Intervista alla casa editrice Les Trois Ourses, parte I

24 Gennaio, 2011

Cox

Pubblico in tre parti l’intervista a Elisabeth Lortic, fondatrice ed editrice de Les Trois Ourses. L’intervista fa parte della tesi finale che Marissa Morelli, architetto, ha svolto per il Master in Illustrazione per l’infanzia ed educazione estetica all’Università di Padova ed è una ricchissima testimonianza della storia di uno degli editori più interessanti del panorama francese, nonché una profonda riflessione su cosa significa nutrire i bambini di immagini graficamente “adulte”. Ringrazio Elisabeth Lortic e Marissa Morelli per avermi concesso di pubblicare questo prezioso documento.

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Louise Marie Cumont, Les Chaises, libro di tessuto, Les Trois Ourses, 1997

Parigi, 27 luglio 2010, INTERVISTA A ELISABETH LORTIC, EDITRICE di LES TROIS OURSES, di Marissa Morelli

Libri per bambini fatti da artisti. Da dove nasce il desiderio di questo particolare tipo di stimolazione visiva, legato all’oggetto libro ma anche ad un progetto capace di trasformare  il libro e portarlo fuori dal suo naturale contesto (dentro ad una mostra, ad una esperienza tridimensionale…), progetto che è cosi diverso dal classico libro per bambini che troviamo nelle librerie?
Era una mancanza, in quei tempi, quando abbiamo fondato l’associazione. Da anni ci si occupava di letteratura per l’infanzia, di libri illustrati per bambini, di berceuses (ninnananne), comptines (filastrocche) , ma nessuno si occupava di stimolazione visiva per i bambini, sopratutto per i più piccoli.
Abbiamo voluto far conoscere ad un pubblico più vasto opere di artisti, come è successo alla fiera di Bologna del 1980 , quando abbiamo scoperto i pre-libri di Bruno Munari, dodici libri materici diversi, non illustrati, da toccare e da mettere in bocca. Questo percorso è proseguito con i libri di Katsumi Komagata, per la stessa ragione. Sono libri che hanno un tipo di comunicazione più universale, si eludono i problemi legati alla lingua, si comunica attraverso una stimolazione visiva  pura. Questi libri fanno parte del campo della comunicazione visiva, sono naturalmente adatti ad essere esposti e vissuti in mostra, si prestano ad essere trasformati, ingigantiti, per poterli condividere collettivamente.

Questo mi pare un fattore importante per voi, non essere strutturati solamente attorno al concetto libro, ma avere un tipo di coinvolgimento più ampio, non solo il bambino e il suo libro, ma un’interazione a 360 gradi fra le parti…
Sì, questo è importante, la mostra è innanzitutto un modo per far conoscere il libro, sommato al piacere di comunicare insieme col libro, in un modo nuovo e diverso.

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<h5 style=”font-size: 0.83em;”><span style=”color: #888888;”>Louise Marie Cumont, </span><em><span style=”color: #888888;”>Les Chaises</span></em><span style=”color: #888888;”>, libro di tessuto, Les Trois Ourses, 1997</span></h5>

Il vostro lavoro si occupa anche di recuperare parte di un periodo storico importante per la Francia, gli anni di Père Castor e dei libri prodotti in quel periodo, in particolare sembra esserci una particolare attenzione verso gli autori russi.
È la scelta di far conoscere opere del passato ad un pubblico contemporaneo? Sono passioni, scelte estetiche personali o altro?
Ci piace creare legami, legami fra la parti, legami col passato. È importante mostrare ai bambini che le cose non nascono mai dal nulla, che c’è sempre un precursore, qualcuno che ha già tracciato un percorso in precedenza.

Père Castor è molto conosciuto in Francia ed è molto popolare ancora oggi, dopo ottant’anni. A quei tempi, parliamo degli anni trenta, erano libri poco cari, con grandi tirature, presenti nelle scuole e stampati bene. Père Castor nasce con l’immigrazione russa a Parigi e sull’onda della Nouvelle Education. La maggior parte degli artisti uscivano dalla scuola di Lebedev, artista russo che, invece, rimase in Russia. Gli artisti, dopo la rivoluzione, lavoravano con la volontà di voler trasmettere un messaggio a una popolazione che non leggeva, spesso analfabeta. E’ stata una rivoluzione iconica legata ad una fortissima voglia di comunicare. Le immagini di oggi, spesso si rifanno a quel periodo, un esempio fra tutti è Blexbolex, dove mi pare ovvio il riferimento a Lebedev.

Nathalie Parain, che è molto conosciuta in Francia, ha lavorato sulla scia di Lebedev. Il suo linguaggio iconico è davvero rivoluzionario. Cosi abbiamo scelto di ri-editare il suo primo libro, Mon Chat, che non era mai stato pubblicato in Russia.

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Nathalie Parain, Mon chat, Édition MeMo “La Collection des Trois Ourses”

Il libro di Rodchenko che abbiamo pubblicato recentemente non era mai stato pubblicato prima, è un libro di fotografia, abbiamo cercato di mostrare  che per quell’epoca era una cosa nuova e originale… un libro di fotografia per bambini del 1926! Questo libro, che ha un suo senso anche per i bambini di oggi, fa parte della collana che abbiamo in comune con MeMo, non è una collana soltanto storica, è una collana di libri “attivi” per i bambini. E’ un libro bilingue, studiato anche per i bambini russi. MeMo è molto attenta alla stampa, alla grafica e a tutto il processo di ricostruzione dei libri. Abbiamo potuto lavorare con gli originali di vetro delle fotografie forniteci dal nipote di Rodchenko. Il risultato ottenuto è un libro nuovo, con un impaginato ed una grafica che richiama quegli anni, ma creato oggi.

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Alexandre Rodchenko, Animaux à mimer, Édition MeMo “La Collection des Trois Ourses”, 2010

In generale, come sono nati i vostri ultimi progetti, come quelli di Mauro Bellei, Marc Riboud, e il Bloc Notes di Joachim Jirou-Najou, che sono opere  molto diverse tra loro, che nascono anche da altri ambiti? Chi decide cosa e come pubblicare?
Per noi è iniziato tutto dalla necessità di una boccata d’aria, perché anche se ci piaceva il nostro lavoro, volevamo darci un po’ d’ossigeno, volevamo creare progetti che potessero dare aria, progetti che potessero far respirare.

Siamo un gruppo. Les Trois Ourses funzionano perché sono un gruppo, con al suo interno tante personalità. Da soli avremo fatto cose molto diverse, invece abbiamo puntato sulla condivisione delle idee. Tutti noi avevamo il nostro lavoro e dunque non c’era bisogno di creare una struttura convenzionale, lucrosa.

Dal gruppo viene, ad esempio, l’idea della collana con MeMo. Ci riuniamo tre volte l’anno, in campagna, ospiti di Annie Mirabel, lavorando per tre giorni consecutivi. Ognuno di noi elabora una lista, ognuno si fa portavoce della sua idea o di un suo progetto. Solitamente siamo da dodici a quattordici persone in queste sessioni di lavoro e Annie ci ospita tutti, lavora e cucina anche (risata). A volte sono invece le persone e i progetti a venire da noi. Cerchiamo di capire prima se sono progetti attinenti al nostro mondo. Come ad esempio progetti legati a Munari, che è un pilastro centrale per noi, o collegati al design o a qualcosa che stiamo facendo.

È il caso di Blocs Notes. Eravamo in lizza per spostarci con la sede a Docks en Seine, qualsiasi progetto legato al mondo del design andava benissimo, siamo venuti a conoscenza del progetto di Joachim Jirou-Najou e lo abbiamo pubblicato.

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Joachim Jirou-Najou, Blocs Notes, Les Trois Ourses, 2010

Il libro di Mauro Bellei è nato invece da un incontro casuale. Mauro è venuto per incontrare Katsumi Komagata e mi ha fatto vedere il suo lavoro. Nel tempo è nata un’amicizia, parlando a lungo di Munari e andando insieme a conoscere lo stampatore storico di Munari, Lucini, a Milano. A questo libro seguirà una mostra, al Mambo di Bologna, in occasione di ArteLibro.

La maggior parte delle volte, all’inizio dei progetti, non abbiamo disponibilità economica sufficiente, purtroppo sono venti anni che funziona cosi. Questo ha un effetto sulle decisioni prese e sulle caratteristiche del gruppo. Non esistendo economicamente, diventa una sorta di modo di vita. Ci permette alcune cose, ne esclude delle altre. Siamo più leggeri e  qualche volta più pesanti.

Copertina
Mauro Bellei, Les Cailloux de l’Art moderne, Les Trois Ourses, 2010

Ognuno nel gruppo ha le sue manie. Io ne ho parecchie ma ne ho una in particolare che sono i libri di fotografie per bambini. Rimangono parte di un mondo speciale; da bambina avevo dei libri di fotografia che venivano dalla Svizzera, come i libri di Doisneau sui ragazzi di tutto il mondo, mi ricordo di avere amato molto questi libri, li ho conservati tutti. Cosi quando è venuta a trovarmi Catherine, la moglie di Marc Riboud (dopo 10 anni che parlavamo di un eventuale progetto da fare insieme ) ci è venuto spontaneo  farlo. È un libro, un abbecedario di fotografie, che stiamo progettando assieme alla casa editrice Gallimard. Insomma, si tratta di incontri. Se venisse qualcuno a proporci un libro di poesie, lo manderemo a un altro editore o chissà, forse lo faremo noi.

Continua…


3 Risposte per “Intervista alla casa editrice Les Trois Ourses, parte I”

  1. 1 Lisa
    25 Gennaio, 2011 at 18:04

    Grazie, questo post è interessantissimo: i libri che hanno un tipo di comunicazione più ampia e che non si limita solo alla lettura ma anche attraverso la stimolazione visiva o tattile sono quelli che preferisco: da quelli con la grafica semplice ma originale a quelli realizzati con tecniche e materiali inconsueti. Sia per chi illustra o per chi scrive credo sia interessante potersi esprimere e comunicare anche attraverso un libro “multimaterico”.
    Mi piacerebbe trovare i libri della casa editrice “Les trois ourses” anche in Italia!

    A quando la seconda parte?

  2. 2 francesca
    27 Giugno, 2011 at 16:39

    sono la mamma di un bambino ipovedente, sicuramente la lettura di questi libri stimolerebbero molto meglio la sua percezione visiva.

  3. 3 Anna Castagnoli
    27 Giugno, 2011 at 17:03

    cara Francesca, penso che scrivendo alla casa editrice ci si possa far inviare i libri direttamente.