Intervista a Gabriel Pacheco per il catalogo di Sarmede 2013

18 Novembre, 2013
Sullo sfondo l’affresco di Gabriel per Sarmede

INTERVISTA A GABRIEL PACHECO PER IL CATALOGO DELLA MOSTRA “LE IMMAGINI DELLA FANTASIA” Sarmede 2013
di
ANNA CASTAGNOLI

“Non è nello specchio che bisogna osservarsi. Uomini, guardatevi nella cartaâ€. Henri Michaux“(2)

Los cuatro amigos, Gabriel Pacheco, Kalandraka

Cinque concetti, cinque parole scelte da Gabriel Pacheco per la sua mostra a Sàrmede: la metafora, l’atmosfera e la tessitura, la macchia, l’orizzonte della realtà.

La metafora

Ci sono due livelli di lettura nelle tue immagini. Uno più superficiale, in cui la scena è facilmente riconoscibile. L’altro scava dentro l’immagine, andando in profondità. Se ci si ferma ad osservare le tue illustrazioni, si colgono infatti tanti piccoli dettagli incongrui che tu chiami metafore. È come se tu accompagnassi dolcemente il lettore verso una progressiva perdita di punti di riferimento. Lo fai entrare nell’immagine sicuro di sé, lo fai uscire incerto. È questo lo scopo di un libro? Farci perdere certezze?

Ho sempre pensato all’insieme delle illustrazioni di un libro come a un paesaggio. Ci sono sentieri ben marcati che portano in un luogo preciso, altri che si prendono per puro diletto. Un territorio immenso può dispiegarsi al lettore con ramificazioni inaspettate. Come scriveva José Saramago (3), è meraviglioso che l’atto creativo della lettura crei cammini che neppure lo stesso autore aveva immaginato: è l’immensità della scrittura. È così anche per l’illustrazione, che è una forma di scrittura. Ogni immagine, ogni parola, si concatena ai nostri ricordi e alle nostre esperienze, di lettori e di uomini, creando un infinito paesaggio da percorrere. Per questa ragione le mie immagini hanno più livelli di lettura. Sarà il lettore-pensante, in base al suo livello di esperienza, a farsi largo tra i significati e a tracciare il proprio cammino.

Uso la metafora in piccoli dettagli, sostituendo una cosa con un’altra. La mia idea di metafora è semplice: una scala smette di essere una scala se disegno un personaggio seduto sopra di essa, trasformandola così in scala-sedia, e se la scala non sostiene niente, diventa una scala-sedia-anelito, e si potrebbe andare ancora più lontano se la realizzo di carta, perché diventerebbe una scala-sedia-anelito-di carta: così fragile…

Rubare oggetti, appropriarsene e riutilizzarli per ri-significare il mondo. Un atto molto naturale.

L’uomo d’acqua e la sua Fontana, Zoo libri, Gabrile Pacheco

Come fanno i bambini?

Il gioco dei bambini è una modalità di avvicinarsi al mondo, di integrarlo attraverso regole ludiche, di ri-trasformarlo. I bambini sono specialisti nell’appropriazione e sono dei geni nella capacità di costruire mondi attraverso gli oggetti.

Non c’è una sola realtà, ma un infinito che necessita sempre di una storia per farci comprendere, finalmente, che gli oggetti non sono materia, ma istanti del tempo nello spazio, e che le cose, come le parole, oscillano.

Ora, tenendo presente questo punto di vista, la sola cosa da fare, come illustratore, è lavorare ciecamente sulla prima immagine che sorge dinnanzi al foglio bianco; cioè, sottomettersi a priori all’immaginazione, senza porsi domande, lanciandosi nello spazio vuoto. Significa sapere di non sapere: un grande monito che ci ricorda chi siamo e ci mantiene umani.

La miglior letteratura, quella che poi finisce per essere ricordata, è sempre quella che dà meno sicurezze, che semina dubbi (hai sentito parlare del Bosone di Higgs, la particella di Dio? Non è affascinante pensare che la particella di Dio, quella che si occupa di definire tutto, si trova nell’area dell’indeterminatezza?). L’incertezza ci costringe a sottometterci alla meraviglia dell’immaginazione.

Frida Kahlo, una historia posible, Gabrile Pacheco, Anaya 2010

Una volta hai detto in un’intervista: “La bellezza mi produce un’angoscia tremendaâ€. Rainer Maria Rilke scriveva “Perché il bello è solo l’inizio del tremendoâ€.(4) Perché la bellezza ti spaventa?

Continua a spaventarmi terribilmente. E sono sempre più convinto che la bellezza respinga ogni cosa. Ho sempre creduto che il godimento della bellezza fosse un atto estremamente squallido. Voglio dire che quando una persona si trova di fronte alla bellezza non ha altra possibilità che sentirsi abbandonata, nuda, abbattuta; perché qualsiasi cosa faccia, qualsiasi cosa pensi, sarà sempre insufficiente. È ancora più terribile quando si prova a fare qualcosa di bello, per non parlare poi di quando si vorrebbe fare una bella illustrazione.
Ora dico qualcosa di molto personale: le cose più belle che ho visto nella mia vita, le ho viste nella banalità delle cose comuni e quotidiane. Per questo ho deciso di rinunciare totalmente alla bellezza quando lavoro. Il bello è altrove, è nella poesia, è nelle mani della gente.


Il grande viaggio, Anna Castagnoli e Gabriel Pacheco, OQO e Logos edizioni

L’atmosfera e la tessitura

Ti sei formato all’Accademia di Belle Arti come scenografo. Sfogliando i tuoi libri mi viene da pensare che usi la doppia pagina come una scena teatrale: il sipario si apre, la luce cresce poco a poco, scolpendo gli elementi presenti, un personaggio entra in scena. La doppia pagina, come un palco, accoglie tutto: testo, emozioni, azione. Perché hai deciso di fare lo scenografo dentro un libro e non in un teatro?

Ho sempre guardato il mondo da dietro una quarta parete invisibile, ancora prima di studiare scenografia. E ho sempre immaginato che tutto quello che c’è nel mondo lo si possa leggere come un grande atto scenico. Ogni cosa, ogni fatto, è un messaggio da decifrare. In modo piuttosto inconscio ho poi cercato nell’illustrazione quello che non ho trovato nel teatro.

Quello che so è che questa modalità percettiva è diventata, anche se per caso, il mio strumento di lavoro quotidiano. Non so creare in altra forma. E lo dico con un certo disappunto, perché mi piacerebbe aprirmi ad altri registri.

Perché lavori prevalentemente in digitale?
Come farai a creare texture altrettanto “sospese e incerte†sul dipinto murale di Sàrmede?


Copertina del catalogo di Sarmede, Gabriel Pacheco

Generalmente la gente pensa che lavorando in digitale basti fare un click e si ottengono effetti pittorici. Non è così. So usare l’acquerello, l’olio, l’acrilico, e grazie a questo sono capace di creare gli stessi effetti in digitale. Il processo è lo stesso, ad eccezione dei tempi di asciugatura tra una pennellata e l’altra. Questa enorme economia di tempo mi permette di lavorare più velocemente.

Inoltre, penso che lavorare senza originali sia una condizione molto lirica. Fin da quando studiavo teatro, il senso della parola fiction mi ha sempre provocato un grande conflitto, non riuscivo a digerirla.
Fiction
(finzione) deriva dal verbo fingere e questo mi faceva sospettare una bugia di fondo. È così, in effetti. Fiction significa la mera creazione di qualcosa che non è nel mondo reale, ma cosa è reale e cosa non lo è?

Per questo mi affascina lavorare senza originali: è un gioco insolente che dice che il mio lavoro non esiste perché non c’è niente che lo provi. Non penso al mio lavoro come a una forma d’arte, io illustro libri, e ho la garanzia, lavorando digitalmente, che nessuna illustrazione sia valutata separatamente dal libro: è al libro che appartengono le mie illustrazioni.

Rispetto al dipinto murale, il problema sarà realizzarlo con la stessa intimità che ho quando sono nel mio studio, perché, a differenza di altri illustratori, mi blocco se qualcuno mi guarda. Vedremo. Sto studiando la tecnica che userò: mi piacerebbe utilizzare polvere di marmo per ottenere una texture più interessante. O forse la creerò con le pennellate.

Gabriel Pacheco, El libro de la selva, Sexto Piso 2013

La macchia

Lo scrittore francese Henri Michaux cominciò a disegnare macchie per decondizionarsi dalla scrittura. Ma è possibile decondizionarsi del tutto dalla scrittura e dal bisogno di un senso?

La macchia è come un traghettatore cieco, ci allontana dalla superficie per avvicinarci al profondo oceano che siamo. È uno specchio oscuro dentro il quale ci cerchiamo: ci può capitare di non riconoscere la persona che incontriamo.
Nell’illustrazione, la macchia, se non banalizzata in semplice cliché alla moda, è un ottimo strumento di riflessione ed esplorazione. La macchia ci aiuta a perdere il senso più immediato delle cose, quello più razionale, e ad avvicinarci a quella corrente che porta con sé i nostri ricordi e i nostri desideri: una corrente vitale e profonda che percorre incessantemente il nostro essere.

Per me la macchia è una benda che ti tappa gli occhi e ti aiuta a seguire la vena che pulsa nel polso, al di là di ogni manierismo e artificio o discorso sopra l’illustrazione.

Le tue immagini sembrano nascere tutte da un’unica macchia di grigio. Cosa rappresenta l’assenza di colore per te?

È proprio così: il grigio è la presenza di un’origine che disperde il vuoto e incorpora la luce a poco a poco. Ho sempre pensato che se Dio avesse disegnato il mondo, lo avrebbe fatto a partire dal grigio. È un pensiero molto semplice, visualizza la nostra essenza di uomini: l’idea barocca che tutto appartenga alla stessa tela, anche la più piccola piega. Rosso, blu, giallo, tutti i colori sono fili, grinze della stessa tela. Tutto appartiene al grigio. Ho sempre ammirato Caravaggio e Rembrandt per questa capacità di far apparire il colore e la forma dalla penombra.

Gabriel Pacheco, El libro de la selva, Sexto Piso, 2013

L’orizzonte della realtà

Milan Kundera aveva scritto una storia dell’orizzonte della realtà attraverso la storia della letteratura.(5 Dagli spazi infiniti del Don Chisciotte, alle mura claustrofobiche di Madame Bovary, fino alla chiusura ermetica dell’io in Kafka. Le tue illustrazioni sono molto epiche. I personaggi si misurano sempre con uno spazio smisurato. Qual è il loro orizzonte?

Per me l’orizzonte è una linea immaginaria che esiste solo se qualcuno fissa un punto e osserva il paesaggio da una certa prospettiva. Anche la linea è solo una successione di punti. Dicono che neanche noi esistiamo, che siamo solo una traccia. Un mio maestro, un regista teatrale, diceva che lo spazio non esiste, esistono solamente istanti nel tempo. Credo nella successione di infinite realtà che si sovrappongono una dopo l’altra come stanze, e cerco di esprimerlo nelle mie immagini. I miei personaggi si confrontano con uno spazio aperto, è vero, ma mi interessa altrettanto l’orizzonte chiuso che abita dentro di noi. Siamo come matrioske: uno spazio chiuso che ospita uno spazio infinito, all’infinito.

Infatti è quello che mi ha colpito quando hai illustrato il mio testo Il grande viaggio(6), la storia di un bambino che immagina di viaggiare. In tutte le illustrazioni del libro, anche quando il protagonista va dall’altra parte del mondo, il pavimento della sua stanza resta presente. L’infinito e il limite capaci di convivere.

È così.

Los miserables, Victor Hugo, Gabriel Pacheco, Teide e Anna Folqué 2012

Il modello di realtà veicolato dai media, oggi, sembra lasciare poco spazio all’immaginazione e all’indeterminato. Viviamo nell’epoca della precisione. “La realtà” è sempre un prodotto culturale dell’uomo. Pensi che il libro illustrato possa essere un antidoto a questo impoverimento del concetto contemporaneo di realtà?

Sì, il libro illustrato e la letteratura, come l’arte in generale, sono un contrappeso, un modo per modellare la realtà. Hanno un valore vitale. Credo in un libro pieno di mancanze, che possa essere completato, e che ci ricordi che anche noi siamo frammenti. Per noi che facciamo libri per bambini e adolescenti, è fondamentale intendere così il libro: abbiamo l’impegno di considerare l’immaginazione la prima e più alta forma d’intelligenza. E non si tratta di avere grandi doti o conoscenze, si tratta semplicemente di lavorare con onestà e sempre guardando all’umano. L’illustrazione è un artificio dell’essere umano, quindi un fondamento della sua natura, perché siamo esseri culturali. Rendere possibile questo sforzo verso l’immaginazione, significa dare spazio ai sogni che ci modelleranno.

Per tornare alla realtà di Sàrmede: una grande mostra, un dipinto murale, un libro sulle fiabe dal Messico, un corso di illustrazione. Ti piace come orizzonte? Per quale strada vuoi arrivarci?

Il successo a Sàrmede, a dire il vero, mi ha allontanato dalla mia realtà quotidiana di lavoro solitario nel mio studio. Non mi è facile espormi in questa misura in un luogo di lunga e comprovata tradizione del libro illustrato. Monica Monachesi ha dovuto aiutarmi a trovare il coraggio, e ancora penso di non essere pronto per una esibizione di questa portata. Però l’opportunità di analizzare il mio lavoro, metterlo in ordine, esporlo davanti ad altri, mi obbliga a prendere una certa distanza, a guardarlo in prospettiva, come se fosse un testo scritto, un manifesto su quello che ho voluto dire fino ad oggi. È importante. Chissà se ci riuscirò.

Grazie Gabriel.

Grazie a te.

(1) www.rhinoceronthe.blogspot.com.

(2) Henri Michaux citato in: Obras escogidas 1927/1984, Entre figuración y desfiguración, Claire Stoulling
(3) Cuadernos de Lanzarote (1993-1995), José Saramago, Alfaguara
(4) Le elegie Duinesi, Rainer Maria Rilke, Einaudi
(5) L’arte del romanzo, Milan Kundera, Adelphi
(6) Il grande viaggio,,Anna Castagnoli e Gabriel Pacheco

Il grande viaggio
Anna Castagnoli, Gabriel Pacheco
Un viaggio dall’altra parte del mondo
12,71 euro
Frida Kahlo: Una historia posible
Maria Baranda, Gabriel pacheco
La storia di Frida Khalo per i bambini
14,35
El libro de la selva
R. Kipling, Gabriel Pacheco
24,75 Euro
L’uomo d’acqua e la sua fontana
Ivo Rosati, Gabriel Pacheco
12,75 euro

BIOGRAFIA:

Gabriel Pacheco nasce in Messico nel 1973, dopo il diploma in scenografia all’Istituto Nazionale di Belle Arti, studia disegno e figura umana alla scuola Enap. Per caso, grazie a una richiesta della sorella che aveva bisogno di alcune illustrazioni, Gabriel Pacheco trova nel libro illustrato, soprattutto nella relazione tra immagini e parole,  la sua forma di espressione più congeniale. Illustratore colto, cura un blog(1) in cui trasmette al pubblico tutto lo spessore filosofico e letterario della sua visione della vita e dell’illustrazione. I suoi numerosissimi libri sono tradotti e pubblicati in Messico, Brasile, Stati Uniti, Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Russia, Corea e Giappone; innumerevoli i premi alla carriera, fino alla nomina all’Astrid Lindgren Memorial Award, uno dei più alti riconoscimenti internazionali. In Italia i suoi libri sono pubblicati da Zoolibri e Logos edizioni.

ps: sul blog Roba da disegnatori trovate un’altra lunga intervista a Pacheco.

Una risposta per “Intervista a Gabriel Pacheco per il catalogo di Sarmede 2013”

  1. 1 L’inferno è amico delle storie
    27 Febbraio, 2018 at 12:16

    […] Intervista a Gabriel Pacheco di Anna […]