Stili dell’illustrazione, moda e percezione: cosa è il gusto? Parte 4

29 Aprile, 2013

Leggi la prima parte (Critica di Etienne Delessert)
Leggi la seconda parte (Come funziona il concorso)
Leggi la terza parte (Arte, illustrazione, innovazione)

Sul gusto

Dal film Danton, di Andrzej Wajda, 1983

… Diamo per buono che le illustrazioni inviate a Bologna siano esteticamente e narrativamente autosufficienti e giudicabili anche senza testi. A questo punto, ai giurati e al pubblico, si presenta uno dei dilemmi che hanno fatto impazzire i filosofi di tutti i tempi e che Gita Wolf, editrice di Tara Books, una delle casa editrici più innovative del pianeta e giurata 2013 della Mostra Illustratori, ha sintetizzato con scintillante efficacia:

“Come uscire dal cerchio dei propri gusti personali? Una maniera per farlo consiste nel cercare di stabilire un contatto con persone che rispettiamo, anche se non sono come noi. Ed è qui che sono entrati in gioco i miei colleghi della giuria (…). Un ulteriore elemento di indiscusso valore era rappresentato dalla nostra appartenenza a paesi diversi… e a culture visive diverse. Come individui, quindi, cercavamo e guardavamo cose diverse e il nostro modo di vedere era estremamente differente.”

“Guardavamo cose diverse.” Questo punto è di fondamentale importanza e viene trattato ampiamente nel libro sulla percezione visiva: Guardare, Pensare, Progettare, Neuroscienze per il design, di Riccardo Falcinelli. Un libro imprescindibile per chi disegna o si occupa di immagini.

Le neuroscienze e i più recenti studi sulla percezione hanno dimostrato come il vedere/capire/interpretare un’immagine artistica (bidimensionale) sia un atto diverso da quello del guardare la realtà che ci circonda; e sempre conseguente a un’educazione culturale (dunque non istintivo e naturale).
Ad esempio, alcune tribù africane hanno avuto difficoltà a comprendere un viso in una riproduzione fotografica. Oppure, non sono state in grado di capire, nell’immagine qui sotto, il codice (occidentale) della profondità di campo dato dalla riduzione dell’animale al centro: per loro la freccia era indirizzata all’elefante.

Esperimento condotto da Wiliam Hudson. Crediti: Guardare, pensare, progettare. di R.Falcinelli

Quando gli occidentali spiegarono ai cinesi la prospettiva e gli effetti di realismo dati dalla tecnica ad olio, da poco scoperte in occidente, i cinesi definirono questi trucchi inutili e persino un po’ volgari.

A sinistra Andrea Mantegna (Italia  1431 – 1506) a destra Xu Wei (Cina 1521-1593)

Vedere e gustare un quadro, un’immagine, un’opera artistica, sentire che ci piace o che non ci piace, è il risultato di un processo culturale e neurologico insieme. Proprio come accade per il gusto dei cibi.

Crediti: Guardare, pensare, progettare. di R.Falcinelli

Noi pensiamo che certe immagini siano più facili da capire di altre, più o meno adatte ai bambini, etc. In realtà, qualsiasi immagine, dalla più figurativa alla più astratta, da quella più fotografica a quella più simbolica, è comprensibile grazie all’assimilazione dei suoi codici. Non ci sono immagini oggettivamente semplici da capire.
La comprensione di un elefante disegnato col chiaro scuro, o fotografato, non ha niente a che vedere con la comprensione di un elefante vero, perché i neuroni che si attivano nella lettura della realtà che ci circonda non sono gli stessi che si attivano guardando un’immagine piatta. Cito sempre Falcinelli:

“Gli ingenui sostenitori dell’immediatezza delle figure credono anche vero quell’adagio per cui le immagini dicano più delle parole, ma questa è una sciocchezza basata su un malinteso: non si rendono conto che siamo sempre immersi nella cultura e quello che pare immediato è solo un codice assimilato profondamente”.

Significa che la nostra cultura, la nostra età, l’epoca in cui viviamo, la nostra nazionalità, la nostra personalità, financo il nostro umore, avranno un’influenza decisiva sulle immagini che guardiamo, sulle informazioni che traiamo da esse e sul conseguente giudizio.

Adriaen von Utrecht, Natura morta con lepre e uccelli, 1646

Un esempio semplice portato da Falcinelli è questo: nella natura morta riprodotta qui sopra, un cacciatore, un bambino, uno storico dell’arte percepiranno e guarderanno cose completamente diverse. Cito Falcinelli:

“Esploriamo la scena in maniera diversa a seconda del momento della vita, delle nostre competenze, della nostra cultura, della nostra età, e dello stato emotivo del momento. Ma se guardare è un processo attivo e se il cervello deve sapere cosa cercare prima di vederlo, come si impara a vedere la prima volta? Per gradi, attraverso uno scambio continuo, fin dalla nascita, tra i dati esterni e una mente pronta a elaborarli. Esattamente come pensava Kant, la nostra sensibilità per i dati grezzi ha bisogno dell’intelletto per imprimergli un senso.”
Qui sotto avete un esempio di differenti percorsi visivi che fa l’occhio su un dato quadro in funzione delle aspettative.

Nella pratica, significa che una persona può trovare bello un quadro che voi trovate bruttissimo, e viceversa, e che litigare su questo è perfettamente inutile, perché in realtà state guardando due quadri diversi. Ognuno dei vostri due cervelli reagisce agli stessi stimoli in modo completamente differente.

Detto questo, possiamo scivolare in un relativismo totale e dire alla zia Evelina che la natura morta fatta da suo nipote è un capolavoro dell’arte per la sola ragione che lei la trova sublime? O dire a Jan Vermeer che la sua opera non è di universale bellezza perché un aborigeno australiano non ha capito minimamente l’interesse di una donna seduta alla finestra?
No. Questo significa che:
Uno: a guardare si impara. E che essendo il gusto un prodotto culturale, lo si può educare.
Due: il confronto con l’altro dovrebbe sempre avvenire nel rispetto della sua diversità di sguardo. Il bello universale non esiste.

Ecco perché generazioni diverse si scontrano sempre frontalmente: i gusti, la cultura, ciò che si ritiene giusto o sbagliato, bello o brutto, cambia ed evolve col tempo. A distanza di qualche generazione si può essere lontani come abitanti di due nazioni ai rispettivi antipodi del mondo.

Ci vuole molto tempo perché l’intuizione di un artista o l’innovazione portata da un nuovo stile venga assimilata da una cultura e diventi leggibile e comprensibile da tutti.
Ancora oggi ci sono persone che non capiscono i quadri di Picasso o di Pollock, ritenuti ormai dalla maggior parte del pubblico mondiale dei capolavori.

Io, la prima volta che ho visto un quadro di Jackson Pollock, ho riso di scherno. Oggi, a distanza di anni (e di studi) davanti ai quadri di Pollock non riesco a trattenere le lacrime per la portata universale del messaggio che veicolano. E sono sensazioni fisiche, profonde, quelle che provo, non un esercizio di mera intellettualizzazione.


In un bell’articolo di Melania Mazzucco su La Repubblica (qui,), si ricorda di come Paul Cézanne dovette scappare dall’ambiente accademico di Parigi, dove veniva disprezzato e considerato una scarpa di pittore, per isolarsi nella solitudine della sua campagna, là dove il suo sguardo e la sua mano potevano investigare liberamente una montagna amata. La investigò così bene, quella montagna, che oggi chi va a visitare quei luoghi vede prima la montagna di Cézanne, della montagna tout court.


Paul Cézanne, La montagna Sainte-Victoire, 1905

Per ritornare alla critica di Etienne Delssert

Non mi interessa decidere qui se Delessert aveva ragione o torto, se le illustrazioni dell’Annual 2012, criticate così duramente, erano realmente vacue e inutili (insieme, pare, a tutta l’illustrazione contemporanea).
Penso che in assoluto una critica così severa verso la sperimentazione di nuovi linguaggi sia improduttiva per la crescita della cultura.
E’ fisiologico che l’innovazione e la ricerca producano un pullulare di strade inutili, ma è esattamente in quel pullulare di tentativi che affonda la sua falcata la cultura, e fa un passo nuovo.

Dall’alto, da sinistra a destra: un appartamento borghese di fine ‘800, un salotto disegnato dalla scuola Bauhaus, una stampa dei primi del ‘900, La modella Twiggy, Cappuccetto Rosso di Gustave Doré (1832 – 1883), Cappuccetto Rosso di Milimbo (2012)

Etienne Delessert scrive:
Date queste immagini scarne a dei bambini normali: gireranno le pagine, per essere educati, ma non ci si ritroveranno. Si domanderanno soprattutto, chi sono questi adulti che sono furbi solo quando dirigono le banche e che, da artisti, seguono una moda rapidamente superata. (su Ricochet)
Bisogna ricordarsi che “le mode” (io le chiamerei piuttosto correnti stilistiche) non spuntano mai come funghi dal nulla.
Ogni cambiamento di stile nella storia dell’arte è sempre stato una risposta a nuove scoperte tecniche, da una parte, e nuovi bisogni sociali dall’altra. Lo stile minimalista degli arredi disegnati dalla Bauhaus, che ha spazzato via i salotti borghesi, è nato dalle nuove esigenze della società di massa, ed è stato permesso dall’invenzione delle materie plastiche (o viceversa).
Strumenti nuovi: non si può non tenere conto del fatto che l’uso del computer come strumento per disegnare sta portando un cambio di stile pari a quello che portò la scoperta, nell’arte, della camera scura (Jan Van Eyck), o, nell’illustrazione, dell’incisione su rame (Gustave Doré).

Bisogni nuovi: i bambini di oggi e quelli di domani saranno presto lontani anni luce dall’immagine sottesa al leit motive “questa illustrazione non è per bambini”. La loro tribù d’appartenenza è cambiata, i loro bisogni e i loro gusti anche. Parlano una lingua nuova. Il bombardamento di immagini (soprattutto digitali) a cui vengono sottoposti, attraverso videogiochi, lavagne L.I.M., internet, iPad, televisione – che non ha precedenti nella storia della cultura umana- li doterà di una capacità mostruosa di lettura e decodificazione delle immagini.
Forse, i bambini di domani, faranno fatica a ritrovarsi in un’illustrazione di Etienne Delessert?

Guardare, pensare, progettare
Riccardo Falcinelli
Un approccio neuroscientifico alla percezione
18,79

Ringrazio Francesca Chessa per il link all’articolo su Cézanne.