I migliori tipi di carta. Parte 1: la Federzeichenblock (Hahnemühle).


La carta è in assoluto lo strumento per illustrare che mi dà più emozioni. Nessun colore, nessun pennello, nessuna matita colorata mi emoziona quanto la sensazione che si prova incidendo la carta con una qualche punta o matita. Per questo nei miei lavori è difficile che lo spessore del colore sia tale da soffocare la carta: ho bisogno di tecniche che mi permettano di tenere sempre il contatto con la texture della carta mentre lavoro.
Ogni carta è un universo a sé, vibra e risponde alle matite e ai pennelli in maniera completamente diversa. La carta è un violino, la matita (o il pennello), l’archetto.

Su wikipedia (qui) trovate una ricca sezione dedicata alla carta. La sua storia e la sua fabbricazione sono spiegate bene.

Per introdurvi nell’universo della carta, inizio parlandovi delle mie carte preferite. In assoluto, a chilometri di altitudine da qualsiasi altra cartiera, svettano la cartiera Hahnemühle (tedesca), la cartiera Magnani (italiana) e la cartiera Canson-Arches (francese). Non hanno rivali, o almeno, io non ne conosco. Queste cartiere hanno carte per tutte le tecniche e i gusti, e ognuna di esse è sublime come uno Stradivari. Vediamone alcune.
Iniziamo dalla Federzeichenblock della Hahnemühle, una delle mie preferite.

La Federzeichenblock è una carta liscissima, vellutata al tatto, spessa 250 g/m2, leggermente giallognola. E’ perfetta per disegni di precisione con grafiti, pennini, matite colorate e china. Non è adatta all’acquarello ed è troppo liscia per l’acrilico usato in modo classico (ma questo non significa che non potete usarla per queste tecniche in modo personale).
Nonostante sia così liscia, è una carta porosa, capace di bere letteralmente il segno della grafite o una macchia di china e fissarli prontamente e con forza: difficile che una matita B o 2B sbavi se ci passate il dito sopra. La china sarà asciutta in breve tempo.


Per questo, nonostante sia così liscia, non è buona per pennarelli o pantoni (li beve troppo).
Se amate la grafite (la classica matita nera) la Federzeichenblock è una carta magica. Io vi consiglio in particolare di usare la gamma di matite CRETACOLOR Fine art graphite (Austria), B o 2B, che sembrano fatte per la Federzeichenblock. Per gli amanti del disegno solo a matita, la Federzeichenblock ha il lieve difetto di non opporre resistenza alla matita, il che rende il gesto di tracciare una linea simile a quello di una scivolata sul ghiaccio (molto veloce) e impedisce il controllo (non è adatta, infatti, a disegno con gessetti o carboncino). Ma una volta presa la mano, vi regalerà emozioni uniche.
La sua liscezza permette campiture uniformi e dense di grande freschezza ed eleganza: macchie di china vibranti, potenti neri, sfumature decise e tinte piatte (realizzate con matite colorate o pastelli di cera dura). E’ anche perfetta per il collage.


La Federzeichenblock è una carta che risponde a meraviglia ai giochi del LIQUIN Original, un prodotto che se lo provate non potrete più lasciarlo. E’ una resina diluente inodore, leggermente oliosa, capace di seccare in fretta.

Ecco un esperimento che potete fare con il Liquin e la Federzeichenblock (ma potete provare il Liquin anche su altre carte!).
Fate un disegno…

Coloratelo con pastelli a cera non acquerellabili (io uso i NEOCOLOR I della Caran d’Ache) o matite colorate non acquerellabili leggermente grasse (come le meravigliose POLYCHROMS della Faber Castell)…

 

Imbevete un pezzo di tessuto di Liquin…

Asciugate un pochino la goccia di Liquin tamponandola  sul tessuto o su un pezzo di carta…

Passate il tessuto umido di Liquin su tutto il disegno sfregando, senza paura di rovinarlo (abracadabra…la matita non se ne andrà e il colore si scioglierà!)…

 

Ora viene la parte emozionante: qualsiasi segno a matita che farete sulla carta umida di Liquin verrà nero intenso, un nero che più nero non si può…

Potete poi sbizzarrirvi secondo la vostra creatività,

il risultato sarà sempre una nuvola di magia…
(Questa è una tecnica perfetta per i fondi marini).

Qui sotto potete vedere il particolare di un disegno molto più complesso che ho fatto sulla Federzeichenblock.
Nella prossima puntata vi spiegherò come fare un’incisione senza bulino né torchio sulla Federzeichenblock e sulla Arches satinata.

 

Continua…


My vintage avenue. Un blog sui libri illustrati vintage

Vi piacciono i libri illustrati vintage? Sul blog MY VINTAGE AVENUE potete farne indigestione! Buona visione.


The cries of London, 1821 o la nostalgia dei suoni scomparsi

The cries of London, edito da Samuel Wood & Sons negli Stati Uniti nel 1821 è un libro curioso. Un libro dei mestieri centrato sul suono, o grido, che fanno i diversi mestieri nelle strade di Londra.
Qui a Barcellona, sotto casa mia, ogni tanto si sente una nenia ipnotica: è il suono del flauto dell’arrotino, un omino che con la sua bicicletta viene ancora di casa in casa per arrotare i coltelli. Non sono nostalgica per natura, ma quel suono, ogni volta che lo sento, mi regala l’emozione straniante della nostalgia. La nostalgia è quel sentimento prodotto da una cosa/persona presente e scomparsa allo stesso tempo. Ha due canali preferenziali, l’olfatto e l’udito. L’arrotino che passa sotto casa mia è vivo. Il suono prodotto dal suo flauto, presente. Eppure è così anacronistico, così già scomparso da tanto tempo (e sul punto di scomparire di nuovo) che la sua vita diventa impalpabile come il suono del suo stesso flauto. Non è un arrotino, è l’Arrotino, ultima testimonianza vivente di un mestiere scomparso.

Ancora oggi, d’estate, nel sud Italia, dall’altoparlante di una macchina carica di frutta, esce il ritornello cantato di un verduraio al volante che snocciola la lista dei suoi prodotti come grani di una poesia futurista.
Sono suoni antichi, sopravvissuti, ancora per poco, all’era dell’immagine. Meno potente, l’immagine, nel suscitare nostalgia. La cosa/persona è troppo presente nel simulacro dell’immagine per suscitare nostaglia. L’immagine, a differenza di un suono o di un odore, dà l’impressione di durare (chissà se i fruitori di immagini digitali avranno la stessa impressione, nel futuro).
Chi pensò, scrisse e disegnò The cries of London (forse la stessa persona), sapeva che tutti quei mestieri sarebbero scomparsi? Sapeva che registrando su un libricino il loro grido stava chiamando l’uccello rapace della nostalgia?


Sul dorso che chiude il libro, una cicatrice (o un fiore?). Un lavoro di minuziosa cura, riparare le ferite del tempo…

Primroses! primroses! four Bunches a penny; Primroses. FINIS.


The books of things, sixteen poems, 1922

 

 

The book of things, Sixteen poems, scritto in ebraico da C.N. Bialik e illustrato da Tom Seidmann-Freud nel 1922 (editore: Offir, Israele – Germania) è un libro di una semplicità commovente. Penso agli influssi benefici che questo libro così semplice deve aver portato a tanti bambini e mi dico che non c’è niente, ma proprio niente di più difficile che illustrare la grazia. Tom Seidmann-Freud, ci riesce.


Cappuccetto rosso per ingegneri…

Dovete illustrare un racconto e non avete idee? Siete sicuri di aver analizzato tutti i dati della storia?!

 

 


Yan Nascimbene: un’intervista e l’occasione di frequentare un corso con lui

Yan Nascimbene (Neuilly sur Seine, Francia 1949) è uno dei più raffinati illustratori contemporanei: tre awards alla Children’s Book Fair per la miglior grafica, due medaglie d’argento e una d’oro alla Society of Illustrators di New York.
Per le sue illustrazioni di Aventures di Calvino (e Palomar e Il Barone rampante) ha ricevuto una medaglia d’argento dalla Society of Illustrators di New York e i complimenti sentiti di Esther Calvino. Nel 2011 la sua opera è stata esposta alla biennale di Venezia nella sezione “L’Italia nel mondo”.
Dal 13 al 17 febbraio Yan Nascimbene sarà al Mi Master di Milano a tenere un corso di illustrazione dal titolo “Illustrare Calvino”
(resta qualche posto libero).

Ecco qui di seguito la preziosa intervista che Yan Nascimbene ha regalato a LeFiguredeiLibri.

Il barone rampante, Italo Calvino e Yan Nascimbene, Editions du Seuil 2005

INTERVISTA DI ANNA CASTAGNOLI A YAN NASCIMBENE

Illustrare è…?
Illustrare è trasporre un’idea (un testo, una musica, un evento, un sentimento, qualunque nozione astratta…) in un’immagine.
Ma l‘illustrazione non è adattazione. Mentre un’adattazione (un libro adattato in film, etc) permette tutta libertà, e dunque la creazione di un’opera del tutto originale, l’illustrazione, anch’essa creativa, deve rispettare il contenuto e la forma del modello. Questi limiti, piuttosto di impedire l’ispirazione creativa, obbligano l’illustratore a pensare meglio, con più rigore. Più intensa è la proposta, più preziose e entusiasmanti sono di solito le immagini. (E’ stato più semplice per me illustrare Il barone rampante – racconto ricco d’immagini – che Palomar – in gran’ parte filosofico e astratto – per questo, anche se le illustrazioni del Barone rampante sono piacevoli – almeno, lo spero! – mi sembrano più interessanti quelle di Palomar).

L’idea prima ha una propria forma e un proprio significato, i quali definiscono i limiti per l’illustratore (Il barone rampante, per esempio, si svolge nell’ottocento, così ha deciso Calvino, per cui l’illustratore non può fare indossare a Cosimo e Viola vestiti del settecento).


Il barone rampante, Italo Calvino e Yan Nascimbene, Editions du Seuil 2005

D’altra parte un’illustrazione non può nemmeno essere una copia esatta del modello (se, ad esempio, un racconto evoca un paesaggio con tanti dettagli e personaggi precisi, non occorre che l’illustratore faccia una lista completa di tutti i dati per poi riprodurli, deve invece chiudere il libro, e, con la propria immaginazione, disegnare l’idea, l’atmosfera contenuti nel modello. Si può dire che vale la verità e non la realtà.

L’illustrazione deve raggiungere quest’equilibrio tra la verità del modello e quella propria, cioè la creatività dell’illustratore.

 Lo stile è, secondo me, un modo di relazionarsi alla realtà. Se sei d’accordo, posso chiederti qual’è, nella tua opera, il tuo rapporto con la realtà?
Lo stile, di fatti, è il modo (l’unico modo) per ciascuno di noi di relazionarsi alla realtà. Non è una scelta ma un’imposizione del destino, cioè del nostro proprio materiale genetico e della vita vissuta.  Lo stile è il riflesso di sé; dentro di esso si potrebbe leggere il nostro passato – le nostre qualità e debolezze, quello che amiamo e odiamo, il piacere e le sofferenze, l’angoscia e la serenità – forse anche la vita dei nostri antenati, e magari il nostro futuro e quello dei nostri figli.

Palomar, Italo Calvino e Yan Nascimbene, Editions du Seuil 2003

Non disegno mai quello che vedo, ma quello che immagino. Sono negato a riprodurre dal vero – che, secondo me, dovrebbe chiamarsi soltanto realtà, in quanto il vero è una realtà resa vera dopo il filtro della nostra personalità.

Per definire la mia relazione alla realtà direi che non è diversa da quella del cuoco, del giardiniere, del babysitter, dello scrittore, del fotografo… insomma, cambia ogni volta. Non mi considero illustratore, ancora meno artista (parola che non adopero quasi mai, confusa e spesso prepotente.  Notiamo che in tante lingue le parole usate per lavoro sono le stesse usate per arte. Questo mi piace). Di fatti, se dovessi scegliere, preferirei definirmi un artigiano, ma veramente sono cuoco quando cucino un risotto, giardiniere quando innaffio le mie piante, babysitter quando cambio i panni dei nipotini, scrittore quando scrivo, fotografo quando scatto fotografie.

D’altronde non c’è limite -né fisico, né psicologico- tra la realtà della mia vita e quella del mio lavoro.

Palomar, Italo Calvino e Yan Nascimbene, Editions du Seuil 2003

Mi sembra di percepire nella tua opera un interesse costante per la luce: come se il mondo, le cose, le persone si definissero in base al loro grado di “luminescenzaâ€. E’ così?
Idea bella, però purtroppo non penso che il grado di luminescenza nei miei disegni corrisponda a qualsiasi grado delle cose o delle persone. La loro intensità e il loro contrasto sono casuali (controllo già troppo, grazie al cielo non tutto!). Anche questa luce -ossia la luce e l’ombra- non sono una scelta nel mio lavoro. La realtà è una nozione oggettiva. Questo contrasto tra la luce, spesso abbagliante, e la densità dell’ombra, sono una pagliuzza nella mia verità, del tutto soggettiva.

The creative collection of american short stories, autori vari e Yan Nascimbene

Tra pochi giorni sarai al Mi Master di Milano a tenere il corso: “Illustrare Calvinoâ€. Puoi darci una breve anteprima di cosa significa “Illustrare Calvinoâ€?
Avevi letto l’opera di Italo Calvino in giovane età? Posso chiederti se al momento di illustrarlo hai sentito che le immagini erano già dentro di te da qualche parte?
Difficile definire il lavoro di illustrare Calvino in poche parole. Direi che le mie risposte alla tua prima domanda dovrebbero essere ancora più rigorose quando si tratta di Italo Calvino, particolarmente nell’illustrazione delle Città invisibili. Le regole geometriche e matematiche nell’opera di Calvino devono assolutamente essere rispettate in quanto sono importanti non meno del soggetto.

Ho letto Calvino tardi. Avevo già compiuto trent’anni. Questa lettura è stata da subito molto di più di una piacevole distrazione. Il sentiero lungo il quale camminavo leggendo la sua opera sempre più si avvicinava a quanto ero io;  mentre andavo avanti, leggendo, ricordavo la vita, la mia vita, unica e universale, emozioni straordinarie tra tanta normalità.

Palomar, Italo Calvino e Yan Nascimbene, Editions du Seuil 2003

Mentre leggevo, non potevo non vedere immagini mie. Era già accaduto con Marcel Proust (Du côté de chez Swann). Dovevo disegnare ciò che vedevo e soprattutto ciò che sentivo. Dovevo provarci… anche se forse è impossibile illustrare Proust o Calvino.

Le immagini erano già presenti dentro di me, però bisognava estrarle, e buttarle giù sulla carta. (Il successo non è mai totale. Sarebbe come illustrare cose viste in un sogno: non è possibile farlo, ed è meglio così. Il surrealismo mi sembra un inganno).

Tra l’altro, non posso guardare un’opera (più che altro un film) senza essere distratto dalle forme, sedotto dai colori, dalla luce, percepire il ritmo, gli angoli prospettici, capire i movimenti della cinepresa, le lenti adoperate… per questo non capisco mai la trama della storia e mi dimentico presto anche dei più bei film!

Se dovessi riassumere in una frase quello che hai cercato attraverso la tua opera durante la tua carriera? E domani?
Una vita.

Il barone rampante, Italo Calvino e Yan Nascimbene, Editions du Seuil 2005