La lingua segreta delle immagini e le sue strutture narrative

13 Febbraio, 2013

In questo post pubblico alcuni lavori che i lettori di Le Figure dei Libri hanno fatto spontaneamente a partire dal laboratorio dell’illustratrice francese Sara (descritto qui).
I lavori sono stati fatti per il puro piacere della sperimentazione, ma vorrei usarli per fare qualche considerazione sul linguaggio narrativo delle immagini (messe in sequenza e senza un testo). Lo scopo è quello di riflettere insieme su come si racconta una storia per sole immagini.
Ricordo che il tema dato era: raccontare una storia in tre parti (inizio, qualcosa accade, soluzione) partendo tutti dalla scena di una barchetta su un’onda. Tre soli colori.


Elisa Lodolo, prima storia

Elisa Lodolo, seconda storia

Prima di leggere quanto segue, leggete con attenzione le due storie raccontate da Elisa Lodolo nelle sequenze qui sopra, cercando di interpretare il finale.

Nella prima sequenza c’è una barca che naviga. Per rendere l’idea del suo andare, nell’inquadratura delle prime 5 scene Elisa ha usato un linguaggio cinematografico: la barca attraversa lentamente il piano fisso di un’immaginaria videocamera. Vediamo spostarsi la barchetta da sinistra a destra. Poi vediamo un’onda entrare in scena da destra e andare incontro alla barca, crescendo.
La suddivisione in 5 tempi dell’onda che arriva rende la scena “come al rallentatore” (per contrapposizione alla velocità quasi istantanea che dovrebbe avere un’onda).
Abbiamo il tempo di entrare nella comprensione di cosa sta accadendo e la suspense sale…
Ma nella sesta scena, l’ultima, c’è un colpo di scena, un salto logico che ci sorprende: l’onda non ha rovesciato la barca come avrebbe dovuto. Il mare ora è giallo e il cielo è diventato marrone. La barca prosegue tranquilla il suo viaggio.

Elisa Lodolo, prima storia

Se fossimo al cinema, (regno dove il tempo che passa ha la stessa logica del tempo come noi lo conosciamo nel quotidiano, e ogni frattura nella sua logica va giustificata), potremmo pensare che la scena della barca nella sesta tavola è molto distante temporalmente da quelle precedenti. E’ scesa la notte, il cielo è diventato scuro, il mare è illuminato dalla luna, la barca è sopravvissuta all’onda.
Ma una sequenza narrativa su carta ha regole diverse, e noi interpretiamo la sesta scena come una conseguenza delle scene precedenti. L’onda ha capovolto cielo e mare, e la barca è passata in mezzo a questo capovolgimento indisturbata. E’ una metafora visiva!

Nel finale del secondo esperimento di Elisa (qui sotto) troviamo un’altra soluzione narrativa, ma la “regola grammaticale” usata per metterla in scena è la stessa. La barca è scampata all’onda capovolgendosi. E’ un finale perfettamente logico nella logica della poesia visiva delle immagini, ma non lo sarebbe nella realtà, e non lo sarebbe al cinema: sia nella realtà che nel cinema (dove l’ancoraggio alla realtà è ancora forte), i passeggeri della barca sarebbero tutti morti annegati e la scena non ci divertirebbe affatto.
Ma noi lettori sappiamo che questa barca può andare sott’acqua: nell’album illustrato siamo in un nuovo regno, con regole e leggi che stanno in biblico tra quelle fisiche del nostro mondo quotidiano e quelle metaforiche e permeabili della poesia e delle associazioni di idee.

E ora provate a fare un gioco: provate a raccontare ad alta voce, a qualcuno o a voi stessi, la storia di questa barca (sia quella della prima sequenza, che quella della seconda). Vedrete che è impossibile restituire lo stesso senso, perché la logica delle parole è ancora diversa! (Forse solo una poesia potrebbe riuscirci).


Elisa Lodolo, seconda storia

Il linguaggio delle immagini illustrate in sequenza, quando non è cinematografico, assomiglia al linguaggio della poesia.
Il linguaggio della poesia (metaforico, evocativo, allegorico, simbolico…) ha anche lui, come quello della prosa, delle regole che devono venir rispettate, pena la perdita totale del senso. Queste regole sono però molto più elastiche e fluttuanti rispetto a quelle della prosa. Il linguaggio della poesia e quello delle immagini esplorano le segrete connessioni delle parole con le emozioni e il pensiero umani in un modo più empatico (inconscio? Istintivo? Non trovo l’espressione), affondando le unghie in quella zona oscura che precede il pensiero razionale.*
Esempio: le poesie di Paul Celan o alcune poesie di Samuel Beckett hanno esplorato i confini ultimi del linguaggio: le frontiere oltre le quali il senso finisce.

(Una volta, era la vita?)
Una volta, era la vita?, di nuovo,
era la luce?,
si porse a me, con gesti
di capitano d’arca, la
mano spinata del frontaliere
e mi pregò di sostituirla.
Io credo, lo feci
(Paul Celan. Traduzione di Michele Ranchetti)

Quella qui sotto è la sequenza di Gioia Marchegiani. E’ molto bella esteticamente, ma non sono riuscita a capire cosa succede alla barca. Forse il suo esercizio era un gioco puramente evocativo. O forse Gioia ha infranto qualche regola della grammatica delle immagini.
La sequenza di Gioia è una poesia che va oltre i confini del senso. Mi chiedo: come esiste una pittura astratta, può esistere un linguaggio “astratto”? E’ una domanda aperta.

Gioia Marchegiani

La sequenza qui sotto, di Federica Cerutti, racconta con sole tre immagini un’altra storia dalla logica squisitamente metaforica. Una barca viene investita da un’onda ma si salva diventando dello stesso colore dell’onda. Cioè lasciandosi interamente trasformare dalla materia che l’ha investita. La storia funziona.
Le tre goccioline dell’onda sono diventate le goccioline della barca che dice “Fiù, l’ho scampata bella!”. Capiamo la frase della barca perché Federica ha usato l’espressione dello spavento codificata dal linguaggio del Fumetto.
(E’ una barca furba quella di Federica, e, se notate, stava già andando controcorrente dalla prima scena, visto che il movimento classico di un inizio-storia è da sinistra verso destra).

Federica Cerutti

Quella di Nicoletta Petruzza è una storia tutta cinematografica. C’è un passaggio non cinematografico tra la sesta e la settima tavola che forse era importante per la storia ma non mi sembra chiaro. L’onda crea un ponte. La barca ci si rifugia sotto, ma nella settima e nell’ottava tavola non capisco bene cosa è successo al ponte. Il finale mi dice che comunque la barca ce l’ha fatta. E il senso della storia, anche con un passaggio poco chiaro, è comprensibile.

Nicoletta Petruzza 1
Nicoletta Petruzza 2

Elilisa mi aveva mandato la sequenza qui sotto. Né io né i suoi figli l’avevamo capita (i bambini sono i più acuti lettori!).

 Elillisa

Elilisa si è resa conto di un errore logico nell’ultima tavola e mi ha rimandato la sequenza corretta qui sotto (col fondo nero anche nell’ultima tavola): e finalmente ho capito la storia (ma solo dopo una o due letture, perché l’isola mi sembrava una faccia e non ho capito subito che era un’isola). Chiedo a voi di raccontarmi la storia della barca di Elilisa, per farvi giocare.

Elillisa

Questa qui sotto è di Yayoi. Io l’ho interpretata pensando che la barca, avvicinandosi al cielo, ha contagiato le nuvole col suo bianco, rendendole innocue e pacificando il mare. Forse con qualche passaggio narrativo in più la storia sarebbe stata ancora più chiara.

Yayoi

Qui sotto la sequenza di Luisa Nascosto. E’ molto concettuale, ma chiara. La barca, cadendo dall’onda, incontra un suo riflesso e si unisce ad esso diventando una stella. Una barca che si trasforma in stella è possibile nel linguaggio delle immagini, ma il salto logico, rispetto alla logica del mondo che conosco, è molto grande e ho l’impressione di poterlo seguire solo razionalmente. E’ un passaggio concettuale.
La barca di Elisa, nelle prime due tavola del post, restava una barca vera. Cioè, era una barca anche sott’acqua, solo più magica, perché capace di un potere nuovo. Nella sequenza di Luisa, per seguire la barca fino alla sua trasformazione in stella, io devo pensare che la barca diventa “simbolica”. Cioè astratta come un simbolo.
Personalmente trovo che il linguaggio simbolico sia meno coinvolgente a livello emotivo di quello metaforico, ma forse è una lettura data dalla mia sensibilità.
Nei miei corsi invito comunque gli allievi a limitarne l’uso, perché mi sembra un linguaggio più da rivista o giornale che da album per bambini. Ma nel caso di questo laboratorio, non c’era nessun obbligo di fare una storia per bambini.

Quest’ultima sequenza è mia, realizzata durante il laboratorio con Sara. Quando alla fine del corso Sara è passata vicino al mio banco, volevo spiegarle a voce cosa avevo voluto dire, ma lei mi ha fatto un cenno intimandomi il silenzio. Ha detto: se le immagini da sole non sono in grado di raccontare la storia che volevi raccontare, significa che hai fatto qualche errore.
Nella mia sequenza c’erano alcuni “buchi logici”: mancavano dei passaggi tra una sequenza e l’altra, e non si capiva quasi niente!
Potete leggere la spiegazione della mia storia nei miei commenti al post di Sara: qui.

Anna Castagnoli 1
Anna Castagnoli 2

Metafore visive, salti logici, sequenze cinematografiche, linguaggio poetico…: non è affascinante il linguaggio delle immagini?
Aveva ragione Sara quando diceva che questo linguaggio ha una grammatica precisa.
Volete che proviamo a inventare qualche altro gioco per capirlo meglio?
Vi suggerisco anche questo post dei Topipittori: 22 regole per raccontare una storia.

*Mi verebbe da dire che il linguaggio delle immagini (come quello della poesia) sta al linguaggio della prosa come la fisica quantistica sta alla fisica classica.

20 Risposte per “La lingua segreta delle immagini e le sue strutture narrative”

  1. 1 Elisa
    13 Febbraio, 2013 at 10:08

    Che belle queste storie di barche! messe tutte insieme ci mostrano come si può spaziare e variare una semplicissima storia con solo due protagonisti e tre colori. Molto interessante. E la lettura “guidata” aiuta a riflettere e maneggiare con più consapevolezza il linguaggio delle immagini.
    Bello. Grazie.

  2. 2 Nicky
    13 Febbraio, 2013 at 10:10

    Ciao Anna, dopo aver visto anche gli altri lavori sono ancora più scioccata..per quanto si possa raccontare con così “poco”!
    Poi tu hai una capacità di analisi impressionante! Io il ponte nella mia sequenza non l avevo nemmeno considerato, non mi ero accorta che visivamente potesse sembrare un ponte…Ho pensato al fatto che volevo rendere l’idea dell’onda che riparava la barchetta dalla tempesta. Ma GIUSTAMENTE ora che riguardo la storia quello sembra un ponte.. e quindi sembra che manchi qualche passaggio!! Grazie mille!!!
    Io se organizzi qualche altro laboratorio del genere mi metto in lista da subito!!
    Per me il tuo blog è una vera e propria SCUOLA, lo seguo come se seguissi delle lezioni all’università…e la parte pratica in realtà mi manca da morire!! Quindi SI’ SI’ SI’. Io ci sto :) Ho bisogno di imparare, e voglia di sbagliare! Ti dò facoltà di usarmi come cavia in tutti i tuoi esperimenti!!

    Ti abbraccio forte…

  3. 3 Susi
    13 Febbraio, 2013 at 10:12

    Permesso… entro in punta di piedi: non mi sono mai fatta viva anche se sono un paio d’anni circa che leggo e consiglio questo appassionato blog. Volevo offrire la mia chiave interpretativa della sequenza di Nicoletta Petruzza. Il ponte, semplicemente, rimane lì, in quella tavole dov’è rappresentato. O meglio: tra due secondi si disferà ma noi stiamo leggendo quelle tre tavole della storia (5°, 6° e 7°) in “piano sequenza”, che, dilatando l’inquadratura nello spazio di tutta la narrazione, ci fa “spostare”, rispetto al paesaggio, assieme alla barchetta. Inoltre viene così restituita all’onda la sua dinamica fisica: essa sembra spostarsi, andare sempre molto più avanti ma, in realtà, al termine ogni suo ciclo, rimane sempre dov’è. Di certo, se questa tecnica cinematografica fosse stata applicata a tutta la storia, anzichè a “sprazzi” (tav.3°e 4°; 8° e 9°) il risultato sarebbe stato più limpido. Non so se lamia opinione sia corretta ma grazie dello spazio!

  4. 4 Nicky
    13 Febbraio, 2013 at 10:42

    Ciao Susi, volevo ringraziarti… ogni critica è costruttiva… Non me ne intendo molto di sequenze cinematografiche però è vero.. tra alcune tavole ci sono dei buchi. Ci starò più attenta in futuro!!

    Ah poi dimenticavo, nella storia di Elilissa non capisco se le stelle diventano alberi (ma la barchetta dov è finita?), o lampioni (ihihih essendo luminose).
    E mi è piaciuta tantissimo quella di Luisa, bellissimo il fatto che abbia pensato al riflesso della barchetta sul mare.

  5. 5 elillisa
    13 Febbraio, 2013 at 10:56

    :””(
    Sono una ciofeca della narrazione.
    In teoria le stelle diventano alberi (anche se i lampioni sono un’idea assolutamente brillante) e la barca diventa… ma davvero non la vedete?
    Dovevo ascoltare i miei figli… :D

    Io è 20 minuti che continuo a guardare il lavoro di Gioia. Sono incantata. Avrei proprio voglia di vederlo dal vero, tanto sono conquistata dai colori, le forme e la composizione. Bellissimo, davvero.

  6. 6 luisa n.
    13 Febbraio, 2013 at 11:20

    Questo laboratorio è stato davvero bellissimo: starò qui tutto il giorno ad aspettare i commenti :D
    Intanto ringrazio Nicky per l’apprezzamento e sottoscrivo la lista per il prossimo lab-esperimento.

    La storia di Elillisa a me è sembrata così:
    La barchetta, spinta dall’onda, fa un carico di stelle che porta in regalo al paese illuminandolo (per me diventano lampioni). La barchetta diventa il tetto della casa.
    L’ultima tavola col cielo rosso, sempre per me, giustificava l’illuminazione delle stelle-lampioni, solo che si confondevano con la terra.

  7. 7 Giorgia Brandimarte
    13 Febbraio, 2013 at 11:24

    Sono rapita dai colori della storia di Elillisa, anche se neppure io ho capito bene che fine ha fatto la povera barchetta… o meglio, nella prima versione (quella a sfondo a rosso)mi sembra di intravederla al posto del tetto della casetta, mentre nella seconda…ti prego Elillisa, svelaci dov’è finita! :)
    Complimenti anche a Nicoletta e a Luisa, i vostri lavori sono di un’espressività unica!

  8. 8 luisa n.
    13 Febbraio, 2013 at 11:26

    A me è piaciuta molto la storia di Elillisa

  9. 9 Nicky
    13 Febbraio, 2013 at 13:29

    Elillisaaaaaa l ho vista, ok è il tetto della casetta, ma non riuscivo a capirlo perchè non vedevo più la vela!! Dov è finita la vela??? Bisognerà organizzare una spedizione per cercarla :D Comunque la tua storia è dolcissima…far arrivare la barchetta fino in cielo a raccogliere le stelle…. Altro che ciofeca!!!
    Comunque è strano…sembra di aver fatto un viaggio tutte insieme.. o meglio siamo partite tutte dallo stesso porto, abbiamo seguito rotte diverse, e ora ci ritroviamo di nuovo qui a raccontarci avventure e sventure :) Che bello….

    Sul lavoro di Gioia non trovo parole…è super…. Ha super-ato i confini….

  10. 10 elillisa
    13 Febbraio, 2013 at 13:50

    Storia per Gioia:

    Sono barca.
    Sono uccello.
    Nuoto e volo.
    Non ti par bello?
    Seguimi in questo cielo.
    Seguimi tra queste onde.
    Seguimi…

  11. 11 Ila
    13 Febbraio, 2013 at 15:16

    Bellissimo post!
    Grazie Anna, come sempre.

    Belle tutte le storie.

    Elilisa, se può consolarti un poco, io la storia l’avevo decifrata (almeno credo) anche nella prima versione (anche se con un poco di fatica nell’ultima tavola coi colori mescolati). Nella seconda versione mi sembrava più chiara: la barca, accompagnata dall’onda, raccoglie stelle… e viene sospinta fino alla terra dove va a completarla. Le stelle diventano le chiome degli alberi, la barca diviene il tetto di una casa. Unione e completamento.

    Anna, se proponi altri giochi… voglio giocare anch’io!!

    Ila

  12. 12 Sara
    13 Febbraio, 2013 at 18:02

    Chère Anna, je n’arrive pas à bien comprendre ce que tu dis là “volevo spiegarle a voce cosa avevo voluto dire, ma lei mi ha fatto un cenno intimandomi il silenzio. Ha detto: se le immagini da sole non sono in grado di raccontare la storia che volevi raccontare, significa che hai fatto qualche errore.
    Nella mia sequenza c’erano alcuni “buchi logiciâ€: mancavano dei passaggi tra una sequenza e l’altra, e non si capiva quasi niente!
    Potete leggere la spiegazione della mia storia nei miei commenti al post di Sara”
    Je n’arrive pas à deviner – ce que je fais d’habitude quand je lis l’espagnol ou l’italien

  13. 13 sarah k
    13 Febbraio, 2013 at 18:06

    Ciao,
    anch’io come Susi sono una silenziosa seguace del blog, che trovo sempre molto utile e stimolante. Grazie Anna.
    Mi piacerebbe molto partecipare se ci sarà un’altro esperimento “aperto”! A presto!

    ps. nella sequenza di Elillisa anch’io avevo visto la barca che diventava il tetto (credo si capisse di più nella prima sequenza) e pensavo che le stelle diventassero gli alberi…e che il cielo da buio si rischiarasse…

  14. 14 Anna Castagnolil
    13 Febbraio, 2013 at 18:32

    Bonjour Sara, quel honneur votre message!

    Je vais vous traduire:
    Quand, après l’exercice, Sara est passée, je voulais lui expliquer mon histoire, mais elle m’as dit de ne pas parler: si mes images n’arrivaient pas à raconter l’histoire que je voulais raconter toutes seules, cela siginifiait qu’il y avait des erreurs. En fait, il y avait des “trous logiques” et ça manquait quelques passages pour comprendre mon histoire. Si vous voluais savoir çe que je voulais racconter avec ces images, vous pouvez lire mon explication dans les commentaires du post d’avant.

    Merci encore pour cet atelier si riche!

  15. 15 Sara
    13 Febbraio, 2013 at 18:40

    Merci Anna. J’aime beaucoup votre blog quoique je n’en ai qu’une très approximative compréhension : vivement le traducteur dévoué !!!

  16. 16 monica vannucchi
    13 Febbraio, 2013 at 18:57

    Questo post cade a fagiolo: devo cominciare il corso di analisi del testo coreografico e sto lavorando al programma, guardando e riguardando DVD di coreografie e videocoreografie… le tue analisi aiutano a puntare e mettere a fuoco lo sguardo, non sai quante cose belle potremmo dirci, eh eh eh, mettendo i due mondi in parallelo e facendo confronti; solo per il gusto di giocare, naturalmente, che poi ogni media ha le sue regole! m.

  17. 17 Gioia
    14 Febbraio, 2013 at 9:48

    Buongiorno! Sono stata sommersa dall’onda e mi sono presa la febbre :-) cosí solo oggi riesco a scrivere anch’io, prima che questo interessante post slitti nell’archivio della bella “Biblioteca digitale di Anna”.
    Davvero interessante analizzare questi elaborati, davvero un bel viaggio! Complimenti a tutte, intanto per aver voluto giocare! E grazie a Sara, scrigno di saggezza!
    Personalmente, come scrivevo nel primo post, mi sono lasciata andare, ed ho accettato alla fine di non trovare un finale sensato. Vedendola ora la storia credo che dovrebbe finire con la penultima immagine, quella in cui ci sono solo il bianco e il blu, con la barchetta fuori, tra le mie mani pronta a vivere altre avventure oltre i confini. Ma quello che ho sperimentato è che questo laboratorio è anche un ottimo esercizio preliminare. Di quelli che aiutano a sgombrare la mente prima di mettersi in un lavoro. In genere durante i miei corsi di disegno ai bambini, comincio sempre con “scioglimano ” e “scioglimente”. Esercizi in cui non si guarda al risultato ma si fa e basta. Si tracciano segni in tutte le direzioni, si riproduce velocemente un oggetto….. Funzionano! Così ha funzionato su di me questo laboratorio. Ed è stato propedeutico al lavoro che sono riuscita a realizzare subito dopo.
    Trovo che in ognuno di questi elaborati escano fuori personalità e sensibilità diverse, a cominciare dalla scelta dei colori, ma qui mi fermo perchènon avrei le competenze….. Anna la tua onda nera che si anima a me ha colpito molto e al di là dei buchi logici, trovo che sia una grande idea!
    Grazie ellilisa per la tua piccola poesia , la stamperò e la conserverò insieme alle immagini, bambini fortunati i tuoi cresciuti a pane e stelle!!!
    Ciao ciao a tutte!!!!

  18. 18 Nicky
    14 Febbraio, 2013 at 11:18

    Scusate se scrivo di nuovo, ma ho bisogno che le cose sedimentino prima di riuscire a capirle seriamente. Stavo rileggendo il post… La comprensione di una storia senza testo dipende quindi dal buon uso del “linguaggio” delle immagini.
    Se il linguaggio è cinematografico, il passaggio da una “scena” all’altra deve essere per forza graduale ? E devo “vederlo” giusto?
    Se il linguaggio è metaforico, il salto che si fa da una tavola all’altra non è un salto “fisico/materiale” ma mentale…quindi “non lo vedo” (?)
    Non mi so spiegare bene…scusate se uso termini impropri…

    (C’era un post sull’uso della metafora…me lo vado a riguardare mi sa..)

  19. 19 Yayoi
    14 Febbraio, 2013 at 19:15

    Ciao a tutti!
    Volevo commentare anche io, ma ho avuto delle giornate difficili.

    Come sempre mille complimenti ad Anna per il post e il magnifico lavoro di analisi. Hai trovato una bellissima chiave di lettura per le mie che, effettivamente, messe in sequenza in questo modo, si prestano all’interpretazione che hai dato e mancano giustamente alcuni passaggi per comprendere, però mancano anche perché i fogli sono invertiti e non avevo pensato a questa possibile combinazione. In realtà la prima pagina è quella con l’onda grande, quella che tu hai messo al centro, per capirci.

    Qui si possono meglio:

    http://yayoixanadumarx.tumblr.com/post/42994941999/c-yay

    La lettura che io ho immaginato è: onda grande con nuvole azzurre perché piene d’acqua, poi il mare agitato e le nuvole , diventate grandi, che cominciano a scaricare la pioggia (e qui mi piaceva anche la corrispondenza di forme tra nuvole e mare), infine il cessare della tempesta e le nuvole tornate bianche perché tornata la tranquillità.

    Come avevo già accennato il mio lavoro è di una banalità sconcertante, :D ma sono meno di una novellina, sono le prime cose che faccio. :)

    Mi piace molto che aver invertito i fogli abbia fatto venire fuori un’interpretazione più interessante. :D

  20. 20 Anna Castagnoli
    16 Febbraio, 2013 at 19:54

    Nicky cara,
    no so se ho capito bene la domanda. Il pasaggio cinematografico può essere graduale (fotogramma dopo fotogramma) o presentare dei salti temporali (è giorno, nella pagina dopo è notte piena).
    Il passaggio metaforico non è invisibile per forza.
    Ad esempio, nell’immagine di Elisa Lodolo lo vedo chiaramente, solo che al cinema (o nella realtà) non sarebbe possibile…
    Nella realtà una barca non può navigare a testa in giù, con le vele nell’acqua. In una metafora sì, perché la metafora è la lingua dell’immaginazione.

    Immagina una poesia così:

    ” L’onda non rovesciò la barca,
    la barca si rovesciò da sola,
    e sola continuò ad andare
    come chi combatte contro tutti
    come chi combatte e mai si stanca”.

    Difficile sarebbe rappresentarla in versione cineamtografica, invece sarebbe possibile farlo con una metafora visiva (quella di Elisa).