Concorso Favole di la Fontaine, novembre 2009

Concorso Favole di la Fontaine, associazione Crepapelada Milano
Per chi: artisti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni.
Oggetto: due illustrazioni di due favole di Jean de la Fontaine.
Scadenza: lunedì 30 novembre 2009
Scarica qui il bando.

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Sergio Toppi, Edizioni Papel

Antonio Marinoni, o come i bambini vedono il mondo

In attesa di trovare il tempo per prepararvi il quarto post dell’epopea (!) sul plagio, e in attesa di pubblicare una lunga intervista ad Antonio Marinoni, illustratore di due gioielli quali: Velluto storia di un ladro e L’ora blu, editi dai Topipittori, pubblico alcuni disegni fatti da  Marinoni quando era bambino.
(Potete trovarne altri sul blog Ciucci, che aveva pubblicato i suoi disegni un anno fa).

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Velluto, storia di un ladro, Antonio Marinoni, Topipittori 2007

La capacità di Marinoni bambino di esprimere attraverso il disegno, a 6/7 anni, con una mano matura quanto quella di un Paul Klee adulto, il suo personale incantamento verso il mondo, lascia sconcertati. Ma il “modo” di guardare, lo riconosco, era mio alla stessa età, è di tutti i bambini. Ecco come un bambino vede il mondo, mi verrebbe da dire guardando questi disegni dove la luce si incastona tra le linee come gocce di un lampadario di cristallo. Come illustratori, bibliotecari, librai, scrittori, editori, cerchiamo di tenerlo presente: è a un pubblico così esigente che ci rivolgiamo con il nostro lavoro.

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Sedia, Antonio Marinoni all’età di 5 anni


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Interno, Antonio Marinoni all’età di 5 anni


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Corteo con i sette nani, Antonio Marinoni all’età di 6 anni (Ingrandisci l’immagine)


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Lussemburgo, Antonio Marinoni all’età di 7 anni (Ingrandisci l’immagine)


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La grande Sala, Antonio Marinoni all’età di 8 anni (Ingrandisci l’immagine)


Interno, 8 anni
Interno, Antonio Marinoni all’età di 8 anni


Un gruppo di edifici nel verde, 6 anni
Un gruppo di edifici nel verde, Antonio Marinoni all’età di 6 anni


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Una città sul fiume, Antonio Marinoni all’età di 9 anni


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Le pretendenti, Antonio Marinoni all’età di 7 anni (Ingrandisci l’immagine)

“Nell’appartamento conoscevo già tutti i nascondigli e vi facevo ritorno come in una casa in cui si è certi di trovare tutto come lo si era lasciato. Mi batteva il cuore. Trattenevo il respiro. Qui ero racchiuso nel mondo della materia. Mi diveniva straordinariamente chiaro, si accostava a me senza parole. Nello stesso modo solo chi sta per essere impiccato prende coscienza di cosa siano corda e legno. Il bambino che sta dietro la portiera diviene a sua volta qualcosa di fluttuante e bianco, uno spettro. Il tavolo da pranzo sotto il quale si è accoccolato lo trasforma nel ligneo idolo di un tempio che ha nelle gambe intagliate le quattro colonne.” (…) Da: Infanzia berlinese, di Walter Benjamin


Il plagio, parte III: il copyleft

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Torma alla seconda parte dell’articolo

IL PLAGIO NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE: il copyleft

Viviamo in un’epoca in cui, con buona probabilità, un abitante di New York stamattina ha indossato la stessa maglietta Zara che ho indosso io, si è svegliato tra le rose dello stesso copriletto IKEA che io considero “il mio preferito” e che è anche il preferito di Karen, ragazzina svedese di 20 anni appena sbarcata a Londra per studiare. Dove le strade delle più belle città europee stanno diventando a poco a poco tutte uguali, con McDonald’s sempre all’angolo. Dove milioni di lettori inseguono nello stesso istante aquiloni che volano, piangono in coro per  bambini con pigiami a righe, e vanno all’unisono dove li porta il cuore, cioè nel magazzino delle emozioni all’ingrosso, quelle capaci, per il tempo di un fiammifero, di scaldare l’attimo presente (come nella fiaba della piccola fiammiferaia, morta comunque stecchita di freddo). Pullulano prontuari d’istruzione d’uso per vivere, dove al prezzo di 12 euro e con un semplice: tu sei OK! (da ripetersi davanti allo specchio tre volte ogni mattina) ti puoi risparmiare 100 anni di psicanalisi e tremila di filosofia (a che saranno serviti poi?).

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La globalizzazione, oltre che omologare, guadagna. Mai come in quest’epoca la cultura è diventata un fenomeno di massa. Internet e televisione complici, la cultura sta diventando un ghiotto introito economico, che sottosta alle stesse leggi del mercato di qualsiasi altro oggetto, dopobarba o automobile che sia. Lobby museali e gallerie si coalizzano per lanciare mostre d’arte come se fossero concerti pop, vedi il caso di Picasso et les maîtres mostra parigina dell’anno scorso che ha registrato il “tutto prenotato” con mesi d’anticipo, anche in fasce d’orario notturne (l’ultimo giorno di mostra era rimasto un posto libero alle 3 e trenta del mattino!): i quadri esposti in mostra  erano tutti quadri normalmente visitabili, senza coda, in pieno giorno, al Louvre o al Prado o al Museo Picasso di Parigi. Fenomeni.

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Picasso et les maîtres, Parigi 2009

La globalizzazione, oltre che omologare e guadagnare, ci cambia. Il senso dell’identità di un ragazzino di 15 anni oggi, il suo senso del tempo, dello spazio personale, della privacy, sono anni luce diversi da quelli che hanno fatto della nostra adolescenza (io sono del ’71) un lungo noiosissimo silenzio intervallato solo da rari amici e buoni libri. Tutto è: urgente, impaziente, onnivoro, già visto, entusiasta, già vecchio dopo un’ora, ripetuto, citato, copiato, ispirato, assimilato, visto, linkato, letto di sfuggita, letto male ma citato lo stesso, bloggato, bannato, “vuoi diventare mio amico?”,”mi piace”, “non mi piace più”.
Internet veicola immagini, brani musicali, testi e pensieri, e li clona a una velocità stellare. Che senso ha in questo panorama parlare ancora di plagio? Eppure…

copyleft

Il simbolo di Copyleft

Nel bailamme di questa rivoluzione culturale nasce un nuovo modo di concepire il diritto d’autore: il copyleft.
Il copyleft è una nuova forma di diffusione dell’opera e delle idee che si prefigge di abolire certi ostacoli dati dal copyright, per una diffusione più veloce e libera della cultura. Caso esemplare Creative Commons, un sito che propone gratuitamente licenze attraverso le quali è possibile mettere a disposizione degli altri i prodotti delle proprie idee (in modo parziale o totale), permettendo che vengano presi, ri-elaborati, copiati, usati, etc…  con solo poche limitazioni.
Due delle più comuni limitazioni presenti in queste licenze:

  • che le opere derivate restino tutelate dalla stessa forma giuridica originale (la licenza di CC), cioè che restino libere.
  • – che l’autore e l’opera originale possano essere rintracciabili (cioè che la fonte venga citata).

Per citare due casi precursori di copyleft non possiamo non ricordare Marie Curie e la sua scelta di non brevettare il processo di isolamento del radio, al fine di favorire il progresso veloce della ricerca scientifica, o Albert Bruce Sabin, che nel 1953, scoperto il vaccino della poliomelite, decise di non brevettarlo e di non affidarlo allo sfruttamento commerciale delle grandi case farmaceutiche, cosa che permise un’economica e velocissima diffusione del vaccino, e la scomparsa della poliomelite.

Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo” Albert Bruce Sabin

MARIE_CURIEMarie Curie e il suo caso di copyleft

Il copyleft artistico, questo nuovo modo di concepire la creatività, che sembra figlio di quest’epoca, non fa che sancire e codificare una libertà che è sempre esistita. L’artista non ha sempre dato in regalo al mondo la sua opera? L’arte non è sempre stata un patrimonio comune, frutto di un lavoro collettivo di rimandi e rielaborazioni? Che senso ha l’idea di copyleft?
Per capire questo paradosso riassumiamo alcuni passaggi chiave della storia del plagio:

  • -> l’arte è un patrimonio comune.
  • -> L’autore (l’artista) è qualcuno che opera una personale (grossa o piccola) rielaborazione di questo patrimonio comune (lo chiamerò per comodità rielaboratore).
  • -> Il plagiario è qualcuno che non apporta nessuna modificazione personale ma si appropria dei vantaggi del lavoro di un altro rielaboratore.
  • -> Il copyright nasce per difendere dal plagio e dal furto la comunità (quindi per garantire la libertà dell’arte e dei suoi rielaboratori)
  • -> Nell’epoca della globalizzazione il copyright smette di difendere l’originalità del rielaboratore ma viene a servire le grandi catene industriali dell’arte (case discografiche, marchi, forme del design, etc) diventando una sorta di cane da guardia con troppi denti.
  • -> Nasce allora il copyleft per difendere l’arte dal copyright.

Sembra un paradosso! ma non lo è. Il copyleft non inficia infatti l’idea di plagio. Se una casa discografica lanciasse un cantante che ha preso un brano musicale tutelato dalla licenza CC, omettendo che il brano era sotto questa licenza e prendendosene meriti e guadagni, sarebbe plagio. Se Pincopallo facesse un libro illustrato copiando delle immagini sotto licenza CC senza più citarne la fonte o senza indicarne la licenza stessa, sarebbe plagio. Etc.

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Il logo di Creative Commons sulle Rocky Mountains in Colorado, USA. Foto presa dall’album di Jeffrey Beall

Allora a cosa serve il copyleft se tutto resta come prima? Il copyleft sembra nascere per denunciare un plagio tutto contemporaneo, cioè quello di un’arte “mercificata”, resa schiava da troppi interessi economici (il plagio, ricordiamone ancora l’etimologia, è vendita fraudolenta di un uomo libero come schiavo). Parlo qui di arte ma pensate a tutti i settori in cui il copyright diventa un cane da guardia assassino (i marchi farmaceutici ad esempio, dove il “generico” ha in questo caso il valore di una sorta di copyleft farmaceutico).
Di fronte allo spettro delle grandi lobby e delle multinazionali  che a poco a poco stanno fagocitando l’arte e il pensiero, trasformandoli in un prodotto di grande consumo (di qualità sempre più bassa), sembra rinvigorirsi il sentimento di un’arte che deve essere e restare libero patrimonio comune. Il reato del plagio non cambia, anzi, si fa peggiore.

Se in epoca classica (dove gli interessi economici non erano così globalizzati e ingenti) il plagio non comportava una condanna sociale troppo grave, oggi il plagio è doppiamente biasimevole perché incoraggia un movimento contrario alla difesa dell’arte come patrimonio comune. Il plagiatore fa dell’arte la stessa cosa che fanno le multinazionali e le lobby: la trasforma in merce per un suo interesse (spesso) biecamente economico.

Per riassumere: l’arte resta un patrimonio comune libero e prezioso a patto che:
– resti un patrimonio comune
– venga riconosciuta l’originalità inestimabile (e/o la paternità) del passaggio di elaborazione che l’individuo (o un gruppo di individui) opera su questo patrimonio comune.

Mi sembra restare immutato e attuale il pensiero di Marziale sul plagio:

(…)
e, qualora colui se ne proclami padrone,
tu dì che sono miei, e da me fatti liberti.
Se quello insiste una terza, una quarta volta a gridarlo,
svergognalo, allora, questo plagiario.

Niente di nuovo sotto il sole avrebbe detto il Qoelet?
Anche se ho peccato di grossolane semplificazioni, mi sembrava importante tracciare alcune linee storiche per definire i confini del plagio. Ora finalmente posso addentrarmi in quella stretta  lingua di terra che sta tra ispirazione e plagio, che è poi quella che ci interessa. Valentina Baldisserotto, avvocato esperto in diritto d’autore, ci preparerà anche un post sugli aspetti giuridici del plagio.


Torna alla prima parte dell’articolo…
Torma alla seconda parte dell’articolo


Un blog sulla grafica anni 50/60/70

Non ho tempo in questi giorni di preparare il terzo post sul plagio, portate pazienza ancora un po’. Intanto a tutti gli appassionati della grafica e dell’illustrazione anni 50/70  lascio questo fantastico blog: GRAINEDIT.COM (Grazie J.!)

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Esquire magazine’s mese di giugno 1955

Cliccando qui trovate un interessantissimo abbecedario fatto interamente con caratteri tipografici.


Il plagio, parte II

Torna alla prima parte dell’articolo…

E’ di Esopo, poi ripresa da Fedro, la favola della cornacchia e del pavone. Una cornacchia ruba delle piume di pavone e si adorna con esse per essere accolta tra i pavoni. I pavoni, scoperto il gioco, le strappano le piume a beccate. Umiliata la cornacchia torna dai suoi simili, ma questi la sberleffano e l’allontanano dicendole: “Se ti fossi accontentato di stare con noi e avessi sopportato ciò che la Natura ti aveva dato, né avresti subito questo affronto né proveresti la disgrazia di questo allontanamentoâ€.

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André Hellé, Le Geai Pare des Plumes du Paon (The Jackdaw and the Peacocks), Berger-Levrault, 1922

Molti secoli dopo, Jean de La Fontaine riscrive la favola e appone una chiosa:

Il est assez de geais à deux pieds comme lui,
Qui se parent souvent des dépouilles d’autrui,
Et que l’on nomme plagiaires.
Je m’en tais ; et ne veux leur causer nul ennui :

Ce ne sont pas là mes affaires.

(Oh quante son le Gazze come questa al mondo che le altrui penne si vestono, che de’ plagiari formano la casta! Potrei scaldarmi contro lor la testa, ma ciò che ho detto basta).

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Kano Tomo-nobou, Le Geai Pare des Plumes du Paon, Parigi, Stamperia di Tsoukidji-Tokio, 1894

Ma vediamo quanta strada ha fatto il termine plagio prima di vestirsi di piume di pavone.
In greco plaghios vuol dire traverso, ambiguo, sghembo (nel senso di sotterfugio). Nel diritto romano plagium indicava il delitto di colui che comprava o vendeva come schiavo una persona che sapeva invece essere libera. Plagiarius era il venditore o il compratore, quando effettuava il commercio consapevole della sua frode. Il primo riferimento al termine plagio inteso in senso moderno lo abbiamo con il poeta Marziale, nel primo secolo d.c:

Veglia, o Quinziano, sui miei versi;
se miei posso ancora chiamarli,
quelli che recita il tuo poeta:
se si dolgono della loro servitù,
fatti avanti a difenderli e a pagarne il riscatto,
e, qualora colui se ne proclami padrone,
tu dì che sono miei, e da me fatti liberti.
Se quello insiste una terza, una quarta volta a gridarlo,
svergognalo, allora, questo plagiario.

La parola plagiarius passa quindi dal campo della compravendita di schiavi a quello dell’arte, conservando però il suo senso originario. Marziale sembra indicare che l’autore ha creato l’opera per darle la libertà, mentre il plagiario, approppiandosene, la ha indebitamente assoggetta a sé, rendendola schiava.

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Nella Roma antica, un liberto era uno schiavo affrancato, ma che conservava verso il padrone un dovere di rispetto e di tributi economici.
Parodiando Marziale si può affermare che un’opera può girare liberamente per le strade della cultura come un cittadino libero, appartenere al mondo, solo a patto che le venga riconosciuto il suo valore di soggetto libero, che continui cioè ad appartenere a tutti e a nessuno.
Implicito in questa libertà, (come una forma di eleganza o buon costume) è che l’opera continui ad avere un rapporto di rispettoso tributo (economico e/o affettivo) verso chi l’ha liberata, il suo autore, e questo rispetto deve essere condiviso dalla collettività. I fruitori dell’opera devono poter individuare in essa il magnanimo gesto del suo autore, la generosità di affrancarla da sé, di liberarla e donarla al mondo. La fama di un autore è infatti il riconoscimento sociale del suo dono,  una sorta di “grazie” che i fruitori restituiscono all’autore.
Il plagiario si appropria di quel grazie in modo illecito, ingannando il fruitore e non dando niente di suo. Quello che lo motiva è l’invidia verso il successo dell’opera o l’interesse economico derivato. (Vuole vestirsi come il pavone, ma se il pavone è bello naturalmente, il plagiario invece, smascherato, fa una figura ridicola).

“se si dolgono della loro servitù,
fatti avanti a difenderli e a pagarne il riscatto”

Marziale non si lamenta per sé, per il suo orgoglio ferito, soffre per i versi stessi, per la loro libertà perduta. Trovo seducente questo connubio tra libertà e valore di un’opera.

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Marcel Duchamp, La fontana, 1917

Duemila anni di storia dell’arte permettono a Marcel Duchamp di ribaltare completamente, in modo provocatorio, il concetto di plagio. L’artista è colui che pone una firma, che dichiara: questo oggetto che prima apparteneva al patrimonio collettivo ora è mio solo perché l’ho deciso, anzi, qualsiasi oggetto, anche il più brutto, se ha la mia firma, è arte (vedi Ready-made). L’artista dunque diventa il plagiario per eccellenza.
L’idea esaltata di autore del romanticismo, che come abbiamo visto nel post precedente, apre la strada  alla nascita del copyright, arriva al paradosso. L’autarchia dell’artista è totale, egli può appropriarsi di qualsiasi cosa e farla sua, tanto che persino la Gioconda, con un piccolo ritocco, smette di essere la Gioconda di Leonardo e diventa la Gioconda di Duchamp.

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Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q, 1919

Non credo che verrebbe in mente a nessuno di accusare di plagio Duchamp per la sua Gioconda rubata, perché?
Perché non è la qualità o la quantità di oggetto rubato che misura il plagio, ma l’intenzione che sta dietro l’atto. Duchamp non vuole rubare la fama a Leonardo, spacciando per sua la Gioconda, vuole imporre un nuovo sentimento dell’arte, s-borghesizzarla. E’ esattamente in questa sottile differenza che si muove l’idea di “proprietà intellettuale”. Duchamp crea un’idea, e per farlo ruba a Leonardo la Gioconda. Ma la sua idea è di nuovo un oggetto libero. Non l’ha rubata per un interesse personale, l’ha rubata per metterla di nuovo in circolo re-inventata.

Invece Duchamp avrebbe potuto essere tranquillamente denunciato di plagio da Sapeck (Eugène Bataille), per avergli rubato l’idea della sua Gioconda che fuma la pipa, se il meno fortunato Sapeck  non fosse morto in un ospedale psichiatrico ben 28 anni prima della creazione della Giconda coi baffi di Duchamp, solo e presto dimenticato.

Sapeck
Eugène Bataille (Sapeck), Monna Lisa fumant la pipe, esposta alla mostra delle Arts Incohérents nell’ottobre del 1883, Parigi, Gallerie Vivienne

Ma, ahimè, quasi mai la storia dell’arte è un sentiero pulito.

Segue…


Il plagio, parte I

Il sottile confine tra ispirazione e plagio non smette di divertire e animare dibattiti nel mondo dell’illustrazione. Quanti di noi non hanno pronunciato almeno una volta, con gusto, le pungenti parole: “Sì, è bravo, ma copia troppo x…”.
Quest’estate nuovi casi hanno animato la scena, (leggi il dibattito ospitato dal forum delle Figuredeilibri), quello clamoroso denunciato dal blog Books By Its Cover, dove un’illustratrice inglese ha vinto un importante premio copiando il lavoro di un’altra (leggi il post), e quello più sfumato di Valerio Vidali, che ha pubblicato sul suo blog un leone troppo simile a quello di Beatrice Alemagna, la quale ha risposto sul suo blog in modo deciso, denunciando il plagio. Dai disegni  che qualche anno fa hanno riscosso il primo premio ad un concorso italiano perché la giuria era convinta che fossero di Anna Laura Cantone, al famoso reiterare di “copie troppo esplicite” dell’illustratore François Roca, il plagio è una di quelle buche da gioco dell’Oca in cui è sempre difficile non inciampare.

Roca
a sinistra, François Roca, Contes du granier, Ed Seuil 2002, a destra John W. Waterhouse, Circe invidiosa, 1892 (vedi blog Cornelius).
Roca2
a sinistra, François Roca,  A l’autre bout de la terre, Flammarion 2006, a destra N.C. Wyeth, Columbus sights the new world (particolare) 1942 (vedi blog Cornelius).

Mi astengo qui dal riprendere la discussione sulle paure legate al plagio, già sviscerata nel forum, e vi propongo invece un tuffo nel passato alla scoperta del lungo cammino che l’idea del plagio ha fatto, libera e spensierata, prima di finire sul banco degli imputati.
E’ infatti solo a partire dal romanticismo, e dalla copernicana rivoluzione del concetto di “autore”, (che vede decadere l’idea di autore come umile copista della bellezza del creato, artigiano o interprete del divino presente nel modello, e prendere campo quella dell’arte come espressione di un sentire interno) che il plagio diventa reato.
Il “copiare” si connota allora come violazione, furto, di qualcosa che è sentito come interno alla persona, unico e irripetibile. Il 14 luglio 1866, per la prima volta, il diritto d’autore compare e viene difeso dal reato di plagio nel Codice Napoleonico, (la norma resterà quasi immutata fino ai nostri giorni), e il copyright viene esteso fino a 50 anni dopo la morte dell’autore.
Sarebbe errato dire che il plagio, prima del Codice Napoleonico, non era considerato reato, ma bisogna calarsi nel diverso sentimento della “copia” che poteva avere un autore nei secoli passati, per capire fino in fondo il valore che l’opinione pubblica dava ai casi di plagio.

LA COPIA come FOTOCOPIA

Intanto non c’era la fotografia. Un committente poteva richiedere ad un artista una nuova copia di un suo quadro, e il quadro veniva rifatto, uguale identico a quello prcedente (o quasi). Oppure capitava che la riproduzione di un quadro di successo fosse affidata a bravi artigiani, solo per averne un nuovo esemplare. Qualsiasi maestro aveva a bottega studenti che copiavano pedissequamente le sue opere per anni, e poteva capitare che i primi quadri di un artista fossero delle copie del maestro da cui era stato a bottega, solo leggermente variate.
Le opere greche erano di continuo copiate, e considerate un patrimonio di libero accesso, da imitare con più destrezza possibile, spesso omettendo che la scultura riprodotta era una copia. La storia dell’arte pullula di opere gemelle di difficile attribuzione.
Inoltre un quadro o una miniatura erano quasi sempre opere collettive, a cui (a volte) l’artista incaricato poneva poi la sua firma con gli ultimi ritocchi, (quando non sopravviveva solo il nome della scuola di provenienza dell’opera).

Leonardo_Louvre
La vergine delle rocce di Lonardo Da Vinci, prima versione, dipinta tra il 1483 e il 1486, Museo del Louvre
Leonardo_Londra
La seconda versione della Vergine delle Rocce di Leonardo, 1503-1506, oggi alla National Gallery di Londra (non sono riuscita a trovare una riproduzione della terza, detta “versione Cheramy”, di attribuzione incerta, oggi in collezione privata).

L’ARTE come MODELLO

L’età ellenistica fu per secoli modello da riprodurre e imitare, poi lo fu il rinascimento per gli artisti dei secoli successivi. Raffaello come Leonardo, insieme ad altri grandi pittori, furono copiati per secoli. Ma non erano solo i secoli passati ad essere presi come modello, pittori contemporanei potevano essere imitati con somiglianze che oggi farebbero gridare allo scandalo, mentre allora venivano percepite come variazioni sul tema. Come avveniva nella musica e nella letteratura (in particolar modo nella poesia), un autore poteva prendere a prestito modelli già esistenti come basi per nuove variazioni, o inglobare intere parti di un’opera precedente.

Botticelli
Sandro Botticelli, Madonna con bambino e angelo, 1463 – 1466 c
Lippina
Madonna con bambino e angeli, Filippo Lippi, 1465

La copia era dunque il perno intorno a cui l’arte andava evolvendosi. Se casi giuridici di accusa di plagio esistevano (nel 1512 Dürer trascinò in tribunale Girolamo Francoforte e Marcantonio Raimondi con l’accusa di furto del suo monogramma), terminavano sempre con un bonario ammonimento all’usurpatore, che spesso finiva per godere di grande fama per essere riuscito a riprodurre così fedelmente l’opera di un grande maestro. Ciò nonostante (escludendo le copie identiche di quadri usate come fotocopia/riproduzione) anche nel passato bisognava che l’artista copiatore sapesse apportare all’opera qualcosa di nuovo. John Milton scriveva agli inizi del 1600 :

“Un prestito, se non viene migliorato da colui che prende in prestito, tra buoni autori è ritenuto plagiareâ€.


Tiziano
Tiziano, Venere di Urbino, 1538
goya_maja_desnuda
Goya, Maya desnuda,1800
Edouard_Manet
Manet, Olympia, 1863
PicassoPicasso, Nu couché, 1967


Segue…