Orecchio Acerbo: un calcolo di economia del libro

4 Agosto, 2009

La casa editrice Orecchio Acerbo mette gentilmente a disposizione delle Figuredeilibri un preziosissimo documento in cui sono sintetizzati i guadagni delle diverse figure che ruotano intorno al libro illustrato: editore, autore, libraio, distributore, agente…
L’analisi conferma (ahinoi) i risultati delle lezioni di Plumers.

SCARICA IL PDF DI ORECCHIO ACERBO: ECONOMIA DEL LIBRO

orecchio_acerbo

Una precisazione dal parte dell’editore:
“Nel documento c’è scritto che il 60% se ne va fra promozione e distribuzione. È esatto, ma devo aggiungere che all’interno di questa percentuale è compresa la percentuale di sconto che viene fatta al libraio che – come correttamente indica plumers – varia fra il 25% e il 45 %.
In sintesi: il 60% (si tratta sempre di una percentuale orientativa che può variare, fra sovrasconti e copie omaggio, fra il 60 e il 65%) comprende: promozione, distribuzione e quota riservata al libraio.”

38 Risposte per “Orecchio Acerbo: un calcolo di economia del libro”

  1. 1 papepi
    4 Agosto, 2009 at 9:00

    ottima scheda riassuntiva!
    ora farò una domanda forse stupida e pacchiana: cosa ne pensate del metodo di Lulu.com? so bene dei tanti difetti che comporta, ma come idea?può essere valida oppure no? ( accetto lancio pomodori)

  2. 2 uffa, un altro anonimo
    4 Agosto, 2009 at 13:11

    Davvero utile e interessante questo documento, e preziosissima la serie di lezioni.
    Solo qualche domanda.
    Che cosa succede quando l’editore è al contempo distributore, libraio, libraio on-line, proprietario di mezzi di informazione, gestore di spazi pubblicitari?
    E’ una mia impressione o il mercato editoriale italiano è cambiato negli ultimi anni?Pare anche a voi che le già esigue entrate degli illustratori si siano drasticamente ridotte?
    Può darsi che questo abbia a che fare con una recente rapace tendenza di alcuni editori italiani a mangiarsi indisturbati intere fettone di mercato.
    Dicevate bene: un illustratore per campare deve essere eclettico, disegnare perfino manuali, etichette, libri di scolastica.
    Ma se alla fine si trova a che fare sempre con gli stessi identici clienti, che fine fa il suo potere contrattuale?

  3. 3 maria nina
    4 Agosto, 2009 at 13:43

    Una desolazione senza fine!

  4. 4 maria nina
    4 Agosto, 2009 at 14:06

    Qui la situazione è disperata: dopo le lezioni di Plumers, questo post mi ha dato il colpo di grazia!
    Si possono trovare documenti simili a quello di Orecchio Acerbo ma prodotti da editori stranieri? Che ne so… Milan editions, Creative Company, Barbara Fiore…

  5. 5 plumers
    4 Agosto, 2009 at 15:13

    gentile Maria Nina,
    non ho un documento del genere redatto da un editore straniero.
    Tenga però presente il fatto che le cose non sono molto diverse altrove: la struttura dei costi è quella. In Francia, per esempio, spendono un po’ meno per la commercializzazione, ma un po’ di più per mostre, fiere, ufficio stampa eccetera.
    La grande differenza è data dalle economie di scala: hanno tirature più elevate, quindi costi diretti di produzione più bassi e, a parità di prezzo di vendita, margini più elevati. Ma i prezzi non sono sempre uguali (tendono a essere in media leggermente più bassi) quindi i margini non sono molto diversi dai nostri.
    Ma hanno anche, di conseguenza, una maggiore esposizione finanziaria (anticipano più soldi) e un rischio idiosincratico più alto (se tiro 2000 copie e non ne vendo una, perdo 2000 copie. se ne tiro 5000, ne perdo 5000: anche se mi costano meno unitariamente, il valore assoluto è maggiore.)
    Il trattamento riservato ad autori e illustratori è sostanzialmente identico. Cambiano gli anticipi, ma per questioni legate al venduto medio: se vendo mediamente di più posso pagarti mediamente un anticipo più elevato.
    Insomma: gli editori italiani non sono particolarmente inefficienti o incapaci. Patiscono solo di una dimensione del mercato più ristretta di altri.
    Pensi che nel Belgio di lingua fiamminga (6 milioni di anime) di un albo illustrato si vende in media la stessa quantità che si vende, in media, in Italia.
    Questo fa indubbiamente la differenza.
    Se vuole fare la sua parte per cambiare le cose, compri più albi illustrati.

  6. 6 daniela tordi
    4 Agosto, 2009 at 16:05

    hmmm… per esempio:

    Pre-conferenza IFLA (International Federation of Library Associations)

    “Costruire un paese di lettori: le biblioteche partner nei progetti e programmi nazionali di promozione della lettura”
    (n.b. molte sessioni all’interno della conf. sono dedicate espressamente all’incentivazione della lettura nell’infanzia)

    19-20 agosto 2009
    Auditorium del Goethe-Institut
    Via Savoia 15, Roma
    Ingresso libero
    tel. +39 06 84400541
    info@rom.goethe.org

  7. 7 Maria Adelaide
    4 Agosto, 2009 at 17:32

    Impressionante!
    Povero Orecchio Acerbo!
    E povero anche l’autore!
    Nel sistema c’è qualcosa che non funziona.
    Dio mio quanto incide la distribuzione!

  8. 8 maria nina
    4 Agosto, 2009 at 22:01

    Gentile Plumers,
    la ringrazio per le informazioni, sempre chiarissime.
    Per quanto riguarda la mia parte per cambiare le cose, la faccio smodatamente, spendendo per l’acquisto di albi illustrati più di quanto guadagno illustrando albi.
    Credo davvero che gli illustratori siano i maggiori compratori di albi, per lo meno di albi prodotti da ll’editoria di ricerca.

  9. 9 Fausta Orecchio
    5 Agosto, 2009 at 11:18

    Mi sono resa conto che nel nostro documento c’è un’inesattezza che può dar luogo a equivoci. Nel documento c’è scritto che il 60% se ne va fra promozione e distribuzione. È esatto, ma devo aggiungere che all’interno di questa percentuale è compresa la percentuale di sconto che viene fatta al libraio che – come correttamente indica plumers – varia fra il 25% e il 45 %.
    In sintesi: il 60% (si tratta sempre di una percentuale orientativa che può variare, fra sovrasconti e copie omaggio, fra il 60 e il 65%) comprende:
    promozione, distribuzione e quota riservata al libraio.

  10. 10 Anna Castagnoli
    5 Agosto, 2009 at 12:19

    Fausta la ringrazio per la precisazione, aggiorno e la aggiungo nel post.

  11. 11 papepi
    5 Agosto, 2009 at 12:56

    sono d’accordo Maria Adelaide.. è un metodo che non funziona al meglio

  12. 12 Maria Adelaide
    5 Agosto, 2009 at 13:46

    Onore a Fausta Orecchio, che tanto fa per la qualità del libro illustrato!
    In questo momento mio figlio, seduto sulla tazza del bagno, si sta godendo il suo “Mille giorni e una notte”.
    Grande Fabian!

  13. 13 kartika
    2 Settembre, 2009 at 10:31

    ecco perché cerco un altro lavoro.

  14. 14 emanuela bussolati
    9 Settembre, 2009 at 8:24

    Utilissimo (e prevedibile) strumento, sì. Ma c’è anche lo strumento breack-even, che forse è più utile e giusto. In Italia è ben difficile che un editore dia il 10% di roy. E ancora, da noi l’eventuale anticipo non è un rimborso spese ma un anticipo appunto sulle roy. Una esposizione per l’editore e per l’autore, che entra-imprenditorialmente parlando- in compartecipazione con l’editore. (cioè+ investe rimandando il proprio pagamento a quando guadagnerà l’editore). L’editoria illustrata ha molta più visibilità oggi, rispetto a 30 anni fa e c’è più spazio. Ma il rapporto di lavoro diventa sempre più difficile e insostenibile. Si va avanti perché il libro stampato ha un aspetto gratificante per chi lo ha realizzato. Ma se rimane solo la gratificazione ideale, è corretto come atteggiamento professionale?

  15. 15 Anna Castagnoli
    9 Settembre, 2009 at 10:33

    “E ancora, da noi l’eventuale anticipo non è un rimborso spese ma un anticipo appunto sulle roy. ”

    Ciao Emanuela cara, questo anche all’estero.
    La tua domanda resta aperta.
    Un sorriso!

  16. 16 maria nina
    9 Settembre, 2009 at 11:58

    Sono d’accordo cara Emanuela:
    se ci rimane solo la gratificazione ideale, il nostro non è un corretto atteggiamento professionale.
    Purtroppo però questa è la nostra realtà vergognosa e anch’io come la cara KartiKa mi vedo costretta a cercare un altro lavoro.

  17. 17 mia
    9 Settembre, 2009 at 12:25

    pare che siamo in tanti tutti nella stessa situazione.. tutti che per andare avanti con i lo ro sogni e le loro passioni racimolano soldi con lavori in call centre o peggio.. del resto o ci si fa mantenere dai genitori o se si vuole remare da soli c’è poco da fare.. e per di più la strada è ancora più lunga considerate tutte le ore “perse” e rubate al disegno per mantenersi..
    ma del resto se lo facciamo è perchè è più forte il sogno e la passione.. anche se.. che fatica!!
    buone speranze a tutti!

  18. 18 plumers
    9 Settembre, 2009 at 12:52

    La signora Bussolati mi scuserà, ma la sua domanda non mi è chiara.
    In particolare, non capisco di chi sia quell’atteggiamento professionale che viene messo in questione.

    Nè mi sento di condividere le premesse.

    Da quando esiste l’idea di autore e di proprietà intellettuale (cioè dall’invenzione della stampa), la sua remunerazione è determinata dal mercato. Prima era lasciata alla liberalità dal mecenate. La partecipazione al rischio, quindi, è storicamente consolidata e non novità contemporanea.

    L’anticipo sui diritti d’autore è, per definizione, anticipo, cioè pagamento effettuato prima che maturino le condizioni sancite dal contratto. È quindi esposizione per l’editore, ma non per l’autore. Anzi, il contrario.

    L’affermazione “In Italia è ben difficile che un editore dia il 10% di royalties” contraddice il documento di Fausta Orecchio. Io non ho ragione di non crederle, o di ritenere che sia una benefattrice che elargisce compensi spropositati. Le mie evidenze sono aneddotiche, ma confermano il 10% come buona pratica.

  19. 19 Anna Castagnoli
    9 Settembre, 2009 at 13:21

    Io confermo, in base alla mia piccola esperienza, il 10% o 8% se sia cedono i diritti sia del testo che dell’illustrazione.
    (5 e 5) (o più spesso, 5% per le illustrazioni e 4% per i testi).

    L’arte è sudore ragazze! Sudiamo con grinta e un bel sorriso sulla faccia, che anche se facciamo l’illustratore part-time, resta lo stesso un lusso che pochi possono permettersi.

  20. 20 mia
    9 Settembre, 2009 at 13:31

    direi quindi che solo per illustrazioni siamo a un 5%.. come del resto da mia esperienza personale..

  21. 21 Giovanna e Paolo
    9 Settembre, 2009 at 13:32

    Per sbaglio qualche giorno fa, nel computer, dal nulla è spuntato un file che riportava questo dato sulle vendite dei Topipittori: ottobre 2005, 51,00 euro. Cioè, in totale i Topipittori nell’ottobre del 2005 avevano venduto libri per 51 euro. In tutta Italia. Ci siamo rimasti di sale. Un po’ perché non ci ricordavamo assolutamente più, come fosse, in quei primi tempi, a un anno dal nostro primo libro. Un po’ per la follia che spinge due persone di buon senso a intraprendere una attività rischiosa come può esserlo una casa editrice come la nostra. E dico follia sapendo bene quel che dico. Perché produrre non un libro, ma tanti libri, pagando sempre e puntualmente gli autori, i grafici, i tecnici, i tipografi e via di questo passo, e vendere in un mese 51 euro di libri è una follia bella e buona. Specie non avendo in alcun modo le spalle coperte. Capite anche voi quando si recupera il denaro investito. Mai. O meglio in tempi così lunghi che il recupero diventa irrilevante. Eppure, oggi, possiamo dire che è andata. La riflessione che io e Paolo abbiamo fatto, alla fine, davanti alla testimonianza di questo documento che ha dell’incredibile è che in effetti chi scrive, chi disegna, e chi edita, insomma chi crea perché non può fare a meno di creare, non lo fa mai in prima istanza pensando al profitto. Non credo che Emily Dickinson o Van Gogh (scusate gli esempi illustri, a cui non intendo certo paragonarmi) abbiano fatto quello che han fatto pensando di farne un lavoro redditizio. Perfino Walt Disney ha cominciato a disegnare topi per ragioni diverse da quelle di costruire un impero. C’era una necessità interna al loro fare che nasceva del tutto a prescindere e andava ben oltre al ritorno economico. Ed è questa necessità che ha fatto restare e durare il loro lavoro. Detto questo: queste considerazioni non vogliono in alcun modo offrire giustificazioni a imprenditori scorretti e speculatori privi di scrupoli. Un imprenditore ha la responsabilità di instaurare rapporti corretti e professionali con chi lavora per lui. E un autore/illustratore ha il dovere di affrontare in modo professionale la relazione con l’editore. Tuttavia sappiate che ovunque, dovunque, e da sempre, chi fa un lavoro creativo è esposto al rischio di un’attività che non ha in alcun modo come primo movente il profitto. Si tratta di qualcosa di ben più importante di una semplice “gratificazione”. Si tratta del processo stesso di elaborazione delle idee e della cultura, attività umana primaria, fin dalle origini. E mi permetto di aggiungere: fortunatamente.

    Ma il fatto che il primo motivo dell’attività di autori, illustratori ed editori non sia il profitto non significa che una casa editrice non debba operare nel rispetto delle regole economiche e, alla fine, realizzare un profitto, almeno non negativo, per giustificare il dispendio di energie e l’utilizzo di risorse che potrebbero avere usi alternativi più produttivi.
    Quei 51 euro (che poi Giovanna si ricorda male ed erano anche meno) sono diventati un po’ di più. La casa editrice, inopinatamente, non ha mai perso un euro (al massimo, ci ha fatto perdere un sacco tempo) e sembra riesca a restare in piedi. Anzi, comincia a reclamare energie fresche e un impegno moltiplicato.
    Se continuiamo a esistere, come Babalibri, Orecchio Acerbo, Corraini, ZooLibri e tanti altri che fanno un lavoro egregio quanto e più del nostro, è perché, alla fine, per quanto il panorama sembri sconfortante, un angolo tranquillo per esistere, crescere e prosperare c’è.
    «Il faut cultiver notre jardin.»

  22. 22 martina
    9 Settembre, 2009 at 13:53

    grazie Giovanna e Paolo..
    innanzi tutto per il vostro lavoro e la vostra dedizione.. e poi per questa testimonianza.. perchè alla fin fine è vero che quando si da’ priorità ad un certo tipo di prodotto, ad un certo tipo di libro in particolare, la vita non è mai troppo semplice…ma questi sono lavori che si fanno per amore, non per diventare ricchi per l’appunto, anche se c’è chi lo diventa..
    però una considerazione da illustratrice.. ci si lamenta molto (e anch’io lo faccio) ma c’è poca professionalità tra tanti giovani aspiranti illustratori.. forse l’età, ma molti vivono un po’ sulle nuvole e certi atteggiamenti un po’ dilettantistici nell’approccio agli editori nuocciono poi a tutti.. conosco tanta gente che aspetta Bologna con ansia e trepidazione ma poi tutto si risolve lì, per il resto dell’anno ci si lamenta che nessuno ci ha chiamato, che gli editori ricevevano poco ecc ecc, ma noi cosa si fa? si aspetta che tutti ci chiamino perchè siamo i più belli?

    lo so alla fine sono sempre incasinata nell’esprimere mille concetti e male ma in definitiva grazie a questo blog che ci insegna come provare a portare avanti la nostra professione, e a confrontarci direttamente con adetti ai lavori come Topipittori e OrecchioAcerbo

    saluti e scusate per la tiritera!

  23. 23 maria nina
    9 Settembre, 2009 at 20:40

    Siano gli illustratori a tentare di cambiare la situazione, proponendo loro stessi la formula del contratto agli editori: le parole sono importantissime e molto spesso sono usate dagli editori nei contratti con tono intimidatorio, a volte si ha l’impressione di firmare una condanna! L’impressione è umiliante, non so se qualcuno ha avuto la mia stessa sensazione.
    Il nostro apporto nel libro illustrato è fondamentale, siamo gli illustratori, facciamoci valere!

  24. 24 Paolo
    10 Settembre, 2009 at 6:11

    Spaventarsi per il lessico giuridico è giustificato.
    Ma ricordo che sul contratto è stato fatto un grande lavoro dalla AI (in particolare da Gianni De Conno e Valentina Mai) a partire dal 2005, con il coinvolgimento di alcune case editrici.
    Questo ha portato a una forma di contratto standard, che si può scaricare dal sito AI.
    Questo contratto viene utilizzato, in qualche caso con condizioni migliorative, da molte case editrici.

  25. 25 Anna Castagnoli
    10 Settembre, 2009 at 7:31

    Ne abbiamo parlato qui:
    http://www.lefiguredeilibri.com/2009/07/13/ai-stila-un-codice-deontologico-per-lillustrazione/

  26. 26 Paolo
    10 Settembre, 2009 at 7:43

    buongiorno Anna,
    non mi riferivo al codice deontologico, ma al modello di contratto, che si può scaricare dalla home page del sito dell’AI http://www.associazioneillustratori.it/
    (menù a destra, titolato “In evidenza”)

  27. 27 Giovanna
    10 Settembre, 2009 at 8:18

    Martina, scusa la pedanteria. Ma non so se ci intendiamo sui termini. Perciò vorrei precisarli, senza spirito alcuno di polemica nei tuoi confronti, ma solo per chiarire quel che ho voluto dire nel precedente commento. Penso che sia “gratificazione” sia “amore” siano termini impropri, o quantomeno riduttivi, almeno per quanto mi riguarda, rispetto al lavoro creativo, o all’idea che me ne sono fatta non solo per la mia esperienza ma per avere studiato ciò che questa esperienza comporta. L’amore è una delle numerosissime emozioni che prova, e che muove, chi è coinvolto in questa esperienza, non, sicuramente, l’unica. Sicuramente vi è coinvolto anche l’opposto sentimento, l’odio, come pure la noia, l’insofferenza, il rancore e via discorrendo. Credo che il praticare un lavoro creativo corrisponda una scelta dettata da un forte senso di necessità e da una ferrea volontà. In un certo senso credo si tratti di una scelta quasi impersonale: nel senso che, chi sceglie, sceglie perché non può farne a meno. Dire che una cosa si fa per amore, vena il tutto di una forma di altruismo e di generosità che non credo appartenga in alcun modo alla sfera creativa, quantomeno nel suo impulso primario. Molto spesso, poi, fare un lavoro creativo non porta né a gratificazioni né a sentimenti amorevoli, come dimostra l’intera storia della letteratura e dell’arte. Credo si tratti di qualcosa di molto complesso, che fra l’altro travalica le intenzioni del singolo individuo e che tocca ambiti più vasti. E che questa complessità vada rispettata anche nella scelta delle parole.

  28. 28 martina
    10 Settembre, 2009 at 11:55

    quando parlavo di lavoro fatto per amore, mi riferivo a me stessa, a quello che provo io.. personalmente non penso che l’amore sia sempre sentimento altruistico.. anzi penso che ci sia un egoismo di fondo a volte in certe scelte fatte in base all’amore per me stessa..
    Non volevo attribuire i sentimenti che provo ad altre persone e se questo non è stato capito me ne dispiaccio

  29. 29 ilaria
    10 Settembre, 2009 at 15:28

    scusate.. ho una domanda da ignorante (più che altro una curiosità) temo che questo post non sia proprio quello giusto per porla ma non sapevo dove metterla e visto che qui sono approvati i Topipittori (e la domandina un po’ li riguarda).. eccovela.
    Abito in provincia di Torino, volendo acquistare il libro di Valerio Vidali “Senza Nome” ho girato un po’ di librerie anche in città per poi andare ad interpellare la piccola ma fornita libreria di fiducia.. insomma dopo due o tre mesi di richieste al distributore la mia amica libraria ha mandato direttamente un’email alla casa editrice e in pochi giorni il libro è arrivato..
    A questo punto però mi chiedo come si fa a vendere i libri (da editore) se neanche la distribuzione aiuta? Ma neanche venderli.. semplicemente farli conoscere visto che in genere un libro lo si vede in libreria, lo si sfoglia e poi lo si compra..
    Come può essere? da quello che mi ha detto la mia amica il distributore a cui si è rivolta alla fin fine è quello centrale di Torino..
    La questione è appunto da ignorante dal momento che non so assolutamente come funzionano queste cose però vi dirò che da acquirente sono rimasta un po’ stupita.
    Grazie per l’attenzione.

  30. 30 Anna Castagnoli
    10 Settembre, 2009 at 16:20

    “Non volevo attribuire i sentimenti che provo ad altre persone e se questo non è stato capito me ne dispiaccio”

    Martina cara, se ho interpretato bene le parole di Giovanna, credo che abbia solo preso spunto dalla tua espressione per un discorso più ampio.

    @ Ilaria. Ho già ordinato a una libraia di “fare i compiti” e riportarci la sua esperienza, adesso mi hai fatto venire voglia di intervistare anche un distributore, questa razza sconosciuta.

  31. 31 carlo
    10 Settembre, 2009 at 16:26

    Cara Ilaria,
    lei parla di Torino e io le dico che a Milano, in Galleria, alla libreria Rizzoli non sapevano nemmeno dell’esistenza degli editori Topipittori… allora mi sono spostato alla Feltrinelli, sempre in galleria, e lì conoscevano ma non avevano quello cercavo. Ho provato poi in altre librerie in zona centrale ma sempre con lo stesso risultato. I libri dei piccoli editori sono in effetti spesso introvabili. E questo è un peccato

  32. 32 ilaria
    10 Settembre, 2009 at 16:38

    io ormai boicotto felicemente le grandi catene.. a parte il fatto che bisogna incentivare la piccole librerie che soffocano sotto il peso di catene e supermercati, sono davvero convinta nella figura del librario di fiducia (come il verduriere) che ha pazienza, sa consigliare e conosce (almeno la mia) anche i piccoli editori… e soprattutto mi sopporta quando la faccio impazzire per trovarmi i libri!!!
    (sono arrivata alla follia patologica che che trovo un libro che mi ispira in giro mi annoto il titolo e poi lo ordino a lei!! ma io sono anche uin po’ matta)

  33. 33 carlo
    10 Settembre, 2009 at 17:04

    d’accordo sulle piccole librerie. Però quando la distribuzione di un libro è molto limitata, sono anche poche le occasione per conoscere certi buoni prodotti della nostra editoria. Nessuno, faccio un esempio, tra i genitori dei compagni delle mie figlie conosce Topipittori, Orecchio Acerbo, Corraini e via dicendo. Certi libri sono destinati a essere conosciuti soltanto dagli addetti ai lavori. Il loro sarà certo un mercato raffinato, ma certamente piuttosto chiuso. Siccome a me piacciono la grafica e l’illustrazione, mi ci sono avvicinato, altrimenti…non so.

  34. 34 ilaria
    10 Settembre, 2009 at 17:14

    concordo pienamente.. anch’io che sono appassionata “trovo” i libri in internet o ne sento parlare su blog o altro, oppure trovo un autore di cui mi piace lo stile e allora li ordino, ma se dovessi spulciare nelle librerie piccole o grandi non troverei un terzo dei libri che poi effettivamente compro.. spesso trovo che gli albi illustrati di un certo livello vengano un po’ considerati come il fumetto di nicchia, li trovi nelle librerie specializzate e li comprano soprattutto appassionati o addetti ai lavori (illustratori :)) ma poco i genitori

    Però non vorrei generalizzare magari devo solo trasferirmi dalla “provincia”!

  35. 35 Giovanna
    10 Settembre, 2009 at 17:17

    Sì, Martina, in effetti, l’intento non era polemico. Per questo ho tenuto a sottolinearlo. Partendo dalle parole usate, passibili di essere malintese, mi premeva precisare alcune cose, poiché spesso ho l’impressione che si tenda a idealizzare o a fraintendere il lavoro creativo, questo anche a causa di un abuso del termine “creatività, avvenuto negli ultimi trent’anni. Penso sia sempre utile essere precisi. Il fatto che una cosa non sia fatta per denaro e che sia fatta con slancio non ci dice nulla, in effetti, né sulla sua buona riuscita né sulla sua utilità… Dico questo più per precisare il mio pensiero che per entrare nel merito del tuo che in effetti non conosco.

  36. 36 Paolo
    10 Settembre, 2009 at 17:50

    Chiamato in causa, intervengo.

    1) In Italia esistono circa 2000 librerie. La nostra tiratura media è di 2000 copie. Va da sé che non tutte le librerie hanno i nostri libri perché non avrebbe senso disperdere la tiratura in mille rivoli.

    2) Per nostra precisa istruzione al distributore, e per una stringente logica economica, i nostri libri sono presenti prevalentemente nelle librerie specializzate e in quelle che hanno un reparto ragazzi gestito con un minimo di attenzione e cura. Questo esclude, naturalmente, quelle librerie, per quanto grandi, trascurano il reparto ragazzi e offrono ciò che di più facile e massificato è a disposizione.

    2.1) Per facilitare la vita ai potenziali acquirenti, noi, e quasi tutti gli altri piccoli editori, indichiamo nel sito un elenco di librerie presso le quali si possono trovare (o ordinare) i nostri titoli, sicuri di trovarli.

    2.2) Non vendiamo direttamente online, per ora. Ma non è detto che in futuro…

    3) La struttura di distribuzione ha le sue responsabilità, ma preferirei che ne parlasse un distributore.

    4) Mi piacerebbe che un libraio che frequenta il blog (non faccio nomi…) ci parlasse del problema della professionalità e della formazione dei librai, della catena di comando nelle librerie, delle determinanti delle scelte di assortimento. E che Plumers pubblicasse le promesse lezioni sulle librerie.

    5) Il problema della conoscenza dell’offerta del mercato potrà esser superato solo se e quando la stampa, la radio e la televisione cominceranno a parlare di bambini e di libri per bambini. Questo accade già in altri paesi: provate a seguire per qualche settimana le rubriche dedicate alla letteratura per ragazzi del Guardian o del New York Times.

    6) Non dimentichiamo che anche i genitori (nonni, adulti in genere) hanno delle gravi responsabilità

    Ciò detto, i nostri libri non hanno alcuna pretesa di universalità. Siamo consapevoli di operare in una nicchia di mercato e lavoriamo per ampliarla. E, a furia di lavorare, sicuramente qualche volta sbagliamo qualcosa. I progressi sono inevitabilmente lenti, ma non così lenti con sembrano, visti da fuori.

    Comunque, contesto l’affermazione di Carlo secondo la quale i nostri libri sono destinati a essere conosciuti solo dagli addetti ai lavori. Ai bambini sono destinati e nelle mani dei bambini finiscono. Il mercato degli addetti ai lavori è di poche centinaia di copie e se ci fosse solo quello saremmo già morti e sepolti.

    Adesso basta perché ho scritto già troppo.

    Sinite parvulos

    post scriptum @ Ilaria: è proprio sicura che siamo “approvati”? secondo me, siamo solo tollerati.

  37. 37 ilaria
    10 Settembre, 2009 at 18:00

    oddio che gnucca!
    ovviamente era “approdati”!!(.. nel senso di capitati qui..)
    approvati suona proprio male.. scusate.. anche perchè da parte mia altro.. che tollerati.. dove lo si trova un altro posto in cui ci si può confrontare con tutte le professioni che girano intorno al libro!!
    comunque mi scuso per la figuraccia soprattutto perchè, ripeto che barba, approvati suona malissimo!!!!
    grazie paolo della risposta!

  38. 38 carlo
    10 Settembre, 2009 at 18:20

    Concordo con Ilaria.
    In particolare ammiro i Topipittori per la grande disponibilità, la competenza e la passione che dimostrano intervenendo su questi temi. Grazie!