“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.†Paul Klee
Paul Cox, sculture alfabetiche
So che non è un bel gioco (anche se da bambina lo facevo spesso), ma immaginate per gioco di diventare ciechi. Avrete da disimparare come vedevate il mondo prima, dovrete imparare a guardare in un modo nuovo: principalmente, con le mani. Scoprirete che un tavolo di legno è caldo, un piatto di ceramica freddo, scoprirete rugosità nel muro del corridoio che vi diverranno a poco a poco familiari, e imparerete a voler bene a quelle rugosità , a considerarle come un discorso che il muro vi fa per dirvi: ora gira, ora rallenta, ora fermati, ora guardami.
Beatrice Alemagna, Storia di una goccia, Donzelli
Beatrice Alemagna, Storia corta di una goccia, Donzelli
Imparare a guardare l’arte astratta, imparare a guardare e capire la composizione di un quadro, quelle forze e resistenze che animano la superficie piatta al di là dei contenuti rappresentati e riconoscibili (una natura morta, un tavolo, una sedia) comporta lo stesso difficile, abissale, cambio di punto di vista.
Nessuno può dire con esattezza cosa prova un bambino quando guarda un’immagine, anche se la scienza, ormai, sa quantificare la sua attenzione. Ma sono sicura che il suo guardare è “tattile”, perché mi ricordo in prima persona di come le superfici delle immagini davano un piacere che potrei paragonare solo a quello del tatto.
Nell’adulto si cristallizzano delle modalità di visione affatto diverse, rispetto al bambino. Paul Valéry scriveva che noi (adulti) guardiamo più attraverso i concetti che attraverso gli occhi. Se guardassimo attraverso gli occhi, passando vicino a una casa, vedremmo un concerto di linee che si spostano, danzano e si muovono: invece vediamo solo “la casa”. Vediamo solo il concetto di casa. Cioè, non vediamo.
Per darvi un esempio di quanto sia affatto diversa la visione dell’adulto da quella del bambino, Riccardo Falcinelli, nel suo prezioso libro Guardare, pensare, progettare, neuroscienze per il design, scrive che da alcuni test è emerso che un bambino molto piccolo non sembra ancora associare il rimpicciolirsi di una persona che si allontana a un effetto prospettico: pensa che la persona si rimpicciolisca davvero!
Illustrazione di Alice, di Sir John Tenniel
Liberarsi dalle strutture abituali di percezione, per molti adulti, è un’operazione difficilissima.
Amare e capire l’arte astratta presuppone questo cambio radicale di modalità di visione. Bisogna fidarsi: lasciarsi andare al piacere di esplorare una linea come fosse un sentiero sconosciuto, o a quello di perdersi come astronauti in uno spazio vuoto, senza aggrapparsi subito al bisogno di orientarsi. Bisogna imparare a tastare l’immagine come ciechi, sentendo coi polpastrelli degli occhi che un triangolo è più freddo di un cerchio, un puntino punge, un azzurro è liscio come seta. Chi cerca forme (quella macchia lì assomiglia a…!) guardando un quadro astratto, o realizzandolo, è ancora ancorato alla modalità “concettuale” del vedere, dove le forme stanno per.
Nell’arte astratta, le forme sono esse stesse gli attori protagonisti, non rimandano ad altro (eppure, rimandano anche ad altro, toccando in noi significati molto profondi).
Aoi Huber Kono, Era inverno, edizioni Corraini
Katsumi Komagata, che insieme a Munari è stato uno dei più grandi designer capaci di portare l’eleganza delle forme astratte ai più piccoli, racconta di aver iniziato la sua carriera di illustratore per la prima infanzia proprio per riuscire a comunicare con sua figlia neonata. Le reazioni della bambina lo hanno guidato nella costruzione dei suoi libri.
Non solo le linee e le forme possono avere qualità e significati che non sono quelli più familiari, ma tutto il foglio bianco, proprio come il muro che scorrete con la mano, ha un suo linguaggio, una sua geografia (anche quando è intonso).
Nel libro Little Red Riding Hood (Cappuccetto Rosso) di Warja Lavater (1965), ogni personaggio della storia viene sostituito da una forma. I puristi dell’astratto (io inclusa) sostengono che forse non c’era neppure bisogno di dire chi era chi, per seguire, in astratto, il filo della storia di Cappuccetto Rosso.
Little Red Riding Hood, Warja Lavater (1965)
Nel libro Piccola Macchia, che porto sempre ai miei corsi come uno degli esempi più chiari di come lo spazio della doppia pagina abbia aree “sensibili”, capaci di esaltare emozioni diverse, tutta la storia è recitata da delle macchie: le loro emozioni e le loro azioni sono espressive solo grazie al punto in cui l’illustratore ha posizionato le macchie all’interno della pagina. Ad esempio, nella tavola qui sotto, Piccola Macchia è intimidita ma incuriosita allo stesso tempo dalle forme che ha incontrato sul suo cammino (molto più spavalde e sicure dei lei). Se Piccola Macchia fosse stata messa a bordo pagina sinistro, in basso, sarebbe stata intimidita e basta. In alto, è timida e, insieme, curiosa.
Piccola Macchia, Lionel de Neouanic, edizioni Giannino Stoppani
UN’APPLICAZIONE PRATICA
Ora, a chi voglia imparare ad illustrare, questi discorsi sull’astratto potrebbero sembrare un po’ troppo astratti, ma guardate cosa succede se vengono applicati a un semplice esercizio. Il lavoro è di una mia allieva di Sarmede: Elena P.
L’esercizio numero 1 chiedeva di disegnare dal vero una natura morta che lo studente poteva comporre sul tavolo davanti a lui.
L’esercizio numero 2 chiedeva di interpretare il disegno narrativamente: trasformarlo, cioè, in un’immagine capace di raccontare qualcosa (per la mia categorizzazione degli stili, andate qui). L’allieva disegnò questo:
Era grazioso, ma a tutt’e due metteva un po’ di malinconia: la tavola era forse troppo simbolica ed evocativa, più che narrativa. Le chiesi di disegnare in astratto la sensazione (non la forma, ma la sensazione) che aveva provato componendo la sua natura morta. Lei disegnò il gioco di cerchi che vedete qui sotto a destra. Era interessante, perché proponeva una dialettica tra il dentro del vaso e il fuori molto più ricca di quella del disegno dal vero: i fiori tendevano verso qualcosa di ricco.
Alla fine la sua tavola (non è finita) fu questa qui sotto, era molto soddisfatta del percorso fatto. Il fiore continuava ad essere malinconico, ma ora vedeva fuori dalla finestra altri fiori, forse più allegri. C’era una tensione. Una storia poteva cominciare…
La sintesi astratta di un’emozione ci permette talvolta di andare al sodo di quello che vogliamo dire.