Intervista ad Alessandro Gottardo, in arte Shout
18 Aprile, 2012PRIMA DI TANTE VOLTE
PRIMA DI TANTI VOLTI
PRIMA CHE FACCIA TARDI
PRIMA CHE TU MI ASCOLTI
PRIMA DEI PRMI SARDI
E DEI BABILONESI…
PRIMA! SI’, PRIMA-PRIMA.
DI ANNI, GIORNI E MESI…
DI SEMINE E RACCOLTE…
PRIMA DI TUTTO! INTANTO
– QUESTO LO CREDO IO –
PRIMA C’ERA SOLTANTO…
C’ERA IL CUORE DI DIO.
(Alessandra Berardi, C’era una voce)
INTERVISTA AD ALESSANDRO GOTTARDO su C’ERA UNA VOCE di ALESSANDRA BERARDI
di Anna Castagnoli
Alessandro Gottardo (o Shout?), sei uno dei più quotati e famosi illustratori italiani per la stampa, lavori per le più grosse testate giornalistiche americane, e sei giovanissimo. Ci racconti in poche righe come sei arrivato a questo mestiere e perché hai scelto l’illustrazione e non un’altra forma di espressione artistica?
Alessandro va più che bene. Ti ringrazio del giovanissimo ma a giorni compio 35 anni, dici lo sono ancora?
Dunque, mi sono diplomato allo IED a 23 anni, nel 2000. Dal 2000 al 2001 mi sono creato un portfolio di immagini realizzate in digitale (photoshop e painter) che potessero soddisfare clienti quali magazine, copertine di libri, etc.
Ho scelto di lavorare in digitale per problematiche pratiche legate alle dinamiche lavorative, ad esempio cambiare un intero fondo da un momento all’altro: il digitale mi premette di farlo con un click, con le tecniche tradizionali è più complicato.
Dal 2001 al 2002 ho cominciato a mostrare in giro i miei lavori semplicemente chiamando al telefono vari art director, da quelli del Corriere della sera a Specchio della stampa, da Panorama a Tv sorrisi e canzoni e altri, la riposta è sempre stata positiva, nel senso che ho sempre ottenuto una commissione dopo un breve colloquio con ognuno di loro.
Il problema era la continuità nelle collaborazioni e i ritardi nei pagamenti.
Dopo un paio di anni scarsi di questa solfa mi trovai un agente in Canada che mi rappresentasse all’estero. Così ho cominciato ad affacciarmi al mercato oltre oceano scoprendo che le commesse erano pagate molto meglio, molto puntualmente, e che il mestiere stesso, quello dell’illustratore, era conosciuto e rispettato al massimo. Insomma, una sorta di paradiso dal mio punto di vista.
Per cui dal 2003 ho concentrato tutte le mie attenzioni sul mercato estero e sui clienti esteri.
Le collaborazione italiane che porto avanti oggi sono solo con clienti che conoscono e rispettano il mio mestiere e il mio lavoro da tempo. Poche ma buone, come si suol dire.
Illustrazione di Alessandro Gottardo
Nel 2005 poi è nato lo pseudonimo Shout, pseudonimo che celava una variante stilistica che avesse nell’idea la cosa più importante. Per cui un linguaggio, figlio – ci tengo a dirlo – di molte sperimentazioni stilistiche che ancora oggi si possono vedere al sito ice9studio.com (lo tengo ancora aperto a memoria di quel periodo) in cui far risaltare l’idea attraverso lo stile e non il contrario. Il minimalismo, gli spazi, i pochi dettagli sono stati una conseguenza logica di questa scelta.
Quella che era una mia esigenza creativa e professionale si è poi rivelata una scelta azzeccata anche in termini strettamente economici in quanto ancora oggi l’illustrazione concettuale è molto richiesta, per cui lasciai il mio agente canadese, che mi rappresentava con lo stile precedente, e continuai autonomamente con lo pseudonimo di Shout. Oggi ho un agenzia solo per il mercato britannico che si chiama Dutch Uncle, per il resto sono autonomo.
Riguardo l’espressione artistica non saprei, non mi sono mai ritenuto un artista, non riesco a considerare ciò che faccio su commissione una forma d’arte o un’espressione del mio sentire, in quanto i limiti della commessa, e le tematiche che mi trovo ad affrontare non le scelgo io ma sono dettati dal cliente. E’ un lavoro senz’altro creativo ma pur sempre un lavoro.
Certo mi fa piacere esporre le mie illustrazioni nelle gallerie ma non per questo le considero delle opere d’arte, forse in alcune immagini si intuisce un mio personale modo di vedere le cose ma credo che l'”arte” sia un’altra cosa. La frase di Gipi “gli unici artisti che conosco sono tutti morti” la condivido e la trovo molto più vera di quanto non sembri, è la storia che decide cosa è arte e cosa non lo è.
Detto questo, il linguaggio visivo è quello che prediligo e quando faccio lavori personali è sempre il disegno che utilizzo anche per motivi puramente tecnici, in quanto è lo strumento che so usare meglio.
C’era una voce è il tuo primo album illustrato. Nella tua interessantissima Guida galattica per giovani illustratori, descrivi come un illustratore dovrebbe interpretare, secondo te, un articolo di giornale o un concetto. Assonanze, campi semantici, analogie… Hai seguito gli stessi principi per illustrare il tuo primo testo per album?
No, in effetti quei consigli erano per chi fa illustrazione concettuale e lavori a tematiche di tipo “giornalistico”, per questo progetto ho seguito molto i consigli di Giovanna Zoboli. Mi sono stati molto utili in un momento in cui pensavo non ce l’avrei fatta. Rappresentare Dio era diventato un ostacolo che sembrava insormontabile, è stata lei a suggerirmi di rappresentarlo semplicemente nelle cose che ha creato. L’illustrazione che faccio, in genere, si divide in 3 micro gruppi, quella surreale, quella metafisica (passatemi la definizione), quella più concettuale e grafica.
Alessandro Gottardo, esempio di immagine che lui definisce surreale
Alessandro Gottardo, esempio di immagine che lui definisce “metafisica”
Alessandro Gottardo, esempio di immagine che lui definisce “grafica”
In genere scelgo una di queste tre vie per risolvere il progetto visivamente, quello surreale e quello concettuale lo uso molto per i giornali e per la pubblicità , quello metafisico più per le copertine dei libri. Per questo progetto ho scelto l’approccio metafisico, mi limito a suggerire situazioni dove i vuoti nell’immagine sono domande le cui risposte vengono date dal lettore stesso.
Hai sentito una sostanziale differenza nel tuo modo di pensare le immagini per il fatto che il formato era una sequenza di 13 doppie pagine? Hai lavorato su uno storyboard? Ti è piaciuta l’esperienza di questa “corsa di fondo†che è illustrare un intero libro o preferisci l’immediatezza di un’illustrazione per stampa?
E’ stata tosta…
A dire il vero non amo il formato orizzontale, ma in questo caso il testo di Alessandra Berardi non lasciava altra scelta, per dare il giusto risalto alle sue parole servivano stanze vuote cui eco rimbombasse, questo è quello che ho provato a fare.
Ho ri-disegnato tre volte le tavole del libro prima di giungere a quelle giuste. Sì, ho fatto una specie di story board, poi, però, dato che la scelta è caduta su paesaggi più che immagini legate realmente una all’altra, è venuta meno l’esigenza di una sequenza temporale e mi sono concentrato su una strofa per volta.
L’esperienza è stata molto più faticosa di quanto pensassi, per cui più bella di quanto credessi.
C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012
Veniamo al rapporto testo-immagine. Il testo è una splendida poesia in rima che narra la creazione dell’universo. Dio crea il mondo perché si sente solo. E’ un Dio molto umano, a cui piace giocare, lanciare pianeti come biglie, impastare con la creta: suda, si stanca, si scoraggia, non si arrende fino a che non ha inventato l’uomo, e con l’uomo: la voce, la rima, la poesia.
Perché hai accettato questo testo? (so che ne avevi rifiutati altri).
Sembrava perfetto, è un testo estremamente evocativo, apre le finestre della fantasia, ho creduto fosse il battesimo perfetto.
Poi, come ho detto all’inizio, c’è stato un momento in cui ho pensato di mollare, che l’illustrazione per l’infanzia mi fosse definitivamente preclusa, poi la sensibilità e l’esperienza di Giovanna mi hanno aiutato. Ricordo che la prima volta che provammo a fare un libro insieme fu nel 2003, subito dopo aver esposto alla Mostra degli illustratori della fiera del libro di Bologna, penso lei sia stata un art director perfetto anche perché mi conosce da parecchi anni, conosce la mia evoluzione presente e passata.
La strada che mi ha indicato era l’unica possibile e io l’ho percorsa, da un cero punto in poi, con facilità .
C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012
L’armonia tra il testo di Alessandra e le tue tavole è molto bella. C’è una tensione che si sprigiona dai tuoi disegni data da una sapiente economia di gesti e figure. Non c’è nulla di più dell’essenziale, proprio come doveva essere all’origine del tempo. Lenti millenni perché ogni cosa si formasse, trovasse il suo posto. Come si arriva a saper dire tutto con così poco? Non hai mai la tentazione di aggiungere dei dettagli?
Guido Scarabottolo la chiama “pigrizia” (Ndr: leggi il suo Elogio della pigrizia), penso sia lo stesso per me, in senso creativo, si intende. Non amo il chiasso, non amo la folla, non amo il troppo, evito le code, amo il design danese degli anni 40, 50, 60, amo la musica suonata più di quella cantata, amo gli specchi d’acqua senza niente sopra, insomma, peculiarità del mio carattere a prediligere il “semplice” mi inducono a fare certe scelte anche in senso professionale. Il testo di Alessandra comunque è così bello che serviva davvero solo una nuvola qui e la. Un pò di fard, un tocco di rossetto leggero e poi basta.
C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012
Mi è sembrato di percepire un rapporto dialettico in ogni doppia pagina: una nuvola e la sua ombra, un albero e la sua ombra, la terra e il cielo, il vuoto e il pieno… Come se il canto di Dio avesse sempre la sua eco felice, in una corrispondenza perfetta.
Nell’ultima tavola, se interpreto bene, c’è uno zoom sull’ombra del cappello dello spaventapasseri (la presenza, finalmente, dell’uomo e del suo operato). E’ l’unica tavola dove lo spazio è limitato, ai bordi della pagina, dal profilo spigoloso dei campi coltivati. Tutto è stato creato, anche l’uomo, anche la poesia, il cerchio si chiude: eppure, percepisco un senso di malinconia in questo finale. Ora lo spazio non è più infinito. Ora la dialettica è tra una forma rotonda e la durezza degli spigoli dei campi. Mi parli dello spaventapasseri e dei campi di grano?
C’era una voce, Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi, Topipittori 2012
Per tutto il libro ho giocato a rappresentare Dio senza disegnarlo, essendo in tutte le cose ho pensato di ritagliarlo come una presenza silenziosa, che c’è e non c’è.
Quando era l’uomo ad entrare in scena ho pensato di fare lo stesso, rappresentarlo senza disegnarlo. La forma tonda in quanto perfetta spetta a Dio, i campi di grano, che sono coltivati dall’uomo, mi pareva giusto realizzarli per contrasto in maniera molto geometrica.
La figura dello spaventapasseri è evocativa per antonomasia, ad ognuno di noi può suggerire qualcosa di diverso, per cui era la soluzione migliore a mio avviso per chiudere il testo.
Ho sempre pensato che suggerire sia un modo molto più interessante di disegnare le cose, amo l’idea che una mia immagine abbia un’interpretazione diversa a seconda di chi la guarda. Come se il lettore possa aggiungere esattamente quello che manca all’immagine, il suo ingrediente personale, facendo quell’immagine un poco anche sua.
Grazie Alessandro.
Alessandro Gottardo e Alessandra Berardi stanno per fare insieme un tour per presentare il loro libro in Sardegna. Se siete nei paraggi non perdetevi l’incontro!
C’era una voce Alessandra Berardi e Alessandro Gottardo Un libro in rima sulla creazione del mondo 17,00 euro |