“Sylvester”, il bambino-pietra (W.Steig).parte II

(Torna all’analisi della PARTE I)
Continuiamo l’avventura del nostro asinello Sylvester, (Sylvester and the Magic Pebble di William Steig). (Io improvviso le mie sensazioni e le mie idee, ma vi invito a fare altrettanto e suggerire nuove strade di lettura). Avevamo lasciato l’asinello sulla strada di ritorno verso casa, eccitato dal ritrovamento della pietra magica capace di esaudire qualsiasi desiderio.

QUARTA TAVOLA
Mentre Sylvester sta attraversando Strawberry Hill, pensando a tutte le cose che può desiderare, gli si para davanti un leone affamato. Sylvester è terrorizzato. Il testo dice: se non fosse stato così spaventato avrebbe potuto far sparire il leone, o avrebbe potuto mettersi in salvo nella casa di suo padre e sua madre, avrebbe potuto trasformare il leone in una farfalla… (…) ma la paura non gli permise di pensare bene: “Voglio essere una pietra, disse, e si trasformò in una pietra”.

Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969

Osservate come nell’illustrazione Sylvester passa dall’essere pietrificato dalla paura, ad essere una pietra. Abbiamo già constatato che Sylvester ha un tipo di pensiero magico e immaturo (vuole ottenere le cose per magia, vuole che tutto sia sempre sereno), ed è con le stesse armi psicologiche che affronta il leone: invece di un pensiero costruttivo e creativo (trasformare il leone in farfalla) attua una strategia regressiva alla massima potenza. E’ il bambino davanti alla paura, con le sue armi primitive, con i suoi semplici modi di reagire all’angoscia (se mi nascondo, sarò al sicuro). Non vi capitava da piccoli, spaventati da qualche rumore nella notte, di restare immobili e trattenere il respiro? E’ la vita che circola in noi che attira la paura e le emozioni. Come cose o morti, saremmo forse salvi (è con questa idea che il bambino in un ambiente non sicuro, o non sufficientemente ricco affettivamente, decide di abdicare al proprio sé più autentico, scegliendo un falso-sé attraverso il quale adattarsi al mondo. E’ una strategia di salvezza, ma ha un prezzo incommensurabile).

Non vorrei andare troppo lontano, ma l’apparizione del leone sembra essa stessa scaturire dal dilagare dei pensieri onnipotenti, come forza persecutoria liberata dalla rinuncia al senso della realtà. E cosa dire del fatto che Sylvester trova una pietra magica e finisce per diventare pietra? Come quel re che voleva tutto d’oro e morì di fame perché ogni cosa, anche il cibo, si trasformò in oro.

QUINTA TAVOLA

Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969

La pietra magica per funzionare deve essere tenuta in mano. Sylvester non ha più modo di tornare ad essere Sylvester. Pensa che l’unico modo sarebbe che qualcuno trovando la pietra ne esprimesse il desiderio. La pietra è luccicante, sarebbe facile trovarla, ma quanti trovandola potrebbero desiderare che una pietra si trasformi in un asino? (pensa Sylvester). Una probabilità su miliardi. Sylvester è sgomento, in uno stato d’angoscia fortissimo dice piangendo: “Oh, come vorrei essere di nuovo me stesso“.

Lasciamo da parte tutta la letteratura antichissima (pensate solo alla mitologia greca) che è dietro a questa metamorfosi in pietra. Pensiamo all’album illustrato per bambini.
Voi siete adulti, ma immaginate un bambino davanti a questa doppia pagina. C’è in quella pietra inanimata (morta) l’amato asinello che poco fa era vivo: immobilizzato, solo, impotente. Provate a ingrandire l’illustrazione e fissare la pietra. Provate anche voi a immedesimarvi nella pietra-bambino. Un senso di solitudine sconfinato (accentuato dalla notte stellata) proviene da essa. E’ lo stesso impotente dolore che grida in fondo a ogni bambino (o adulto) che ha dovuto rinunciare a se stesso per sopravvivere nel mondo. Io credo che tutti i bambini, e tutti gli adulti, in maniera più o meno accentuata, conoscano in fondo a se stessi questo grido.

Segue…


“Sylvester”, il bambino-pietra (W.Steig).parte I

Dal viaggio di quest’estate negli Stati Uniti ho riportato un tesoro: Sylvester and the Magic Pebble di William Steig. Il libro vinse negli anni ’70 la prestigiosissima Caldecott Medal ed è diventato un classico della letteratura illustrata americana. Per i contenuti psicologici tessuti nella semplicità apparente della storia, per la parabola emotiva che lo scorrere delle pagine riesce a creare nel lettore (all’ultima pagina io ero in lacrime), per l’onestà e la delicatezza completamente dedicate all’infanzia che si respira nelle illustrazioni, questo libro fa parte dell’esigua élite di capolavori assoluti che ha segnato la storia dell’illustrazione.

Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969

La storia è semplice e inquietante, un asinello ama collezionare pietre, un giorno ne trova una magica, alla quale può chiedere qualsiasi cosa, si avvia eccitato verso casa per comunicare la bella notizia ai genitori ma sulla strada incontra un leone affamato. Terrorizzato chiede alla pietra di venir trasformato in un sasso. Purtroppo la pietra magica funziona solo se a contatto con la persona che esprime il desiderio e una volta diventato sasso il povero asinello non potrà più ritornare alla sua forma originale, fino a che un bel giorno…

Cercherò di accostare alle mie analisi dei brevi riassunti del testo (in verde). Mi spiace solo che la lettura del libro, mediata dalle mie incerte trattazioni, non possa svelarvi il suo meccanismo perfetto. Vi invito caldamente ad ordinare Sylvester and the Magic Pebblesu Amazon (c’è anche una versione francese).

PRIMA TAVOLA:

Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969

Sylvester Duncan vive con sua madre e suo padre a Oatsdale. Uno dei suoi hobbies è collezionare pietre che hanno strane (V.O: unusual) forme e colori.

Il testo ci indica nome e cognome (inusuale in un testo per bambini) del protagonista, il luogo e il tempo: ora. E’ dunque una storia reale, che si svolge ai nostri giorni. Sylvester potrebbe essere il nostro vicino di casa.
Vediamo l’interno di una casa
: una famiglia media americana in un normale fine pomeriggio… la mamma fa le pulizie, il papà legge il giornale, il bambino gioca. Non lo notiamo subito, ma ogni cosa (persone e oggetti) è graziosamente vestita, tranne Sylvester, che è nudo. Questa nudità (che non potrebbe essere mostrata così bene se al posto degli asinelli protagonisti ci fossero esseri umani) ci dice già molto sullo status sociale del bambino. Nudità=purezza, impossibilità a collocarsi nel solco di uno stereotipo (mamma col grembiule, papà con giacca e cravatta).

Sylvester colleziona pietre. E’ dunque a contatto con qualcosa di naturale e primitivo, e lui solo ne sa valutare la bellezza e la preziosità (c’è forse diamante più prezioso di una pietra che brilla in mano a un bambino?). L’atto del collezionare, si sa, rappresenta una cura verso il mondo interno, le cose preziose sono le cose preziose dentro di noi, che mettiamo al sicuro in un vaso, cercando ingenuamente di sottrarle alla decadenza del mondo esterno, o all’incuria degli altri.

SECONDA TAVOLA:

Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969

Un piovoso sabato pomeriggio Sylvester trova una pietra rossa e bellissima, luccicante e rotonda come una biglia. Mentre è intento a studiarla esclama: vorrei che smettesse di piovere. E il suo desiderio si avvera.

Il mondo esterno è un luogo faticoso per il bambino. Qui la pioggia ne è una buona metafora, e anche l’esclamazione di Sylvester, così accorata. In “vorrei che smettesse di piovere” c’è una preghiera, un’invocazione agli elementi ostili della natura e della vita. Il giorno in cui Sylvester trova la pietra è sabato, e non è un giorno qualsiasi se sappiamo che William Steig era ebreo. Pensiamo anche come il comandare al cielo di piovere rimanda a certi passaggi biblici: Mosè ordinò al cielo di piovere e il Signore mandò tuoni e grandine… o più anticamente ancora ai riti magici dei popoli primitivi. E’ così vicino alla psicologia del bambino questo gesto di Sylvester inventato da Steig… non solo per l’onnipotenza che dimostra, ma per l’oggetto che sceglie come destinatario della sua potenza: il cielo. Noi ci dimentichiamo da adulti, di quanto, bambini, fossimo vicini agli elementi della natura, ancora in balia del loro potere e della loro meraviglia, come piccoli uomini primitivi spaventati dal tuono.

Di colpo la pioggia cessa. Ma cessa in un modo miracoloso (magico): ogni cosa è secca e il sole brilla nel cielo, il testo specifica: era come se la pioggia non fosse mai esistita (…and the sun was shining as if rain had never existed).

E’ stato compiuto quello che Sylvester ha domandato: di ritornare ad uno stadio anteriore a quello della pioggia (vedi: le difficoltà della vita), indietro verso un luogo primo, perfetto, dove tutto è come se non avesse mai piovuto. Non è forse il desiderio più imperante di ogni bambino? Regredire, tornare all’inizio, là dove non c’erano tensioni e fatica, né pioggia. (Ritornare nel ventre materno). Tornare indietro è anche tornare ad uno stadio onnipotente, magico, dove ogni desiderio viene esaudito in un istante (i primi stadi di sviluppo del lattante sono immersi nella magia dell’onnipotenza, il lattante crede di inventare il mondo,crede che tutto, anche il seno della madre, scaturisca magicamente da lui (D.Winnicott).
Notate come tutti questi contenuti sono sotterranei alla freschezza delle immagini, al meccanismo giocoso della pietra magica.

TERZA TAVOLA:

Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969

Sylvester sospetta che la magia abbia un rapporto con la pietra, per testarne il potere ri-ordina al cielo di piovere. All’inizio prova a chiedere che piova non tenendo la pietra in mano, poi, con minuzia scientifica, ripete l’esperimento tenendo la pietra tra gli zoccoli, e la seconda volta torna improvvisamente il sereno.
Che felicità possedere una pietra magica! Sylvester dopo aver chiesto al cielo di diventare di nuovo sereno fa sparire una piccola macchia dal suo corpo (un neo?). Poi si avvia verso casa sognando di poter realizzare tutti i desideri di sua madre e di suo padre e di tutti i suoi amici.

Qui abbiamo il sogno realizzato di tutti i bambini, possedere un oggetto magico capace di dare felicità a tutti. Notiamo che Sylvester ha uno stadio di sviluppo psicologico già capace di gratitudine (non vede l’ora di usare la pietra per fare felici papà e mamma), questo ci dice che è già fuori da una fase di sviluppo narcisista (anche se come prima cosa cancella la macchiolina dal suo corpo), e che è dunque troppo grandicello per la regressione onnipotente in cui sta inciampando. E’ un bambino che non vuole crescere (il gioco intimista della prima pagina, di collezionare pietre, già ce lo aveva accennato).

Segue…


Workshop di illustrazione sullo storyboard

Il 18 e 19 ottobre terrò un corso di illustrazione presso l’associazione Artelier, a Padova. Due giorni, anche se li vivremo intensamente, sono pochi: ho dunque deciso di concentrare tutto il tempo su un soggetto molto preciso: lo storyboard. I partecipanti sono invitati a portare una breve storia, scritta di proprio pugno o presa dal repertorio classico: l’importante è che abbia qualcosa che vi conquista, che vi parla, che vi incanta.

Anna Castagnoli, Terra “Mostra illustrissimi 2007”

Studieremo come si costruisce e si prepara lo storyboard per una casa editrice, come già abbiamo iniziato a fare sul blog con alcuni post (che vi invito a ripassare bene!):
Il formato
Numero pagine
L’impaginazione
Ritmo e movimento

Cercheremo di capire che differenza c’è tra “fare un’illustrazione” e “progettare un album illustrato” (un album non è, come molti pensano, solo la sequenza di una serie di illustrazioni). Studieremo come appropriarsi del testo e scegliere cosa illustrare, il rapporto vivo e originale che si dovrebbe creare tra testo e immagine. Al fine di capire meglio porterò libri esemplari di grandi illustratori: li guarderemo insieme (se avete libri che amate portateli, ne ruberemo i segreti).

Anna Castagnoli, Chequelo “Rivista CIIJ, Cuadernos de Literatura Infantil y Juvenil” giugno 2008

Ma non vi preoccupate, non sarà tutta noiosissima teoria! Pasticceremo coi colori, faremo esperimenti, troveremo sistemi alternativi all’illustrazione per liberarci dell’ansia di “illustrare bene” e scopriremo come creare bozzetti magici. La teoria è solo un mezzo, il fine è quello di trovare immagini capaci di esprimere in modo originale il nostro peculiare universo di artisti. Preparatevi a un week-end di duro lavoro: useremo tempi liberi, pranzi e cene per chiacchierare di illustrazione, per scambiarci opinioni e consigli su come muoversi in questo mondo bizzarro, su come presentarsi a Bologna e agli editori…
Potete trovare la descrizione più dettagliata del mio corso e iscrivervi qui. Per l’iscrizione ci sarà una piccola selezione perché i posti disponibili sono solo 12, si dovranno spedire via mail o via posta due o tre tavole. Vi aspetto!

Anna Castagnoli
ps:
Per chi ancora non lo sapesse, io, autrice di questo blog, sono anche autrice e illustratrice di album illustrati. I miei libri sono pubblicati prevalentemente in Spagna, paese dove vivo e lavoro. Ecco il mio sito.


Illustrabilia

Sta per inaugurare a Padova  la terza edizione di Illustrabilia, un vero e proprio Festival di Illustrazione. Si inaugura il 13 settembre.  Valerio Vidali, Maurizio Quarello, il bravissimo iraniano Hassan Amekan, Antonello Silverini, Manuela Biancuzzi e infine la qui presente, chiacchierante sopra e sottoscritta Anna Castagnoli, esporranno le loro opere in cinque diversi sedi dislocate nella città. La mostra sarà affiancata da workshop di illustrazione, laboratori di scrittura creativa, laboratori per bambini…
Valentina Mai, responsabile dell’associazione culturale Artelier, sta creando a Padova un vero polo d’interesse per l’illustrazione, che si affianca a quelli già noti di Macerata e Sarmede. Non mancate!

Locandina (bellissima) di Valerio Vidali

Nota su Figures Futur 2008

Ho ricevuto una domanda sul post “Ancora Anansi” la cui risposta penso possa servire a tutti.

La data massima per l’invio delle opere al concorso Figures Futur è il 9 settembre. Non fa fede il timbro postale, i disegni devono assolutamente arrivare entro il 9 a Montreuil (ai ritardatari consiglio di spendere due lire in più e inviare tutto per DHL, le poste internazionali non sempre sono affidabili…). Ma per partecipare, oltre all’invio delle tavole, bisogna pre-iscriversi on line al conoscorso entro il 7 settembre. Qui trovate il formulario di pre-iscrizione. In bocca al lupo a tutti!


In punta di piedi, di Natali Fortier: un libro sul tema della morte dei genitori

Natali Fortier, che in Italia conosciamo come l’illustratrice di “Adoro…” mi è sempre piaciuta, ho sempre trovato la sua tecnica e il suo universo compositivo interessanti e originali. Qualcosa di molto grazioso nei suoi disegni però, non mi ha mai conquistata del tutto. Gusti miei. Non amo molto quello che è troppo femminile nell’arte. Ora però con “Sur la pointe des pieds“, album uscito da poco con L’atelier du poisson soluble, mi ha letteralmente stregata. La delicatezza del testo, insieme alla forza drammatica delle immagini, fanno di quest’album un piccolo capolavoro.

La storia è drammatica. Un bambina torna a casa da scuola e scopre che tutta la sua casa, con la sua famiglia dentro, è bruciata. La bambina viene affidata ad una coppia di zii poco sensibili (due moderni e cattivi matrigna e patrigno).

Prima di passare all’analisi di alcune tavole, due righe sul soggetto del libro: l’ansia o la fantasia che tutta la propria famiglia muoia è tipica dell’infanzia, il bambino si proietta in un mondo in cui resta solo per tastare la sua indipendenza, e per fugare la paura. Io, ad 8 anni, immaginavo spesso un incendio che avrebbe distrutto tutto e tutti lasciandomi sola al mondo, si sarebbe salvato soltanto il mio orso: Panda. Forse anche per questo il libro mi ha emozionata così tanto.

Quello che vorrei analizzare insieme a voi è il rapporto che Natali Fortier riesce a creare tra testo e immagini. Per nulla scontato, vivo.

Natali Fortier, Sur la point des pieds, Editions du Poisson Soluble 2008

La tavola qui sopra è la settima del libro. La pagina scarabocchiata di destra rappresenta l’incendio, ma anche il non vedere più nulla. Non c’è più nulla, tutto è bruciato. I tratti delle pennellate, rapide, dure, enfatizzano il dramma (è quasi il disegno di un bambino in preda alla rabbia). A sinistra solo i nomi dei famigliari della bambina. Scritti da una grafia tremante, che quasi scompare.

Notate come l’essenzialità della doppia pagina scava quei nomi nella pagina di destra. Li si legge piano, ad uno ad uno, è un elenco di morti, e dietro ogni nome c’è una persona intera. Leggendoli, sembra quasi di poter sentire tutto l’amore che la protagonista prova per loro. (Immaginate un altro modo di raccontare la scena: una illustrazione con una casa che brucia, ad esempio, e il testo che dice: tutto era bruciato, la casa e la mamma, il papà, Pierrot e Elise: i due fratelli. Niente a che vedere con la forza del taglio scelto dalla Fortier. E’ in queste scelte che si decide la forza di un illustratore).


Natali Fortier, Sur la point des pieds, Editions du Poisson Soluble 2008

La bambina entra a far parte della quotidianità dei due zii insensibili. Il testo recita (traduco): “Non avevano mai voluto bambini. E io sono là, tra loro. Si parlano.”
Già dal testo si capisce che lei è fuori posto. Lei è una bambina e la coppia non ha mai voluto bambini. In quel “si parlano” c’è tutta la solitudine dell’infanzia. I grandi si parlano ed è qualcosa che avviene tra loro. Guardate come questa sensazione di esclusione è rappresentata nell’illustrazione. E’ geniale: la bambina è in un mondo sotto-sopra (bouleversé), ma non è il mondo che si capovolge, è lei stessa. Questo mondo freddo in cui è capitata, in cui non c’è posto per lei, si allunga nel disegno fino all’infinito…la zia e le sue lunghe gambe lo occupano quasi per intero. Il corridoio, lungo quanto la prospettiva angosciante di restare per sempre con questi due zii antipatici, viene inghiottito dalla fessura creata dalle due pagine. Il tavolo è spoglio, la cena, una cena frugale: non c’è vita in questa casa.

Natali Fortier, Sur la point des pieds, Editions du Poisson Soluble 2008

Un altro momento della vita in casa degli zii. Il testo: ” Faccio del mio meglio per non farmi notare. Non dico una parola. E, soprattutto, non faccio domande. Non bisogna chiedere perché sono là.” (Nella storia la bambina non vuole ricordare l’incendio, vuole rimuovere tutto). Di nuovo la sensibilità incredibile dell’illustratrice colpisce nel segno: non farsi notare per un bambino è “chiudere gli occhi”. Se io ho gli occhi chiusi gli altri non mi vedono. I due zii e il cane (l’animalità?) stanno insieme in una posizione bizzarra. Un complotto di adulti, dagli equilibri orgiastici. La coppia di zii cattivi, come la matrigna e il patrigno nelle fiabe, può servire al bambino che legge a proiettare la sua ansia per la coppia di “genitori cattivi” che dentro di lui affianca sempre quella dei genitori buoni. Qui c’è (credo inconsapevole da parte dell’artista) un chiaro riferimento all’accoppiamento degli adulti, che dal bambino è vissuto spesso come un complotto da cui lui è ferocemente escluso.

Notate l’intensità rosso-arancio del vestito della zia insieme al viola, cacofonia violenta che si oppone alla delicatezza della zona azzurra, in cui è immersa la bambina.

Natali Fortier, Sur la point des pieds, Editions du Poisson Soluble 2008

Questo qui sopra è il momento più drammatico del libro, gli zii provano a dire alla bambina che tutta la sua famiglia è morta.
Qui non si tratta più di “chiudere gli occhi” (e conservare comunque un mondo interno). Qui tutto diventa diafano. Chiunque abbia provato il dolore della perdita di una persona cara può rendersi conto della bellezza espressiva della tavola. La zia imponente (come la verità che deve pronunciare) non ha più faccia, si confonde con la tappezzeria, con mille stelle di dolore. La bambina è più piccola della sedia, piccolissima, senza forze, completamente trasparente, come qualcuno di cui non resta più che un’esile traccia a separare il fuori dal dentro (la disgregazione dell’io, che tiene insieme le cose interne, e il caos che ne consegue, sono spesso un sistema di “sicurezza” usato della psiche in casi estremi per difendersi dall’accettazione della realtà, che può essere fatale).

Il finale della storia è una pagina di poesia pura (scritta e illustrata), ma ve lo lascio scoprire da soli. Troppo delicato e bello per essere messo su un blog. Ora parto alla caccia di Natali Fortier per strapparle un’intervista a proposito di questa perla dipinta.