Maurice Sendak e William Blake: una mia scoperta sulle fonti di “Nel paese dei mostri selvaggi”

28 Aprile, 2014

Un mio articolo apparso ieri sull’inserto domenicale de Il Sole 24ore a proposito di una scoperta che ho fatto sulle fonti di Nel paese di mostri selvaggi di Sendak.
Dopo mesi di inutili tentativi per ottenere dagli avvocati di Sendak (che detengono i diritti mondiali) il permesso di riprodurre le immagini del maestro, l’articolo è uscito lo stesso: senza le illustrazioni. Decido di postarlo sul blog corredato da tutte le immagini, e se mi devo beccare una denuncia sosterrò le mie ragioni. Studiare le fonti che hanno ispirato Sendak non sminuisce la grandezza dell’opera; al contrario, rende conto dell’immensa ricchezza culturale che permea ogni tratto e ogni riga di del suo intramontabile capolavoro.

LE FONTI ITALIANE DI SENDAK

di Anna Castagnoli
© Il Sole24ore, 27 aprile 2014
(le immagini del post sono state aggiunte da me solo per LeFiguredelibri)

Nel 2013, in occasione dei 50 anni dalla prima pubblicazione di Where the Wild Things Are, l’editore Babalibri ha chiesto a 50 illustratori italiani di reinterpretare, per una esposizione, le Creature Selvagge di Maurice Sendak.
Mi sono ritrovata, insieme ai miei colleghi, a guardare, per la prima volta con molta attenzione, quei mostri. Li conoscevo. Li avevo incontrati all’inizio della mia carriera di illustratrice; ma come avevano le zampe? E gli occhi? Chi erano esattamente? A quali fonti poteva essersi ispirato Sendak?
Durante il lavoro preparatorio per la mia tavola, ho fatto una curiosa scoperta: i mostri di Sendak hanno lontane e nobili origini proprio nella nostra terra. È possibile che ad accompagnare la genesi delle Creature Selvagge di Sendak ci fossero la Chimera di Arezzo, le fiere della Divina Commedia (la lonza, la lupa, il leone), il Minotauro e Cerbero; ma anche il classicismo e le tinte rosate di Piero della Francesca.
È vero che a seguire a ritroso l’albero genealogico di un mostro si finisce quasi sempre in terra greca o italiana, ma nel caso di Maurice Sendak, coltissimo illustratore e raffinato esegeta dell’arte, quelle citazioni non potevano essere casuali.

La divina commedia di William Blake e Where the wild things are di Maurice Sendak

Armata di entusiasmo e di una certa baldanza epistemologica, nel dicembre scorso, ho portato la mia scoperta alla Bibliothèque Nationale de France, durante due giornate di studi e colloqui dedicati al capolavoro di Sendak: Max et les maximonstres a 50 ans: réception et influence des oeuvres de Maurice Sendak en France et en Europe.
Ad avere fatto scoperte sulle fonti esegetiche del libro c’erano, con me, anche critici, psicologi, esperti di letteratura yiddish, traduttori, editori: chiudere il cerchio intorno al libro di Sendak è parsa, a chi era in sala a ascoltare, un’operazione impossibile.

L’amore di Sendak per il Rinascimento e l’arte italiana è noto, ma non mi ero accorta, fino al momento di dover ridisegnare i suoi mostri, quanto fosse presente nel libro. Penso sia proprio questo classicismo, mescolato in alchemiche dosi al segno del fumetto americano, a conferire al libro di Sendak un sapore inconfondibile: né drammatico, né allegro. Né faceto, né serio. Un’ambiguità irrisolvibile, forse alla radice dell’intramontabile successo dell’opera.
Una doppia pagina ricorda, per l’atmosfera rosata del tramonto, per la fattura della tenda da campo e per la posizione dormiente dei personaggi, Il Sogno di Costantino di Piero della Francesca. Ma in luogo del soldato dormiente, nel libro si vede un mostro dai tratti buffi, caricaturali. Un effetto che potrebbe essere comico e non lo è, ma che, al contrario, sullo sfondo epico e molto serio dell’avventura di Max, conferisce alla tavola una nota soave.

Where the wild things are di Maurice Sendak e Il sogno di Costantino di Piero della Francesca

La capra in groppa al leone, che insieme agli altri mostri dà il benvenuto a Max sull’isola, sembra una versione moderna della Chimera di Arezzo, il leone con la schiena di capra forgiato in terra etrusca nel V secolo a.C. L’ibrido mostruoso diventa, così, scomponibile: meno arcaico, più facile da addomesticare.


Nel libro incontriamo anche le fiere della Divina Commedia, probabilmente arrivate a Sendak attraverso le tavole di William Blake, il celibre illustratore inglese, che Sendak considerava il suo sommo “maestroâ€.? (L’ultimo libro di Sendak, My brother’s book, pubblicato postumo, è un dichiarato omaggio al poema Milton di Blake).
Quando ho messo a confronto alcune pagine di Where the Wild Things Are con le tavole di Blake, mi è sembrato impossibile che le citazioni non fossero un tributo all’Inferno dantesco immaginato da Blake. L’equilibrio delicato dei colori e delle pennellate di acquarello sono quasi identici. Così come il modo di disegnare le foglie, gli occhi gialli, alcuni mostri (si veda il Grifone). Ma è la composizione di alcune tavole a ricordare in modo flagrante la Divina Commedia di Blake; per esempio, quella in cui i mostri salutano (o minacciano di divorare) Max dalla riva. Anche in questo caso, è la taglia caricaturale di alcuni dettagli del corpo dei mostri sendakiani a dettare la differenza di registro.

La divina commedia di William Blake e Where the wild things are di Maurice Sendak
La divina commedia di William Blake e Where the wild things are di Maurice Sendak

La divina commedia di William Blake e Where the wild things are di Maurice Sendak
foglie di Sendak a sinistra,  di Blake a destra

Ma Sendak conosceva il testo della Divina Commedia? Sarebbe interessante scoprire quale edizione della Divina Commedia illustrata da Blake possedesse Sendak negli anni in cui preparò Where the wild things are, se ne possedesse una, e se questa contenesse il testo integrale. Blake morì prima di terminare le illustrazioni e non accompagnò le proprie tavole con i versi danteschi.
Il gesto di Max di rabbonire le Creature Selvagge fissandole negli occhi gialli mi ha ricordato quello di Virgilio quando placa magicamente le tre voraci teste di Cerbero nel VI Canto della Divina Commedia. È un caso che quel canto sia quello che accoglie i ‘golosi’, coloro che non sanno controllarsi nella qualità e quantità del cibo, proprio come Max, che vuole divorare tutti e finisce senza cena?

“Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, / e ‘l ventre largo, e unghiate le mani; / graffia li spirti ed iscoia ed isquatra†(Dante, Inferno, Canto VI).

Gli occhi delle Creature di Sendak sono gialli, non vermigli, ma pensare al viaggio di Max come un viaggio nella foresta selvaggia dell’Ade, con tanto di attraversamento dello Stige, è allettante. Un viaggio iniziatico, dove, tra le Wild Things che Max deve addomesticare, c’è anche l’idea della morte.
Il sarcofago di pietra, di rinascimentale fattura, da cui esce uno dei mostri, (che non avevo notato prima di associare l’Inferno di Blake al libro di Sendak) suffraga la sensazione sinistra che ho sempre provato osservando le immagini.

La divina commedia di William Blake e Where the wild things are di Maurice Sendak

Il viaggio di Max è un viaggio iniziatico ed epico verso le forze ctonie più oscure. Quelle ‘cose selvagge’ che, come i leoni e i draghi delle antiche mappe, vivono là dove finisce il mondo che conosciamo. Ma la barchetta su cui viaggia è di carta, così come le buffe creature che incontra, con i loro piedi grandi, i lunghi riccioli leonini, le bocche larghe, gli artigli inoffensivi. Forse Sendak voleva invitarci tutti a non avere paura di partire.

Anna Castagnoli

Where the wild things are di Maurice Sendak e lo stige de La divina commedia di William Blake
Un’immagine della biblioteca di Maurice Sendak, dal documentario della Tate dove lui parla del suo amore per  W. Blake

Potete vedere, in buona risoluzione, tutte le illustrazioni della Divina Commedia di William Blake qui