“Sylvester”, il bambino-pietra (W.Steig).parte II
20 Settembre, 2008(Torna all’analisi della PARTE I)
Continuiamo l’avventura del nostro asinello Sylvester, (Sylvester and the Magic Pebble di William Steig). (Io improvviso le mie sensazioni e le mie idee, ma vi invito a fare altrettanto e suggerire nuove strade di lettura). Avevamo lasciato l’asinello sulla strada di ritorno verso casa, eccitato dal ritrovamento della pietra magica capace di esaudire qualsiasi desiderio.
QUARTA TAVOLA
Mentre Sylvester sta attraversando Strawberry Hill, pensando a tutte le cose che può desiderare, gli si para davanti un leone affamato. Sylvester è terrorizzato. Il testo dice: se non fosse stato così spaventato avrebbe potuto far sparire il leone, o avrebbe potuto mettersi in salvo nella casa di suo padre e sua madre, avrebbe potuto trasformare il leone in una farfalla… (…) ma la paura non gli permise di pensare bene: “Voglio essere una pietra, disse, e si trasformò in una pietra”.
Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969
Osservate come nell’illustrazione Sylvester passa dall’essere pietrificato dalla paura, ad essere una pietra. Abbiamo già constatato che Sylvester ha un tipo di pensiero magico e immaturo (vuole ottenere le cose per magia, vuole che tutto sia sempre sereno), ed è con le stesse armi psicologiche che affronta il leone: invece di un pensiero costruttivo e creativo (trasformare il leone in farfalla) attua una strategia regressiva alla massima potenza. E’ il bambino davanti alla paura, con le sue armi primitive, con i suoi semplici modi di reagire all’angoscia (se mi nascondo, sarò al sicuro). Non vi capitava da piccoli, spaventati da qualche rumore nella notte, di restare immobili e trattenere il respiro? E’ la vita che circola in noi che attira la paura e le emozioni. Come cose o morti, saremmo forse salvi (è con questa idea che il bambino in un ambiente non sicuro, o non sufficientemente ricco affettivamente, decide di abdicare al proprio sé più autentico, scegliendo un falso-sé attraverso il quale adattarsi al mondo. E’ una strategia di salvezza, ma ha un prezzo incommensurabile).
Non vorrei andare troppo lontano, ma l’apparizione del leone sembra essa stessa scaturire dal dilagare dei pensieri onnipotenti, come forza persecutoria liberata dalla rinuncia al senso della realtà . E cosa dire del fatto che Sylvester trova una pietra magica e finisce per diventare pietra? Come quel re che voleva tutto d’oro e morì di fame perché ogni cosa, anche il cibo, si trasformò in oro.
QUINTA TAVOLA
Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969
La pietra magica per funzionare deve essere tenuta in mano. Sylvester non ha più modo di tornare ad essere Sylvester. Pensa che l’unico modo sarebbe che qualcuno trovando la pietra ne esprimesse il desiderio. La pietra è luccicante, sarebbe facile trovarla, ma quanti trovandola potrebbero desiderare che una pietra si trasformi in un asino? (pensa Sylvester). Una probabilità su miliardi. Sylvester è sgomento, in uno stato d’angoscia fortissimo dice piangendo: “Oh, come vorrei essere di nuovo me stesso“.
Lasciamo da parte tutta la letteratura antichissima (pensate solo alla mitologia greca) che è dietro a questa metamorfosi in pietra. Pensiamo all’album illustrato per bambini.
Voi siete adulti, ma immaginate un bambino davanti a questa doppia pagina. C’è in quella pietra inanimata (morta) l’amato asinello che poco fa era vivo: immobilizzato, solo, impotente. Provate a ingrandire l’illustrazione e fissare la pietra. Provate anche voi a immedesimarvi nella pietra-bambino. Un senso di solitudine sconfinato (accentuato dalla notte stellata) proviene da essa. E’ lo stesso impotente dolore che grida in fondo a ogni bambino (o adulto) che ha dovuto rinunciare a se stesso per sopravvivere nel mondo. Io credo che tutti i bambini, e tutti gli adulti, in maniera più o meno accentuata, conoscano in fondo a se stessi questo grido.