Stili dell’illustrazione, moda e percezione: cosa è il gusto? Parte 4

29 Aprile, 2013

Leggi la prima parte (Critica di Etienne Delessert)
Leggi la seconda parte (Come funziona il concorso)
Leggi la terza parte (Arte, illustrazione, innovazione)

Sul gusto

Dal film Danton, di Andrzej Wajda, 1983

… Diamo per buono che le illustrazioni inviate a Bologna siano esteticamente e narrativamente autosufficienti e giudicabili anche senza testi. A questo punto, ai giurati e al pubblico, si presenta uno dei dilemmi che hanno fatto impazzire i filosofi di tutti i tempi e che Gita Wolf, editrice di Tara Books, una delle casa editrici più innovative del pianeta e giurata 2013 della Mostra Illustratori, ha sintetizzato con scintillante efficacia:

“Come uscire dal cerchio dei propri gusti personali? Una maniera per farlo consiste nel cercare di stabilire un contatto con persone che rispettiamo, anche se non sono come noi. Ed è qui che sono entrati in gioco i miei colleghi della giuria (…). Un ulteriore elemento di indiscusso valore era rappresentato dalla nostra appartenenza a paesi diversi… e a culture visive diverse. Come individui, quindi, cercavamo e guardavamo cose diverse e il nostro modo di vedere era estremamente differente.”

“Guardavamo cose diverse.” Questo punto è di fondamentale importanza e viene trattato ampiamente nel libro sulla percezione visiva: Guardare, Pensare, Progettare, Neuroscienze per il design, di Riccardo Falcinelli. Un libro imprescindibile per chi disegna o si occupa di immagini.

Le neuroscienze e i più recenti studi sulla percezione hanno dimostrato come il vedere/capire/interpretare un’immagine artistica (bidimensionale) sia un atto diverso da quello del guardare la realtà che ci circonda; e sempre conseguente a un’educazione culturale (dunque non istintivo e naturale).
Ad esempio, alcune tribù africane hanno avuto difficoltà a comprendere un viso in una riproduzione fotografica. Oppure, non sono state in grado di capire, nell’immagine qui sotto, il codice (occidentale) della profondità di campo dato dalla riduzione dell’animale al centro: per loro la freccia era indirizzata all’elefante.

Esperimento condotto da Wiliam Hudson. Crediti: Guardare, pensare, progettare. di R.Falcinelli

Quando gli occidentali spiegarono ai cinesi la prospettiva e gli effetti di realismo dati dalla tecnica ad olio, da poco scoperte in occidente, i cinesi definirono questi trucchi inutili e persino un po’ volgari.

A sinistra Andrea Mantegna (Italia  1431 – 1506) a destra Xu Wei (Cina 1521-1593)

Vedere e gustare un quadro, un’immagine, un’opera artistica, sentire che ci piace o che non ci piace, è il risultato di un processo culturale e neurologico insieme. Proprio come accade per il gusto dei cibi.

Crediti: Guardare, pensare, progettare. di R.Falcinelli

Noi pensiamo che certe immagini siano più facili da capire di altre, più o meno adatte ai bambini, etc. In realtà, qualsiasi immagine, dalla più figurativa alla più astratta, da quella più fotografica a quella più simbolica, è comprensibile grazie all’assimilazione dei suoi codici. Non ci sono immagini oggettivamente semplici da capire.
La comprensione di un elefante disegnato col chiaro scuro, o fotografato, non ha niente a che vedere con la comprensione di un elefante vero, perché i neuroni che si attivano nella lettura della realtà che ci circonda non sono gli stessi che si attivano guardando un’immagine piatta. Cito sempre Falcinelli:

“Gli ingenui sostenitori dell’immediatezza delle figure credono anche vero quell’adagio per cui le immagini dicano più delle parole, ma questa è una sciocchezza basata su un malinteso: non si rendono conto che siamo sempre immersi nella cultura e quello che pare immediato è solo un codice assimilato profondamente”.

Significa che la nostra cultura, la nostra età, l’epoca in cui viviamo, la nostra nazionalità, la nostra personalità, financo il nostro umore, avranno un’influenza decisiva sulle immagini che guardiamo, sulle informazioni che traiamo da esse e sul conseguente giudizio.

Adriaen von Utrecht, Natura morta con lepre e uccelli, 1646

Un esempio semplice portato da Falcinelli è questo: nella natura morta riprodotta qui sopra, un cacciatore, un bambino, uno storico dell’arte percepiranno e guarderanno cose completamente diverse. Cito Falcinelli:

“Esploriamo la scena in maniera diversa a seconda del momento della vita, delle nostre competenze, della nostra cultura, della nostra età, e dello stato emotivo del momento. Ma se guardare è un processo attivo e se il cervello deve sapere cosa cercare prima di vederlo, come si impara a vedere la prima volta? Per gradi, attraverso uno scambio continuo, fin dalla nascita, tra i dati esterni e una mente pronta a elaborarli. Esattamente come pensava Kant, la nostra sensibilità per i dati grezzi ha bisogno dell’intelletto per imprimergli un senso.”
Qui sotto avete un esempio di differenti percorsi visivi che fa l’occhio su un dato quadro in funzione delle aspettative.

Nella pratica, significa che una persona può trovare bello un quadro che voi trovate bruttissimo, e viceversa, e che litigare su questo è perfettamente inutile, perché in realtà state guardando due quadri diversi. Ognuno dei vostri due cervelli reagisce agli stessi stimoli in modo completamente differente.

Detto questo, possiamo scivolare in un relativismo totale e dire alla zia Evelina che la natura morta fatta da suo nipote è un capolavoro dell’arte per la sola ragione che lei la trova sublime? O dire a Jan Vermeer che la sua opera non è di universale bellezza perché un aborigeno australiano non ha capito minimamente l’interesse di una donna seduta alla finestra?
No. Questo significa che:
Uno: a guardare si impara. E che essendo il gusto un prodotto culturale, lo si può educare.
Due: il confronto con l’altro dovrebbe sempre avvenire nel rispetto della sua diversità di sguardo. Il bello universale non esiste.

Ecco perché generazioni diverse si scontrano sempre frontalmente: i gusti, la cultura, ciò che si ritiene giusto o sbagliato, bello o brutto, cambia ed evolve col tempo. A distanza di qualche generazione si può essere lontani come abitanti di due nazioni ai rispettivi antipodi del mondo.

Ci vuole molto tempo perché l’intuizione di un artista o l’innovazione portata da un nuovo stile venga assimilata da una cultura e diventi leggibile e comprensibile da tutti.
Ancora oggi ci sono persone che non capiscono i quadri di Picasso o di Pollock, ritenuti ormai dalla maggior parte del pubblico mondiale dei capolavori.

Io, la prima volta che ho visto un quadro di Jackson Pollock, ho riso di scherno. Oggi, a distanza di anni (e di studi) davanti ai quadri di Pollock non riesco a trattenere le lacrime per la portata universale del messaggio che veicolano. E sono sensazioni fisiche, profonde, quelle che provo, non un esercizio di mera intellettualizzazione.


In un bell’articolo di Melania Mazzucco su La Repubblica (qui,), si ricorda di come Paul Cézanne dovette scappare dall’ambiente accademico di Parigi, dove veniva disprezzato e considerato una scarpa di pittore, per isolarsi nella solitudine della sua campagna, là dove il suo sguardo e la sua mano potevano investigare liberamente una montagna amata. La investigò così bene, quella montagna, che oggi chi va a visitare quei luoghi vede prima la montagna di Cézanne, della montagna tout court.


Paul Cézanne, La montagna Sainte-Victoire, 1905

Per ritornare alla critica di Etienne Delssert

Non mi interessa decidere qui se Delessert aveva ragione o torto, se le illustrazioni dell’Annual 2012, criticate così duramente, erano realmente vacue e inutili (insieme, pare, a tutta l’illustrazione contemporanea).
Penso che in assoluto una critica così severa verso la sperimentazione di nuovi linguaggi sia improduttiva per la crescita della cultura.
E’ fisiologico che l’innovazione e la ricerca producano un pullulare di strade inutili, ma è esattamente in quel pullulare di tentativi che affonda la sua falcata la cultura, e fa un passo nuovo.

Dall’alto, da sinistra a destra: un appartamento borghese di fine ‘800, un salotto disegnato dalla scuola Bauhaus, una stampa dei primi del ‘900, La modella Twiggy, Cappuccetto Rosso di Gustave Doré (1832 – 1883), Cappuccetto Rosso di Milimbo (2012)

Etienne Delessert scrive:
Date queste immagini scarne a dei bambini normali: gireranno le pagine, per essere educati, ma non ci si ritroveranno. Si domanderanno soprattutto, chi sono questi adulti che sono furbi solo quando dirigono le banche e che, da artisti, seguono una moda rapidamente superata. (su Ricochet)
Bisogna ricordarsi che “le mode” (io le chiamerei piuttosto correnti stilistiche) non spuntano mai come funghi dal nulla.
Ogni cambiamento di stile nella storia dell’arte è sempre stato una risposta a nuove scoperte tecniche, da una parte, e nuovi bisogni sociali dall’altra. Lo stile minimalista degli arredi disegnati dalla Bauhaus, che ha spazzato via i salotti borghesi, è nato dalle nuove esigenze della società di massa, ed è stato permesso dall’invenzione delle materie plastiche (o viceversa).
Strumenti nuovi: non si può non tenere conto del fatto che l’uso del computer come strumento per disegnare sta portando un cambio di stile pari a quello che portò la scoperta, nell’arte, della camera scura (Jan Van Eyck), o, nell’illustrazione, dell’incisione su rame (Gustave Doré).

Bisogni nuovi: i bambini di oggi e quelli di domani saranno presto lontani anni luce dall’immagine sottesa al leit motive “questa illustrazione non è per bambini”. La loro tribù d’appartenenza è cambiata, i loro bisogni e i loro gusti anche. Parlano una lingua nuova. Il bombardamento di immagini (soprattutto digitali) a cui vengono sottoposti, attraverso videogiochi, lavagne L.I.M., internet, iPad, televisione – che non ha precedenti nella storia della cultura umana- li doterà di una capacità mostruosa di lettura e decodificazione delle immagini.
Forse, i bambini di domani, faranno fatica a ritrovarsi in un’illustrazione di Etienne Delessert?

Guardare, pensare, progettare
Riccardo Falcinelli
Un approccio neuroscientifico alla percezione
18,79

Ringrazio Francesca Chessa per il link all’articolo su Cézanne.

51 Risposte per “Stili dell’illustrazione, moda e percezione: cosa è il gusto? Parte 4”

  1. 1 AlmaCattleya
    29 Aprile, 2013 at 7:01

    Devo ammettere che alcune di queste cose le ignoravo forse perché le ritenevo scontate.
    Aiutando una mia amica a gestire una galleria, mi rendo conto di quanto io trovi immediato molte (non tutte credo) immagini rispetto ad altre persone che entrano per la prima volta o quasi in una galleria.
    A volte c’è bisogno di essere guidati nella lettura di un’immagine. Mi viene in mente un disegno realizzato per far capire cosa voglia dire essere dislessico (cosa poi della quale sono stata da bambina) a chi non lo è. L’immagine è confusa, di bassa risoluzione e nessuno riesce a “leggere” l’immagine. Solo grazie attraverso una guida, le persone riescono a leggere in quell’immagine una figura animale e dopo la riescono a leggere anche senza quella guida (ovvero la stessa immagine con le linee che fanno capire il profilo dell’animale)
    Detto questo, grazie per il post.

  2. 2 lucia
    29 Aprile, 2013 at 8:49

    La mia continua critica negativa nel vedere la mostra di Bologna da un pò di anni a questa parte, non è dovuta al fatto che ” non sono lavori per bambini e non potranno capirli”, ci mancherebbe, è che esprimono spesso tristezza e malinconia . è questo che mi stupisce non la tavola scarna. Si può anche, con pochi elementi, rendere l’immagine gioiosa e giocosa.. tutto qua… oltretutto Munari insegna.

  3. 3 Anna Castagnoli
    29 Aprile, 2013 at 10:49

    Lucia, è interessante quello che dici. Ma perché i sentimenti negativi (tristezza, malinconia, paura) non dovrebbero avere spazio nell’illustrazione per ragazzi? (sto preparando un post proprio su questo tema e mi interessano molto le vostre opinioni).

  4. 4 Andrea
    29 Aprile, 2013 at 13:21

    Riguardo il tuo ultimo post Anna (ti do del tu per comodità):
    in un albo per bambini credo sia fondamentale non escludere sentimenti ed emozioni negative. Sarebbe come edulcorare tutto ed è sbagliato.
    Un bambino cresce non solo di risate ma anche con la rabbia, il pianto e tanti altri sentimenti ma il percorso di “conoscenza” o meglio metabolizzazione credo debba essere fatta a “regola d’arte”. Non basta disegnare un bimbo arrabbiato. Lo stile scarno ci può anche essere ma la comunicazione dell’immagine e quindi anche delle emozioni è fondamentale.
    Spesso in una tavola il non detto/ non visto pesa di più di quello che si vede.

  5. 5 Alessandro
    29 Aprile, 2013 at 13:46

    Bellissima serie di articoli, con riflessioni che meriterebbero spazi più consoni e più ampi.
    Al di là dell’annosa questione se le illustrazioni per bambini possano piacere ai bambini oppure no, il nodo cruciale è che le vecchie generazioni di illustratori non stanno capendo cosa stia avvenendo, del come il mestiere di illustratore stia cambiando e stia, finalmente, sporcandosi e intrecciandosi con altre discipline come il graphic design o la street art, per citarne giusto due.
    Siamo in un periodo di transizione e conviene osservare per capire cosa succederà.
    In ogni caso conviene sempre tifare per l’avanguardia, per il nuovo, per il diverso.
    E lasciare brontolare chi spinge per la conservazione.
    Sennò che artisti saremmo?

  6. 6 lucia
    29 Aprile, 2013 at 13:53

    No, questo no. Ma pensando al mio “mito” Kveta Pacovska, per quanto riguarda all’illustrazione “minimale”, non capisco perchè tutto il suo insegnamento di follia, energia, gioiosità e scherno non li vedo più in proposte, in logica, evolutive… e anche quando propone situazioni tristi e malanconiche ,hanno sempre una esplosione energetica.

  7. 7 lucia
    29 Aprile, 2013 at 13:54

    (rispondevo ad Anna)

  8. 8 Lisa Massei
    29 Aprile, 2013 at 18:07

    Secondo me l’illustrazione, come l’arte, esprime il sentire dei tempi in cui viene concepita. Quindi se c’è molta tristezza (anche se a me non sembra sempre così) nelle illustrazioni contemporanee, forse vuol dire che è un sentimento diffuso e che anche i bambini non ne sono esclusi. Rapportarsi con emozioni ritenute negative, secondo me è importantissimo per un bambino, con un lieto fine che incoraggi, che aiuti a superarle, ovviamente è meglio.

  9. 9 massimiliano
    29 Aprile, 2013 at 18:43

    salve Anna
    post bellissimo!
    (ovviamente parlo di tutte e 4 le parti in cui è spezzettato).
    non mi convince solo l’ultima parte: “i bambini di domani, faranno fatica a ritrovarsi in un’illustrazione di Etienne Delessert?”.
    in fondo il giudizio su michelangelo, bruegel, caravaggio non è cambiato in tanti secoli.

  10. 10 Anna Castagnoli
    29 Aprile, 2013 at 19:11

    per Massimiliano: era una provocazione :) Hai ragione che il bello resta bello a lungo (quando è molto bello). Ma bisogna anche dire che Michelangelo, Bruegel, Caravaggio sono relativamente recenti: sono sicura che a tutti noi verrebbe un coccolo nel visitare una piazza greca, quando le statue (le stesse che, sbiancate dal tempo, hanno contribuito a creare la falsa idea di una “classicità armonica”) erano dipinte di colori vivissimi, con belletti al viso, occhi dipinti, ciglia e capelli finti, per farle sembrare vere.
    Magari tra qualche centinaio d’anni la pittura (illustrazione) figurativa farà lo stesso effetto?

    Io ho fatto esperimenti coi miei nipoti (dai 5 agli 8 anni; sanno usare il computer e giocano ai videogochi) facendoli giocare sul mio muro Pinterest a scegliere le immagini per le mie cartelle. Sono rimasta basita perché avevano una netta preferenza per le immagini astratte, concettuali, e per le texture colorate, e saltavano come se non le vedessero molte illustrazioni che io reputavo bellissime (tipo Sendak, Richard Scarry) etc.

    Lucia: capisco quello che vuoi dire. Ma di Munari mi vengono in mente cose anche molto serie, graficamente fredde. Io lavorando coi bambini mi sono ricreduta su tante cose (basta non avere pregiudizi e non pensare che quello che pensiamo noi sia vero in assoluto). Non c’è un solo bambino che sia uguale all’altro, e la maggior parte delle volte amano e schifano immagini con criteri per noi assolutamente inaspettati.
    Ne ho conosciuto uno che non amava le facce bianche, anche se l’illustrazione intorno era coloratissima.
    Un altro che sembrava aver paura dello stile fotografico (molto dettagliato). Un altro non amava tutto quello che era solo in bianco e nero, ma il suo vicino sì.
    Insomma. Non esistono secondo me “i bambini”. Esistono persone con i loro gusti in evoluzione, come tra gli adulti.

  11. 11 lucia
    29 Aprile, 2013 at 19:23

    quindi secondo te gli illustratori propongono immagini in evoluzione per i giovani umani? oppure sono loro che cercano personalmente una via alla evoluzione espressiva?.. Insomma , alla fine della fiera, chi illustra è egoisticamente evolutivo oppure è rivolto sinceramente a chi si propone (i bambini-ragazzi) immergendosi nelle varie realtà?

  12. 12 Anna Castagnoli
    29 Aprile, 2013 at 19:41

    Il panorama della Mostra è vastissimo. Ci sono illustratori provenienti da tutto il mondo, molte delle immagini sono tratte da libri che sono stati editi (quindi che hanno avuto l’avvallo degli editori che li hanno pubblicati), non so proprio rispondere a questa domanda.

    Io credo che nessuno governi con fredda cognizione di causa l’evolversi di uno stile. Tanti fattori diversi che confluiscono in una moda, o corrente, che alcuni imitano, altri disdegnano, con poi alcune perle che escono dal mucchio…

    La storia insegna che là dove la ricerca e l’innovazione sono state incoraggiate (invece che boicottate o ignorate o temute) sono usciti artisti, pensatori e opere eccellenti in misura esponenzialmente più grande.

  13. 13 francesca ferri
    29 Aprile, 2013 at 20:27

    grazie per aver dato finalmente un senso a quel “pullulare di tentativi” che spesso mi infastidisce, mi annoia e che quando è mio mi delude. Per ciò che riguarda la polemica sulle illustrazioni adatte o meno ai bambini vorrei dirti il mio parere: in passato anche io ho espresso alcune riserve. Non mi piace mettere limiti in genere e nemmeno nelle scelte stilistiche , ma ho capito che ciò che superficialmente anche io chiamavo tristezza o malinconia in realtà sia una sorta di spleen, di nostalgia di un adulto che ricorda il bambino che non è più. Questo sentimento di perdita dell’infanzia che si fonde e confonde con il ricordo dell’infanzia stessa è melenso. Quindi seppur la chiave stilistica osa, il significato è noioso melenso e tristarello come il rimpianto di un adulto.

  14. 14 Anna Castagnoli
    29 Aprile, 2013 at 20:59

    Francesca sono d’accordo, anzi vado più in là e dico che per me è melenso qualsiasi sentimento/immagine pensato espressamente “per i bambini”, quando l’adulto che lo pensa, ricorda, invece di vivere in prima persona e nell’attualità quel sentimento.

  15. 15 lucia
    29 Aprile, 2013 at 21:07

    non sono comunque convinta che la mostra rifletta l’innovazione e la ricerca-

    ci scommetto che se prendiamo illustrazioni della mostra nei vari periodi dei 50 anni e le mischiamo come carte da gioco estraendone a caso alcune, non capiamo in che periodo sono collocate e avremo delle sorprese..

  16. 16 Nicky
    30 Aprile, 2013 at 8:51

    Anna, volevo farti solo i miei complimenti per questa serie di post..
    Mi hai aperto a innumerevoli riflessioni (come sempre..) :)

  17. 17 Alessandro
    30 Aprile, 2013 at 12:52

    Per capire se le illustrazioni selezionate sono state scelte bene, bisognerebbe sapere quanti degli illustratori vengono poi chiamati a fare libri per l’infanzia e quanto vendono poi i loro libri.
    Perché un conto è il gusto della giuria e quello degli editori, e un conto quello del “piccolo” pubblico.
    Invece, su Art Brut e tristezza, credo che un po’ di ragione l’abbia Delessert, ma non saranno certo le sue illustrazioni a darci una risposta per il futuro (magari per il passato).
    La tristezza nelle illustrazioni è dovuta al fatto che l’artista guarda il suo ombelico e non è capace di guardare ciò che ha attorno e sentirsi parte di un mondo da condividere. Ma non so se sia un problema o semplicemente un cambiamento di punto di vista…

  18. 18 monica vannucchi
    30 Aprile, 2013 at 15:26

    Arrivo un po’ tardi? diciasette commenti, caspita; ma i tuoi articoli sono proprio ben fatti (nel senso di pensati, scritti e illustrati) che uno non può rimanere indifferente se passa di qua.
    La mostra di bologna non l’ho mai vista anche se lo desidero da anni, ma il discorso sui bambini mi interessa dal punto di vista di un educatore che utilizza un linguaggio artistico diverso, come quello della danza. E le riflessioni sul senso del bello, sull’evoluzione del gusto, sono ampliabili a tutti i settori artistici. Quello che apprezzo di te è che ti documenti e sei molto corretta ed equilibrata nei giudizi, perciò davvero offri spunti profondi. Mi piacerebbe essere altrettanto brava, grazie. m.

  19. 19 maddalena sodo
    1 Maggio, 2013 at 11:53

    Davvero bellissimo questo articolo Anna, l’esempio della natura morta, in cui ognuno percepisce cose differenti è davvero esplicita. Ho un esempio capitatomi due giorni fa e che mi ha fatto pensare proprio al tuo blog e a questi argomenti che stai trattando: mio figlio stava guardando e ascoltando sull’Ipad una ninna nanna accompagnata dalle immagini di un gufetto che, arrivata la sera, guarda le stelle; una di quelle stelline scende e iniziano a giocare e ballare insieme sulle note della ninna nanna, poi finita la musica si salutano e la stellina se ne va.. Sicuramente chi ha fatto quella app aveva l’intenzione di rilassare il bambino e di farlo rasserenare, per conciliargli il sonno credo, è una ninna nanna..Mio figlio è scoppiato in un pianto a dirotto…e continuava a dirmi che il gufetto era triste..e nonostante io cercassi di tranquillizzarlo che poi il gufo e la stella si rivedono tutte le volte che vogliono, lui mi ha detto: si mamma ma tu non lo hai visto, il gufo era triste mentre la lasciava andare. Insomma quel che voglio dire è che probabilmente un altro bambino, guardando e ascoltando si sarà divertito e avrà sorriso, invece Riccardo è scoppiato a piangere e si è rattristato. Questo a dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, di come nell’arte sia davvero tutto molto soggettivo e qualunque giudizio o parere generalizzante è sbagliato, per il fatto stesso di essere appunto “totalizzante”. Come sempre sono lunghissima :)
    Un saluto

  20. 20 maddalena sodo
    1 Maggio, 2013 at 12:05

    @ Alessandro sono d’accordo con te e in più dico anche che bisogna anche vedere quante volte i bambini poi riprendono quei libri (che spesso comprano i genitori , amanti dell’illustrazione anche loro). Io ti riporto la mia semplice esperienza: quando compro un libro illustrato lo faccio a volte perchè piace a mio figlio, altre volte perchè piace a me. Quando entra in casa un libro nuovo il bambino ne vien attratto all’inizio indipendentemente dal tipo di illustrazione, è una cosa nuova e in quanto tale crea curiosità. Quindi aggiungo che non fa fede dire che un libro piace ai bambini perchè è piaciuto tanto nel momento in cui lo si è regalato o in un laboratorio con bambini: se lo si presenta in un laboratorio divertente, con l’illustratore che lo legge e lo mima…anche se sul libro ci fossero disegnate le cose più inutili del mondo, in quel momento in quel contesto, è tutto divertente, perchè la presentazione, l’aria di festa la presenza di tanti bambini rende il tutto differente. Tutto cambia invece a casa: ci sono 50 libri sul tavolino “dei piccoli” come lo chiama il mio bambino…alcuni , comprati da me per mio solo desiderio, il bambino dopo averli sfogliati la prima volta, lui di sua iniziativa non li riprende perchè in realtà non gli piacciono. Quindi è molto complesso..poi si ritorna al tema del gusto personale…e il cerchio si richiude. Penso che sia come il cane che si morde la coda :D

  21. 21 Anna Castagnoli
    1 Maggio, 2013 at 14:35

    Grazie a tutti per i commenti.
    Interessante Maddalena quello che dici sul fatto che il bambino acetta qualcosa che di primo acchito forse non gli sarebbe piaciuto se intorno c’è festa e interesse a farlgielo piacere.

    Un’editrice francese (ex Seuil), riguardo all’eterno dibattito “quali libri piacciono ai bambini”, una volta, in un’intervista ha detto: “se ai bambini si lasciasse scegliere cosa mangiare, forse chiederebbero ogni giorno hamburger con le patatine fritte”.
    Molti genitori si inventano di tutto per riuscire a far mangiare ai pargoli piselli e spinaci. Frullano, tritano, fanno faccine nella purea, si improvvisano piloti di areoplani….
    Però quando si tratta di immagini e libri, zac, la loro fantasia si arresta.
    Io ho sempre notato che si arresta quando il genitore (o il libraio, o il bibliotecario) non capisce l’immagine, non la sa interpretare.

    Un esempio. Ero in una libreria pugliese per un laboratorio coi bambini su: L’incredibile storia del bambino terribile (ilustrato da Susanne Janssen).
    http://www.youtube.com/watch?v=f8eOb5WZk9g
    Il libraio legge con passione recitativa la storia, i bambini sono affascinati e seguono con attenzione le immagini sulle pagine che si girano. Il libraio finisce, siamo pronti a partire coi disegni ma la libraia (moglie del libraio) interviene con una domanda: come scritttrice, cosa ha provato quando ha visto il libro illustrato con immagini così brutte? Perché sono brutte, vero bambini?
    Lo riporto testualmente.
    (Una cretina oltretutto, perché se poteva vendere qualche copia ai genitori presenti, non era certo quello il modo).
    Notate la manipolazione nella domanda. Non ha chiesto ai bambini di dire se erano piaciute loro le immagini, ma di confermare che fossero brutte come lei pensava. Infatti i bambini (che sono difficilmente manipolabili) erano molto a disagio e non sapevano cosa dire.
    Poi ci siamo messi a disegnare libere interpretazioni della storia, e ci ho messo tutta la mia buona volontà per convincerli che potevano disegnare come più piaceva loro, senza farsi dire ogni secondo se era giusto o sbagliato un colore, o una linea (6-8 anni), avevo l’impressioen che fossero abituati a disegnare con gli stancil, tanto erano rigidi e spaventati di sbagliare. Poi si sono un po’ sciolti e hanno fatto cose abbastanza originali.

    Se non ci fossi stata io, la libraia avrebbe sicuramente concluso che le illustrazioni della Janssen non erano adatte ai bambini.

  22. 22 Alessandro
    1 Maggio, 2013 at 16:55

    @ Maddalena
    In fondo il gusto dei bambini è come il gusto dei grandi: ognuno è attratto da ciò che gli piace. E poi, i cartoni animati ne sono un esempio, il valore dell’illustrazione in sé non esiste a prescindere dalla sua funzione in relazione alla storia, al ritmo, all’oggetto libro.
    Ad esempio, mia figlia adora “Piccolo Blu e Piccolo Giallo” di Lionni, in cui tutto è pura astrazione ed è necessario un esercizio di fantasia.
    La libraia di cui racconta Anna lo schiferebbe probabilmente…

  23. 23 elillisa
    2 Maggio, 2013 at 10:07

    Ussignùr! La libraia di cui racconta Anna è così grottesca che pare finta.

    Leggo e rileggo da giorni questi quattro post (di cui anch’io ti ringrazio Anna): mi hanno fatto riflettere ulteriormente e mi hanno dato molti input per approfondire (ho già ordinato il libro di Falcinelli).

    Prendo spunto proprio dall’ultimo racconto di Anna, o meglio dal libro della Janssen, per dire due cose anch’io.
    Durante le letture in biblioteca ho notato come, quasi sempre, “L’incredibile storia del bambino terribile e della bambina uccello” piaccia moltissimo ai bambini e invece lasci alcuni genitori un po’ perplessi (“le immagini non sono un po’ troppo forti?” “Che disegni inquietanti” sono le affermazioni più frequenti).
    Io all’oggi personalmente credo che quel libro potesse essere illustrato solamente in quella maniera e che i bambini percepiscano immediatamente (attraverso il testo e QUELLE illustrazioni) la solitudine del bambino terribile, la delicatezza della bambina uccello, la struggente ricerca di “che cos’è l’amore”.
    D’altro canto di natura cerco sempre di dare un significato ad alcuni comportamenti strambi degli esseri umani e quindi mi sono chiesta (e continuo a chiedermi) se io, come genitore, sarei riuscita ad apprezzare quelle illustrazioni se non avessi avuto in questi anni la possibilità di approfondire un poco (pochissimo eh?!? ritengo che il mio sia un livello base) il mondo dell’illustrazione per l’infanzia. Sarò sincera: la risposta è “molto probabilmente no”. Quindi confermo, come hanno già fatto molti altri nei vari commenti, che per me il gusto personale è un’insieme in continua evoluzione che comprende una parte legata al nostro essere e alla nostra indole (abbiano un carattere e un’anima e siamo attratti da alcune cose) e una parte legata al nostro intelletto che si informa, studia, è guidato (e ci permette di apprezzarne altre, di cose). Le due parti a lungo andare si fondono così quello che all’inizio è stato capito con la testa, alla fine viene subito riconosciuto ed amato di pancia (almeno così capita a me).

    La cosa che mi meraviglia ogni volta è come spessissimo i bambini riescano,a modo loro, ad apprezzare immagini che a me hanno richiesto approfondimento e studio. Abbiamo disimparato qualcosa diventando adulti? Ho avuto solo a che fare con bambini molto dotati? Sono io che di base sono una ciofeca? Mah, probabilmente la terza.
    Ci penserò su.

    Intanto, grazie ancora per questa serie di post.

  24. 24 lucia
    2 Maggio, 2013 at 11:30

    è vero! questo post sono sempre utili e interessanti anche per delle rompiscatole brontolone come me:))

  25. 25 Anna Castagnoli
    2 Maggio, 2013 at 11:58

    Per Lucia: ma le conversazioni che seguono non sarebbero altrettanto interessanti senza delle rompiscatole carine come te :)
    Per Elilisa: ti rispondo più tardi.

  26. 26 Anna Castagnoli
    2 Maggio, 2013 at 19:05

    “Abbiamo disimparato qualcosa diventando adulti? Ho avuto solo a che fare con bambini molto dotati? (Elilisa)”

    Una cosa che ho notato in vari laboratori con adulti e bambini è che gli adulti di solito sono più fifoni dei bambini. Temi forti come l’amore, la morte, l’odio, la sessualità, sono tabù per gli adulti, ma non per i bambini, che non avendo alcun preconcetto sono curiosi di tutto, e ritrovano nelle emozioni forti (disegnate, o raccontate)le stesse emozioni che vivono loro, emozioni che hanno una gamma di intensità (questo gli adulti se lo dimenticano facilmente quando idealizzano l’infanzia) fortissima.
    Una volta Winnicott provando a spiegare a un adulto come “sentono” i bambini usò questo esempio: un bambino è tutti i giorni, nel suo quotidiano, come un adulto in fase acuta di innamoramento.

  27. 27 elillisa
    2 Maggio, 2013 at 19:47

    Durante una mia fase acuta di innamoramento ho suonato a tutti i campanelli degli ultimi piani dei palazzi del centro di Padova per chiedere se mi avessero fatto salire sul tetto per un aperitivo romantico con il mio innamorato.

    Essere bambini è pazzesco.

  28. 28 elillisa
    3 Maggio, 2013 at 0:13

    Ma come ho scritto???
    Anacoluto, mon amour…

  29. 29 Anna Castagnoli
    3 Maggio, 2013 at 7:11

    Che bella immagine Elilisa.
    Io mi ero arrampicata, con l’aiuto di un barista, su da una grondaia per due piani di casa, per entrare, munita di vassoio con croissant e caffè, da una finestrella sul retro della casa e portargli la colazione. 16 anni

    Essere bambini è pazzesco.

  30. 30 maddalena sodo
    3 Maggio, 2013 at 8:15

    Condivido in pieno quanto detto da Elillisa, che siamo il frutto del nostro carattere unito alla conoscenza che abbiamo delle cose e come sempre accade è difficile apprezzare ciò che non conosciamo. L’ho vissuto su me stessa in questi anni in cui mi sono avvicinata un pochino al mondo dell’illustrazione. Credo che agli adulti “nuoccia” molto il fatto che crescendo devono “perfettamente inserirsi” nel constesto sociale, questo fa si che gli adulti imparino ad eliminare o aggiungere cose che gli consentono appunto di inserirsi nel constesto e di essere accettato. Infatti, anche nel bambino “l’adeguamento” inizia nel momento in cui lui vuole inserirsi nel gruppo e vuole essere come gli altri..per cui tenderà ad avere (nella maggior parte dei casi) un comportamente “omogeneo” che si riflette anche nei disegni (il sole si fa con i raggi ecc ecc). L’adulto non dà al proprio figlio il libro del Bambino terribile perchè pensa che quelle immagini non corrispondano a immagini “adatte a bambini”, perchè nel tempo ha acquisito dei dati: colore rosso, linee spezzate, colore nero, immagini dure= cosa che fa agitare gli animi…per cui non adatto al bambino. Questo concetto spesso è assimilato involontariamente e crediamo che al bambino serva un gufetto e una stellina che ballano sulle note di una ninna nanna (mi riferisco all’esempio che ho fatto in precedenza)…per poi rendersi conto (come ho descritto prima) che un bambino invece può scoppiare in lacrime e rimanere turbato da un gufo e una stellina che danzano…e semmai invece apprezzare le “immagini dure” del bambino terribile. D’altronde quando gioco con mio figlio e fingiamo di essere altro…lui dice: mamma giochiamo che io sono il mostro e ti inseguo..ahahahha…Poi, come è stato detto, ogni bambino è diverso da un altro: ho un nipotino che disegna sempre draghi e principesse…mio figlio invece continua a dirmi che il lupo non ha braccia e non parla, per cui, secondo lui chi ha scritto la storia di cappuccetto rosso ha fatto un errore :)

  31. 31 paolo
    3 Maggio, 2013 at 10:35

    @ Alessandro: anche se con qualche giorno di ritardo, una parziale, parzialissima risposta alla tua domanda – «Per capire se le illustrazioni selezionate sono state scelte bene, bisognerebbe sapere quanti degli illustratori vengono poi chiamati a fare libri per l’infanzia e quanto vendono poi i loro libri.» – puoi trovarla nel post di oggi sul nostro blog
    http://topipittori.blogspot.it/2013/05/opere-prime.html
    Certamente non rappresentiamo un campione statisticamente non distorto ed efficiente, ma…
    Un caveat, però: il libro per ragazzi più venduto in questo momento è Peppa Pig. E Rosellina Archinto dice sempre che se avesse guardato solo ai numeri, avrebbe smesso di fare l’editore dopo cinque anni. Questo non significa che l’editore non debba guardare i numeri (sarebbe un pazzo se non lo facesse), ma che certamente non sono i numeri a dominarne le scelte (così come non dovrebbero dominare le scelte dei lettori e dei mediatori).

  32. 32 Alessandro
    3 Maggio, 2013 at 14:00

    @ Paolo grazie per la risposta.
    In effetti le vendite non devono essere la misura e per quanto mi piaccia Peppa Pig, amo la diversità e le varie nicchie offerte dalla piccola e media editoria, anzi non saprei farne a meno.
    Però un po’ di dubbi a guardare la mostra illustratori viene: è come se si facesse esercizio di stile e per giunta, sempre con lo stesso stile ;)
    Quindi sapere se poi gli illustratori selezionati riescono a farsi strada sul mercato (sia editoriale che di altro tipo) sarebbe un buon indicatore per capire se la mostra sia utile dal punto di vista strettamente professionale.
    Interessante l’articolo sul blog di Topipittori, anche per l’attenzione alla Mostra di Bologna “essere una selezione pregiata di talenti” e allo scouting che nel nostro paese, in relazione agli illustratori, non viene fatto molto e provoca la quantità di materiale che gli illustratori emergenti spammano un po’ dovunque tra editori, agenzie e quant’altro.

  33. 33 giovanna
    3 Maggio, 2013 at 14:58

    “Gli ingenui sostenitori dell’immediatezza delle figure credono anche vero quell’adagio per cui le immagini dicano più delle parole, ma questa è una sciocchezza basata su un malinteso: non si rendono conto che siamo sempre immersi nella cultura e quello che pare immediato è solo un codice assimilato profondamente”.

    Credo che in questa frase di Falcinelli stia, esattamente, il punto. Se possediamo i codici culturali di lettura di una immagine riusciamo a elaborarla, a livello sia emotivo sia razionale. E così fanno sia gli adulti sia i bambini. La differenza fra adulti e bambini è che gli adulti a un certo punto, “conclusa” la fase di acculturazione, dispongono di codici “dati una volta per tutti”, e limitati, qualora essi non siano disponibili e aperti a mettere in discussione e evolvere costantemente il proprio concetto di visione e di codice. Molti non rendendosi conto di questo, scambiano il quelli che sono codici culturali appresi per verità assolute e insindacabili. I bambini, invece, che sono trionfalmente immersi in un processo costante di apprendimento, e stanno costruendo la propria capacità di leggere le cose, che si tratti di immagini, parole o oggetti, si nutrono di tutto, e sono meno condizionati dai codici che hanno appresi e più di disposti a modificarli, a favore di un arricchimento costante. Insomma non hanno ancora scambiato i dati dell’esperienza in immodificabili verità, altrimenti smetterebbero di crescere di imparare (ed è questa la ragione per cui i bambini sono i meno interessati al mondo alla querelle se le immagini per bambini sono davvero per bambini o per i loro genitori eccetera). Per i bambini mantenersi in una condizione di relativismo è sano e fisiologico. Al contrario, l’adulto, dal punto di vista cognitivo, ha bisogno di punti fermi che gli consentano di (avere l’impressione di) controllare meglio la complessità della propria vita, per non precipitare nell’angoscia (le certezze aiutano a sbrogliare una quantità di problemi, in tanti ambiti diversi; e se non ne avessimo rimarremmo paralizzati davanti alle più semplici decisioni). Ma se questo fino a un certo punto è comprensibile, dall’altro può diventare un atteggiamento controproducente e patologico. Dovremmo sempre coltivare in un angolo di pensiero – e con sollievo – l’idea che quelle che crediamo inappellabili certezze sono solo “codici assimilati profondamente”. E dovremmo coltivare la curiosità di apprendere altri codici che possono dimostrarsi fondamentali per la comprensione di quel che abbiamo intorno, perché tutto quello che l’uomo ha intorno e dentro di sé è cultura, visto che l’uomo è un essere culturale. Credo che più codici culturali abbiamo saputo fare nostri e assimilare profondamente più la nostra capacità di decisione sia ampia, articolata e, in fondo, felice.

  34. 34 Anna Castagnoli
    3 Maggio, 2013 at 15:44

    Applauso.
    Sintesi perfetta, Giovanna. Grazie.

    Questo discorso, per me, in questi ultimi mesi, è vero per tantissimi altri aspetti oltre quello della percezione delle immagini. E devo questa apertura verso la complessità e il mistero a Uexkull (per questo capolavoro: http://www.quodlibet.it/schedap.php?id=1899#.UYPOPoIb3bk), a Falcinelli per il libro in questione, che è stato un completamento del libro di Uexkull e a Paul Watzlawick per Change.
    Se i monumenti non fossero fatti per essere dimenticati, come diceva Musil, farei loro un monumento.

    Tu dici: “perché tutto quello che l’uomo ha intorno e dentro di sé è cultura, visto che l’uomo è un essere culturale”. Falcinelli dice: “La cultura, nell’uomo, è una questione biologica.”
    Nel senso che non è una sovrastruttura, ma la struttura portante, biologica, essenziale, del sistema uomo.

  35. 35 elillisa
    3 Maggio, 2013 at 16:39

    Grazie Giovanna, spiegazione chiarissima.

  36. 36 Alessandro
    3 Maggio, 2013 at 17:02

    cavolo, il livello dei commenti è altissimo: sembra di stare nell’aula della libera università dell’illustrazione, altro che in un semplice elenco di commenti.
    Wow, e si fa anche fatica a leggerli così ristretti nella colonna :D
    Clap clap clap clap

  37. 37 lucia
    3 Maggio, 2013 at 17:57

    purtroppo è per questi motivi che le persone si allontanano dall’arte, soprattutto ultimamente… fanno fatica a entrare in sintonia e farne esempi di vita quotidiana.. la vedo dura a non cadere nel circolo di doli interessati. Comunque è importante insistere

  38. 38 giovanna
    3 Maggio, 2013 at 19:02

    Cara Anna un grazie a te, invece, e grosso come una casa, per il tempo e lo spazio che dedichi a queste riflessioni che ci costringono a mettere a fuoco più lucidamente questioni su cui è facilissimo confondersi per scivolare, sterilmente, nei luoghi comuni.
    Grazie per il plauso anche a Ellilisa e ad Alessandro!
    @Lucia, non disperare: si comincia da sé e poi bisognerebbe cercare di avere negli altri la medesima fiducia che si nutre nei propri confronti, anche se non è immediato…

  39. 39 lucia
    4 Maggio, 2013 at 9:07

    ma non è un mio problema…io è da anni che vivo per l’arte. Noto solo che la maggior parte delle persone dell’arte non riescono proprio a seguirne le linee perchè leggono distacco e non snobismo in certi discorsi, sentendosi attaccati… è un loro problema e , appunto, è bene insistere.

  40. 40 lucia
    4 Maggio, 2013 at 9:09

    il “non”dopo distacco è in più

  41. 41 lucia
    4 Maggio, 2013 at 9:41

    e credo che questo tipo di distacco si rifletta anche nelle opere esposte alla mostra della fiera.. è quanto sento dire da altri miei colleghi. ( io ho riserve di altro tipo)

  42. 42 maddalena sodo
    6 Maggio, 2013 at 8:50

    concordo con quanto dice Giovanna sul condizionamento da parte di codici che nell’adulto tendono a diventare “verità”, ma non bisogna neanche generalizzare troppo, perchè allora adulti cresciuti insieme, stessi genitori, stesso livello culturale, stesso ambiente, hanno spesso gusti completamente diversi? Alcune sensazioni, alcuni gusti..il fatto che una cosa ci piaccia e un’altra no, appartengono per un 50% al nostro DNA, indipendentemente dal mondo esterno..l’altro 50% secondo me lo “genera” il mondo che ci circonda e i suoi “codici”(famiglia, cultura, amici, formazione generale della persona ecc ecc)…Ma l’elemento soggettivo, caratteriale instrinseco della persona è fondamentale.

  43. 43 maddalena sodo
    6 Maggio, 2013 at 8:55

    PS: se in un’opera artistica di qualunque genere, a parlare è quel 50% interiore che è peculiare di ogni singolo individuo…non esistono codici, non esistono tendenze o mode, la persona risponde solo alla sua sensibilità e a quello che percepisce del mondo esterno. Ecco perchè non ho mai seguito tendenze e mode che anche quando si presentano come “nuove” in realtà sono solo “nuovi codici” per omogeneizzare i gusti e i pensieri. Come ho già scritto prima, l’esempio più lampante è l’abbigliamento

  44. 44 Anna Castagnoli
    6 Maggio, 2013 at 9:01

    Che un temperamento di base giochi sul gusto è possibile, ma lo hanno dimostrato? da dove tiri fuori questo 50%?!

  45. 45 Alessandro
    6 Maggio, 2013 at 10:46

    questa storia del DNA come carattere immutabile di un individuo non è proprio una verità assoluta; ci sono teorie e prove scientifiche che dimostrano come possa cambiare durante l’esistenza.

    A mio parere si deve smettere di pensare che il pubblico non abbia gusto, siano problemi suoi se non capisce e cose del genere: l’illustrazione deve avere la consapevolezza di essere un’arte popolare e di voler entrare in più case possibile.
    Capire il pubblico è decisivo.
    Altrimenti si fa arte (anche fine a se stessa, anche per avere un pubblico composto da una sola persona) ma non si fa illustrazione che per definizione è parte di un processo di comunicazione (il libro è un’oggetto/strumento di comunicazione) e per questo motivo deve trovare un ricevente di questa comunicazione.
    E qua si sta parlando di illustrazione, quindi di un processo che coinvolge un committente, un artista, un fruitore: tutti gli attori di questo processo devono trovare uguale soddisfazione.
    Non soltanto l’artista.

  46. 46 Anna Castagnoli
    6 Maggio, 2013 at 11:45

    Alessandro grazie per la riflessione, ma non sono d’accordo neanche un po’.
    L’illustrazione, come la letteratura, è un prodotto culturale. Che la cultura debbe essere nazional-popolare versus elitaria è ridurre la complessità del suo senso a una dilettica inutile.
    Anche gli scrittori hanno un editore e un pubblico e vendite con cui fare i conti, ma il fatto che i romanzi d’appendice o “100 sfumature di chessoio” vendano più di Kafka non significa che Kafka si guardava l’ombelico.
    Oggi si confonde troppo facilmente la cultura con l’intrattenimento, la cultura con il nozionismo, la cultura con il successo commerciale.

  47. 47 Anna Castagnoli
    6 Maggio, 2013 at 11:53

    E aggiungo questa riflessione:
    la cultura, quando fa centro, è scomoda. Interroga, dissente, approfondisce, va là dove non abbiamo voglia di andare.

  48. 48 Alessandro
    6 Maggio, 2013 at 12:20

    Ciao @Anna, grazie per il dissenso che permette di approfondire un po’.

    Ho usato il termine Popolare perché credo nell’illustrazione come arte Non-Elitaria; non mi interessa il Nazionalpopolare, non mi interessa nemmeno l’intrattenimento e infatti non ne ho parlato. E nemmeno il confronto tra cultura alta e cultura bassa, ché altrimenti siamo sempre lì a dire che il fumetto non è letteratura, il rock non è musica, la street-art non è arte.
    E anche il successo commerciale è una cosa che prescinde dal valore, ma dipende da quanto l’artista lo desideri: fino a che non si è diffusa l’idea dell’artista maledetto, non era un reato essere bravissimi, popolari, ricchi e di successo (come infatti. giusto per citarne alcuni a caso, Leonardo, Michelangelo, Depero, Picasso, Warhol, ecc.).
    Riguardo a Kafka, è pure lui un autore di grande successo, che vende migliaia di copie in tutto il mondo, il che dimostra che è riuscito a comunicare con il pubblico nonostante la sua complessità e la sua diversità. E anche in vita aveva estimatori e appassionati del suo modo di scrivere, partecipava a riviste letterarie, leggeva i suoi scritti in pubblico; insomma non era un artista isolato e distante dal pubblico.

    Non ho parlato nemmeno di successo commerciale, ma di gratificazione: perché è importante capire che l’illustratore fa parte di un processo che comprende l’editore e il pubblico, altrimenti si rischia di parlare solo a noi stessi.
    Che poi questo processo gratifichi anche solo un editore e cento lettori va comunque bene, perché la comunicazione ha funzionato, ma quando si dice o si pensa che tanto il pubblico non capisce perché si crede che il livello della nostra proposta sia culturalmente più alta del sentire comune e che “se non mi capisce nessuno affari loro”, ecco, secondo me c’è qualcosa che non va.

    Per finire, io credo fermamente nella sperimentazione e nelle avanguardie, nel rivoluzionare lo status quo e nella sommossa, concordando con il tuo secondo commento; come dimostra l’esempio di Kafka, la sperimentazione paga e il pubblico sa apprezzarla.
    Quindi anche Kafka è Popolare (certo, è morto prima di saperlo…).

  49. 49 Anna Castagnoli
    6 Maggio, 2013 at 12:34

    Grazie Alessandro per aver approfondito, ora è più chiaro e sono meno in disaccordo.
    Che ogni forma artistica debba incarnarsi in un processo di comunicazione che ha successo (nel senso che è comprensibile da qualcuno oltre che da noi stessi) è sacrosanto.
    Ma ci sono molti esempi di cultura restata elitaria per un buon mezzo secolo, se non di più, proprio perché il gusto del pubblico non era pronto e doveva venir educato.
    Come ricordi bene, Kafka, i milioni di copie li vende oggi, ma è morto di tisi e di freddo in un appartamento di 8 metri per 8 perché in vita non vendeva un tubo. Leonardo stava sulle palle a molta gente e trovava committenti a fatica, rischiò anche di essere messo al rogo per aver sezionato cadaveri alla ricerca della forma intoriore (fisica e non).
    Possiamo fare una gigantesca catasta di scrittori/artisti/pensatori che non sono stati capiti, neanche da un pugno di gente, perché erano troppo distanti (o in anticipo) dal gusto della loro epoca.
    Allora come fare a decidere se un’opera (un libro o uno stile) non è capito perché il suo autore si è guardato solo l’ombelico o non è capito perché il pubblico non è pronto? Non è facile.

  50. 50 Alessandro
    6 Maggio, 2013 at 12:49

    @Anna sono contento di essere riuscito a spiegarmi meglio e sono d’accordo con te che Kafka non se la sia passata niente bene e che Leonardo avesse difficoltà dovute alle sue scelte.
    Però quello che mi interessa è che in loro non solo c’era il germe della rivolta, ma anche la consapevolezza di percorrere delle strade nuove e di essere diversi dal resto (che conoscevano molto molto bene).
    Invece quando si parla della Mostra di Bologna o del mondo degli illustratori, non credo che ci sia tutta questa consapevolezza né conoscenza di ciò che è stato già fatto.
    Per deviare davvero dalla via maestra, bisogna conoscere bene la mappa, altrimenti inevitabilmente ci si torna.

    Il discorso è troppo ampio per affrontarlo qui – e soprattutto perché possa affrontarlo io ;) – eppure, ripartendo dall’origine di questa discussione, nella mostra di Bologna e nell’illustrazione in genere resta l’impressione di una tendenza diffusa a fare esercizio di stile e a non riuscire a comunicare un bel niente.
    Parere mio, of course, ché sono l’ultimo dei cani disegnanti.

    Di nuovo complimenti per questa sorta di caffè letterario che è il tuo blog.
    A proposito, buon caffè!

  51. 51 Isabella D
    9 Maggio, 2013 at 10:12

    Ciao Anna!
    Interessantissimo post e le risposte seguite.
    Ti/Vi segnalo un libretto in cui mi sono imbattuta tantissimi anni fa e che riassume e rende semplici tanti di questi concetti e che per me fu una grande fonte di riflessione:Tonino Casula “Impara l’arte” Einaudi.
    Grazie sempre per lo stimolo continuo!