Algo con lo que nadie habÃa contado (Marit Törnqvist)
25 Novembre, 2010Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009
Algo con lo que nadie habÃa contado (Qualcosa che nessuno si aspettava), di Marit Törnqvist, è un album molto forte, che tratta un tema di grande attualità e lo tratta come forse solo un libro destinato ai bambini può permettersi di fare: con disarmante schiettezza. Il tema è quello di una bambina che cade dentro un pozzo profondo e resta viva, e di come la gente, prima, si occupa di lei con grande enfasi, cerca di tirarla fuori, infila scale nel pozzo (mai abbastanza lunghe), le scrive lettere e lettere, resta sveglia di notte a pensare alla bambina nel pozzo, poi, a poco a poco, la dimentica.
Il primo pensiero che mi è venuto leggendo il libro è stato per Alfredino (per i più giovani, che forse non conoscono l’agghiacciante storia di Alfredo Rampi, leggete qui). Il secondo pensiero che mi è venuto è stato: cosa spinge la gente a essere curiosa? Cosa spinge la gente a comprare un biglietto per un giro in autobus sui luoghi di un delitto? Si usa dire “curiosità morbosa”, ma perché è morbosa?
Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009 (risguardie)
Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009 (particolare di una risguardia)
Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009
Da sempre, l’uomo è attratto da quello che c’è “nel pozzo”: la letteratura, il cinema, il teatro hanno, da che esistono, risposto a questa curiosità . Cosa cambia se al posto di un film dell’orrore c’è un pezzo di realtà ? Cambia, mi direte voi, e sono d’accordo. Quando l’audience televisiva spacca i termometri perché viene annunciata in diretta a una madre la morte di sua figlia, ci viene da dire: questi non sono personaggi di finizione, sono persone, ci vorrebbe rispetto. E viene da pensare che tra finzione e realtà , la nostra curiosità dovrebbe cambiare registro. Ma non è qui il punto. Non è essere curiosi dei pozzi reali che è morboso.
Truman Capote, spinto dalla curiosità per un barbaro assassinio, scrisse uno dei romanzi-inchieste più meravigliosi e terribili che sia mai stato scritto: A sangue freddo. Andò sui luoghi del delitto, andò in carcere a conoscere l’assassino, gli parlò ore e mesi, diventò il suo unico confidente, stette vicino a lui durante l’esecuzione della pena di morte (il tipo, insieme a un complice, aveva sterminato barbaramente, senza nessun motivo, un’intera famiglia). Questa inchiesta gli costò la salute. Truman Capote andò giù nel pozzo, perché giù nel pozzo c’erano degli esseri umani. E’ questo lo scarto che dovremmo fare tra fiction e realtà . Capire che quando nel pozzo ci sono persone vere, se vogliamo essere curiosi, dobbiamo andare fino in fondo. Il morboso non è voler guardare. Il morboso è voler guardare chi è caduto dentro ma non voler scendere.
Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009
Algo con lo que nadie habÃa contado parla di questo. Quando la bambina cade nel pozzo dice: “perché nessuno mi aveva avvertita? Perché nessuno ci parla davvero “dei pozzi”? Perché i media ci indicano i pozzi ma non ci parlano di quello che c’è dentro? Perché nessuno va a fondo?
Quando la gente scopre il pozzo con la bambina caduta dentro, il testo dice:
“Davanti ai loro piedi si apriva un buco e il buco si era inghiottito una bambina! Una bambina normale e comune! Avrebbe potuto essere una figlia o un’amica per ognuno di loro.”
E’ esattamente questo che attira le persone intorno ai pozzi della cronaca nera, lo sgomento di pensare che il pozzo (il male, la morte, le pulsioni più nere e profonde dell’essere umano) avrebbe potuto inghiottire anche loro.
Nel libro questo sgomento si sente bene, le persone stanno sveglie di notte per scrivere lettere alla bambina, non riescono a dormire, ed è perfettamente analizzato quel passaggio che fa sì, a un certo punto, che si stacchi l’altro da sé, ci si convinca che “non sono io, non è successo a me”; ergo, non sono responsabile. Tanto… “non si poteva fare niente”; meglio tornare alle solite occupazioni, “c’è così tanto da fare”. C’è così tanto da fare è una frase che ritorna più volte nel libro, e detta accanto a un buco nero che ha inghiottito una bambina, diventa il ritratto della futilità e dell’ipocrisia delle nostre vite.
Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009
Algo con lo que nadie habÃa contado, Marit Törnqvist, Los cuatro azules 2009
Soltanto due persone non si dimenticano della bambina: un uomo che le porta ogni giorno da mangiare, ma che la aiuterà solo a sopravvivere, non a vivere (e che mi sembra il ritratto preciso di tanta carità ), e un bambino, che per caso salva la bambina. Al bambino cade il pallone nel pozzo: “Un buco si era inghiottito il pallone. Perché sua madre non lo aveva avvisato? (…) Sua madre gli aveva detto di fare attenzione (N.d.R nel parco), ma come poteva fare attenzione senza sapere a cosa si riferiva?”. Perché nessuno racconta ai bambini di quello che c’è nei pozzi del nostro sentire? Perché tutti fanno finta di non sapere che tanti bambini sono nel pozzo? (e quanti ce ne sono! Accanto a noi, fuori dalla cronaca e dai libri).
Dal fondo del pozzo, la bambina tira la palla al bambino, giocano per un po’, poi la bambina si stanca e si tiene il pallone. Il bambino, per recuperare il suo pallone (il pallone! non la bambina!) srotola giorno dopo giorno fili di lana nel pozzo, fino a che un giorno la bambina, usando la corda di lana, riesce a risalire.
Perché i fili di lana e non le scale degli uomini, non le loro offerte, hanno salvato la bambina? Perché quello che salva è che qualcun altro voglia entrare nel pozzo, anche solo per recuperare una palla perduta. Quello che salva è non essere soli là dentro.