Analisi di “Non c’è tempo”, di Anne Crausaz: l’abbondanza genera abbondanza

24 Settembre, 2012
Non c’è tempo, di Anne Crausaz, edizioni Ippocampo Junior 2012

Non c’è tempo, di Anne Crausaz, è un libro dall’ingranaggio perfetto che nasconde sotto un’apparente semplicità significati profondi. Fa parte di una collezione di tre libricini pensati per i bambini di due anni (un’età perfettamente recettiva, penso io, ai messaggi profondi).
La storia è questa. Una fila di formiche percorre avanti e indietro le pagine del libro per rubare dei chicchi di grano da una ciotola appartenente a Giselda e Marinella (chi sono Giselda e Marinella lo scopriremo solo alla fine del libro, e vi lascio la sorpresa).

Il loro andare e venire è interrotto ogni due pagine dall’incontro con un animaletto dei prati (una cavalletta, una coccinella, la proverbiale cicala, un bruco, etc…) il quale propone loro di interrompere il lavoro per fare dell’altro: cantare, saltellare, dormire…  declinando la nota favola di Esopo La cicala e la formica. Ad ogni proposta di svago, le formiche rispondono in coro:
“…non c’è tempo, non c’è tempo.”, “Non c’è tempo per dormire, coccinella, non c’è tempo, non c’è tempo”. E continuano la loro instancabile marcia verso la ciotola.

 

Gli incontri con gli animali del prato sono sempre intervallati da una doppia pagina dove appare, in sezione, l’interno del formicaio.

Il mondo di sopra e il mondo di sotto, il dentro e il fuori, l’oscuro e il chiaro (opposti così cari ai bambini), non sono realtà separate dalla pagina del libro (in queste finezze sta la genialità di un autore e di un editore), ma sono “comunicanti”. Un piccolo foro nella pagina collega infatti il fuori e il dentro, ed è il buco-porta dove passano le formiche per entrare nel formicaio e uscire all’aperto nella pagina successiva.

Il ritmo (perfetto) è questo: le formiche prendono i grani dalla ciotola – che si svuota sempre un po’ di più – incontrano un animale, che ogni volta propone loro una nuova distrazione, rispondono in coro: Non c’è tempo, non c’è tempo, si infilano nel formicaio dove stoccano i grani in piccole anse – che si riempiono sempre di più-  escono di nuovo marciando verso la ciotola, la svuotano un altro po’, e così via… fino a che la ciotola non sarà vuota. Fine.

Quando ho letto il libro la prima volta (per caso, in una libreria di Martina Franca), sono rimasta così senza fiato per il suo ritmo e la sua freschezza, che mi sono detta: qui c’è dell’altro…
Ora mi sembra di aver trovato una chiave (ma non mi sembra di averne ancora esaurito la ricchezza).

Agli opposti dentro/fuori, rappresentati dal prato e dalla sezione del formicaio, si accavalla e si interseca un altro rapporto: pieno/vuoto. La ciotola e il formicaio sono misteriosamente legati da un rapporto reciproco: se ci svuota una, si riempie l’altro.

Perché ho usato l’avverbio “misteriosamente”? In filigrana, dietro la semplicità di questo andirivieni di formiche, traluce un altro rapporto, essenziale alla vita psichica: il rapporto che lega il nostro interno, alla pienezza dell’esterno. Ed è un rapporto misterioso.
Per nutrirci, per riempire il nostro interno, sia metaforicamente che letteralmente, dobbiamo continuamente “addentare”, “rubare” qualcosa all’esterno.
Prendere, è un atto aggressivo, che nel bambino, e anche nell’adulto, provoca non pochi sensi di colpa. Leggete, a questo proposito Invidia e gratitudine di Melanie Klaine.
Vi riassumo grossolanamente il pensiero di Melanie Klaine: già dai primissimi mesi di vita, sembra che il bambino sia molto turbato dall’idea di distruggere (o esaurire) la madre, mordendo e succhiando con avidità il suo seno. Ciò che lo aiuta a calmare l’ansia è il fatto che, misteriosamente, la mamma gli sopravvive. Giorno dopo giorno la realtà esterna sopravvive all’avidità e alla fame del bambino ed è misteriosamente sempre “piena”. Grazie alla sopravvivenza dello zoccolo duro della realtà rispetto alle fantasie distruttrici del bambino, a poco a poco, il bambino raggiunge fondamentali tappe evolutive, quali: il senso della realtà, la capacità di avere rimorso e di riparare, e soprattutto: la gratitudine. Tappe che nell’adulto sfociano poi nella capacità di relazionarsi in modo sano con l’altro, e di mettere a disposizione della società i propri talenti (lavorando, creando, etc).

E’ un mistero il fatto che la realtà esterna, nonostante la nostra avidità, continui ad essere “piena”. Lo è perché noi “ripariamo” il danno di prendere, restituendo, in qualche modo (come possiamo), quello che l’esterno ci dà.
Una massima talmudica dice: “L’abbondanza genera abbondanza”. Forse significa che la frattura tra interno ed esterno non è che l’immagine di una falsa prospettiva. Tutto, infatti, avviene dentro di noi e noi facciamo parte del tutto. Che sia piena la ciotola o pieno il formicaio, è uguale.
E’ proprio questa la sensazione che mi dà il libro: lo scambio di averi tra ciotola e formicaio, la voce dei perdigiorno che canta insieme al bel ritornello “non c’è tempo!” delle formiche operose – senza nessun giudizio morale a vantaggio di una voce o dell’altra, sono semplicemente manifestazioni del meccanismo di un unico corpo, che è quello della vita sociale. Meccanismo che, ci dice l’autrice, può essere gioioso. Basta che ognuno, e ogni funzione, abbiano il proprio ruolo.


L’ultimo animaletto che parla alle formiche è uno scarabeo: invece di distrarle le avverte di tornare presto a casa, che Giselda e Marinella stanno tornando. Al che le formiche gli rispondono, capovolgendo il ritmo del testo: c’è tempo, c’è tempo, scarabeo… (infatti, manca solo un ultimo chicco da portare via).
E’ un caso che sia proprio uno scarabeo ad avvertire le formiche del pericolo di essere interrotte prima di finire? L’animale incaricato di simboleggiare la trasformazione e la rinascita? Proprio l’animale che trasforma lo sterco degli animali in una palla fertile di cui poi si nutrono i cuccioli?
E’ un caso che “il tempo”, nel libro, nasca proprio dal compimento del passaggio mistico: pienezza-vuoto-pienezza? Non c’è un messaggio esoterico che va decifrato?

L’ultima scena, quella con la ciotola vuota, che non vi mostro se no scoprite l’identità di Giselda e Marinella, comunica una suspense incredibilmente forte. Il vuoto è là. Cosa accadrebbe davvero se il seno generoso della realtà esterna si esaurisse?
Ma la scena non ci comunica angoscia, solo suspense, un misto d’ansia e divertimento, perché….

Il formicaio era vuoto, ora lo è la ciotola, e il formicaio è pieno. Ma, lo si intuisce chiaramente, il gioco è da continuare all’infinito, in un eterno travaso di pienezza nel vuoto, e vuoto che si riversa nel pieno. La ciotola vuota è solo un momento sospeso, prima che il flusso ricominci. L’abbondanza genera abbondanza.
Non è un caso se in copertina le formiche entrano in un buco e sbucano dallo stesso buco nella prima risguardia, per continuare la loro marcia anche in quarta di copertina….  Il libro è circolare. Il ciclo è senza fine.

 

Il libro di Anne Crausaz, la dolcezza delle forme ritagliate sul generoso bianco, la freschezza ritmica del testo e delle deliziose vocine degli animali, il fatto che si può leggere e rileggere la storia all’infinito, sono altrettanti “grazie” che riparano il necessario svuotamento della ciotola, e insegnano al bambino che non è grave addentare un po’ il fuori.
E un grazie va anche ad Anne Crausaz, per averci regalato questa meraviglia.


Il libro edito da Memo (che non sbaglia un colpo!) nel 2011, è stato tradotto in italiano quest’anno e pubblicato dalle edizioni Ippocampo Junior.

Non c’è tempo
Anne Crausaz
A ritmo di formiche
8,42 Euro