Buone Feste a tutti!

A_Castagnoli_def


Il misterioso codice Voynich verrà pubblicato per la prima volta

Il codice Voynich,  dal nome del fortunato Wilfrid Voynich che lo scoperse nel 1912, trovandolo per caso nel lotto di libri che aveva acquistato dai gesuiti del collegio di  Villa Mondragone, vicino a Frascati (Roma), è il libro miniato più misterioso al mondo.
Per la prima volta nella storia, a febbraio di quest’anno, è stato iniziato il lavoro di  ‘clonazione’: quest’opera assoluta verrà pubblicata da Siloé, casa editrice spagnola specializzata nella riproduzione di codici miniati antichi.

Voynich_Manuscript 800px-Voynich_Manuscript_178
Scritto e illustrato su pelle di capretto, di dimensioni piuttosto ridotte, è un libro illustrato di 204 pagine, scritto in un alfabeto e in una lingua che ancora oggi non si è riusciti a decifrare, fatta eccezione per una manciata di parole.
Ogni anno, da più di un secolo, vengono pubblicati studi che provano, poi confutano, e poi provano di nuovo… l’autenticità del manoscritto.
Un manuale di medicina, botanica, astrologia e magia scritto agli inizi del 1400 in qualche dialetto oggi sconosciuto? La prova al Carbonio-14 realizzata sulla carta, lo colloca con esattezza tra il 1404 e il 1438 (ma non la si può applicare sull’inchiostro).
Ma in tal caso, cosa ci fa sul manoscritto il disegno di un girasole? Pianta conosciuta in Europa solo dopo la scoperta dell’America, nel 1492?

Schermata 2016-03-17 alle 12.52.05
Oppure è un falso? Scritto, dopo la metà del 1500, per sfruttare il successo che  le opere esoteriche riscuotevano presso le corti europee del rinascimento?
Molti studi sulla sensatezza del suo alfabeto, propendono per questa seconda ipotesi.
Dopo più di un secolo di studi, non si è ancora arrivati a capo del mistero.


F34r
Il linguista William Ralph Bennett, nel 1976, ha applicato lo studio della casistica alle lettere e alle parole, mettendo in luce non solo la ripetitività, ma anche la semplicità lessicale del manoscritto: la lingua del Voynich, in definitiva, sarebbe di una semplicità linguistica poco credibile e riscontrabile, tra le lingue moderne, solo nell’hawaiano.
A confutare la tesi di falso, però, è il conteggio numerico delle parole: risulta che il manoscritto rispetti con regolarità, senza eccezioni, la legge Zipf (Human Behaviour and the Principle of Least-Effort).

Immagine-tratta-dal-manoscritto-Voynich-1
La legge Zipf, scoperta nel 1940 da George Zipf, dimostra che in un testo linguistico, la parola più utilizzata appare un numero almeno doppio di volte rispetto alla seconda più utilizzata, e un numero terzo di volte rispetto a quella meno utilizzata della seconda, etc…
È una legge matematica a cui rispondono, con una buona approssimazione, tutti i testi, di qualsiasi lingua, che abbiano un senso.
È chiaro che, chiunque scrisse il manoscritto nel 1400, o nel 1500, non poteva conoscere né George Zipf, né la sua legge.

Pagina del Manoscritto Voynich 4-2
È anche possibile, però, che questa ripetitività numerica costante sia il risultato di una lingua non casuale, ma inventata e studiata appositamente per il manoscritto, sulla falsa riga di un’altra lingua.

A fornire una prova abbastanza solida alla tesi di autenticità, è stato, di recente, il linguista Stephen Bax.
Nel 2014, per la prima volta nella storia del manoscritto, Bax è riuscito  a decifrare una decina di parole utilizzando le illustrazioni (!) della parte erboristica e astronomica del libro. Comprando le immagini con i nomi scritti a lato, a quelli delle stesse piante in altri manoscritti, ha identificato una decina di possibili nomi di piante e stelle, come ad esempio l’Elleboro, KA/u/UR:
Kaur è, ancora oggi, il nome di una pianta nella zona del Kashmir, in India.

Schermata 2016-03-17 alle 12.56.01
L’opinione di Bax è che il manoscritto sia stato prodotto nell’area del Caucaso, Asia centrale o Medio Oriente cristiano, e scritto in un dialetto ormai estinto.

Alcuni anni fa, la casa editrice spagnola Siloé, di Juan José García e Pablo Molinero, ha ricevuto l’appalto per essere la sola casa editrice al mondo che riprodurrà il manoscritto Voynich (articolo).
Siloé ha ricevuto, nel tempo, oltre una dozzina di premi come miglior casa editrice al mondo per la riproduzione di manoscritti antichi: era la miglior candidata all’appalto.

voynich_f84rTop-497-kvJB-U10401968417742QeD-700x394@LaStampa.it-1
Ci sono voluti molti anni di accordi legali per arrivare a definire i termini della riproduzione, e finalmente, a febbraio di quest’anno, gli editori Juan José García e Pablo Molinero hanno preso il volo per New Haven. In una saletta dalle luci basse della Beinecke Library di Yale, li aspettava, pronta a sdoppiarsi, un’opera assoluta.
Chissà se ghigna ancora, sotto la lunga barba, il monaco che la scrisse.

Anna Castagnoli

Pagina del Manoscritto Voynich 4-2
Fonte della notizia della pubblicazione per Siloé: El Pais.
Sito ufficiale dedicato al manoscritto: qui.
Altre informazioni sul codice qui e qui.


Illustrare ‘La metamorfosi’ di Kafka: Arianna Vairo

Arianna Vairo, Die Werwandlung, Eli Readers 2013

Arianna Vairo, Die Werwandlung

Ecco un’altra interpretazione della Metamorfosi di Kafka, altrettanto originale e espressiva di quella di Manuel Marsol che abbiamo visto in questo post.
La firma Arianna Vairo per Eli Readers, casa editrice specializzata nell’insegnamento delle lingue attraverso la letteratura.

Vairo - metamorfosi2Arianna Vairo, Die Werwandlung, Eli Readers 2013

Anche nell’interpretazione di Arianna Vairo l’insetto nel quale si è trasformato Gregor Samsa non è mai visibile direttamente.
La sua presenza inquietante è intuibile, per riflesso, da alcuni segni: i gesti angosciati dei familiari, il decoro della tappezzeria e lo stile delle illustrazioni.
In un’immagine, è soprattutto lo stile che detta il tono retorico con cui dobbiamo leggere il contenuto narrativo: drammatico, ironico, sarcastico, metaforico…
L’uso distorto della prospettiva, la mancanza di coerenza realistica tra gli oggetti e le figure, la distorsione dei corpi – tipici della Nuova oggettività tedesca – sono tutti elementi che, in queste immagini, traducono la retorica del testo di Kafka in una retorica visuale, dandoci più che mai la misura di quanto anche l’illustrazione sia una forma di scrittura ricca di ipertesti.
Il parametro che ci permette di percepire l’alienazione di Samsa, sia nel testo che nelle immagini, è quello dell’oggettività del reale (non è possibile, nella realtà, che…).
Ma dal momento che anche la realtà è sempre codificata all’interno di una cultura, sarebbe interessante riflettere su come un bambino, – che è ancora agli inizi della lenta e inesorabile digestione dei codici culturali della società nella quale è nato -, potrebbe capire e interpretare il grado metaforico contenuto nel testo e nelle immagini di questi due libri.

Forse è nel grado di comprensione di un ipertesto narrativo che risiede la differenza tra l’illustrazione (e scrittura) per bambini e per adulti: non nel contenuto, non nello stile, ma nell’interpretazione.

Anna Castagnoli
Vairo - metamorfosi3 Vairo - metamorfosi4 Vairo - metamorfosi5 Vairo - metamorfosi6 Vairo - metamorfosi7 Vairo - metamorfosi8
Arianna Vairo, Die Werwandlung, Eli Readers 2013.
Scheda tecnica del libro: qui.

Colgo l’occasione per postare di nuovo questa puntata di Mano a Mano sulla tecnica di Arianna Vairo, anche se la tecnica mostrata nel documentario è diversa da quella usata per questo libro.

Forse ti interessa leggere: Illustrare ‘La metamorfosi’ di Kafka: Manuel Marsol


Illustrare ‘La metamorfosi’ di Kafka: Manuel Marsol

procesos 01

Lo studio di Manuel Marsol durante la realizzazione del libro

Non credo esista sfida più grande, per un illustratore, di quella di illustrare La metamorfosi di Kafka.
L’ha affrontata di recente l’illustratore spagnolo Manuel Marsol per AstroRey, una nuovissima casa editrice di letteratura illustrata per adulti: a mio parere con originalità e talento.
È nota la lettera che Kafka scrisse all’editore poco prima della stampa della seconda edizione del racconto, raccomandandosi con accalorata agitazione che l’illustratore Ottomar Starke, incaricato di illustrare la copertina, NON illustrasse l’insetto nel quale Gregor Samsa, il protagonista del racconto, si era trasformato.

La Metamorfosi, 1916, prima edizione. con la copertina illustrata da Ottomar Starke

“Egregio signore,

mi hanno comunicato recentemente che Ottomar Starke disegnerà la copertina per La metamorfosi. Questo mi ha procurato un piccolo sussulto, anche se il mio spavento è sicuramente esagerato e superfluo, dal momento che conosco questo artista solo per il ‘Napoleon’.
Mi è venuto in mente, dato che Sharke realmente illustra, l’idea che voglia disegnare proprio l’insetto. Questo no, per carità, per piacere! Non vorrei limitare il campo della sua competenza, ma rivolgere soltanto una preghiera perché, naturalmente, io conosco il racconto meglio di lui. L’insetto non può essere disegnato. Non lo si può far vedere neanche da lontano. Se questa intenzione non c’è, e quindi la mia preghiera diventa ridicola, tanto meglio.
Se ci deve essere un’illustrazione, allora forse sceglierei alcune scene come: il padre e il procuratore davanti alla porta chiusa o, ancora meglio, quella dei genitori e della sorella nella stanza mentre l’altra porta è leggermente aperta.
A Lei sarei grato se volesse trasmettere e ottenere il mio desiderio»
.
Franz Kafka, lettera a G.H. Meyer, che lavorava presso l’editore Kurt Wolff, Praga, 25 ottobre 1915 (Testo originale qui).

napoleonIl Napoleon illustrato da Ottomar Strake

La tensione tra parola scritta e immagine che emerge dalla lettera di Kafka è emblematica per definire la relazione tra testo e immagine in un libro illustrato.
La parola scritta, per la sua capacità metonimica (la parola non è mai l’oggetto, essa lo rappresenta), può accennare a oggetti e situazioni senza che questi siano realmente visibili nella mente e nell’immaginazione del lettore.
La parola indica, allude, accenna, rimanda a.
L’immagine, mostra.

Schermata 2016-03-09 alle 17.41.20La metamorfosi di Franz Kafka, Manuel Marsol, AstroRey, Spagna 2015

‘SCARAFAGGIO’

Un esempio. Avete appena letto qui sopra la parola ‘SCARAFAGGIO’. Per capire il senso della parola non avete avuto bisogno di vederlo, né di raffigurarvelo con precisione.
Possedete l’idea di scarafaggio. Potete persino immaginare uno scarafaggio in azione senza sapere quante zampe abbia esattamente un vero scarafaggio.
Ma se vedete la fotografia, o il disegno realistico, di uno scarafaggio, vedete (almeno in parte) lo scarafaggio.
Più il disegno è realista, più l’idea di ‘scarafaggio’ si incarna in uno scarafaggio particolare: diventando quello scarafaggio lì, a una data epoca della sua vita, con, forse, una cicatrice sulla seconda zampa destra.

scarafaggio

‘UNGEZIEFER’

La parola Ungeziefer, l’animale nel quale si è trasformato Gregor Samsa, in tedesco indica genericamente gli insetti e i parassiti, ma anche i ratti e i topi: è difficilmente riconducibile a una bestia in particolare.
È risaputo che Kafka non voleva che si capisse che insetto fosse Gregor. L’alienazione della sua situazione fisica e emotiva doveva oltrepassare i limiti di una forma precisa.

Quando si dice che illustrare La metamorfosi di Kafka è difficile, si intende parlare di questo scarto fatale tra linguaggio, immaginazione e immagine.

(Qui sopra uno schizzo dell’immagine di Gregor Samsa realizzato da Vladimir Nabokov, qui sotto un’icona per un prodotto insetticida).

insetto_318-47564

bocetos y cubiertaManuel Marsol, studi per la copertina di La metamorfosis, AstroRey 2016

L’immagine ha, però, due via di scampo per ‘nascondere’ l’oggetto:
1) Lo stile (meno realista è, più si avvicina all’astrazione del linguaggio).
2) L’ellissi visiva (cosa c’è, cosa non c’è nell’immagine).

Meyer (o Wolff, non si sa chi dei due) trasmisero il desiderio di Kafka a Ottomar Strake, il quale lo rispettò.
Strake scelse di illustrare la disperazione di un uomo davanti alla porta della stanza da letto (il padre? Gregor?). Sulla copertina vediamo un uomo in vestaglia da notte, abbastanza realistico (realismo). Il suo viso, però, è nascosto dal gesto disperato delle mani (ellissi).
Questa ellissi fa che quell’uomo possa essere il padre, o Gregor stesso. È ‘l’Uomo’ (nel senso di essere umano) davanti all’abisso del buio (altra ellissi) intravisto oltre lo spiraglio della porta. È tutti noi. Come la K di molti romanzi di Kafka.
Dopo la morte di Kafka, nessun illustratore prestò più attenzione alla preoccupazione di Kafka, illustrando l’insetto in ogni posa possibile.

Schermata 2016-03-09 alle 15.21.18Ottomar Strake

Anche Manuel Marsol ha scelto di rispettare la volontà di Kafka: in nessuna tavola del libro vediamo l’insetto. Stilisticamente, si è orientato verso un universo grafico espressionista, non troppo realistico.
Ma Marsol ha fatto qualcosa di ancora più raffinato, ha scelto di ‘infondere’ la presenza dell’insetto mostruoso nello stile di tutto quello che lo circonda.

Metamorfosis 06
Metamorfosis 03Manuel Marsol, La metamorfosis, AstroRey, Spagna 2016

Ascoltiamo le parole di Manuel:

“In questa versione de La metamorfosi tutto gira intorno a un insetto, o bestia, che è solo suggerito dalla forma degli inquilini del palazzo, dal mobilio della casa e dagli alberi della strada. La bestiola non la si vede mai, ma non si può dire che non ci sia: la sua presenza è suggerita in modo subliminale.
La copertina del libro funziona anch’essa a questo livello; così come la tipografia scelta, la composizione delle immagini e i colori dei tre inquilini dell’appartamento.
(…) L’idea di di vedere Gregor solo riflesso negli altri personaggi, di ‘insettizzare’ con la sua presenza tutto il libro, porta alla domanda su chi sia davvero il mostro: il povero Gregor o quelli che lo rifiutano con tanto disgusto?” Manuel Marsol (dal suo blog).

Metamorfosis 10

Metamorfosis 01La metamorfosi di Franz Kafka, Manuel Marsol, AstroRey, Spagna 2015

Non è terribilmente interessante l’idea di ‘insettizzare’ le immagini, attraverso il segno, i colori e la composizione? Non è la stessa cosa che fa Kafka attraverso il linguaggio? Una metamorfosi.
La trasformazione, in fondo, non è quella banale di Samsa in insetto, ma quella di un intero paradigma di realtà.

Anna Castagnoli

cuaderno Praga 01

cuaderno Praga 05Schizzi e idee preparatorie per La metamorfosi, dal quaderno di Manuel Marsol

PS: Imperdibili le 7 puntate di studio e analisi che dedica RadioTre alla Metamorfosi.
QUI potete vedere un intero video con tutte le pagine del quaderno di schizzi e idee di Manuel Marsol.

Forse ti interessa leggere: Illustrare ‘La metamorfosi’ di Kafka: Arianna Vairo


Giovani illustratori: 10 non-consigli per presentarsi agli editori

Che abbiate avuto la fortuna di essere invitati a presentare il vostro lavoro in una casa editrice o che, come quasi tutti quelli che hanno iniziato questo mestiere, stiate per mettervi in coda allo stand di un Salone del libro (Fiera di Bologna, Fiera di Francoforte o Salone di Montreuil), questo post è per voi.

Un’illustratrice, Paloma Elorriaga, presenta il suo lavoro ad Arianna Squilloni, l’editrice di A Buen Paso

Ricordate: per prendere appuntamento con gli editori in Fiera bisogna inviare una  mail con allegate alcune immagini (o un progetto in pdf) almeno due o tre mesi prima.
A questo link trovate la lettera tipo.
Con un appuntamento sarete presi molto più seriamente, ma è anche possibile riuscire a mostrare il proprio book a qualche editore direttamente in Fiera senza appuntamento, soprattutto agli editori italiani molto piccoli e agli editori francesi e spagnoli. Se state più di un giorno avete più possibilità.

1

NON mettete nella cartella disegni eterogenei, anche se spiegate all’editore che alcuni sono vecchi e altri nuovi, l’editore resterà col dubbio che voi non abbiate ancora uno stile.
Avere uno stile preciso non è un obbligo, lo stile può cambiare durante la carriera di un illustratore, o adattarsi a testi diversi. Ma un editore deve essere sicuro che voi capite cosa è lo stile, e che sapete utilizzarlo per portare avanti una narrazione: in un libro illustrato avrete bisogno di realizzare almeno una dozzina di tavole con lo stesso stile.
Mettete nella cartella una decina minimo, e una ventina massimo, di disegni dello stesso stile.
Se proprio volete presentarvi con due stili diversi, mettete nella cartellina una decina di disegni con uno stile, e altri 10 dell’altro stile.
L’importante è che si capisca che sapete padroneggiare almeno uno stile.

ilaria_falorsiillustrazione della coda al Salone di Montreuil, di Ilaria Falorsi

2

NON fate scena muta come se i vostri disegni potessero parlare da soli.
L’editore è interessato a due cose:
ai vostri disegni e a sapere che voi siete delle persone emotivamente abbastanza stabili da poter lavorare e portare a termine un libro.
Siate adulti, presentate in poche parole chi siete, il vostro percorso e il vostro progetto, siate il più possibile voi stessi e tranquilli. State facendo un colloquio di lavoro.

3

NON raccontate all’editore tutte le vostre lacune, i vostri difetti, il perché non avete ancora fatto, non siete ancora, non riuscite a… , e di come avreste disegnato meglio quel particolare se aveste avuto più tempo, meno tempo, più coraggio…
Siete lì per vendere il vostro lavoro, se non ci credete voi nel vostro lavoro, chi ci potrà credere?
(Soprattutto, non dite che sognate di diventare illustratori. Bandite la parola ‘sogno’ dal vostro vocabolario professionale).

Fotografia di Gloria Pizzilli

4

NON siate presuntuosi.
Anche se avete la certezza di essere la nuova promessa dell’illustrazione, il nuovo Sendak, la nuova Lisbeth Zwerger, il nuovo Oliver Jeffers che venderà milioni di copie del primo libro; anche se vostra mamma/nonno/zia vi ha ripetuto fin dalla più tenera età che il vostro talento è superiore alla norma;
anche se tutto questo fosse vero ma l’editore che avete davanti, per una sua miopia congenita, non se ne è ancora reso conto: siate modesti.
Non siate arroganti, non stravaccatevi sulla sedia con aria di sufficienza, non guardate l’orologio mentre l’editore vi parla, non dite che avete fretta.
Se siete davvero così bravi, forse vedrete pubblicato un vostro libro anche se siete antipatici.
Ma se oltre a essere bravi siete anche educati, se quello che vi interessa non sono le lodi, ma crescere e migliorare, avrete un vero e duraturo successo.

5

NON andate impreparati sulla casa editrice con cui avete appuntamento.
Fatevi un giro sullo stand (o sul sito) prima dell’appuntamento per vedere le ultime novità uscite e capire che tipo di libri pubblicano, che tipo di testi, che stili di disegni.
Se è il caso, non vi vergognate di dire che adorate quello che fanno (gli editori amano i loro libri come figli, anche quando sono ‘scarrafoni’).
Se non è il caso, perché vi state presentando a quell’editore e non a uno che adorate?

6

NON è il momento di lasciare fotocopie delle vostre opere (potrete spedirle alla casa editrice in un secondo tempo). È il momento di lasciare un biglietto da visita o un piccolo depliant tascabile.
Sia negli stand dei Saloni che negli spazi della casa editrice (quasi sempre esigui), l’editore ha bisogno di non accumulare carte, buste e pacchetti vari. Dategli in mano qualcosa di comodo da ordinare, chiaro, pulito e pratico.
E vi prego: sul biglietto da visita, scrivete il vostro nome, la vostra mail e il numero di telefono.
Non avete idea di quanti editori raccontino di aver avuto bisogno di ricontattare un illustratore perché erano stati colpiti dal suo lavoro, e di non aver trovato nessun contatto sul bellissimo biglietto da visita che avevano in mano…


Esempio: Questa qui sopra è una piccola agendina di fogli bianchi lasciata a un editore da un illustratore durante la Fiera di Bologna. L’editrice me l’aveva mostrata alcuni giorni dopo la Fiera come esempio di buon biglietto da visita: la teneva in borsa e la usava per prendere appunti.

7

NON affidatevi alla vostra memoria: annotate sempre su un’agenda nome e cognome della persona con cui avete parlato, per indirizzare poi a lei/lui, in un secondo tempo, le fotocopie dei vostri lavori (potete chiedere un biglietto da visita); e annotate anche le tavole che ha preferito.
Lì per lì, l’appuntamento con l’editore o art-director di turno vi sembrerà così epocale da non poter essere mai più dimenticato.
Vi assicuro che alla fine di un Salone sarete così frullati, ma così frullati dalle tante persone incontrate e viste, che l’agenda su cui avete notato tutto nei minimi particolare sarà il solo modo per ricordarvi di qualcosa e di qualcuno.
Su ogni biglietto da visita ricevuto, scrivete sempre sul retro dove avete incontrato la persona e qualche dettaglio che vi aiuti a ricordarvi di lei/lui in un secondo momento.

8

NON arrabbiatevi, non offendetevi, non piangete durante l’incontro. (Potrete farlo dopo).
Ci sono due realtà che si fronteggiano in un incontro con un editore, è bene averle chiare:
1) La vostra realtà.
Unica, sensibile, frutto di anni di vita e mesi di lavoro, piena di speranze di essere riconosciuta, con il vostro-inconscio-solo-vostro che vede nell’editore il fantasma del padre/madre buono che avrebbe sempre voluto avere e non ha avuto. La vostra realtà: che ha un nome e un cognome, un mal di pancia, mani sudate, un’unghia un po’ sporca: ogni tratto del disegno che state mostrando è direttamente collegato a un filo della vostra anima e lo sguardo dell’editore sul foglio è uno sguardo che voi sentirete diretto, non al foglio, ma al vostro mondo più intimo.
2) La realtà dell’editore.
Ha duecento mail che lo aspettano, un’agenda di appuntamenti da primo ministro, la speranza che qualche editore straniero compri l’ultimo suo titolo in catalogo, una telefonata penosa da fare al commercialista; se è un piccolo editore, sarà attanagliato dalla paura di dover dichiarare bancarotta prima della fine dell’anno in corso.
In Fiera sono le 10 del mattino: ha già stretto la mano a decine di persone, parlato con 3 illustratori, 2 agenti, 4 editori stranieri. Ha caldo. Vorrebbe un secondo caffè ma non si può muovere fino a mezzogiorno.
Voi (voi con la vostra anima sensibile) davanti ai suoi occhi di sfinge siete una di queste due cose (e solo queste):
La promessa di un libro nuovo, con uno stile originale, che sarà perfetto per quel testo che da tanto tempo…
Nessuno. Un’ombra della quale deve riuscire a liberarsi il prima possibile per poter guadagnare il tempo insperato di un caffè prima di mezzogiorno.
Se in questo incontro/scontro tra mondi opposti ricevete qualche buon consiglio, fatene tesoro.
Se ricevete grandi lodi, non prendetele necessariamente per vere.
Se l’editore vi fa molte domande, vi tiene a lungo lì, chiede se può vedere altre cose, sperate un po’.
Se ricevete uno sguardo assente, uno sbadiglio, una smorfia, una stretta di mano molle: NON ERA UNA COSA PERSONALE.
L’editore, in nessun caso, vede voi.

lo stand di un editore al Salon du livre et de la presse jeunesse di Montreuil (Parigi)

9

NON dimenticate di inviare le fotocopie o i jpg dei vostri lavori se l’editore ve lo ha chiesto; e ringraziatelo sempre per il tempo che vi ha dedicato.
Capita così sovente di sentirsi dire di inviare le tavole o il progetto, e di non ricevere poi nessuna risposta, che presto un giovane illustratore si scoraggia e non invia più nulla. Errore. Gli illustratori che ce la fanno, quasi sempre ce la fanno perché oltre a essere bravi, sono determinati come trattori.

10

NON arrendetevi dopo i primi rifiuti.
Ogni pentola ha il suo coperchio. Se il vostro lavoro merita, se ha potenzialità, con un po’ di determinazione e impegno riuscirete a pubblicare un libro.
La media di tempo per pubblicare il primo libro è ‘due/tre Saloni del libro’, cioè, due/tre anni circa. È il tempo medio per farsi le ossa, crescere, frequentare qualche corso e imparare a masticare bene il linguaggio dell’album illustrato.

Anna Castagnoli

Nota: questo post è l’aggiornamento, arricchito di consigli, di un post che pubblicai nel 2008.

Forse ti interessa anche il post:
Il portfolio, il book, la cartellina… come presentare il proprio lavoro?


Riflessioni sull’arte dell’illustrazione

Carissimi invisibili lettori, questa settimana non ho molto tempo da dedicare al blog.
Ri-posto, per chi non segue Facebook, alcune riflessioni che pubblico settimanalmente sulla pagina Facebook delle Figuredeilibri.
Quando guardo un’illustrazione che mi piace, non riesco a darmi pace fino a che non capisco COSA mi piace, e PERCHÉ quell’immagine funziona. Ecco alcune delle mie risposte.

arsenaultIsabelle Arsenault, schizzo

Sono due o tre volte che ritorna su Pinterest questa immagine di Isabelle Arsenault: mi piace molto.
Oggi mi sono fermata per capire perché mi piace. La freschezza e la poesia di un disegno hanno sempre una ragione.
– Intanto, lo schizzo ha due colori dominanti che sono complementari, il rosso e il verde (tema primario armonico).
All’ocra-panna dello sfondo fa eco un filo azzurrino dello stesso tono, altri due complementari (tema cromatico secondario).
– A livello di toni: il rosso mattone potrebbe risultare aggressivo per il verde delicato della zuppa, e schiacciarlo; ma il verde delicato della zuppa è un cerchio perfettamente centrato nel quadrato dell’immagine, ha la massima stabilità possibile: impossibile che il rosso riesca a penetrarlo o invaderlo, quindi lo abbraccia. Lo contiene. (Ma la tensione è presente). Mi fa venire in mente un haiku di Akutagawa:

Così morbida –
una cavalletta del primo autunno
stretta tra le mie dita.

– Il rametto di rosmarino è spostato di quel tanto che basta dall’asse diagonale per creare un leggero guizzo di movimento (fosse in linea, l’immagine risulterebbe monotona perché troppo ordinata; fosse troppo lontano dalla diagonale, non sapremmo capirlo).
A proposito di questo lieve spostamento: Gombrich scriveva che il piacere estetico è sempre in bilico tra la noia e la confusione.
Anche la leggera curva della testa del rametto è piacevole, come una volontà di indipendenza dall’ordine che lo circonda, ma lieve, come un primo accenno di curiosità verso il movimento.

arsenault2

РIl rametto di rosmarino ̬ curato in modo quasi realistico, e questo contrasta con la grossolana stesura dello schizzo: amiamo i contrasti. I contrasti sono dialogo.
– Il rosso finisce esattamente a due terzi dell’altezza del disegno, l’orizzonte chiaro ha la misura aurea per eccellenza, un terzo della superficie. In questo modo sentiamo anche che verticalmente il rosso fa da base: oltre a contenere, permette alla tazza di non scivolare giù, la sostiene.
РInfine, il disegno non ̬ finito; questo contrasta con la perfetta armonia delle forme. Se fosse finito, sarebbe lezioso.
E tutto questo per quanto riguarda la morfologia dell’immagine.
Poi c’è il contenuto. Un momento di cura di qualcuno, forse un invito.
Ecco, è tutto. Uno schizzo.

Sophie Lécuyer (monotipia)

Oggi sono stata colpita da questa immagine di Sophie Lécuyer.
Ai miei corsi insegno sempre che non esiste un’illustrazione bella o brutta. Bellezza o bruttezza non sono, per me, criteri con i quali giudicare un’illustrazione. Per me un’illustrazione funziona o non funziona, e l’estetica non è il requisito più importante (l’estetica è un mezzo, non il fine).
Un’illustrazione, per piacermi, deve semplicemente esistere davvero.
Deve essere il frammento di un mondo che esiste da qualche parte; forse un mondo molto lontano e molto diverso dal nostro, ma credibile, con una sua realtà.
Non ci deve essere niente, nella scena, che non sia strettamente necessario alle dinamiche interne della scena.
Non ci sono orpelli, fiocchetti, riccioletti o nastrini: nessuno, lì dentro, è interessato a me.
Sono tutti molto occupati da qualcosa che è la loro propria esistenza.
Ogni personaggio è abitato da una ragione, ancora prima che da un sentimento.

Un’illustrazione funziona quando mi obbliga a crederle.

Anna Castagnoli