Death and burial of poor Cock Robin, la versione di H.L Stephens del 1865

Death and burial of poor Cock Robin. Di questa filastrocca inglese di cui andavo pazza da bambina, e sulle ragioni della mia follia, ho parlato in questo post. Della vera morte di Cock Robin e della simbologia del pettirosso nella cultura celtica ho scritto qui. Ieri,  girovagando in rete, ho trovato una versione strepitosa nella biblioteca digitale del progetto Gutenberg. E’ stata illustrata dall’illustratore americano H. L. Stephens nel 1865, e pubblicata da Hurd & Houghton.

Death and burial of poor Cock Robin, H.L Stephens, Hurd & Houghton 1865, Stati Uniti

Un giorno, quando sarò ricca, diventerò una collezionista di versioni di Death and burial of poor Cock Robin. Ne possiedo giĂ  una copia, regalatami da due meravigliosi amici (la custodisco in una teca, come se il libro per metonimia fosse Cock Robin stesso). E aggiungerò alla mia collezione anche l’opera tassidermica di Walter Potter, dove la messa in scena della morte di Cock Robin è resa da animali impagliati (ne avevo parlato qui, suscitando non poche polemiche).

(Vi ingrandisco qualche particolare perché merita).

 

Potete vedere il libro completo a questo indirizzo.


“Turelì, turelò” di Elzbieta: un romanzo per bambini piccoli. Parte 2 (corretta)

Continuo l’analisi di Turelì, Turelò, di Elzbieta, edizioni EkarĂ©, iniziata in questo post.
Abbiamo lasciato i nostri due strani protagonisti tristi perchĂ© l’uccellino, non trovando un giardino per fare il suo nido, è volato via (vi domando di nuovo: perchĂ© sono mezzi nudi? Che cosa sono quei cornetti che hanno in testa? Treccine o corna?).
Pieni di buona volontĂ  hanno allora seminato un giardino, aspettato che spuntassero i fiori: ma l’uccellino li sorprende di nuovo: c’è un albero in questo giardino? No. Allora se ne va via di nuovo. Non andare via, uccellino! Gridano i bambini disperati (salto molte illustrazioni così ve le godrete dal vero).

Nei primi due capitoli, era triste non avere il posto giusto da offrire all’uccellino, e sembra ancora piĂą triste che neanche lo sforzo di seminare un grazioso giardino pieno di bei fiori, basti. Non basta. Quello che domanda l’uccellino è di costruire un nido, e questa cosa sembra essere molto seria. Domanda uno sforzo ancora piĂą grande.

Capitolo 4. LILI’ E TOTO’ PIANTANO UN ALBERO.

Salto una tavola dove si vedono i due bambini con paletta e secchiello. Nella seconda pagina del quarto capitolo (che lunga avventura, un nido!) i bambini sono desolati: l’albero ha sete, molta sete, e c’è tanto sole, non piove, come si fa?

E’ allora che ci accorgiamo della presenza silenziosa di una nuvola. C’era fin dalla prima pagina ma non ci eravamo accorti che era una presenza viva, pensavamo fosse un elemento decorativo (i grandi illustratori non mettono decorazioni!). La nuvola era un personaggio chiave del libro, e fino ad ora si era limitata a fare da testimone. I due bambini gli si rivolgono con suppliche. Notate come il registro è tragico, i due bambini sembrano agitati da una danza, supplicano il cielo di piovere. Ecco che si spiega la nuditĂ , l’appartenenza a un mondo primitivo, mitico, dove il tema del mito è l’atto fondante della procreazione. Cosa significa fare un nido? Significa trovare uno spazio interno (quello della cura e della volontĂ  che i protagonisti mettono nel loro desiderio di non fare andare via l’uccellino) ed esterno (di cosa ha bisogno un nido? Di fiori? Di acqua? Di rami? Quanto grandi?)  dove la vita possa nascere.

La nuvola si rifiuta di far piovere. Lilì ora è arrabbiata, Totò anche (ho saltato una pagina dove si vede Totò ripetere la stessa posa di Lilì). E non si scherza con la rabbia…

Lilì e Totò allora gridano alla nuvola: “Se non vuoi ascoltare, se non vuoi venire, ti veniamo a prendere!”. Colpo di scena. Lilì e Totò si lanciano in volo verso la nuvola. Ecco finalmente smascherata la loro natura di dèmoni. Avevamo dei dubbi sulla loro ambigua natura dopo tutti gli indizi che l’autrice ci aveva fornito? Siamo comunque rimasti con la bocca spalancata (pensate all’emozione che deve provare un bambino davanti a questo salto).

Lilì e Totò riportano la nuvola a terra, ma la nuvola si ostina a non dare acqua (salto di nuovo alcune tavole). I due bambini dicono: “Se è così che stanno le cose, allora ti facciamo il solletico!”. Potere catartico del ridere (Bergson). Nel libro “Je voulais une tortue” di Beatrice Alemagna, un altro libro sul tema della crescita e della cura, la tensione drammatica della tartaruga che sta crescendo a dismisura si risolve con una vecchietta che confida alla protagonista che il segreto per fare rimpicciolire le tartarughe è fare loro il solletico. In molte fiabe e racconti è il ridere che dĂ  poteri ai protagonisti, o li rende capaci di volare. Il ridere è l’elemento della leggerezza, indispensabile alla ricetta della vita.
Avevamo parlato molto del significato del comico nel post sullo Schiaccianoci di Hoffmann e in quelli su Pierino Porcospino.

Piove finalmente. La fertilitĂ  dell’acqua cade direttamente sull’abbraccio felice dei due protagonisti, quasi che per questo grande esito non ci sia piĂą bisogno dell’elemento simbolico dell’albero. Sono loro ora che sono e saranno capaci di crescere e generare la vita, grazie alla loro perseveranza, ma anche grazie all’affermazione della loro doppia natura di bambini ed esseri magici. Per creare la vita ci vuole un quid di magia, non lo sapevate?
Se tanti libri sul tema della nascita, simili, per semplicitĂ  di illustrazioni, target e formato, a questo libro, mi tolgono il fiato per asfissia (oh, che senso di soffocamento, che piattume, che aria stantia, quando SI VUOLE affrontare il tema della nascita di un  fratellino, del cagnolino, della sorellina in un libro illustrato e non si è Erlbruch, o Elzbieta, o qualcuno capace di ricordarsi dell’infinito), questo libro di Elzbieta mi spalanca i polmoni e il cuore.

Ecco, il miracolo si è compiuto, l’uccellino è tornato e per restare. Vi lascio scoprire la bellezza dei capitoli in cui viene costruito il nido, sotto lo sguardo curioso di Lilì e Totò, che non capiscono ancora a cosa serve un nido. Una “uccellina” (lo spagnolo permette la versione femminile) viene e si installa nel nido. Il sesto capitolo si chiude su questa frase:

Quando una “uccellina” si installa nel nido,
per cosa sarà, turelì? Sarà per cosa, turelò?

Alla fine del capitolo l’uccellino chiama Lilì e Totò e annuncia loro: ci sono tre ovetti tutti bianchi, turelì, turelò!

L’ultimo capitolo si intitola LA MERENDA DI LILI’ E TOTO’.
 
Tre uccellini sono nati, e sembra che non sia una cosa così semplice… non fanno che mangiare! L’uccellino è costretto a rubare briciole della merenda di Lilì e Totò per portarla ai suoi piccoli. Mangiano tutto il tempo!
Lasciatemi ancora insistere sulla grandezza di Elzbieta. I pulcini sono nati, un illustratore di media taglia (io di sicuro) si sarebbe accontentato di un finale pieno di fiori e foglie che svolazzano nell’aria di primavera e felici cinguettii. Invece no. La vita è iniziata ed è un problema da gestire. Spaesati, in un primo momento, i nostri due fratellini decidono però di non lasciarsi scoraggiare, e vanno a prendere secchi carichi di semi per invitare tutti a cena.

La penultima pagina riprende il tema del “riderci su”. La voce fuori campo del testo narrante interroga i due protagonisti:

Cosa fanno questi uccellini
la mattina, Lilì?
– Beccano, turelì.
– Cosa fanno questi uccellini a mezzogiorno, Totò?
– Beccano, turelò.
– Beccano, beccano, toc, toc, toc.

Il tono è canzonatorio e dolce insieme: ma tutta questa fatica per questi uccellini? E alla fine cosa fanno questi uccellini di così speciale? Mangiano e mangiano e mangiano, mattina, pomeriggio e sera! Ma l’atmosfera della tavola è gaia, Lilì e Totò hanno deciso di continuare comunque a occuparsi di loro. Intanto, silenziosamente, il ritmo del libro è cambiato. La nuvola immobile presente dalla prima pagina è scomparsa. Se riguardiamo il libro nelle prime pagine, ci rendiamo conto che il tempo era sospeso e immobile: Lilì e Totò abitavano un’epoca mitica, atemporale. Dopo la nascita dei pulcini, il tempo, quello vero, con le sue esigenze e i suoi appetiti (colazione, pranzo, cena) inizia a scorrere.

Ora Lilì e Totò abitano una casa con giardino (bellissima, nell’ultima tavola, la grande chioma dell’albero illuminata dalla luna), sanno che cosa è un giardino (la vita), e quanta fatica costa. Ora può scendere la notte, come su una casa normale. Ora possiamo riposarci col cuore pieno, sapendo che tutto inizierĂ  di nuovo domani, ma non sarĂ  piĂą “lo stesso”.


 

TurelĂ­, TurelĂł
Elzbieta (testo in spagnolo)
Un capolavoro sul tema della cura e della nascita
8,46 Euro

“Turelì, turelò” di Elzbieta: un romanzo per bambini piccoli. Parte 1

Le edizioni EkarĂ© (che ho intervistato qui) hanno appena riedito un libro di Elzbieta del 2001: Turelì, Tuerlò (titolo francese: Petit frère, petite soeur, edizioni Albin Michel). Per chi non la conoscesse, Elzbieta è un gigante dell’illustrazione francese, ne avevo parlato qui.
Già dalle prime pagine sfogliate, ho sentito che questo libro era un capolavoro. Ora vorrei provare a capire perché insieme a voi.
Non è un semplice libro illustrato per bambini, è un romanzo per bambini piccoli, con tanto di capitoli (7). Ora vi lascio godere del primo capitolo, senza interferenze se non quella della mia traduzione dallo spagnolo. Osservate con attenzione le illustrazioni.

LILI’ E L’UCCELLINO (primo capitolo)

Un uccellino chiama Lilì:
– turelò, turelì.

– Che cosa vuoi, uccellino?
– domanda Lilì.


L’uccellino risponde che cerca, turelì,
un giardino, turelò,
per costruire un nido.

-Costruisci un nido nella mia casa, uccellino
– dice Lilì
– Ma tu hai un giardino, turelì?
– domanda l’uccellino.

No. Lilì non ha un giardino.
– Allora, turelò, me ne vado
– dice l’uccellino.

fine primo capitolo

 

Ecco, così si chiude il primo capitolo di questo romanzo per bambini piccoli. La suddivisione in capitoli, lo spazio dato a ogni scambio di battute tra l’uccellino e Lilì (così minimale), danno alle battute un’incisivitĂ  teatrale (infatti, dal libro, è stato poi tratto uno spettacolo). Ma è il linguaggio, soprattutto, che detta la tensione della narrazione. Vi faccio un esempio, abbiate pazienza se rovino il libro, ma è importante capire quanto è fondamentale l’equilibrio del testo in un album.

Faccio un esercizio “alla Queneau”, riscrivo il primo capitolo cercando di scimmiottare uno stile che si incontra spessissimo nei libri per bambini molto piccoli.

LILI’ E L’UCCELLINO

Un uccellino chiama Lilì:
– turelò, turelì.

E’ mattina. Lilì sta ancora dormendo.
Un uccellino la chiama cantando:
– pio, piĂą!

(Nota: Nella maggior parte dei testi per piccolissimi (e anche per piĂą grandi) si dimentica l’enorme capacitĂ  delle immagini di saper parlare da sole. Elzbieta, al contrario, si è fidata della capacitĂ  del lettore a interpretare la scena e non ci ha suggerito che è mattina, e che se una casa ha le finestre chiuse è perchĂ© il suo abitante dorme ancora).

– Che cosa vuoi, uccellino?
– domanda Lilì.

– Ciao uccellino, che cosa desideri?
– domanda Lilì affacciandosi alla finestra.

(Nota: la troppa educazione lasciamola nelle scuole. Un testo deve entrare subito nel vivo, nella carne del dialogo. Via i “ciao” e i “buongiorno”, via le presentazioni, via le maniere manierate dei bravi bambini. Ma non per questo si deve cadere nel versante opposto, altrettanto fastidioso: quello dell’impertinenza a tutti i costi. Ascoltate la purezza cristallina del testo di Elzbieta, niente di piĂą dell’essenziale: Che cosa vuoi, uccellino? ).


L’uccellino risponde che cerca, turelì,
un giardino, turelò,
per costruire un nido.

– Pio, piĂą, cerco un giardino per costruire un nido!
-risponde l’uccellino

(Nota: Bellissimo nel testo di Elzbieta lo stacco alla terza persona che precipita il ritmo in un rapidissimo. E’ l’arte del romanzo e dei punti di vista. Proprio come in un film, quando nel montaggio la telecamera cambia di continuo prospettiva e inquadra lo stesso dialogo da angoli diversi, così fa il registro di un testo quando cambia il soggetto. Ora è sparita la dolcezza del dialogo, c’è qualcosa da dire e va detta, e si passa alla terza persona, senza storie: l’uccellino cerca un giardino, ecco che cosa c’è, turelì, turelò (Turelì, turelò ritorna in tutto il libro come un accordo musicale (in francese è: Tuireli, Tuirelo).

Ma non basta l’arte della narrazione per spigare perchĂ© si resta incantati/ipnotizzati dalla tensione di queste prime pagine. Bisogna mettere in conto la semplicitĂ  dei disegni, il caldo solare del giallo che gioca col bianco creando una luce quasi abbagliante. Non mi permetto di toccare i disegni di Elzbieta come ho fatto col testo, ma provate a immaginare di aggiungere verde nel prato e azzurro nel cielo, e qualche fiore colorato qua e lĂ , e voilĂ … sparirebbe quella nota musicale, acuta, sinistra, che accompagna tutto il libro.
Poi, se ci fate caso, Lilì è mezza nuda, nuditĂ  che sarebbe stata censurata da un mediocre editore, e che invece rimanda alla dolcezza dell’aria tiepida del mattino, alla fragilitĂ , alla purezza di una vita semi selvaggia.

Sembrano disegni semplicissimi ma osservate bene il letto nella prima pagina, sotto il titolo del capitolo. Cosa sono quelle forme della spalliera simili alle forme che ha in testa la bambina? Sono treccine? Codini? Forse. Forse invece Lilì non è una bambina, ma un personaggio i cui codini sono stigma di appartenenza a qualche strana tribù. Forse è una bambina cerbiatto. Forse non è umana. Forse è metà umana metà animale, per questo è mezza nuda.


E questa casa a soli due piani? Vive da sola Lilì? Un bambino questi dettagli li nota subito, saprà subito che Lilì è, come lui, appartenente al mondo dei dèmoni divini.

“TOTO’ E L’UCCELLINO” recita il titolo del secondo capitolo…

Il libro continua con un nuovo capitolo. Non sappiamo se è un continuum dell’altro o no, sappiamo solo che entra in scena un nuovo personaggio, e che dorme in un lettino simile a quello di Lilì, con la stessa testiera del letto.

In questo secondo capitolo, accade esattamente la stessa storia che nel capitolo precedente, scena dopo scena la stessa identica storia, con le stesse battute: L’uccellino chiama Totò, gli dice che cerca di costruire un nido, gli chiede se ha un giardino, Totò, che abita in una casa identica a quella di Lilì (è la stessa?), risponde che no, non ha un giardino.. Ma c’è una novitĂ :
– la presenza in scena di un testimone che sa giĂ  cosa sta per accadere: Lilì.

Anche noi lettori siamo, come Lilì, testimoni di un déjà-vous (identificazione col personaggio), grazie a questa identificazione ora non siamo più estranei al libro, siamo entrati insieme a Lilì dentro il libro, ne sappiamo addirittura più del povero Totò su quello che sta succedendo.
Elzbieta è davvero un mostro di bravura, guardate come fa “recitare” in scena Lilì, osservate la strana posizione nel quadro qui sotto, se la dovessimo tradurre razionalmente non potremmo (Lilì è leggermente piegata in due, ha un braccio sullo steccato), ma a un livello piĂą inconscio sappiamo che quella è la posizione di qualcuno che dice “No, ma ancora! Totò non sa che l’uccellino non vuole una casa, vuole un giardino. Oh povero Totò, che come me poco fa è pieno di entusiasmo. Ohi ohi, adesso l’uccellino se ne andrĂ  di nuovo!).


Quando, come prevedevamo, l’uccellino se ne va, non ci restiamo piĂą con un palmo di naso come Lilì nella prima scena, perchĂ© sappiamo che forse tornerĂ  (è giĂ  tornato una volta, siamo nella ripetizione). Qualcosa in noi lettori, è piĂą rilassato. Allora, invece dello shok quasi zen del finale del primo capitolo, troviamo ora la dolcezza di un sentimento, quello della separazione.

Addio, Lilì, turelì. Addio, Totò, turelò. Dice il testo. Non lo dice l’uccellino, ma la voce narrante fuori campo, e mescola nella stessa frase i nomi dei due bambini e il canto dell’uccello (ora, anche se separati, sono insieme).

Nel testo originale francese i due bambini sono chiamati “fratellino e sorellina”. Per capire tutto il retaggio culturale e simbolico di questa definizione, vi rimando a due miei articoli: quello su Hansel e Gretel di Susanne Janssen (il capitolo sulla simbologia dei gemelli) e quello sulla storia del binomio fratello-sorella (Seguendo le briciole nel bosco) pubblicato sulla rivista Hors cadre(s). Essere fratello e sorella nelle fiabe non è una questione genetica ma una questione archetipica: nella coppia femminile-maschile ritroviamo tutta la potenza del mito platonico sulla nascita dell’amore, la forza genitrice degli opposti, la fatica della differenziazione dall’altro (se osservate bene, nel libro Lilì e Totò vengono “generati” prima uno e poi l’altro da una ripetizione della storia. Nascono (nascono per noi nel libro) nello stesso letto e abitano la stessa casa (però non la abitano insieme, la casa è per uno, vengono partoriti dalla casa in due momenti diversi, prima uno, poi l’altro). E non è un caso se li ritroviamo uniti alla fine del primo capitolo. La coppia è stata generata, ora può generare.

Il secondo capitolo si intitola, forse non a caso: LILI’ e TOTO’ SEMINANO UN GIARDINO.

 

 

 

Segue…
Leggi la seconda parte dell’analisi

 


Fiabla-bla, di Fausta Orecchio e Olivier Douzou: il gioco delle parole

Un libro che mi sono portata via volentieri dalla Fiera di Bologna è Fiabla-bla di Orecchio Acerbo.
E’ un libro gioco. All’inizio del libro troviamo: otto frasi, di altrettante fiabe classiche, (una breve introduzione al libro ci dice che le frasi sono scappate dalle fiabe perchĂ© le fiabe sono senza pietĂ ), dodici forme e sette colori.
Questi sono gli elementi dati e il gioco del libro è quello di combinarli in tanti modi possibili, creando strofe e situazioni dal sapore surreale. Le forme possono essere utilizzate ingrandendole o rimpicciolendole, ma senza mai alterarle.

Esempio:
la frase ” Un uovo d’oro cresceva in una gallina” diventa “una gallina cresceva in un uovo d’oro”, per poi scombinarsi di nuovo e accoppiare le sue parole con altre possibili.

Ci dimentichiamo troppo spesso delle misteriose relazioni che intercorrono tra linguaggio e mondo. Nel post di qualche giorno fa vi parlavo di come pittori e artisti abbiano cercato una forma, nei secoli, per il concetto di “realtĂ ”. Ma che rapporto ha la realtĂ  con il linguaggio? Nasce prima l’uovo o la gallina? (per restare in tema di uova e galline).
Il grande filosofo Parmenide, scriveva che l’Essere è il Pensiero. Cioè, tradotto, che il mondo che conosciamo e il nostro modo di conoscerlo, sono una sola cosa. Il fatto che  nelle nostre giornate ci sia un soggetto, che quel soggetto compie una o piĂą azioni, che quelle azioni abbiano conseguenze su degli oggetti o altri soggetti, a noi sembra il funzionamento piĂą scontato del mondo; in realtĂ  siamo prigionieri, nel pensare le cose a questo modo, di una struttura linguistica.

In giapponese il soggetto è spesso l’ultima parte di una frase. Le frasi iniziano dal contesto, per poi analizzare i dettagli, per poi arrivare all’azione, per poi alla fine dire chi l’ha compiuta. ChissĂ  se questo ha avuto un’influenza sull’amore dei giapponesi per i dettagli e sulla poca valorizzazione dell’io come soggetto forte all’interno della loro societĂ . Ma è nato prima l’uovo o la gallina? E’ il linguaggio che si è adattato al nostro modus pensandi o è avvenuto il contrario? Potremo mai scappare dal linguaggio come le parole di questo libro sono scappate dalle loro fiabe?

Olivier Douzou (un grosso nome dell’illustrazione francese, attualmente direttore artistico delle edizioni Le Rouergue) ha utilizzato con maestria le forme che gli erano state date all’inizio del gioco, creando ogni volta personaggi spassosissimi. Ecco che una coda di sirena diventa un fiocco di capelli, una corona una dentiera, o un ciglio, una bocca un paio di baffi…
I bei colori puri su fondo bianco contribuiscono al ritmo da musica di banda di paese che anima tutto il libro (con un po’ di Stockhausen).

Ma cosa succede se le parole si stufano dalle regole grammaticali e vanno per conto loro? Succede che si creano situazioni esilaranti, come quella qui sotto: dove un pescatore e un Re si ritrovano sposati. Oppure succede che si inverte l’ordine del mondo: una nonna diventa giovane. O succede che si creano frasi o figure che non hanno piĂą senso per noi (ma forse per qualcuno di un altro pianeta, sì).

PerchĂ© il mondo resti in ordine anche le parole devono essere in ordine. Ma per divertirsi, bisogna sapere che l’ordine stabilito lo si può scompigliare un po’, bistrattare, rompere, e poi aggiustare. (Gianni Rodari in questo gioco era un grande maestro, Raymond Queneau, ancora piĂą grande).


Il gioco proposto dal ibro non è nuovo, ma è declinato bene e il libro funziona (mi sono solo un po’ persa nelle ultime pagine, dove le combinazioni sono quasi astratte). Potete provare anche voi nei vostri disegni o con i vostri bambini, usando le forme proposte o inventandone di nuove. All’interno del libro si trova la “tavola pitagorica” del gioco, potete anche ritagliarla per giocare con piĂą facilitĂ  a comporre le vostre frasi e le vostre figure.

Fiabla-bla
Fausta Orecchio e Olivier Douzou
Un libro-gioco sulla libertĂ  delle parole
12,75 Euro

Video intervista a B. Alemagna e J. Zabala mentre disegnano

Visto che ho trasferito il video su You Tube pubblico di nuovo il post per chi non lo avesse visto. Se volete potete condividerlo su facebook direttamente da You Tube.

16 gennaio 2011
L’estate di due anni fa, Javier Zabala aveva invitato un gruppo di illustratori nella sua casa di campagna, per una sorta di simposio intorno all’arte di illustrare che si era poi trasformato in un simposio intorno all’arte di fare la paella sul fuoco, tuffi in piscina, sieste e chiacchiere al sole… Nelle pause di questo meraviglioso farniente abbiamo, ogni tanto, disegnato. Io non ho perso l’occasione di riprendere al lavoro due grandi illustratori come Beatrice Alemagna e Javier Zabala, domandando loro cosa provavano mentre disegnavano. Ecco l’emozionanatissimo video!

Beatrice Alemagna e Javier Zabala

Intervista ad Alessandro Gottardo, in arte Shout

PRIMA DI TANTE VOLTE
PRIMA DI TANTI VOLTI
PRIMA CHE FACCIA TARDI
PRIMA CHE TU MI ASCOLTI
PRIMA DEI PRMI SARDI
E DEI BABILONESI…
PRIMA! SI’, PRIMA-PRIMA.
DI ANNI, GIORNI E MESI…
DI SEMINE E RACCOLTE…
PRIMA DI TUTTO! INTANTO
– QUESTO LO CREDO IO –
PRIMA C’ERA SOLTANTO…
C’ERA IL CUORE DI DIO.
(Alessandra Berardi, C’era una voce)

INTERVISTA AD ALESSANDRO GOTTARDO su C’ERA UNA VOCE di ALESSANDRA BERARDI
di Anna Castagnoli

Alessandro Gottardo (o Shout?), sei uno dei più quotati e famosi illustratori italiani per la stampa, lavori per le più grosse testate giornalistiche americane, e sei giovanissimo. Ci racconti in poche righe come sei arrivato a questo mestiere e perché hai scelto l’illustrazione e non un’altra forma di espressione artistica?

Alessandro va piĂą che bene. Ti ringrazio del giovanissimo ma a giorni compio 35 anni, dici lo sono ancora?
Dunque, mi sono diplomato allo IED a 23 anni, nel 2000. Dal 2000 al 2001 mi sono creato un portfolio di immagini realizzate in digitale (photoshop e painter) che potessero soddisfare clienti quali magazine, copertine di libri, etc.
Ho scelto di lavorare in digitale per problematiche pratiche legate alle dinamiche lavorative, ad esempio cambiare un intero fondo da un momento all’altro: il digitale mi premette di farlo con un click, con le tecniche tradizionali è piĂą complicato.
Dal 2001 al 2002 ho cominciato a mostrare in giro i miei lavori semplicemente chiamando al telefono vari art director, da quelli del Corriere della sera a Specchio della stampa, da Panorama a Tv sorrisi e canzoni e altri, la riposta è sempre stata positiva, nel senso che ho sempre ottenuto una commissione dopo un breve colloquio con ognuno di loro.
Il problema era la continuitĂ  nelle collaborazioni e i ritardi nei pagamenti.
Dopo un paio di anni scarsi di questa solfa mi trovai un agente in Canada che mi rappresentasse all’estero. Così ho cominciato ad affacciarmi al mercato oltre oceano scoprendo che le commesse erano pagate molto meglio, molto puntualmente, e che il mestiere stesso, quello dell’illustratore, era conosciuto e rispettato al massimo. Insomma, una sorta di paradiso dal mio punto di vista.
Per cui dal 2003 ho concentrato tutte le mie attenzioni sul mercato estero e sui clienti esteri.
Le collaborazione italiane che porto avanti oggi sono solo con clienti che conoscono e rispettano il mio mestiere e il mio lavoro da tempo. Poche ma buone, come si suol dire.

Illustrazione di Alessandro Gottardo

Nel 2005 poi è nato lo pseudonimo Shout, pseudonimo che celava una variante stilistica che avesse nell’idea la cosa piĂą importante. Per cui un linguaggio, figlio – ci tengo a dirlo – di molte sperimentazioni stilistiche che ancora oggi si possono vedere al sito ice9studio.com (lo tengo ancora aperto a memoria di quel periodo) in cui far risaltare l’idea attraverso lo stile e non il contrario. Il minimalismo, gli spazi, i pochi dettagli sono stati una conseguenza logica di questa scelta.
Quella che era una mia esigenza creativa e professionale si è poi rivelata una scelta azzeccata anche in termini strettamente economici in quanto ancora oggi l’illustrazione concettuale è molto richiesta, per cui lasciai il mio agente canadese, che mi rappresentava con lo stile precedente, e continuai autonomamente con lo pseudonimo di Shout. Oggi ho un agenzia solo per il mercato britannico che si chiama Dutch Uncle, per il resto sono autonomo.
Riguardo l’espressione artistica non saprei, non mi sono mai ritenuto un artista, non riesco a considerare ciò che faccio su commissione una forma d’arte o un’espressione del mio sentire, in quanto i limiti della commessa, e le tematiche che mi trovo ad affrontare non le scelgo io ma sono dettati dal cliente. E’ un lavoro senz’altro creativo ma pur sempre un lavoro.
Certo mi fa piacere esporre le mie illustrazioni nelle gallerie ma non per questo le considero delle opere d’arte, forse in alcune immagini si intuisce un mio personale modo di vedere le cose ma credo che l'”arte” sia un’altra cosa. La frase di Gipi “gli unici artisti che conosco sono tutti morti” la condivido e la trovo molto piĂą vera di quanto non sembri, è la storia che decide cosa è arte e cosa non lo è.
Detto questo, il linguaggio visivo è quello che prediligo e quando faccio lavori personali è sempre il disegno che utilizzo anche per motivi puramente tecnici, in quanto è lo strumento che so usare meglio.

C’era una voce è il tuo primo album illustrato. Nella tua interessantissima Guida galattica per giovani illustratori, descrivi come un illustratore dovrebbe interpretare, secondo te, un articolo di giornale o un concetto. Assonanze, campi semantici, analogie… Hai seguito gli stessi principi per illustrare il tuo primo testo per album?

No, in effetti quei consigli erano per chi fa illustrazione concettuale e lavori a tematiche di tipo “giornalistico”, per questo progetto ho seguito molto i consigli di Giovanna Zoboli. Mi sono stati molto utili in un momento in cui pensavo non ce l’avrei fatta. Rappresentare Dio era diventato un ostacolo che sembrava insormontabile, è stata lei a suggerirmi di rappresentarlo semplicemente nelle cose che ha creato. L’illustrazione che faccio, in genere, si divide in 3 micro gruppi, quella surreale, quella metafisica (passatemi la definizione), quella piĂą concettuale e grafica.

Alessandro Gottardo, esempio di immagine che lui definisce surreale
Alessandro Gottardo, esempio di immagine che lui definisce “metafisica”

Alessandro Gottardo, esempio di immagine che lui definisce “grafica”

In genere scelgo una di queste tre vie per risolvere il progetto visivamente, quello surreale e quello concettuale lo uso molto per i giornali e per la pubblicitĂ , quello metafisico piĂą per le copertine dei libri. Per questo progetto ho scelto l’approccio metafisico, mi limito a suggerire situazioni dove i vuoti nell’immagine sono domande le cui risposte vengono date dal lettore stesso.

Hai sentito una sostanziale differenza nel tuo modo di pensare le immagini per il fatto che il formato era una sequenza di 13 doppie pagine? Hai lavorato su uno storyboard? Ti è piaciuta l’esperienza di questa “corsa di fondo” che è illustrare un intero libro o preferisci l’immediatezza di un’illustrazione per stampa?

E’ stata tosta…
A dire il vero non amo il formato orizzontale, ma in questo caso il testo di Alessandra Berardi non lasciava altra scelta, per dare il giusto risalto alle sue parole servivano stanze vuote cui eco rimbombasse, questo è quello che ho provato a fare.
Ho ri-disegnato tre volte le tavole del libro prima di giungere a quelle giuste. Sì, ho fatto una specie di story board, poi, però, dato che la scelta è caduta su paesaggi piĂą che immagini legate realmente una all’altra, è venuta meno l’esigenza di una sequenza temporale e mi sono concentrato su una strofa per volta.
L’esperienza è stata molto più faticosa di quanto pensassi, per cui più bella di quanto credessi.

C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012

Veniamo al rapporto testo-immagine. Il testo è una splendida poesia in rima che narra la creazione dell’universo. Dio crea il mondo perché si sente solo. E’ un Dio molto umano, a cui piace giocare, lanciare pianeti come biglie, impastare con la creta: suda, si stanca, si scoraggia, non si arrende fino a che non ha inventato l’uomo, e con l’uomo: la voce, la rima, la poesia.
Perché hai accettato questo testo? (so che ne avevi rifiutati altri).

Sembrava perfetto, è un testo estremamente evocativo, apre le finestre della fantasia, ho creduto fosse il battesimo perfetto.
Poi, come ho detto all’inizio, c’è stato un momento in cui ho pensato di mollare, che l’illustrazione per l’infanzia mi fosse definitivamente preclusa, poi la sensibilitĂ  e l’esperienza di Giovanna mi hanno aiutato. Ricordo che la prima volta che provammo a fare un libro insieme fu nel 2003, subito dopo aver esposto alla Mostra degli illustratori della fiera del libro di Bologna, penso lei sia stata un art director perfetto anche perchĂ© mi conosce da parecchi anni, conosce la mia evoluzione presente e passata.
La strada che mi ha indicato era l’unica possibile e io l’ho percorsa, da un cero punto in poi, con facilitĂ .

C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012

L’armonia tra il testo di Alessandra e le tue tavole è molto bella. C’è una tensione che si sprigiona dai tuoi disegni data da una sapiente economia di gesti e figure. Non c’è nulla di più dell’essenziale, proprio come doveva essere all’origine del tempo. Lenti millenni perché ogni cosa si formasse, trovasse il suo posto. Come si arriva a saper dire tutto con così poco? Non hai mai la tentazione di aggiungere dei dettagli?

Guido Scarabottolo la chiama “pigrizia” (Ndr: leggi il suo Elogio della pigrizia), penso sia lo stesso per me, in senso creativo, si intende. Non amo il chiasso, non amo la folla, non amo il troppo, evito le code, amo il design danese degli anni 40, 50, 60, amo la musica suonata piĂą di quella cantata, amo gli specchi d’acqua senza niente sopra, insomma, peculiaritĂ  del mio carattere a prediligere il “semplice” mi inducono a fare certe scelte anche in senso professionale. Il testo di Alessandra comunque è così bello che serviva davvero solo una nuvola qui e la. Un pò di fard, un tocco di rossetto leggero e poi basta.

C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012

Mi è sembrato di percepire un rapporto dialettico in ogni doppia pagina: una nuvola e la sua ombra, un albero e la sua ombra, la terra e il cielo, il vuoto e il pieno… Come se il canto di Dio avesse sempre la sua eco felice, in una corrispondenza perfetta.
Nell’ultima tavola, se interpreto bene, c’è uno zoom sull’ombra del cappello dello spaventapasseri (la presenza, finalmente, dell’uomo e del suo operato). E’ l’unica tavola dove lo spazio è limitato, ai bordi della pagina, dal profilo spigoloso dei campi coltivati. Tutto è stato creato, anche l’uomo, anche la poesia, il cerchio si chiude: eppure, percepisco un senso di malinconia in questo finale. Ora lo spazio non è più infinito. Ora la dialettica è tra una forma rotonda e la durezza degli spigoli dei campi. Mi parli dello spaventapasseri e dei campi di grano?

C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012

Per tutto il libro ho giocato a rappresentare Dio senza disegnarlo, essendo in tutte le cose ho pensato di ritagliarlo come una presenza silenziosa, che c’è e non c’è.
Quando era l’uomo ad entrare in scena ho pensato di fare lo stesso, rappresentarlo senza disegnarlo. La forma tonda in quanto perfetta spetta a Dio, i campi di grano, che sono coltivati dall’uomo, mi pareva giusto realizzarli per contrasto in maniera molto geometrica.
La figura dello spaventapasseri è evocativa per antonomasia, ad ognuno di noi può suggerire qualcosa di diverso, per cui era la soluzione migliore a mio avviso per chiudere il testo.
Ho sempre pensato che suggerire sia un modo molto piĂą interessante di disegnare le cose, amo l’idea che una mia immagine abbia un’interpretazione diversa a seconda di chi la guarda. Come se il lettore possa aggiungere esattamente quello che manca all’immagine, il suo ingrediente personale, facendo quell’immagine un poco anche sua.

Grazie Alessandro.
Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi stanno per fare insieme un tour per presentare il loro libro in Sardegna. Se siete nei paraggi non perdetevi l’incontro!

giovedì, 19 aprile, alle 18, alla libreria Koinè di Sassari,
sabato 21, alle 18, a Villa Muscas di Cagliari,
lunedì 23, alle 16, alla Biblioteca Comunale di Irgoli,
e, sempre lunedì, alle 18 alla libreria Mondadori “Atene Sarda” di Nuoro.

C’era una voce
Alessandra Berardi e Alessandro Gottardo
Un libro in rima sulla creazione del mondo
17,00 euro