Il piccolo pompiere: un album fulminante

16 Aprile, 2014

Ricevo molti album per il blog, sempre belli o interessanti. Ogni tanto, poi, ne arriva uno che mi fa fare un salto: lo capisco dalle prime pagine, lo sfoglio con la salivazione aumentata, lo chiudo con il cuore in gola. Mi è successo ieri con Le petit pompier (Il piccolo pompiere), un libro del 1938 appena riedito da Loïc Boyer nella collezione Cligne Cligne (dall’omonimo sito) di Didier Jeunesse.

Le petit pompier, Margaret Wise Brown, Esphyr Slobodkina, Didier Jeunesse 2013

Era il 1938, Ethel e William R. Scott, due editori di New York, decisero di dar vita a una collana per bambini con un’idea inedita: associare un autore con un’esperienza nel campo della pedagogia con un pittore che non avesse mai illustrato un libro per bambini. Fu così che l’insegnante Margaret Wise Brown (che divenne poi una delle più famose e prolifiche scrittrici americane per ragazzi) e Esphyr Slobodkina, pittrice astratta di origini russe, diedero vita a questo piccolo capolavoro a collage.

Protagonisti del libro sono un pompiere grande, molto grande, e un pompiere piccolo, molto piccolo.
I due vivono in due caserme vicine, una grande e un piccola, e hanno due cuccioli di cani dalmata, uno molto grande e uno molto piccolo.
I due protagonisti e le cose che li circondano sono identici: stesso cappello, stessi stivali, stessa divisa blu, stesso furgoncino, stessa caserma; solo la misura è diversa.

Nella grande caserma, una notte, suona la campana d’allarme dolon! dolon! E subito, anche nella piccola caserma suona l’allarme: dilin-dilin!. Il grande cane abbaia: wouf-wouf!. Il piccolo, anche: ouhu-ouhu! Suoni. Ma non gli stessi.
Quest’inizio di libro è reboante: con una velocità fulminea siamo entrati in un mondo che ha leggi tutte sue, dove ci sono due mondi e nei due mondi accade allo stesso tempo la stessa cosa.


L’astrattismo geometrico e semplice delle forme, la mancanza di definizione dei visi e delle scene, rendono le tavole illustrate passive, come se le immagini fossero un corpo dormiente, un codice muto che ha bisogno del testo per essere attivato. Non si potrebbe capire quasi nulla della storia se non ci fosse il testo. Un testo rumoroso, vivace, pieno di suoni.
Solo nella loro attivazione sonora (il suono delle campane e l’abbaiare dei cani) i due mondi iniziano a separarsi, ad avere un’identità autonoma.

Il testo descrive le azioni dei due pompieri, come nei libri di stampo pedagogico dove, passo passo, si segue cosa fa il bambino. Il grande pompiere è uscito dalla sua caserma nel suo grande camion e il piccolo pompiere è uscito dalla sua caserma nel suo piccolo camion. Ding-ding-dong! Derelin-derelin! Fanno i due camion (ancora suoni diversi).

Due pagine dopo, una mappa che aiuta i due pompieri a trovare la casa in fiamme. (Sembra davvero di essere lì, leggendo il libro, di seguire l’azione precipitosa, la ricerca dell’incendio).

Ecco che, arrivati davanti alla casa, le voci dei due pompieri dicono qualcosa di diverso. Il grande pompiere dice: Ah! che bell’incendio! Il piccolo pompiere dice: Oh là là! E’ un incendio troppo grosso per me!
E’ la prima volta che i due personaggi non sono nella stessa posizione. Si sono differenziati: da adesso in poi prenderanno strade diverse, per poi ricongiungersi nel finale.

Il piccolo pompiere riparte con il suo camionicino. Un’altra mappa. Un’altra casa in fiamme: piccola piccola.
Nella piccola casa ci sono quindici donnine che gridano Aiuto! Aiuto! e saltano dalla finestra nella piccola rete che il piccolo pompiere tende loro.

Nella pagina successiva vediamo il grande pompiere che tende la grande rete perché ci saltino dentro quindici grosse signore.
In entrambe le case, infatti, c’erano quindici donnine spavenate: ovviamente, di taglia diversa.

Spenti i rispettivi incendi, i due pompieri ritornano nelle loro caserme vicine e per cena mangiano le stesse cose: il grande, una grande costoletta di agnello e un enorme gelato alla fragola, il piccolo, una piccola costoletta di agnello e un piccolo gelato alla fragola. Poi si addormentano.
Sembra finito il libro, ma c’è ancora una pagina.
I due pompieri fanno un sogno. Il grande pompiere fa un piccolissimo sogno, un sogno da nulla (lo vediamo in camicia da notte spegnere un gelato in fiamme). Il piccolo pompiere, lui, invece, fa un sogno enorme, veramente enorme! Vediamo nel suo sogno diverse azioni capovolte, come da perfetto manuale freudiano sui sogni (il pompiere che si getta nella rete e viene salvato dalle donnine), e altre scene oniriche, surreali. Un sogno agitatissimo, molto grande. Fine.
Non è bello da lacrime?

Il tema del molto-grande / molto-piccolo è un topos della letteratura per ragazzi; in questo album è trattato con una grazia meravigliosa. Notate che non viene mai detto che uno dei pompieri è un bambino e l’altro un adulto, né c’è alcuna relazione di importanza o predominanza tra i due. Come in un enunciato strutturalista, la loro identità viene definita solo dalla relazione con un terzo elemento. Pensate a come il bambino percepisce se stesso: il suo nucleo identitario non è più piccolo di quello dell’adulto per il fatto che la sua dimensione corporea è più piccola. Anzi, di solito è il contrario per via dell’onnipotenza infantile (forse il bambino che legge questo libro si identifica con entrambi i pompieri). Il messaggio finale è chiaro: non importa quanto grandi o quanto piccoli siamo, ci sono problemi di tutte le misure, l’importante è trovare la propria.

Ciò che mi fa impazzire di quest’album è che oltre al perfetto meccanismo, ritmato e preciso come un orologio svizzero, ci sono qua e là sprazzi di sogno puro: le quindici donnine (perché quindici?), il cane dalamata (perché dalmata?), il sogno finale.
Si chiude il libro con la sensazione che alle due autrici, come per caso, sia riuscita un’acrobazia perfetta.

Su questa pagina Flickr trovate altre immagini.

Le petit pompier
Margaret Wise Brown, Esphyr Slobodkina
Un pompiere grande e uno piccolo spengono due incendi
11,78

6 Risposte per “Il piccolo pompiere: un album fulminante”

  1. 1 laura38
    16 Aprile, 2014 at 11:44

    E’ bellissimo! Grazie

    (Io sapevo che i dalmata un tempo affiancavano le diligenze, non le autopompe, forse l’artista l’ha scelto perché ha un bel manto dal punto di vista visivo)

  2. 2 Anna Castagnoli
    16 Aprile, 2014 at 12:02

    O forse nel ’38 i dalamata erano a servizio dei pompieri, e nelle case c’erano sempre 15 donne :)

  3. 3 laura38
    16 Aprile, 2014 at 12:22

    Ecco, perché no! :)

  4. 4 AlmaCattleya
    16 Aprile, 2014 at 14:30

    Non so se succede ancora adesso, ma il cane dalmata è la mascotte dei pompieri a New York

  5. 5 Susanna
    17 Aprile, 2014 at 12:10

    Mi piace molto! Grazie!

  6. 6 cristina
    17 Aprile, 2014 at 15:49

    bello, trovo la scelta dei colori determinante per il risultato dell’opera.