ERLKÖNIG, il re degli elfi

10 Ottobre, 2010
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The Erlkonig, Albert Sterner, circa 1910

Der Erlkonig

Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?
È il padre con il suo figlioletto;
se l’è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.

“Figlio, perché hai paura e il volto ti celi?”
“Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?”
“Figlio, è una lingua di nebbia, nient’altro.”

“Caro bambino, su, vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori ha la riva, di vari colori,
mia madre ha tante vesti d’oro”.

“Padre mio, padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?”
“Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscio.”

“Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna-nanna”.

“Padre mio, padre mio, in quel luogo tetro non vedi
laggiù le figlie del re degli Elfi?”
“Figlio mio, figlio mio, ogni cosa distinguo;
i vecchi salci hanno un chiarore grigiastro.”

“Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza”.

“Padre mio, padre mio, mi afferra in questo istante!
Il re degli Elfi mi ha fatto del male!”

Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo,
nelle sue braccia il bambino era morto.

Goethe, 1782

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Carl Gustav Carus, Der Erlkönig, anno?

Oggi volevo presentarvi un personaggio sinistro: ERLKÖNIG, spirito malvagio che vive nei boschi e uccide i cavalieri, è un personaggio della letteratura romantica tedesca, reso famoso dalla ballata di Goethe sopra citata, poi dall’adattamento musicale di Schubert (ed altri compositori). Per questa ballata Goethe si ispirò in parte a un testo pre-esistente, in parte a un fatto di cronaca.

La cronaca: di notte, un padre aveva attraversato a cavallo una foresta con in braccio il suo bambino malato di febbre, nella speranza di salvarlo portandolo da un medico. Il bambino nel delirio della febbre gridava di vedere Erlkonig prenderlo. Il bambino moriva poi tra le braccia del padre. La cavalcata, la notte, la morte, erano un cocktail perfetto per la letteratura romantica. Ora, dopo aver letto il testo, ascoltate questa interpretazione di Schubert cantata da Dietrich Fischer-Dieskau e ditemi se non è sublime.

Musicata da Schubert (composta nel 1815) e cantata dal grande baritono Dietrich Fischer-Dieskau
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J. H. Ramberg, 1821
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Brigitte Buberl, Erlkönig und Alpenbraut,1989
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Moritz v. Schwind (1804-187), Erlkönig (Schackgalerie, München.) Fr. A. Ackermann’s Kunstverlag, Monaco
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Gustav Heinrich Naeke (1786-1835) – incisione su rame per la raccolta di opere di Goethe dal 1827 al 1834
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Eugen Neureuther, Randzeichnungen zu Goethes Balladen und Romanzen
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Schubert-Lieder, illustrati da Ernst Kutzer (1880-1965)

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Schubert-Lieder, illustrati da Ernst Kutzer (1880-1965)

Il testo a cui Goethe si ispirò era stato scritto da Johann Gottfried von Herder (1744-1803), e traduceva una ballata danese, in cui la figlia del Re degli Elfi Ellerkonge (tradotto da Herde con Erlkonig (forse per un errore, forse per avvicinarlo a uno spirito già presente nella letteratura tedesca, il Re degli Otani), invitava un cavaliere, che avrebbe avuto le sue nozze l’indomani, a danzare con lui. Il cavaliere rifiutava e lei per punirlo lo condannava a morte. Ne abbiamo una meravigliosa traduzione fatta da Carducci (mio padre mi leggeva questi versi di Carducci da bambina, e già allora il mio fascino per questa ballata mi lasciava senza fiato).

La figlia del re degli elfi

Cavalca sir Oluf la notte lontano
Per fare gli inviti, ch’è sposo diman.
Or danzano gli elfi su ‘l bel verde piano:
La donna degli elfi gli stende la man.

-Ben venga sir Oluf! Perchè vuoi scappare?
Vien dentro nel cerchio: vien balla con me.
-Ballare non devo, non posso ballare:
E’ giorno di nozze dimani per me.

Se meco tu balli, scudiero gentile,
due d’oro speroni done io ti vo’,
Ed una camicia di seta sottile,
Che al lume di luna mia madre imbiancò.

Ballare non posso, non devo ballare:
E’ giorno di nozze dimani per me.
-Sir Oluf, ascolta: ti voglio donare
Un cumulo d’oro se balli con me.

-Il cumulo d’oro ben venga; ma poi
Ballare non posso, che nozze ho diman.
-Se meco, sir Oluf, ballare non vuoi,
il morbo e il contagio ti accompagneran.

E un colpo gli batte leggero sul cuore:
Tal doglia sir Oluf più mai non sentì.
Poi bianco il rialza su ‘ suo corridore:
-Ritorna a la sposa, ritorna così.

E quando alla porta di casa egli venne
Sua madre al vegnente guardò con terror:
-Ascolta figliuolo: Di’ su, che t’avvenne?
Perchè così smorto? Che è quel pallor?

-Come esser non debbo si pallido e smorto?
Nel regno degli elfi m’avvenne d’entrar.
-Figliuolo, la sposa sarà qui di corto:
Che devo a la sposa figliuolo contar?

-Le di’ che a sollazzo cammino pel bosco
Con cane e cavallo, portandolo al fren.
Ed ecco (il mattino tremava ancor fosco)
La sposa e l’allegro corteggio ne vien.

Recavano cibi, recavano vino.
-Ov’è il mio sir Oluf? Lo sposo dov’è?
-Usciva a sollazzo pe ‘l bosco vicino
Con cane e cavallo, sarà presto a te.

La sposa una rossa cortina solleva,
e morto lì dietro sir Oluf giaceva.

Giosué Carducci. Rime nuove, (1861-1887)