Mostra Illustratori Bologna 2009: Arianna Tamburini

28 Aprile, 2009

arianna_tamburini

Arianna Tamburini, immagine selezionata per la Mostra Illustratori 2009, Bologna

Dopo il dibattito sulla Mostra Illustratori 2009, ascoltiamo il punto di vista di uno degli illustratori selezionati quest’anno: Arianna Tamburini

Innanzitutto complimenti per la selezione! Prima domanda: le tavole sono state fatte ad hoc per Bologna o facevano parte di un altro progetto/ di un libro?
Si, le tavole sono state realizzate appositamente per il concorso, è un libro di Stefano Benni, Stranalandia.

Hai già pubblicato libri? Quanti?
No, non ho mai pubblicato.

Cosa pensi della qualità della mostra di quest’anno? (della scelta dei giurati, del suo allestimento, dello stile “in vogaâ€-se ne hai individuato uno o diversi…etc)?
Sono molto contenta della selezione perchè era molto differenziata, di buona qualità.

Avresti preferito poter allegare alle tue immagini una storia o un testo?

No, penso che sia bello poter immaginare le storia solo guardando le immagini, devono saperti raccontare qualcosa anche senza testo, penso che sia questo il vero lavoro di un illustratore. Se le immagini dovessero essere spiegate sarebbe la morte della fantasia, per noi illustratori e per i lettori.

Pensi che sia giusto che la mostra sia aperta democraticamente a tutti (professionisti e principianti) o preferiresti due sezioni distinte?
Non saprei…anzi direi NO, non sono d’accordo visto che Bologna è una vetrina importante per farsi conoscere, per cominciare a lavorare… penso che quando i miei libri saranno nelle librerie non avrò bisogno di partecipare a concorsi.

Tutti gli illustratori sognano di far parte di questa mostra, ora quali altri traguardi ti prefiggi? Un nuovo concorso? Un sogno nel cassetto?

Sto solo aspettando di poter pubblicare, spero che questa visibilità serva veramente a qualcosa.
Per adesso gli alberi sono in fiore, aspetto di raccogliere i frutti.

10 Risposte per “Mostra Illustratori Bologna 2009: Arianna Tamburini”

  1. 1 giovanna
    28 Aprile, 2009 at 13:39

    Uno dei tipici argomenti a sfavore delle immagini nei libri per bambini è stata, da sempre (si può dire, dalle origini), la misteriosa affermazione: “uccidono la fantasia perché non consentono al lettore di immaginare da solo, a partire dal racconto.”Vedo con una certa sorpresa, che oggi, paradossalmente lo stesso argomento ritorna, ma rovesciato: sarebbe, cioè, la presenza del testo accanto a una immagine a “uccidere” la fantasia”. Prima ho usato l’aggettivo “misteriosa” a proposito dell’affermazione che le immagini frustrano lo slancio immaginativo dei lettori. Infatti mi sono sempre chiesta su che base qualcuno possa affermare con certezza che il suggerimento offerto da una immagine non inneschi nella mente del lettore un processo creativo di pensiero, proprio come accade con le parole. E nello stesso modo, mi chiedo su che base si può asserire che gli spunti offerti da un testo non inneschino nuove visioni nella mente di chi legge, proprio come accade con le immagini. Al di là del dogmatismo contenuto in entrambe le affermazioni, oltre che essere infondate e avere l’aspetto di facili certezze, queste posizioni mi sembrano non portare molto lontano. Non sarebbe più interessante, soprattutto per un illustratore, chiedersi in che modo le immagini e i testi lavorano, insieme?

  2. 2 michela
    28 Aprile, 2009 at 13:58

    Giovanna, concordo in pieno con te, io credo che le parole arricchiscano delle immagini e aiutino a formarne altre nella nostra mente e, viceversa, le immagini mi suggeriscano una storia “altra” rispetto a quella che i miei occhi colgono.
    Sono proprio questi elementi che, se ben mescolati, mi lasciano dentro qualcosa di incompiuto che mi spinge a leggere e riguardare un libro e scoprirvi infinite storie infinite immagini.

  3. 3 Anna Castagnoli
    28 Aprile, 2009 at 14:12

    Pensa che persino Bruno Bettelheim sosteneva a gran voce che le immagini in un libro costringono il bambino a un immaginario che non è nato spontaneamente da lui, quindi meno creativo.

    Io ricordo che da piccola le poesie o le filastrocche che mi leggevano e che non avevano illustrazioni avevano immagini potentissime.
    Dall’altra parte “leggevo” le illustrazioni dei libri illustrati come fossero state storie, allora in questo secondo caso il testo mi serviva per “illuminare” alcuni dettagli che non capivo ( inutile dire che quando non li illuminava la mia soddisfazione era massima, perché l’immagine conservava il suo mistero snervante).

    C’era un solo libro in cui la relazione di immagini e parole era così viva che ogni volta ero costretta, quando vedevo le immagini, a chiedere a mio padre di leggermi le rime, ma in questo caso era perché le rime mi piacevano quanto le illustrazioni e avevano pari ricchezza. Se riguardo oggi quel libro posso confermare la qualità del rapporto testo-immagini.

    E’ vero che un libro illustrato è più della somma delle sue parti.
    Ma se in alcuni casi il testo può non sopravvivere senza le immagini ( penso a certi picture books dal testo striminzito) penso che le immagini debbano saper sopravvivere senza testo. Magari regalando un’altra storia, un altro significato. O non è così?
    (forse no, sto pensando a un testo molto ricco illustrato da linee astratte, che accennano solo a un’atmosfera).

    Io potrò scrivere nella bianca pagina di destra: E FINALMENTE….
    e far accadere cosa finalmente deve accadere nella pagina di sinistra con un disegno. Ma non potrò avere (ditemi se sbaglio) un disegno che abbia la valenza di quel “E FINALMENTE…”.

    Le valenze di testo e immagini non sono interscambiabili, e il loro modo di diventare una sola cosa è tutto da indagare.
    Indaghiamo?

  4. 4 Anna Castagnoli
    28 Aprile, 2009 at 14:50

    Secondo me per approfondire il discorso (e codificarne le leggi arcane) dovremmo prima di tutto analizzare il valore semantico di un’immagine e di una frase.
    E’ lo stesso?
    Proviamo a valutare tre casi.

    PRIMO CASO:
    Parità di senso tra immagini e testo.
    Pensiamo alla parola “melanzana”, facciamo il disegno di una melanzana e siamo a cavallo. I due sono significanti interscambiabili.
    La cosa si complica quando la frase è un verso di Frenaud che descrive la giovinezza:
    “Tutto era bonomia e ispirava fiducia come il colore della melanzana”.

    Nessuna melanzana disegnata, neppure la più bella, tradurrebbe l’impalpabile senso della poesia. Allora?
    Allora l’immagine deve fare quello che la metafora fa con il linguaggio, dire altro per dire quella cosa lì (la melanzana di Frenaud).
    (Qui ci sarebbe da aprire un capitolo di sei pagine, perché l’uso della metafora è quanto di più difficile ci sia in scrittura, Frenaud non avrebbe ottenuto lo stesso effetto se avesse scritto: tutto era bonomia e ispirava fiducia come il colore della zucchina, e forse accade lo stesso con l’illustrazione).

    “Interpretare†un testo significa trovare una metafora visiva per tradurlo. Dalle sei pagine che bisognerebbe scrivere qui per descrivere come si trova una metafora estrapoliamo un concetto chiave: una metafora deve cogliere l’ossatura portante del senso. Capire profondamente, poi trovare, come nei sogni, un gruppo di oggetti che possa sostituire quelli di partenza e restituire misteriosamente lo stesso senso.

    Questo è quello che deve fare (secondo me) un’illustrazione quando vuole mettersi in relazione a un testo, ma qui viene il difficile: Come farlo?
    Che oggetti usare? Si dovrebbero studiare a fondo le leggi visive di Arnheim e Kandinsky , perché forse per dire la leggerezza della giovinezza espressa da Frenaud basterebbero una linea curva e un punto. Quando una melanzana realistica sarebbe invece così pesante da fallire tutto. O basterebbe una finestra aperta su un cielo primaverile?
    Nei casi di interpretazione riusciti, anche in quello della linea astratta con il punto, l’immagine avrà la stessa forza semantica della strofa di Frenaud.

    SECONDO CASO
    Testo che non ha quasi senso, immagini che hanno senso.
    Il testo dice solo “Finalmente…†un “ E poi…â€
    Io potrei fare un intero libro di “ E poi…†uno dopo l’altro e far accadere la storia attraverso le immagini. In questo caso il testo indica, ma sono le immagini che detengono il senso.

    TERZO CASO
    Il terzo caso, cioè di una disparità di senso tra immagini e testo, (in cui il testo detiene il senso e l’immagine non è autonoma), non mi viene in mente.

    Per questo dico che secondo me le immagini devono sapersi reggere anche da sole.
    Io posso pensare (all’interno di un album illustrato) a un testo che non abbia senso autonomo, completamente assente, o fatto di suoni, o di deissi. Ma non riesco a immaginare un’immagine capace di non avere senso. Di indicare soltanto. Neanche se fosse fatta di tre puntini.
    Forse perché il linguaggio può indicare (forse non fa che quello, come suggeriva Wittgenstein) mentre un immagine “è” e non è capace di indicare soltanto. Un’immagine, anche la più astratta, se non ha un senso, non è corretta. (Come diceva Paolo non è un “finalmente” ma un ” alfintemen”)
    Ma qui mi prende la mia antica passione per la filosofia del linguaggio e forse sto andando troppo lontano.

  5. 5 Giovanna
    28 Aprile, 2009 at 16:01

    La faccenda è molto complessa, e il mio commento aveva appunto lo scopo di far pensare precisamente a quanto lo sia. Che poi, a mio avviso, è la cosa più interessante, rispetto al trovare immediate risposte (penso fra l’altro che ogni libro illustrato rappresenti una risposta possibile alla complessa relazione fra parole e immagini). Riguardo al primo caso che fai: la faccenda si complica da subito. Perché la melanzana che affermo e quella che disegno sono già molto diverse. La parola, quando afferma “melanzana”, fa riferimento a tutte le melanzane del mondo. Ma quando disegno una melanzana, per forza di cose traccio il profilo di una specifica melanzana, perché mi è impossibile affermare attraverso il disegno un archetipo di melanzana, e questo perché l’immagine comporta di per sé la definizione di una quantità di caratteristiche specifiche delle melanzane che la parola lascia inespresse (a esse rimanda facendo appello a conoscenze pregresse dell’ascoltatore).
    Per quanto riguarda il terzo caso, pensiamo a un libro molto noto: “Piccolo giallo e piccolo blu”. Abbiamo delle macchie di colore. Le immagini sono bellissime, potremmo appenderle in salotto, e deliziarci alla loro vista, d’accordo. Ma le possiamo leggere nel senso specifico che gli ha attribuito l’autore, solo se leggiamo il testo. Non si tratta di una bella composizione astratta, ma della storia di due bambini che scoprono che un’amicizia non è la somma matematica di due personalità, bensì un terzo individuo completamente nuovo (il verde, appunto). Il testo attribuisce alla macchie nomi e identità, definisce luoghi, momenti e personaggi. E allora le immagini cosa fanno? Cose altrettanto importanti. Per esempio, giocano un ruolo fondamentale nel momento cruciale della storia: il nascere della amicizia è raccontato attraverso una perfetta metafora visiva: la fusione di giallo e blu, i colori che simboleggiano i bambini, che dà luogo al verde. Questa metafora visiva ha una immediatezza e una potenza che le parole non avrebbero avuto. Ma non solo. Pensiamo a cosa avrebbe potuto dire il testo: “si divertirono così tanto che alla fine si dichiararono eterna amicizia”. Deludente e astratto. Il verde invece riesce ad aggirare l’asserzione retorica del valore dell’amicizia, rivelando un aspetto molto profondo riguardo alla natura delle relazioni umane: ci dice che quando due persone che si piacciono molto fra loro entrano in contatto, a volte diventano la stessa cosa, e la cosa che diventano è diversa da ognuno delle due prese singolarmente. A questo livello di profondità Lionni accede usando le parole e le immagini e conduce una narrazione che richiede al lettore il ricorso simultaneo a entrambi i codici. Solo mettendoli insieme il lettore può accedere al significato della storia. Il verde, infatti, da solo, a sé stante, senza le parole del racconto, come macchia di colore, seppur bella, cosa ci direbbe, di per sé di un’amicizia?

  6. 6 martina
    28 Aprile, 2009 at 16:19

    Sono d’accordo con Giovanna.
    Se parliamo di un quadro ha senso che l’immagine esprima quello che deve dire da sola. Ci sono è vero dei bellissimi libri solo con immagini e senza parole ma mi sembra che si contino sulle dita di una mano.
    Se invece consideriamo i libri illustrati, il rapporto di testo e immagine è fondamentale e una buona illustrazione a parer mio risulta solamente arricchita dalla vicinanza del testo.
    Penso non sia possibile giudicare “criticamente” un’illustrazione senza avere il testo vicino, tant’è che sia a Bologna che a Parigi vengono chieste due righe di riferimento, certo l’immagine mi racconterà qualcosa anche da sola, ma come posso davvero sapere quale è stata la bravuta (o meno) di un illustratore senza leggere il testo a cui l’immagine si affiancherà nel libro?

  7. 7 Anna Castagnoli
    28 Aprile, 2009 at 16:36

    Giovanna hai ragione!
    Ti/vi rendete conto della complessità dei codici narrativi di immagini e parole?
    Rispetto alla precisazione che fai sulla melanzana è proprio per questo suo essere “uno spillo sulla realtà-farfalla” che è si è sempre accusata l’immagine di uccidere la fantasia.

    Io però insisto con la mia teoria e apro un nuovo spunto di riflessione: che cosa è la fantasia? Inventare? Immaginare? Creare nuove associazioni?
    Io credo che esistano archetipi di senso e che testo e/o immagini vadano a stimolarli.
    Quando un libro come quello di Lionni suggerisce con un’immagine cosa è l’amicizia, quel terzo colore che vedo (la fusione) io l’ho già in me come archetipo.
    E’ vero che io senza testo non avrei il senso pieno del libro (l’importanza dell’amicizia), ma sono sicura che se si facesse fare un gioco di associazioni a dei bambini solo a partire dall’immagine dei due cerchi incastrati, arriveremmo a qualcosa di molto simile all’amicizia.
    Testo e immagini insieme creano un plus valore, un nuovo senso che illumina entrambi di nuovi sensi. Ma continuo a pensare che l’immagine, a livello evocativo, (non se bella, ma se con un senso) può e deve danzare da sola.
    E’ certo che non avrà “quel senso lì” ma avrà lo stesso un potere di evocazione.
    Davanti ad ogni pagina di Piccolo Giallo Piccolo Blu, anche senza testo, potremmo inventare delle storie (certo meno belle o interessanti di quella perfetta creata da Leonni, ma non è il punto).
    Tutto questo è più chiaro quando vediamo immagini che non funzionano, che non hanno quel potere evocativo…
    Per riassumere: è certo che con parole E immagini (insieme) si riescono a creare sinfonie mille volte più potenti, ma per tutte le ragioni che ho provato confusamente a elencare, penso che delle illustrazioni debbano poter/saper stare in piedi anche senza un testo.
    Sicuramente le immagini di Bologna prendevano un’altra dimensione con il testo accanto, ma anche senza testo si poteva capire quando un’immagine non funzionava e quando sì.
    L’immagine se funziona ha un senso: è interpretabile, è evocativa, stimola la fantasia. Se non funziona non ha un senso. E mi spingo più in là fino a dire che per funzionare, deve avere un senso.
    Proprio come una frase, per essere capita, deve rispondere alle leggi della sintassi, della grammatica, della logica, etc..
    Faccio un esempio: se nell’intersezione tra i due cerchi Leonni avesse messo dell’arancione, invece del verde, l’immagine non avrebbe funzionato, perché visivamente il verde è la somma che il mio occhio fa tra il blu e il giallo. Quelle di Lionni sono immagini elaboratissime da un punto di vista di composizione spaziale e cromatica. Hanno senso perché funzionano come immagini. Anche se poi, con il testo, hanno un senso più ricco e diverso.

  8. 8 giovanna
    28 Aprile, 2009 at 17:47

    Carissime, stanno venendo fuori una quantità di questioni molto ampie. Fra queste quella dei libri senza parole, sui quali ci sarebbe molto da dire. Per esempio, Martina, una delle cose che accade quando se ne fa uno, è che si fa continuo ricorso alle parole (pensate o dette o scritte) nell’articolare la storia che l’illustratore dovrà raccontare solo con le immagini. Quindi, anche in questi libri le parole non si vedono, ma sono ben presenti. Il penultimo numero della rivista francese “Hors cadres” era tutto dedicato ai libri senza parole: la consiglio perché era interessante.

    Quanto all’autonomia dell’immagine: forse andrebbe stabilito cosa s’intende con i termini dipendenza e autonomia. Il fatto che una immagine possa comprendere anche altre direzioni di senso rispetto a quelle date dal testo, è indubbio (e inevitabile, fra l’altro). E che l’immagine abbia una grammatica, una struttura rigorosa che la sorregge, è altrettanto indubbio. Ma questa condizione non implica che l’immagine non possa essere impiegata, insieme alle parole, per creare un ulteriore codice, di ulteriore complessità, che è quello, appunto del libro illustrato. Personalmente non mi viene da utilizzare i termini dipendenza e autonomia, perché questi sembrano implicare una prevalenza di un linguaggio sull’altro (e io, come editore, sto cercando, da anni, con il mio lavoro, di comunicare che questo modo di vedere rappresenta una forte limitazione alle potenzialità del libro illustrato). Ma come dimostra il libro di cui parlavo prima, non è così: si tratta di una compresenza, di un intreccio. Forse per superare il problema bisognerebbe tener presente un’altra unità di misura,nel considerare il libro illustrato: il racconto. Il racconto in questo tipo di libro è, oltre che intreccio nel senso di plot,anche intreccio di entrambi i codici, visivo e linguistico.

    Mi sembra che provare a indagare i possibili significati della parola fantasia potrebbe essere molto utile, in un sito come questo.

  9. 9 Anna Castagnoli
    28 Aprile, 2009 at 18:50

    Grazie Giovanna per il tuo commento che ha dato origine a una discussione così interessante. Mi sembra che siamo giunti alle stesse conclusioni e che la strada per approfondire questi temi sia lunga e allettante.

    A questo indirizzo potete trovare una sintesi molto veloce ma piena di suggestioni sulle differenze tra immaginazione e fantasia nella storia della filosofia:
    http://www.unesco.it/giornata_libro/2006/calcaterra.pdf

  10. 10 Riccardo
    1 Maggio, 2009 at 11:32

    Ho letto ora la vostra discussione e devo dire che la questione è tanto complessa quanto interessante, per cui vi ringrazio. Mi avete portato a pensare a quanto sia difficile indagare sul modo esatto (ammesso che ne esista uno e uno solo) di descrivere un racconto usando i codici della parola e dell’immagine. Ho pensato a quanto sia complesso trovare un linguaggio comune, comprensibile a tutti, e forse è impossibile. Ho pensato al fatto che effettivamente un’illustrazione racconta già una storia, include in se un racconto, ma poi deve riuscire magicamente ad evocarne un altro nel momento in cui viene affiancato dal testo. Mi viene in mente la famosa “Ceci n’est pas une pipe” di Magritte, e la questioni ha forse origini più antiche. Ma pensando e ripensando, posso dire di essere d’accordo con voi, l’immagine deve poter collaborare perfettamente col testo, ma evocare necessariamente già un suo senso.