“Christine’s Picture Book” di Hans christian Andersen e A.L. Drewsen

Christine’s Picture Book, di Hans christian Andersen e A.L. Drewsen

Molte delle fiabe di Hans Christina Andersen , uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi, sono nate intorno alla sua passione per il papercut (ritaglio di immagini). Andersen ritagliava un’immagine e iniziava a raccontare una storia partendo da quel punto. A volte, la casualità dell’associazione di due immagini che nulla avevano a che vedere l’una con l’altra, stimolava la sua fantasia e permetteva snodi imprevisti della storia.
Ci sono pervenuti 16 libri di immagini ritagliate e incollate che Andersen fabbricò per i bambini della sua famiglia o dei suoi amici più cari. Immagini ritagliate da riviste americane o europee, ma anche immagini create dalla sua fantasia.

Christine’s Picture Book è un libro di centoquarantotto pagine (potete sfogliarle tutte sul sito della LC Digital Collection Library of Congress) di immagini ritagliate e incollate da Hans Christian Andersen e da  A.L. Drewsen (marito di sua figlia) per il nipote Jonas Drewsen. E’ una “camera delle meraviglie” in formato libro illustrato. Meraviglioso (non torvo aggettivo più adatto) osservare come le immagini, decontestualizzate o associate tra loro in modo spesso casuale, senza nessun testo di spiegazione o accompagnamento, sono potenza espressiva allo stato puro. Bambini fortunati quelli che hanno ricevuto in dono uno di questi libri…

Vi parlerò ancora dell’arte di ritagliare immagini di H. C. Andersen nel prossimo post…


Death and burial of poor Cock Robin, la versione di H.L Stephens del 1865

Death and burial of poor Cock Robin. Di questa filastrocca inglese di cui andavo pazza da bambina, e sulle ragioni della mia follia, ho parlato in questo post. Della vera morte di Cock Robin e della simbologia del pettirosso nella cultura celtica ho scritto qui. Ieri,  girovagando in rete, ho trovato una versione strepitosa nella biblioteca digitale del progetto Gutenberg. E’ stata illustrata dall’illustratore americano H. L. Stephens nel 1865, e pubblicata da Hurd & Houghton.

Death and burial of poor Cock Robin, H.L Stephens, Hurd & Houghton 1865, Stati Uniti

Un giorno, quando sarò ricca, diventerò una collezionista di versioni di Death and burial of poor Cock Robin. Ne possiedo già una copia, regalatami da due meravigliosi amici (la custodisco in una teca, come se il libro per metonimia fosse Cock Robin stesso). E aggiungerò alla mia collezione anche l’opera tassidermica di Walter Potter, dove la messa in scena della morte di Cock Robin è resa da animali impagliati (ne avevo parlato qui, suscitando non poche polemiche).

(Vi ingrandisco qualche particolare perché merita).

 

Potete vedere il libro completo a questo indirizzo.


“Turelì, turelò” di Elzbieta: un romanzo per bambini piccoli. Parte 2 (corretta)

Continuo l’analisi di Turelì, Turelò, di Elzbieta, edizioni Ekaré, iniziata in questo post.
Abbiamo lasciato i nostri due strani protagonisti tristi perché l’uccellino, non trovando un giardino per fare il suo nido, è volato via (vi domando di nuovo: perché sono mezzi nudi? Che cosa sono quei cornetti che hanno in testa? Treccine o corna?).
Pieni di buona volontà hanno allora seminato un giardino, aspettato che spuntassero i fiori: ma l’uccellino li sorprende di nuovo: c’è un albero in questo giardino? No. Allora se ne va via di nuovo. Non andare via, uccellino! Gridano i bambini disperati (salto molte illustrazioni così ve le godrete dal vero).

Nei primi due capitoli, era triste non avere il posto giusto da offrire all’uccellino, e sembra ancora più triste che neanche lo sforzo di seminare un grazioso giardino pieno di bei fiori, basti. Non basta. Quello che domanda l’uccellino è di costruire un nido, e questa cosa sembra essere molto seria. Domanda uno sforzo ancora più grande.

Capitolo 4. LILI’ E TOTO’ PIANTANO UN ALBERO.

Salto una tavola dove si vedono i due bambini con paletta e secchiello. Nella seconda pagina del quarto capitolo (che lunga avventura, un nido!) i bambini sono desolati: l’albero ha sete, molta sete, e c’è tanto sole, non piove, come si fa?

E’ allora che ci accorgiamo della presenza silenziosa di una nuvola. C’era fin dalla prima pagina ma non ci eravamo accorti che era una presenza viva, pensavamo fosse un elemento decorativo (i grandi illustratori non mettono decorazioni!). La nuvola era un personaggio chiave del libro, e fino ad ora si era limitata a fare da testimone. I due bambini gli si rivolgono con suppliche. Notate come il registro è tragico, i due bambini sembrano agitati da una danza, supplicano il cielo di piovere. Ecco che si spiega la nudità, l’appartenenza a un mondo primitivo, mitico, dove il tema del mito è l’atto fondante della procreazione. Cosa significa fare un nido? Significa trovare uno spazio interno (quello della cura e della volontà che i protagonisti mettono nel loro desiderio di non fare andare via l’uccellino) ed esterno (di cosa ha bisogno un nido? Di fiori? Di acqua? Di rami? Quanto grandi?)  dove la vita possa nascere.

La nuvola si rifiuta di far piovere. Lilì ora è arrabbiata, Totò anche (ho saltato una pagina dove si vede Totò ripetere la stessa posa di Lilì). E non si scherza con la rabbia…

Lilì e Totò allora gridano alla nuvola: “Se non vuoi ascoltare, se non vuoi venire, ti veniamo a prendere!”. Colpo di scena. Lilì e Totò si lanciano in volo verso la nuvola. Ecco finalmente smascherata la loro natura di dèmoni. Avevamo dei dubbi sulla loro ambigua natura dopo tutti gli indizi che l’autrice ci aveva fornito? Siamo comunque rimasti con la bocca spalancata (pensate all’emozione che deve provare un bambino davanti a questo salto).

Lilì e Totò riportano la nuvola a terra, ma la nuvola si ostina a non dare acqua (salto di nuovo alcune tavole). I due bambini dicono: “Se è così che stanno le cose, allora ti facciamo il solletico!”. Potere catartico del ridere (Bergson). Nel libro “Je voulais une tortue” di Beatrice Alemagna, un altro libro sul tema della crescita e della cura, la tensione drammatica della tartaruga che sta crescendo a dismisura si risolve con una vecchietta che confida alla protagonista che il segreto per fare rimpicciolire le tartarughe è fare loro il solletico. In molte fiabe e racconti è il ridere che dà poteri ai protagonisti, o li rende capaci di volare. Il ridere è l’elemento della leggerezza, indispensabile alla ricetta della vita.
Avevamo parlato molto del significato del comico nel post sullo Schiaccianoci di Hoffmann e in quelli su Pierino Porcospino.

Piove finalmente. La fertilità dell’acqua cade direttamente sull’abbraccio felice dei due protagonisti, quasi che per questo grande esito non ci sia più bisogno dell’elemento simbolico dell’albero. Sono loro ora che sono e saranno capaci di crescere e generare la vita, grazie alla loro perseveranza, ma anche grazie all’affermazione della loro doppia natura di bambini ed esseri magici. Per creare la vita ci vuole un quid di magia, non lo sapevate?
Se tanti libri sul tema della nascita, simili, per semplicità di illustrazioni, target e formato, a questo libro, mi tolgono il fiato per asfissia (oh, che senso di soffocamento, che piattume, che aria stantia, quando SI VUOLE affrontare il tema della nascita di un  fratellino, del cagnolino, della sorellina in un libro illustrato e non si è Erlbruch, o Elzbieta, o qualcuno capace di ricordarsi dell’infinito), questo libro di Elzbieta mi spalanca i polmoni e il cuore.

Ecco, il miracolo si è compiuto, l’uccellino è tornato e per restare. Vi lascio scoprire la bellezza dei capitoli in cui viene costruito il nido, sotto lo sguardo curioso di Lilì e Totò, che non capiscono ancora a cosa serve un nido. Una “uccellina” (lo spagnolo permette la versione femminile) viene e si installa nel nido. Il sesto capitolo si chiude su questa frase:

Quando una “uccellina” si installa nel nido,
per cosa sarà, turelì? Sarà per cosa, turelò?

Alla fine del capitolo l’uccellino chiama Lilì e Totò e annuncia loro: ci sono tre ovetti tutti bianchi, turelì, turelò!

L’ultimo capitolo si intitola LA MERENDA DI LILI’ E TOTO’.
 
Tre uccellini sono nati, e sembra che non sia una cosa così semplice… non fanno che mangiare! L’uccellino è costretto a rubare briciole della merenda di Lilì e Totò per portarla ai suoi piccoli. Mangiano tutto il tempo!
Lasciatemi ancora insistere sulla grandezza di Elzbieta. I pulcini sono nati, un illustratore di media taglia (io di sicuro) si sarebbe accontentato di un finale pieno di fiori e foglie che svolazzano nell’aria di primavera e felici cinguettii. Invece no. La vita è iniziata ed è un problema da gestire. Spaesati, in un primo momento, i nostri due fratellini decidono però di non lasciarsi scoraggiare, e vanno a prendere secchi carichi di semi per invitare tutti a cena.

La penultima pagina riprende il tema del “riderci su”. La voce fuori campo del testo narrante interroga i due protagonisti:

Cosa fanno questi uccellini
la mattina, Lilì?
– Beccano, turelì.
– Cosa fanno questi uccellini a mezzogiorno, Totò?
– Beccano, turelò.
– Beccano, beccano, toc, toc, toc.

Il tono è canzonatorio e dolce insieme: ma tutta questa fatica per questi uccellini? E alla fine cosa fanno questi uccellini di così speciale? Mangiano e mangiano e mangiano, mattina, pomeriggio e sera! Ma l’atmosfera della tavola è gaia, Lilì e Totò hanno deciso di continuare comunque a occuparsi di loro. Intanto, silenziosamente, il ritmo del libro è cambiato. La nuvola immobile presente dalla prima pagina è scomparsa. Se riguardiamo il libro nelle prime pagine, ci rendiamo conto che il tempo era sospeso e immobile: Lilì e Totò abitavano un’epoca mitica, atemporale. Dopo la nascita dei pulcini, il tempo, quello vero, con le sue esigenze e i suoi appetiti (colazione, pranzo, cena) inizia a scorrere.

Ora Lilì e Totò abitano una casa con giardino (bellissima, nell’ultima tavola, la grande chioma dell’albero illuminata dalla luna), sanno che cosa è un giardino (la vita), e quanta fatica costa. Ora può scendere la notte, come su una casa normale. Ora possiamo riposarci col cuore pieno, sapendo che tutto inizierà di nuovo domani, ma non sarà più “lo stesso”.


 

Turelí, Tureló
Elzbieta (testo in spagnolo)
Un capolavoro sul tema della cura e della nascita
8,46 Euro

“Turelì, turelò” di Elzbieta: un romanzo per bambini piccoli. Parte 1

Le edizioni Ekaré (che ho intervistato qui) hanno appena riedito un libro di Elzbieta del 2001: Turelì, Tuerlò (titolo francese: Petit frère, petite soeur, edizioni Albin Michel). Per chi non la conoscesse, Elzbieta è un gigante dell’illustrazione francese, ne avevo parlato qui.
Già dalle prime pagine sfogliate, ho sentito che questo libro era un capolavoro. Ora vorrei provare a capire perché insieme a voi.
Non è un semplice libro illustrato per bambini, è un romanzo per bambini piccoli, con tanto di capitoli (7). Ora vi lascio godere del primo capitolo, senza interferenze se non quella della mia traduzione dallo spagnolo. Osservate con attenzione le illustrazioni.

LILI’ E L’UCCELLINO (primo capitolo)

Un uccellino chiama Lilì:
– turelò, turelì.

– Che cosa vuoi, uccellino?
– domanda Lilì.


L’uccellino risponde che cerca, turelì,
un giardino, turelò,
per costruire un nido.

-Costruisci un nido nella mia casa, uccellino
– dice Lilì
– Ma tu hai un giardino, turelì?
– domanda l’uccellino.

No. Lilì non ha un giardino.
– Allora, turelò, me ne vado
– dice l’uccellino.

fine primo capitolo

 

Ecco, così si chiude il primo capitolo di questo romanzo per bambini piccoli. La suddivisione in capitoli, lo spazio dato a ogni scambio di battute tra l’uccellino e Lilì (così minimale), danno alle battute un’incisività teatrale (infatti, dal libro, è stato poi tratto uno spettacolo). Ma è il linguaggio, soprattutto, che detta la tensione della narrazione. Vi faccio un esempio, abbiate pazienza se rovino il libro, ma è importante capire quanto è fondamentale l’equilibrio del testo in un album.

Faccio un esercizio “alla Queneau”, riscrivo il primo capitolo cercando di scimmiottare uno stile che si incontra spessissimo nei libri per bambini molto piccoli.

LILI’ E L’UCCELLINO

Un uccellino chiama Lilì:
– turelò, turelì.

E’ mattina. Lilì sta ancora dormendo.
Un uccellino la chiama cantando:
– pio, più!

(Nota: Nella maggior parte dei testi per piccolissimi (e anche per più grandi) si dimentica l’enorme capacità delle immagini di saper parlare da sole. Elzbieta, al contrario, si è fidata della capacità del lettore a interpretare la scena e non ci ha suggerito che è mattina, e che se una casa ha le finestre chiuse è perché il suo abitante dorme ancora).

– Che cosa vuoi, uccellino?
– domanda Lilì.

– Ciao uccellino, che cosa desideri?
– domanda Lilì affacciandosi alla finestra.

(Nota: la troppa educazione lasciamola nelle scuole. Un testo deve entrare subito nel vivo, nella carne del dialogo. Via i “ciao” e i “buongiorno”, via le presentazioni, via le maniere manierate dei bravi bambini. Ma non per questo si deve cadere nel versante opposto, altrettanto fastidioso: quello dell’impertinenza a tutti i costi. Ascoltate la purezza cristallina del testo di Elzbieta, niente di più dell’essenziale: Che cosa vuoi, uccellino? ).


L’uccellino risponde che cerca, turelì,
un giardino, turelò,
per costruire un nido.

– Pio, più, cerco un giardino per costruire un nido!
-risponde l’uccellino

(Nota: Bellissimo nel testo di Elzbieta lo stacco alla terza persona che precipita il ritmo in un rapidissimo. E’ l’arte del romanzo e dei punti di vista. Proprio come in un film, quando nel montaggio la telecamera cambia di continuo prospettiva e inquadra lo stesso dialogo da angoli diversi, così fa il registro di un testo quando cambia il soggetto. Ora è sparita la dolcezza del dialogo, c’è qualcosa da dire e va detta, e si passa alla terza persona, senza storie: l’uccellino cerca un giardino, ecco che cosa c’è, turelì, turelò (Turelì, turelò ritorna in tutto il libro come un accordo musicale (in francese è: Tuireli, Tuirelo).

Ma non basta l’arte della narrazione per spigare perché si resta incantati/ipnotizzati dalla tensione di queste prime pagine. Bisogna mettere in conto la semplicità dei disegni, il caldo solare del giallo che gioca col bianco creando una luce quasi abbagliante. Non mi permetto di toccare i disegni di Elzbieta come ho fatto col testo, ma provate a immaginare di aggiungere verde nel prato e azzurro nel cielo, e qualche fiore colorato qua e là, e voilà… sparirebbe quella nota musicale, acuta, sinistra, che accompagna tutto il libro.
Poi, se ci fate caso, Lilì è mezza nuda, nudità che sarebbe stata censurata da un mediocre editore, e che invece rimanda alla dolcezza dell’aria tiepida del mattino, alla fragilità, alla purezza di una vita semi selvaggia.

Sembrano disegni semplicissimi ma osservate bene il letto nella prima pagina, sotto il titolo del capitolo. Cosa sono quelle forme della spalliera simili alle forme che ha in testa la bambina? Sono treccine? Codini? Forse. Forse invece Lilì non è una bambina, ma un personaggio i cui codini sono stigma di appartenenza a qualche strana tribù. Forse è una bambina cerbiatto. Forse non è umana. Forse è metà umana metà animale, per questo è mezza nuda.


E questa casa a soli due piani? Vive da sola Lilì? Un bambino questi dettagli li nota subito, saprà subito che Lilì è, come lui, appartenente al mondo dei dèmoni divini.

“TOTO’ E L’UCCELLINO” recita il titolo del secondo capitolo…

Il libro continua con un nuovo capitolo. Non sappiamo se è un continuum dell’altro o no, sappiamo solo che entra in scena un nuovo personaggio, e che dorme in un lettino simile a quello di Lilì, con la stessa testiera del letto.

In questo secondo capitolo, accade esattamente la stessa storia che nel capitolo precedente, scena dopo scena la stessa identica storia, con le stesse battute: L’uccellino chiama Totò, gli dice che cerca di costruire un nido, gli chiede se ha un giardino, Totò, che abita in una casa identica a quella di Lilì (è la stessa?), risponde che no, non ha un giardino.. Ma c’è una novità:
– la presenza in scena di un testimone che sa già cosa sta per accadere: Lilì.

Anche noi lettori siamo, come Lilì, testimoni di un déjà-vous (identificazione col personaggio), grazie a questa identificazione ora non siamo più estranei al libro, siamo entrati insieme a Lilì dentro il libro, ne sappiamo addirittura più del povero Totò su quello che sta succedendo.
Elzbieta è davvero un mostro di bravura, guardate come fa “recitare” in scena Lilì, osservate la strana posizione nel quadro qui sotto, se la dovessimo tradurre razionalmente non potremmo (Lilì è leggermente piegata in due, ha un braccio sullo steccato), ma a un livello più inconscio sappiamo che quella è la posizione di qualcuno che dice “No, ma ancora! Totò non sa che l’uccellino non vuole una casa, vuole un giardino. Oh povero Totò, che come me poco fa è pieno di entusiasmo. Ohi ohi, adesso l’uccellino se ne andrà di nuovo!).


Quando, come prevedevamo, l’uccellino se ne va, non ci restiamo più con un palmo di naso come Lilì nella prima scena, perché sappiamo che forse tornerà (è già tornato una volta, siamo nella ripetizione). Qualcosa in noi lettori, è più rilassato. Allora, invece dello shok quasi zen del finale del primo capitolo, troviamo ora la dolcezza di un sentimento, quello della separazione.

Addio, Lilì, turelì. Addio, Totò, turelò. Dice il testo. Non lo dice l’uccellino, ma la voce narrante fuori campo, e mescola nella stessa frase i nomi dei due bambini e il canto dell’uccello (ora, anche se separati, sono insieme).

Nel testo originale francese i due bambini sono chiamati “fratellino e sorellina”. Per capire tutto il retaggio culturale e simbolico di questa definizione, vi rimando a due miei articoli: quello su Hansel e Gretel di Susanne Janssen (il capitolo sulla simbologia dei gemelli) e quello sulla storia del binomio fratello-sorella (Seguendo le briciole nel bosco) pubblicato sulla rivista Hors cadre(s). Essere fratello e sorella nelle fiabe non è una questione genetica ma una questione archetipica: nella coppia femminile-maschile ritroviamo tutta la potenza del mito platonico sulla nascita dell’amore, la forza genitrice degli opposti, la fatica della differenziazione dall’altro (se osservate bene, nel libro Lilì e Totò vengono “generati” prima uno e poi l’altro da una ripetizione della storia. Nascono (nascono per noi nel libro) nello stesso letto e abitano la stessa casa (però non la abitano insieme, la casa è per uno, vengono partoriti dalla casa in due momenti diversi, prima uno, poi l’altro). E non è un caso se li ritroviamo uniti alla fine del primo capitolo. La coppia è stata generata, ora può generare.

Il secondo capitolo si intitola, forse non a caso: LILI’ e TOTO’ SEMINANO UN GIARDINO.

 

 

 

Segue…
Leggi la seconda parte dell’analisi

 


Fiabla-bla, di Fausta Orecchio e Olivier Douzou: il gioco delle parole

Un libro che mi sono portata via volentieri dalla Fiera di Bologna è Fiabla-bla di Orecchio Acerbo.
E’ un libro gioco. All’inizio del libro troviamo: otto frasi, di altrettante fiabe classiche, (una breve introduzione al libro ci dice che le frasi sono scappate dalle fiabe perché le fiabe sono senza pietà), dodici forme e sette colori.
Questi sono gli elementi dati e il gioco del libro è quello di combinarli in tanti modi possibili, creando strofe e situazioni dal sapore surreale. Le forme possono essere utilizzate ingrandendole o rimpicciolendole, ma senza mai alterarle.

Esempio:
la frase ” Un uovo d’oro cresceva in una gallina” diventa “una gallina cresceva in un uovo d’oro”, per poi scombinarsi di nuovo e accoppiare le sue parole con altre possibili.

Ci dimentichiamo troppo spesso delle misteriose relazioni che intercorrono tra linguaggio e mondo. Nel post di qualche giorno fa vi parlavo di come pittori e artisti abbiano cercato una forma, nei secoli, per il concetto di “realtà”. Ma che rapporto ha la realtà con il linguaggio? Nasce prima l’uovo o la gallina? (per restare in tema di uova e galline).
Il grande filosofo Parmenide, scriveva che l’Essere è il Pensiero. Cioè, tradotto, che il mondo che conosciamo e il nostro modo di conoscerlo, sono una sola cosa. Il fatto che  nelle nostre giornate ci sia un soggetto, che quel soggetto compie una o più azioni, che quelle azioni abbiano conseguenze su degli oggetti o altri soggetti, a noi sembra il funzionamento più scontato del mondo; in realtà siamo prigionieri, nel pensare le cose a questo modo, di una struttura linguistica.

In giapponese il soggetto è spesso l’ultima parte di una frase. Le frasi iniziano dal contesto, per poi analizzare i dettagli, per poi arrivare all’azione, per poi alla fine dire chi l’ha compiuta. Chissà se questo ha avuto un’influenza sull’amore dei giapponesi per i dettagli e sulla poca valorizzazione dell’io come soggetto forte all’interno della loro società. Ma è nato prima l’uovo o la gallina? E’ il linguaggio che si è adattato al nostro modus pensandi o è avvenuto il contrario? Potremo mai scappare dal linguaggio come le parole di questo libro sono scappate dalle loro fiabe?

Olivier Douzou (un grosso nome dell’illustrazione francese, attualmente direttore artistico delle edizioni Le Rouergue) ha utilizzato con maestria le forme che gli erano state date all’inizio del gioco, creando ogni volta personaggi spassosissimi. Ecco che una coda di sirena diventa un fiocco di capelli, una corona una dentiera, o un ciglio, una bocca un paio di baffi…
I bei colori puri su fondo bianco contribuiscono al ritmo da musica di banda di paese che anima tutto il libro (con un po’ di Stockhausen).

Ma cosa succede se le parole si stufano dalle regole grammaticali e vanno per conto loro? Succede che si creano situazioni esilaranti, come quella qui sotto: dove un pescatore e un Re si ritrovano sposati. Oppure succede che si inverte l’ordine del mondo: una nonna diventa giovane. O succede che si creano frasi o figure che non hanno più senso per noi (ma forse per qualcuno di un altro pianeta, sì).

Perché il mondo resti in ordine anche le parole devono essere in ordine. Ma per divertirsi, bisogna sapere che l’ordine stabilito lo si può scompigliare un po’, bistrattare, rompere, e poi aggiustare. (Gianni Rodari in questo gioco era un grande maestro, Raymond Queneau, ancora più grande).


Il gioco proposto dal ibro non è nuovo, ma è declinato bene e il libro funziona (mi sono solo un po’ persa nelle ultime pagine, dove le combinazioni sono quasi astratte). Potete provare anche voi nei vostri disegni o con i vostri bambini, usando le forme proposte o inventandone di nuove. All’interno del libro si trova la “tavola pitagorica” del gioco, potete anche ritagliarla per giocare con più facilità a comporre le vostre frasi e le vostre figure.

Fiabla-bla
Fausta Orecchio e Olivier Douzou
Un libro-gioco sulla libertà delle parole
12,75 Euro

Video intervista a B. Alemagna e J. Zabala mentre disegnano

Visto che ho trasferito il video su You Tube pubblico di nuovo il post per chi non lo avesse visto. Se volete potete condividerlo su facebook direttamente da You Tube.

16 gennaio 2011
L’estate di due anni fa, Javier Zabala aveva invitato un gruppo di illustratori nella sua casa di campagna, per una sorta di simposio intorno all’arte di illustrare che si era poi trasformato in un simposio intorno all’arte di fare la paella sul fuoco, tuffi in piscina, sieste e chiacchiere al sole… Nelle pause di questo meraviglioso farniente abbiamo, ogni tanto, disegnato. Io non ho perso l’occasione di riprendere al lavoro due grandi illustratori come Beatrice Alemagna e Javier Zabala, domandando loro cosa provavano mentre disegnavano. Ecco l’emozionanatissimo video!

Beatrice Alemagna e Javier Zabala