Corso base di economia del picture book. Lezione 5

1 Agosto, 2009

Lezione numero 5LE VIE DEL MERCATO SONO INFINITE
di Plumers

Lo so che ti ho scoraggiato, cara Anna.
E ne hai ragione. Anche perché le ipotesi che ho fatto non sono per nulla plausibili.

Eppure, il settore dell’editoria (e quello degli albi illustrati in particolare) sono dinamici, pieni di fermento. Possibile che ci sia così tanta gente che, insieme a te, è disposta a perdere tempo e denaro in un’avventura destinata al fallimento o, quanto meno, a offrirti un reddito molto modesto??
Ma il lupo, cara Anna, non sempre è così cattivo come lo si dipinge. Anzi, spesso sembra molto cattivo solo perché ci accorgiamo della sua presenza solo quando fa buio.
Per consolarti ho pensato che fosse importanti farti sapere due cose:
1) gli autori/illustratori non hanno, come unico sbocco professionale il picture book. Possono integrare il proprio reddito facendo illustrazioni o scrivendo testi per riviste, aziende, agenzie di pubblicità; insegnando in corsi di illustrazione o di scrittura creativa; facendo laboratori  a pagamento nelle scuole, nelle librerie, nelle biblioteche. La pratica dell’illustrazione e del testo commerciali sono di solito molto utili allo sviluppo della creatività: pensa a Munari, Carle, Lionni, il dottor Seuss e tutti gli altri che avevano fatto della pubblicità una professione e che, parallelamente, conducevano la vita clandestina dell’illustratore/facitore di libri.
E poi ci sono gli illustratori artisti: Hai mai provato a comprare un quadro di Mattotti, nella sua galleria parigina, o una tavola originale di Simona Mulazzani o di Fabian Negrin alla Galleria l’affiche di Milano?
Ma quello che mi piace di più è quello che fanno i giovani illustratori stranieri: libri autoprodotti con serigrafie o monotipie, in tiratura limitata, che vendono a prezzi fra i 50 e i 100 euro. E li vendono davvero! (Hai visto quelli bellissimi di Gosia Machon alla Galleria Squadro a Bologna, durante BilBolBul?).

2) gli editori non hanno, come campo di gioco, solo il ristretto mercato librario nazionale. Possono proporsi come realizzatori di progetti editoriali o di comunicazione per imprese e istituzioni (in questo, Carthusia ha molto da insegnare a tutti). O possono presentarsi nei mercati esteri come fornitori di contenuti, vendendo i diritti delle opere che pubblicano (per esempio, “Che cos’è un bambino†di Beatrice Alemagna, pubblicato da Topipittori, e “Il libro sbilenco†di Orecchio Acerbo hanno avuto un buon successo in Italia, ma sono anche stati pubblicati in molti altri paesi, generando non solo maggiori ricavi, ma anche una riduzione del costo unitario diretto di produzione, con il conseguente aumento del margine operativo lordo (rileggiti la Lezione numero 3)

La storia non finisce qui. Quello che ti ho raccontato in queste lettere, che ho pomposamente chiamato lezioni, è probabilmente discutibile e possibilmente inesatto. Ma spero che ti abbia aiutato  a capire qualcosa in più dei meccanismi economici che governano la creazione, la produzione e la commercializzazione degli oggetti della tua passione e della tua professione.
Di cose da imparare e da capire ce ne sono ancora un sacco. Per esempio: com’è che i librai, se non vendono un libro lo possono rimandare al distributore, senza che questo comporti per loro alcun onere?
Ma, per adesso, basta. Di scienza triste ne hai avuta abbastanza. Per qualche mese non te ne parlo più. Lo giuro.

Continua a fare libri.
Ciao.
Plumers

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31 Risposte per “Corso base di economia del picture book. Lezione 5”

  1. 1 Anonimo
    1 Agosto, 2009 at 18:29

    BRAVO!

  2. 2 Manù
    2 Agosto, 2009 at 20:56

    Grazie Plumers ;)

  3. 3 maria nina
    2 Agosto, 2009 at 21:35

    “Possibile che ci sia così tanta gente che, insieme a te, è disposta a perdere tempo e denaro in un’avventura destinata al fallimento o, quanto meno, a offrirti un reddito molto modesto??” Questo pensiero di Plumers torna spesso nella mia mente, però non riesco mai a darmi una risposta convincente.

  4. 4 Anonimo
    2 Agosto, 2009 at 22:18

    Potrebbe darsi, cara Maria Nina, che così tanta gente si sia messa in cammino per seguire un miraggio, quello della gratificazione personale, non mi riferisco al sogno del successo ma a qualcosa di più intimo e profondo, qualcosa di necessario. Allora le perdite di tempo e di denaro passano in secondo piano sino a che…

    e qui preferisco fermarmi.

  5. 5 Mirella
    3 Agosto, 2009 at 5:48

    Ciao Anonimo delle 22:18 il tuo commento mi piace…vorresti per favore continuare il discorso…dopo il sino a che?
    Grazie.

  6. 6 Anna Castagnoli
    3 Agosto, 2009 at 8:10

    Sono d’accordo con Anonimo.
    Fare arte è una necessità, un bisogno.
    Se si ha la creatività nel sangue ma si sceglie una strada più sicura, più remunerativa, più “logica”, il prezzo da pagare è quello di una sensazione di soffocamento, di morte interna.
    Dopo molti e diversi lavori fatti dopo la laurea ho preferito scegliere un mestiere a perdere, quello di autrice-illustratrice, perché a un tratto ho sentito che lì ero io, che era la mia strada, l’unica.
    Ma l’ho scelto (presuntuosamente) con un obiettivo: arrivare tra quelli che ce la fanno.

    In Spagna, dopo soli due libri pubblicati mi chiamano per conferenze (pagandomi), mi hanno proposto di insegnare in una scuola di illustrazione per tutto un quadrimestre l’anno prossimo (pagata benissimo), mi hanno fatto fare la copertina di una rivista di illustrazione prestigiosa (pagandomi).
    Insomma, se questo è solo l’inizio, io conto che vada sempre meglio.
    Quando sarò (e SE sarò mai) abbastanza famosa, sogno di aprire una scuola mia di illustrazione da affiancare al mio lavoro.
    Non la vedo così nera.

    Eppure non si è mai contenti. Io sogno di tornare a Parigi un giorno. E tutti i miei sforzi, i miei sogni, sono rivolti a Parigi.
    Penso progetti per editori francesi, è sul mercato francese che voglio arrivare.

  7. 7 papepi
    3 Agosto, 2009 at 8:40

    a me,invece, la frase di Plumers”Possibile che ci sia così tanta gente che, insieme a te, è disposta a perdere tempo e denaro in un’avventura destinata al fallimento o, quanto meno, a offrirti un reddito molto modesto??â€mi ha ingrigito la giornata..e il pensiero di Anna, curiosamente “presuntuoso”( come dice lei)mi ha messo il buon umore..
    brava Anna!

  8. 8 Anna Castagnoli
    3 Agosto, 2009 at 8:51

    Papepi la frase di Plumers era (secondo me) una forma retorica per dare più risalto al luccicante pezzo che seguiva, quello in cui viene detto che molti illustratori vivono bene (alcuni benissimo) con questo lavoro!

  9. 9 Anonimo delle 22:18
    3 Agosto, 2009 at 9:49

    sino a che…

    I casi della vita sono infiniti, cara Mirella, e si potrebbe continuare, citando Anna, così:

    sino a che…”In Spagna, dopo soli due libri pubblicati mi chiamano per conferenze (pagandomi), mi hanno proposto di insegnare in una scuola di illustrazione per tutto un quadrimestre l’anno prossimo (pagata benissimo), mi hanno fatto fare la copertina di una rivista di illustrazione prestigiosa (pagandomi)”

    Non voglio pensare adesso a casi di rinuncia e di abbandono… però chissà quanti.

  10. 10 Anna Castagnoli
    3 Agosto, 2009 at 9:56

    Sì, io credo ce ne siano tanti di casi di rinuncia, soprattutto oggi che il mercato dell’album è esploso e che la concorrenza è tanta. Però nessuno vieta di fare un altro lavoro e fare un libro all’anno, ad esempio.

    Vi dico però una cosa che potrebbe rassicurarvi: il mercato del libro è ASSETATO di nuovi talenti. Non so come sia il mercato del libro per adulti, ma quello del libro per bambini è apertissimo. Se si ha un buon progetto, lo si vende. Punto. Non ci vogliono raccomandazioni, fama, amicizie…

  11. 11 papepi
    3 Agosto, 2009 at 10:07

    si Anna.. forse ho estrapolato la frase dal contesto… isolata è davvero terribile!..

    comunque.. per legarsi al discorso delle rinuncie, la legge della jungla è valida ovunque… il più forte mangia il più debole (caratterialmente intendo)

  12. 12 Mirella
    3 Agosto, 2009 at 10:54

    …Papepi… troppo simpatico.. la legge della Jungla….gnammete!

    Anna, sei sempre un tesoro!

    Plumers è stato molto interessante, grazie!

  13. 13 Giovanna
    3 Agosto, 2009 at 11:35

    Brava Anna: non ci vogliono raccomandazioni, fama e amicizie. VERISSIMO. Puntate SOLO sul vostro talento e sulla vostra professionalità. Mai cercare scorciatoie. Il talento e la professionalità brillano di luce propria non hanno bisogno di altro e il loro splendore si nota lontano un miglio. Ve lo dico per esperienza.
    Io sono un editore e ogni giorno sogno di scovare un nuovo talento. Non, però, il cugino, la figlia o l’amico di qualche conoscente che si perita di raccomandarmelo, suscitando in me un indicibile fastidio. Non mi interessano nemmeno nomi di richiamo, se non fanno al caso nostro. Mi interessano quel tipo di cose che, per una ragione o per l’altra, mi mettono in uno stato di necessità e mi fanno dire: “Questo non si può non pubblicarlo.”

  14. 14 papepi
    3 Agosto, 2009 at 11:49

    Giovanna.. bisognerebbe farti un monumento!

  15. 15 Anonimo delle 22:18
    3 Agosto, 2009 at 14:43

    Il meglio sarebbe che lo splendore del talento riuscissero a vederlo, oltre agli editori ILLUMINATI come Giovanna, anche gli acquirenti di libri, che in alta percentuale non mi sembrano molto educati alla qualità.

  16. 16 plumers
    3 Agosto, 2009 at 15:18

    caro anonimo delle 22.18,
    (bellissimo il suo nickname)
    ha ragione. Ma, come diceva Hannibal the Cannibal: «Si desidera ciò che si vede tutti i giorni.»
    E quel che il pubblico vede tutti i giorni, sappiamo a che livello sta.

  17. 17 papepi
    3 Agosto, 2009 at 15:47

    giustissimo tutto ciò.. ma allora il pensiero “Per fortuna di solito, il mercato è abbastanza intelligente da selezionare il meglio.”non lo riesco a legare… se le persone non sono educate alla qualità perchè vogliono quello che vedono tutti i giorni , ovvero un basso livello qualitativo, il mercato in realtà non è abbastanza intelligente…

  18. 18 plumers
    3 Agosto, 2009 at 16:42

    Non è che «le persone non sono educate alla qualità perchè vogliono quello che vedono tutti i giorni». Al contrario: le persone vogliono quello che vedono ma, purtroppo, qualcuno fa loro vedere prevalentemente certe cose.
    Questo con il mercato e la sua intelligenza c’entra assai poco, cara Papepi. C’entra, invece, assai più con la politica culturale.
    Data questa, date le preferenze del pubblico e dati i vincoli economici, l’intelligenza del mercato si manifesta proprio nel permettere a Media Vaca, Corraini,Thierry Magnier, Peterr Hammer Verlag, De Eenhoorn (e aggiunga lei gli altri nomi di chi fa un eccellente lavoro nel campo degli albi illustrati) di pubblicare, trovare una propria nicchia e – se sono bravi, efficienti, impegnati,fortunati, eccetera – prosperarvi. E nell’escludere gli incapaci, i velleitari, i pigri, gli illusi e gli insipienti. (Non accade lo stesso anche con gli illustratori?)
    Non confonda, la prego, il mercato, cioè la somma delle decisioni individuali di miliardi di persone che scelgono, fra quanto viene loro offerto, ciò che ritengono più adatto a soddisfare i propri bisogni/desideri e l’offerta dei grandi produttori globalizzati e dei loro emuli che, ovviamente, è ciò che la gente ha sotto gli occhi tutti i giorni.

  19. 19 Mirella
    3 Agosto, 2009 at 17:07

    Anonimo… mi devi la royalty su una parte del tuo nick… (scherzo)!

  20. 20 giovanna
    3 Agosto, 2009 at 17:09

    Il pubblico prima o poi se ne accorge del talento. Ma ci arriva coi tempi suoi. È sempre accaduto. Senza andare a scomodare i soliti monumenti dell’arte, come Van Gogh etc. – caro Anonimo delle 22:18, pensi a Sendak, Lionni e Munari, che sono stati per decenni sulla graticola di commenti perplessi o negativi. E oggi sono classici indiscussi. Compito degli editori di ricerca (ma più che un compito, poi, è una attitudine) è di non fermarsi al gusto corrente, proponendo stili e linguaggi diversi, che nell’immediato, per il grande pubblico, risultano ostici, se non indigeribili. Altri editori che non sono di ricerca, fanno comunque un ottimo lavoro. Con prodotti più tranquilli, ma ben fatti. Cosa non deprecabile. Ci sono altri editori ancora che fanno cose molto popolari, ma dignitosissime. Cosa anche questa, oltre che onorevolissima, necessaria. Ci sono ottimi illustratori, come Negrin, capaci di lavorare con tutte e tre le tipologie di editore: un vero professionista dal quale chi vuole fare il lavoro di illustratore dovrebbe trarre ispirazione. Fra l’altro, sfiorare sempre le vette del sublime può risultare piuttosto noioso…

  21. 21 Mirella
    3 Agosto, 2009 at 17:15

    Anonimo delle 22:18 …naturalmente…

  22. 22 Anonimo delle 22:18
    3 Agosto, 2009 at 17:46

    Il suo giudizio, caro Plumers, è sempre fulminante: scaglia saette che centrano il bersaglio con precisione chirurgica. La citazione di Hannibal the Cannibal non mi sembra tanto casuale…

    Cara Mirella, le concedo i diritti d’autore per la creazione del mio nickname.

    Grazie, gentile Giovanna, per la bella analisi!
    Indubbiamente Negrin è un buon riferimento per tutti noi.

  23. 23 papepi
    3 Agosto, 2009 at 19:08

    ottimi tutti i vostri pensieri.. mi sono di grande aiuto !

  24. 24 lau
    5 Agosto, 2009 at 11:53

    “Fare arte è una necessità, un bisogno.
    Se si ha la creatività nel sangue ma si sceglie una strada più sicura, più remunerativa, più “logicaâ€, il prezzo da pagare è quello di una sensazione di soffocamento, di morte interna.”

    Sono d’accordo con la bella riflessione di Anna anche se spesso bisogna fare i conti(in tutti i sensi) con l’angoscia di doversi in un modo o nell’altro pagare le spese per poter sopravvivere e di non aver l’assoluta certeza di avere periodicamente un profitto. Questo secondo me può influenzare il proprio lavoro.

    “Eppure non si è mai contenti. Io sogno di tornare a Parigi un giorno. E tutti i miei sforzi, i miei sogni, sono rivolti a Parigi.
    Penso progetti per editori francesi, è sul mercato francese che voglio arrivare”.

    ABBIAMO UN SOGNO IN COMUNE…e mi emoziona sentirtelo dire.

    “Se si ha un buon progetto, lo si vende. Punto. Non ci vogliono raccomandazioni, fama, amicizie…”

    Questo penso sia vero e mi rincuora, molto!

    GRAZIE per questo spazio di discussione!
    lau

  25. 25 diletta
    6 Agosto, 2009 at 21:38

    Da libraia aspetto un approfondimento sulle librerie, visto che, in quanto vetrina, sono il principale trampolino per i successi e gli insuccessi editoriali.
    A quali distributori si affidano gli editori? Sono tutti uguali?
    Come i distributori promuovono i libri illustrati?
    Che rapporto hanno gli editori con le librerie (generaliste o specializzate)?
    Le librerie che rapporto hanno con i distributori? A quali vincoli (spesso anche politici) sono sottoposte?
    I librai quanto spazio e visibilità danno ai libri illustrati? Quali titoli scelgono? Quante copie ne comprano (acquistare 1 copia e metterla in parete è diverso che mettere 5 copie in pila in bella vista)? Dove le mettono? Vicino a quali altri libri? Come le espongono?
    Quanto un libraio può rischiare e sperimentare?
    Che preparazione deve avere un libraio?
    Credo che sia necessario riflettere anche su questi aspetti fondamentali.
    Non basta “sognare” di essere pubblicati, tragicamente il sogno deve essere tradotto in economia reale: il libro deve essere distribuito, acquistato dai librai, esposto, venduto.
    Una volta che il libro nasce deve essere sostenuto per “vivere” attraverso le librerie, le biblioteche, le fiere, i laboratori, la scuola, ecc).
    Credo, inoltre, che tutte le professioni legate all’arte e alla cultura presuppongano una grande passione, ma anche molta capacità di analisi, di ricerca, di preparazione, di creatività, di umiltà, di grinta e di tenace difesa dei diritti del proprio lavoro. Spesso nel campo culturale-artistico ci si affida solo alla passione e ai sogni.

  26. 26 daniela tordi
    7 Agosto, 2009 at 8:32

    Sante parole Diletta, il libro illustrato nasce praticamente morto – anche quando l’editore si avvale di un distributore nazionale e di grosso calibro (ammesso che questo di per sè valga una qualche garanzia!) – se il libraio non fa il suo… Ammesso che lo possa fare, che, cioè, sia formato per accedere agli strumenti che, al dunque, lo qualificherebbero. Nella mia personale e modesta esperienza d’illustratrice ho constato con grande rammarico che i libri, per arrivare sullo scaffale del negozio e per avere un minimo di visibilità (che implica anche di sopravvvere in libreria per piu’ di… due-tre mesi, sic) necessitano di un contributo massiccio da parte di chi li vende, contributo molto carente in larga percentuale. Posto che anche i librai hanno filo da torcere e sopravvivono spesso a fatica. Ma la loro prestazione è FONDAMENTALE e, dopo aver fatto un po’ di ricerca sul campo, azzardo che solo un 20-30% dei librai sulla piazza, quanto ai libri per l’infanzia, fa il proprio lavoro con cognizione di causa. Di fatto c’è una diffusa tendenza ad incoraggiare il consumo di libri “seriali” o, comunque, di facile presa ed una grande ignoranza quanto al resto. Il meccanismo delle rese e la velocità con cui si susseguono le novità incoraggiano una tendenza a trascurare la promozione del singolo libro. Che molte volte rimane uno scrigno blindato depositato sull’espositore per un tempo troppo breve perchè qualcuno possa comunque accorgersi di lui. E questo vale anche per i libri che io definirei “classici” e che dovrebbero essere sempre presenti e sempre riproposti, proprio per favorire l’abitudine ad un genere ed un progressivo “acculturamento” in quella direzione.
    Sono orvietana di nascita ed Orvieto da qualche anno è sede della SCUOLA LIBRAI ITALIANI… dando un’occhiata al programma online leggo:
    – l’analisi del mercato del libro;
    – le competenze gestionali di base;
    – lo spazio della libreria;
    – la progettazione della libreria
    Mi chiedo se all’interno di questo percorso sia prevista una formazione del libraio quanto ai contenuti di genere o se si abbia riguardo solo al profilo imprenditoriale e gestionale in senso stretto. Se così fosse, andrebbe persa un’altra importante e preziosa occasione…
    p.s. La piu’ grande libreria specializzata in letteratura per l’infanzia della capitale (la Mel Giannino Stoppani di piazza santi Apostoli), dopo avere liquidato tutta la merce (era presente anche un piccolo, ma prezioso scaffale di libri stranieri) si è convertita in un punto vendita della Giunti. Che, almeno inizilamente, ha sovvertito la logica degli articoli esposti: via i piccoli e fecondi editori, dentro i grandi. E la perdita non è stata da poco.

  27. 27 diletta
    7 Agosto, 2009 at 20:19

    Sono d’accordissimo Daniela.
    Ogni tanto penso che mi piacerebbe molto fare un’analisi economico-culturale su come vengono esposti-proposti i libri per ragazzi (in particolare gli albi) nelle librerie generaliste e specializzate. Credo che, senza nemmeno avere competenze di genere troppo specifiche, un mix di curiosità minima e di buone competenze di esposizione/rotazione dei libri farebbe la differenza sulla loro morte o vita!

  28. 28 daniela tordi
    7 Agosto, 2009 at 23:07

    Cara Diletta, è tutt’oggi che penso e ripenso a questa faccenda, a questo segmento (apparentemente l’ultimo) della “filiera libro”… e mi farebbe piacere esporti un’idea, o quantomeno l’abbozzo di un’idea. Ti lascio la mia mail (che non credo tu possa vedere da qui): danielatordi@libero.it – sarei davvero lieta di poter comunicare con te!

  29. 29 stelladilaura
    5 Marzo, 2010 at 0:10

    la ringrazio di cuore signor Plumers per la chiarezza e la semplicità usate in queste cinque lezioni. è stato un pò come vedere volteggiare le sue mani vicino al terriccio delle nostre menti e seguire in profondità i germogli da lei piantati! ovviamente le riflessioni nate da questi germogli saranno differenti da individuo a individuo, causa la diversità di terriccio!

  30. 30 Anonimo
    8 Giugno, 2010 at 9:58

    Mi allaccio a questo post con un annetto di ritardo.

    Anna,
    hai detto che il mercato del libro è AFFAMATO di nuovi talenti: ora, io non sono editrice nè (ahimè) illustratrice, ma quando mi guardo intorno, un pò come per la musica, mi trovo a pensare: arriverà mai il momento in cui sarà stato composto tutto il suonabile? o disegnato tutto il disegnabile? l’arte e la sua espressione sono davvero così infinite? oppure si arriverà al punto di partenza, al punto di dover ripetere qualcosa…

    Evidentemente no.
    Evidentemente le combinazioni di chi crea e chi fruisce sono talmente vaste che non è possibile esaurire tutte le declinazioni della stessa arte…

    E il mondo dell’illustrazione, come della musica, non si sente mai appagato del tutto, ma è in continua ricerca…

  31. 31 Lucertola
    8 Giugno, 2010 at 10:03

    ops…ho dimenticato qui sopra di mettere il mio nome…

    ne approfitto per dire GRAZIE a Plumers…anche per avermi chiarito il concetto di economie di scala molto più efficacemente del mio professore di economia!