Bentornati cari lettori, spero che la vostra estate sia stata serena.
Di ritorno dalle vacanze, sono passata da Parigi per visitare la grande retrospettiva che il Centre Pompidou ha dedicato a David Hockney: merita il viaggio.
David Hockney, Le Plongeur Paper Pool 18, 1978
Nato nel 1937 in una modesta famiglia, quarto di cinque figli, Hockney si interessa all’arte fin da bambino e a undici anni si iscrive alla scuola d’arte della sua cittadina inglese, Bradford. Segue una carriera accademica regolare, guidato da esponenti delle nascenti correnti dell’Astrattismo e della Pop Art.
A 25 anni si diploma al Royal College of Art di Londra e viene mandato in Egitto dal Sunday Times come corrispondente-illustratore.
David Hockney, dal libro: Egyptian Journeys, American University in Cairo Press, 2002
Obiettore di coscienza, estroverso, omosessuale dichiarato, Hockney ha condito la sua carriera artistica con una grande dose di ironia e buon umore.
Nel 1960 (ha 23 anni), visita la grande retrospettiva che la Tate Gallery dedica a Pablo Picasso. Stupito dalla quantità di stili che Picasso ha sperimentato nell’arco della sua carriera, decide che avrebbe usato tutti gli stili che più gli aggradavano, liberamente.
Nel 1961 dipinge quattro grandi tele che intitola: Demonstrations of Versatility (Dimostrazioni di Versatilità ).
Le tele sono: Tea Painting in an Illusionistic Style, A Grand Procession of Dignitaries in the Semi-Egyptian Style, Flight into Italy – Swiss Landscape in a Scenic Style e Figure in a Flat Style, tutte esposte al Centre Pompidou.
Eccone due qui di seguito (non ci si rende conto, nelle riproduzioni, di quanto siano grandi i quadri di Hockney. Sono giganteschi).
David Hockney, Swiss Landscape in a Scenic Style, 1961
David Hockney, Tea Painting in an Illusionistic Style, 1961
Il mondo ha quattro dimensioni (o forse di più): è una materia porosa, concava, nella quale ci muoviamo (tempo) continuamente. La tela, al contrario, è una superficie piatta, a due dimensioni, immobile (immobile rispetto ai nostri occhi, ovviamente: nella realtà , è anche lei un pullulare di instancabili elettroni).
Come si possono rappresentare quattro dimensioni in due?
Le quattro tele di Demonstrations of Versatility rivisitano diverse modalità espressive trovate da artisti di altre epoche: dagli egiziani a Duccio di Buoninsegna, fino a Francis Bacon. L’originalità di Hockney consiste anche nel mescolare modalità diverse nella stessa immagine.
Le varie correnti della storia dell’arte hanno cercato e proposto soluzioni diverse a questo problema, possiamo raggrupparle in due tendenze opposte:
il realismo, che vuole eludere le due dimensioni creando un trompe-l’Å“il che induca lo spettatore a credere nella profondità di campo del quadro, e il simbolismo, corrente che rivendica la falsità palese della rappresentazione pittorica e sceglie di dipingere il mondo in un modo più libero, intimista e soggettivo.
Questa tensione dialettica è perfettamente espressa in Tea Painting in an Illusionistic Style: una risposta alla ricerca di Francis Bacon sullo spazio.
Bacon, in quegli anni, aveva ridotto lo spazio prospettico a un gioco di semplici linee, Hockney vuole spingersi ancora più avanti del suo collega, vuole smascherare il trompe-l’Å“il dello spazio pittorico: taglia direttamente la tela a forma di scatola aperta. Passando davanti al quadro, l’effetto di straniamento è molto divertente: la scatola sembra profonda, ma si appiattisce quando la sia guarda di lato.
Sullo sfondo della fotografia: David Hockney, Tea Painting in an Illusionistic Style, 1961
Francis Bacon, Seated Figure, 1960
Se osservate la casa e la macchina in Swiss Landscape in a Scenic Style, vedrete queste due modalità di rappresentazione (realistica e simbolica) esposte contemporaneamente: la casa è vista dall’alto, in prospettiva, la macchina, invece, è completamente piatta, disegnata in modo espressivo per rendere la velocità .
David Hockney, Swiss Landscape in a Scenic Style, 1961, dettaglio
La macchina è in secondo piano rispetto alla casa, ma la scritta che esce dal tubo di scappamento e le piccole gocce di pittura che Hockney lascia cadere sulla tela ritornano in primissimo piano, perché una macchia di pittura e una scritta tipografica galleggiano sulla superficie della tela. Un paradosso che rivela la completa falsità dell’illusione prospettica.
David Hockney, Swiss Landscape in a Scenic Style, 1961, dettaglio
Stesso gioco con le montagne sullo sfondo: un gruppo di montagne è disegnato in modo prospettico, con tanto di ombre corrette (luce cade che sulle vette innevate da sinistra), altre montagne sono disegnate con le linee prese in prestito a Morris Louis, artista astratto che nel 1960, l’anno precedente alla realizzazione di Swiss Landscape, aveva dipinto Alpha-Pi, un quadro di sole linee.
L’Astrattismo restituisce alla pittura la sua libertà e la sua espressività più pura. La pittura disegna se stessa, la realtà esterna è scomparsa. Salvo pochissime eccezioni, Hockney non si è mai lasciato tentare da questa corrente.
Troppo innamorato del mondo (volti, stanze, sedie, piscine, piante, corpi), ha sempre cercato di tradurre sulla tela l’emozione viva del “guardare”.
David Hockney, Swiss Landscape in a Scenic Style, 1961, dettaglio

Morris Louis, Alpha-Pi, Metropolitan Museum, 1960
“Nell’epoca della sua riproducibilità tecnica“, la ricerca di Hockney non ha lesinato su nessuno dei mezzi offerti dalla modernità per riprodurre la realtà . Dalla Polaroid al video, dal Fax all’iPad, questo versatile artista ha provato ogni mezzo per riuscire a fissare sulla tela la ricchezza inesauribile del mondo fluttuante.
David Hockney, Celia’s Children Albert and George Clark, 1982
David Hockney, pittura con iPad: The Arrival of Spring in Woldgate
Nel suo libro Secret Knowledge: Rediscovering the lost technique of the Old Masters, pubblicato nel 2001 e oggetto di non pochi dibattiti, Hockney cerca di provare questa tesi: moltissimi dei grandi maestri del passato hanno usato strumenti ottici per dipingere. Dallo specchio convesso alla camera oscura, gli artisti usavano strumenti molto simili alla nostra macchina fotografica o a Photoshop.
I quadri di Caravaggio e Vermeer, ad esempio, pare siano stati dipinti usando diverse proiezioni di camere oscure, assemblate poi sulla tela (Hockney smaschera alcuni errori di assemblaggio).
(Potete ascoltare/vedere la sintesi di questa teoria in tre video documentari: parte 1, parte 2, parte 3).
Giulio Parigi, camera oscura, 1590 (Una storia delle immagini, Einaudi 2016)
Hockney non rimprovera a questi maestri di aver usato la camera oscura, al contrario, ma si scaglia con veemenza contro la prospettiva centrale che è derivata dal guardare il mondo attraverso un foro.
La vista che offre un quadro prospetticamente “corretto” in senso classico è, secondo Hockney, la visione del mondo di un morto. Noi, da vivi, ci muoviamo continuamente e ad ogni movimento il mondo si sposta e si trasforma con noi
Tra il 1921 e il 1924, ne La prospettiva rovesciata, il critico russo Pavel A. Florenskij aveva criticato il riduzionismo della prospettiva centrale. Non c’è un solo modo di tradurre il mondo in un’immagine, ma molti, e tutti sono “realistici” perché il nostro modo di vedere il mondo è psicologico, non matematico. Hockney ha fatto di queste teorie il cuore pulsante della sua ricerca. Florenskij:
“È proprio vero che la prospettiva, come sostengono i suoi fautori, esprime la natura delle cose e pertanto deve sempre e dovunque essere considerata come presupposto assoluto di veridicità artistica? O è piuttosto solo uno schema (e per di più uno dei possibili schemi di rappresentazione) che corrisponde non alla percezione del mondo nell’insieme, ma solo a una delle possibili interpretazioni del mondo, legata a un ben determinato modo di sentire e di comprendere la vita?”
Hockney:
“(…) L’effetto di un dipinto costruito secondo la prospettiva di [Leon Battista] Alberti è – precisamente – di separarci dal mondo che ci circonda.” (Una storia delle immagini).
La prospettiva rovesciata rappresenta il permesso di una visione soggettiva, intima delle cose. L’antitesi di quella visione fissa, razionale, matematica del mondo che ha dettato legge dal Rinascimento fino all’esplosione delle Avanguardie del ‘900.
Davanti ai paesaggi dipinti da Hockney si ha davvero la sensazione di muoversi nello spazio, liberamente e felicemente.
I suoi quadri conservano le linee sinuose di due occhi vivaci che hanno guardato il mondo con passione.
David Hockney, Going Up Garrowby Hill, 2000
Tornata da Parigi, ho ordinato e divorato Una storia delle immagini: un dialogo a due voci, una vivace discussione tra David Hockney e il critico d’arte Martin Gayford.

È un libro ricco di spunti e aneddoti sull’arte, divulgativo, scritto per spiegare al grande pubblico alcuni concetti chiave della storia dell’arte. È interessante la volontà di Hockney di non fare distinzioni di classe tra le immagini prodotte dagli esseri umani.
Tutti gli artisti sanno che i confini tra le diverse discipline (illustrazione, fotografia, cinema, ottica, pittura, architettura, design), al momento di creare, diventano labili.
David Hockney e Martin Gayford, Â Una storia delle immagini, Einaudi 2016
Il libro mi è piaciuto, ma devo fare una critica severa alla traduzione italiana.
Le frasi sembrano ricalcare la struttura del parlato inglese, una tendenza che noto sempre più spesso nelle traduzioni da questa lingua (anche nei libri per bambini).
È un testo con una sintassi astrusa e spesso sgrammaticata, ho fatto fatica leggerlo e non ho potuto capire alcuni passaggi importanti del pensiero di Hockney. Vi cito alcuni esempi:
“Martin Gayford, a proposito dell’uso della camera oscura: «Non è pensabile che questi effetti ottici così coerenti e precisi siano stati ottenuti con la semplice immaginazione, – hanno affermato i ricercatori. – Siamo indotti alla conclusione, che sembra ineludibile, che l’artista ha osservato direttamente l’impatto visivo di personaggi e oggetti realmente collocati in uno specifico ambiente, e li ha fissati nella sua opera».
David Hockney: Sembra che alcuni storici pensino che lo studio di van Eyck fosse simile a quello di Cézanne: la veglia solitaria dell’artista. Non doveva affatto essere così, doveva assomigliare piuttosto alla Metro Goldwin Mayer. Dovevano esserci vestiti, parrucche, armature, candelieri, modelli e ogni genere di arredo.”
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“DH: Nel disegno con la camera oscura il tratto contorna sempre qualcosa. È un tratto guidato; tuttavia la mano non è guidata dall’immagine nella testa dell’artista, ma da qualcosa di esterno. Normalmente quando si disegna a mano libera si va un po’ a tentoni. Con la camera oscura ciò non accade.
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DH: Nel 1981 fu allestita dal Museo di arte moderna di New York una mostra dal titolo Prima della fotografia. Induceva a pensare che subito prima del 1839 diversi pittori realizzassero dipinti che, pensate, assomigliavano a fotografie. Quindi arrivò la fotografia a confermare la loro visione. Non è successo niente di simile. La loro visione derivava dalla camera ottica, ma se non lo si sa sembra che gli artisti dipingessero nel modo giusto e che la fotografia non abbia fatto altro che confermarlo.
(David Hockney e Martin Gayford, Una storia delle immagini, Traduzione di Alvise La Rocca, Einaudi 2016).
Mi sembra pazzesco che, per un libro così importante, Einaudi non abbia curato meglio la traduzione.
David Hockney, Sixt fairy tales, British Royal Academy of Arts, 1970 e 2012
Perché vi ho parlato di questo pittore in un blog sull’illustrazione? Per tre ragioni. Perché gli stili che ha sperimentato nelle diverse fasi della sua vita sono quelli che maggiormente hanno influenzato l’illustrazione contemporanea, perché questo versatile artista ha eccelso in tutti i campi, anche in quello dell’illustrazione (vedere questo post e questo) e, infine, perché mi piacerebbe, per questa nuova stagione del blog, aprire gli orizzonti dell’illustrazione ad una riflessione più ampia sulle immagini e sulla storia dell’arte.
Non vi intrattengo oltre, per oggi.
Spero di avervi invogliato ad approfondire lo studio di questo simpatico e geniale pittore che ha da poco compiuto 80 anni.
Anna Castagnoli
David Hockney