Il plagio, parte I
20 Ottobre, 2009Il sottile confine tra ispirazione e plagio non smette di divertire e animare dibattiti nel mondo dell’illustrazione. Quanti di noi non hanno pronunciato almeno una volta, con gusto, le pungenti parole: “Sì, è bravo, ma copia troppo x…”.
Quest’estate nuovi casi hanno animato la scena, (leggi il dibattito ospitato dal forum delle Figuredeilibri), quello clamoroso denunciato dal blog Books By Its Cover, dove un’illustratrice inglese ha vinto un importante premio copiando il lavoro di un’altra (leggi il post), e quello più sfumato di Valerio Vidali, che ha pubblicato sul suo blog un leone troppo simile a quello di Beatrice Alemagna, la quale ha risposto sul suo blog in modo deciso, denunciando il plagio. Dai disegni che qualche anno fa hanno riscosso il primo premio ad un concorso italiano perché la giuria era convinta che fossero di Anna Laura Cantone, al famoso reiterare di “copie troppo esplicite” dell’illustratore François Roca, il plagio è una di quelle buche da gioco dell’Oca in cui è sempre difficile non inciampare.
a sinistra, François Roca, Contes du granier, Ed Seuil 2002, a destra John W. Waterhouse, Circe invidiosa, 1892 (vedi blog Cornelius).
a sinistra, François Roca, A l’autre bout de la terre, Flammarion 2006, a destra N.C. Wyeth, Columbus sights the new world (particolare) 1942 (vedi blog Cornelius).
Mi astengo qui dal riprendere la discussione sulle paure legate al plagio, già sviscerata nel forum, e vi propongo invece un tuffo nel passato alla scoperta del lungo cammino che l’idea del plagio ha fatto, libera e spensierata, prima di finire sul banco degli imputati.
E’ infatti solo a partire dal romanticismo, e dalla copernicana rivoluzione del concetto di “autore”, (che vede decadere l’idea di autore come umile copista della bellezza del creato, artigiano o interprete del divino presente nel modello, e prendere campo quella dell’arte come espressione di un sentire interno) che il plagio diventa reato.
Il “copiare” si connota allora come violazione, furto, di qualcosa che è sentito come interno alla persona, unico e irripetibile. Il 14 luglio 1866, per la prima volta, il diritto d’autore compare e viene difeso dal reato di plagio nel Codice Napoleonico, (la norma resterà quasi immutata fino ai nostri giorni), e il copyright viene esteso fino a 50 anni dopo la morte dell’autore.
Sarebbe errato dire che il plagio, prima del Codice Napoleonico, non era considerato reato, ma bisogna calarsi nel diverso sentimento della “copia” che poteva avere un autore nei secoli passati, per capire fino in fondo il valore che l’opinione pubblica dava ai casi di plagio.
LA COPIA come FOTOCOPIA
Intanto non c’era la fotografia. Un committente poteva richiedere ad un artista una nuova copia di un suo quadro, e il quadro veniva rifatto, uguale identico a quello prcedente (o quasi). Oppure capitava che la riproduzione di un quadro di successo fosse affidata a bravi artigiani, solo per averne un nuovo esemplare. Qualsiasi maestro aveva a bottega studenti che copiavano pedissequamente le sue opere per anni, e poteva capitare che i primi quadri di un artista fossero delle copie del maestro da cui era stato a bottega, solo leggermente variate.
Le opere greche erano di continuo copiate, e considerate un patrimonio di libero accesso, da imitare con più destrezza possibile, spesso omettendo che la scultura riprodotta era una copia. La storia dell’arte pullula di opere gemelle di difficile attribuzione.
Inoltre un quadro o una miniatura erano quasi sempre opere collettive, a cui (a volte) l’artista incaricato poneva poi la sua firma con gli ultimi ritocchi, (quando non sopravviveva solo il nome della scuola di provenienza dell’opera).
La vergine delle rocce di Lonardo Da Vinci, prima versione, dipinta tra il 1483 e il 1486, Museo del Louvre
La seconda versione della Vergine delle Rocce di Leonardo, 1503-1506, oggi alla National Gallery di Londra (non sono riuscita a trovare una riproduzione della terza, detta “versione Cheramy”, di attribuzione incerta, oggi in collezione privata).
L’ARTE come MODELLO
L’età ellenistica fu per secoli modello da riprodurre e imitare, poi lo fu il rinascimento per gli artisti dei secoli successivi. Raffaello come Leonardo, insieme ad altri grandi pittori, furono copiati per secoli. Ma non erano solo i secoli passati ad essere presi come modello, pittori contemporanei potevano essere imitati con somiglianze che oggi farebbero gridare allo scandalo, mentre allora venivano percepite come variazioni sul tema. Come avveniva nella musica e nella letteratura (in particolar modo nella poesia), un autore poteva prendere a prestito modelli già esistenti come basi per nuove variazioni, o inglobare intere parti di un’opera precedente.
Sandro Botticelli, Madonna con bambino e angelo, 1463 – 1466 c
Madonna con bambino e angeli, Filippo Lippi, 1465
La copia era dunque il perno intorno a cui l’arte andava evolvendosi. Se casi giuridici di accusa di plagio esistevano (nel 1512 Dürer trascinò in tribunale Girolamo Francoforte e Marcantonio Raimondi con l’accusa di furto del suo monogramma), terminavano sempre con un bonario ammonimento all’usurpatore, che spesso finiva per godere di grande fama per essere riuscito a riprodurre così fedelmente l’opera di un grande maestro. Ciò nonostante (escludendo le copie identiche di quadri usate come fotocopia/riproduzione) anche nel passato bisognava che l’artista copiatore sapesse apportare all’opera qualcosa di nuovo. John Milton scriveva agli inizi del 1600 :
“Un prestito, se non viene migliorato da colui che prende in prestito, tra buoni autori è ritenuto plagiareâ€.
Tiziano, Venere di Urbino, 1538
Goya, Maya desnuda,1800
Manet, Olympia, 1863
Picasso, Nu couché, 1967