavano il paese per raggiungerla, nessuno li vedeva.

Leire Salaberria, Spagna, Mostra Illustratori 2012

Mi chiedo se non si arricchirebbe enormemente la riflessione portata dalla Mostra Illustratori se si chiedesse agli illustratori di presentare 5 tavole coerenti narrativamente (cioè legate da un’idea narrativa o da una storia raccontata senza testo), e agli editori di mandare 5 tavole consequenziali tratte dai loro libri (magari con il testo allegato). Ed eventualmente fare due sezioni distinte: illustrazioni create ad hoc per la Mostra e illustrazioni decontestualizzate dal loro contesto d’origine.

Ma forse la Mostra diventerebbe un’altra cosa da quello che vuole essere. Cioè un campionario degli stili dell’illustrazione, selezionato da addetti ai lavori e destinato ad un pubblico di addetti ai lavori (quale è il pubblico della Fiera di Bologna), per una riflessione sulle nuove tendenze dell’illustrazione per ragazzi.

Sulla vera querelle intorno alla Mostra Illustratori

Detto questo, cioè che non ha molto senso discutere sulla forza o debolezza narrativa delle immagini inviate e poi selezionate alla Mostra, veniamo al vero nodo della querelle: l’innovazione e la ricerca nel campo dell’illustrazione per ragazzi, di cui la Mostra ha rappresentato, in questi ultimi anni, un campionario più che significativo.

Evelyne Laube, Nina Wehrle, selezionate nell’edizione 2012, Premio SM 2012

L’innovazione (preziosissima testa d’ariete senza la quale non ci sarebbe nessuna storia dell’arte o dell’illustrazione) deve sempre (da sempre) farsi largo in una densa coltre di perplessità, nasi che si arricciano e indignazione.
Ma, d’altro canto, è legittima la domanda di chi si chiede se con la scusa dell’innovazione si può proporre qualsiasi scarabocchio e spacciarlo per illustrazione o arte.
E’ un dibattito difficile in sé, ma nel caso dell’illustrazione si complica ulteriormente perché si fa carico di un tema estremamente complesso che è quello dei bambini come destinatari privilegiati dei libri illustrati.

La nostra discussione, nei prossimi post, avanzerà su questi temi:
– la soggettività o universalità del gusto e la sua completa affiliazione al campo fluttuante e in continua evoluzione della cultura umana.
– il concetto: è per bambini versus non è per bambini e la sua completa affiliazione al campo fluttuante e in continua evoluzione della cultura umana.

Ora vi lascio con questa domanda: cosa vi fa dire se un’immagine vi piace o non vi piace?

Segue …