L’immaginazione nel bambino. Uno studio

Tutte le immagini di questo post sono tratte dalla mia edizione di Das Wunderhaus, Tom Seidmann Freud, Berlino, Herbert Stuffer 1927.

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Das Wunderhaus, Tom Seidmann Freud, Berlino, Herbert Stuffer 1927

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Sto leggendo un libro davvero interessante. L’immaginazione del bambino, dello psicologo statunitense Paul L. Harris.
Harris arriva a dimostrare una tesi completamente opposta a quella di Piaget e Freud, per i quali l’attività mentale del bambino in età prescolare sarebbe primitiva e disorganizzata, e arriverebbe solo poco a poco, dopo alcuni anni, all’acquisizione del principio di realtà.
Con esperimenti più moderni, Harris prova che i bambini di due anni sono già capaci di entrare e uscire a piacimento dal gioco di immaginazione. Sanno mettersi dal punto di vista dell’altro nel gioco di ruolo, e sanno immedesimarsi nei diversi personaggi di un racconto di finzione, adattando ogni volta il punto di vista.
Sconcertante scoperta che smentisce l’idea del bambino egocentrico. Non solo. A prestar fede agli esperimenti di Harris, i bambini in età prescolare sono perfettamente in grado di distinguere tra realtà e finzione. Se credono, a differenza di un adulto, a Babbo Natale, è perché la società fornisce loro molti indizi sulla sua esistenza reale.
Per tutte le altre credenze immaginarie, essi sono perfettamente in grado di distinguere cosa sia reale e cosa no.

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I bambini (ma anche gli adulti!) sono consapevoli che alcune cose sono impossibili, ma ciò non impedisce loro di averne paura, di desiderarle o di sperare che possano essere realizzabili.
L’unica capacità che dominano meno bene di un adulto (dipende dagli adulti) è quella di razionalizzare le emozioni che provengono dalle loro fantasie, e di porre una distanza emotiva. Un po’ come un adulto che, pur sapendo che un film è un film, o una fantasia una fantasia, si lascia coinvolgere in modo eccessivo.
Queste scoperte spezzano una lancia a favore di una continuità psicologica tra infanzia e età adulta e portano il gioco di finzione, di immaginazione e di esplorazione di realtà immaginarie (la lettura) in un ruolo di primo piano per la formazione di un pensiero critico e morale. Sia per i bambini che per gli adulti.

Non più immaginazione come parentesi di fuga ricreativa dalla realtà, quindi, ma esercizio fondatore della capacità dell’essere umano di esplorare mondi possibili e di entrare in empatia con i suoi simili mettendosi dal loro punto di vista.

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Non ho trovato immagini migliori per illustrare la tesi di Harris di queste illustrazioni pop-up di Tom Sedimann Freud, tratte dal libro Das Wunderhaus (La casa delle meraviglie). Negli anni ’20 del secolo scorso, la nipote di Freud, straordinaria autrice e illustratrice, aveva realizzato i suoi libri per dare al bambino la possibilità di costruire lui stesso le sue storie, stimolato da alcune possibilità di combinazioni di parole, immagini e finestre pop-up.
Il pensiero illuminista, che ha portato la società fuori da un medioevo di credenze superstiziose, nella sua foga di dominare scientificamente il reale, ha trascurato, a mio avviso, e trascura tutt’oggi, il fatto che l’immaginazione non è un’antitesi della realtà, ma uno dei suoi processi costitutivi e fondatori.

Anna Castagnoli

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L’immaginazione nel bambino
Paul L. Harris
Il ruolo dell’immaginazione nello sviluppo
22,10 Euro

Dalla realtà al disegno. La sintesi dell’illustrazione

iris

Wolf Erlbruch

Cari invisibili, ben ritrovati, spero abbiate passato una bella estate.
Io sono tornata ieri dall’ultima settimana di corsi a Sarmede. Più di 90 allievi seguiti giorno dopo giorno durante 4 corsi. Ho imparato tantissimo. È per questo che mi piace insegnare. Ogni nuovo disegno, anche il più acerbo, è una sfida a capire perché una cosa funziona e un’altra no.
La cosa che mi colpisce di più, quando insegno, è la credenza diffusa dei giovani illustratori che gli illustratori professionisti inventino le cose che disegnano. Capita persino che alcuni alunni si scusino di aver copiato qualcosa da una fotografia.
Ma bisogna copiare! Nessun illustratore professionista salta il passaggio della copia dal vero (o da una fotografia). Il segreto, per diventare bravi, è copiare dal vero invece che dalla sintesi già fatta da qualcun altro. Trovare la propria sintesi.
In questo rispetto per la realtà sta tutto il nocciolo, il cuore pulsante, dell’arte dell’illustrazione per bambini.

http://data.abuledu.org/URI/5501e0b4

ferriera114-2Pia Valentinis

pianta1

herbautsAnne Herbauts

Un’alunna, la settimana scorsa, mi ha domandato come poteva fare la sintesi di un pesce. La sua domanda mi ha dato modo di spiegare alla classe un concetto importante, e ora lo spiego anche a voi: è impossibile disegnare la sintesi di un pesce.
“Pesce” è una parola astratta, e può esistere solo nel linguaggio. Dentro la parola “pesce” ci stanno tutti i pesci del mondo, di tutte le età, fogge e taglie. Ma, nel mare, non c’è un solo “pesce”. Nel mare ci sono branzini, sogliole, orate, squali e pesci palla… E ogni branzino, sogliola, orata avrà un’età, una storia, una cicatrice solo sua.
Le parole sono cose che gli uomini hanno levigato così a lungo da ridurle a puro suono, inchiostro e simbolo.
Le usiamo come monete. Una parola può valere per tante cose diverse.
Nella realtà, invece, non ci sono parole-monete. Ogni cosa esiste in un qui ed ora. Ed è unica, insostituibile. Persino ogni singola moneta ha una sua storia, una cicatrice solo sua.

balena

Benjamin Chaud

Compito dell’illustratore per bambini è riportare il linguaggio al contesto della realtà. Anche se è una realtà poetica, fiabesca e in parte inventata.
La nostra sintesi sarà, allora, la sintesi (o la deformazione fantasiosa) di un branzino, di un tonno o di una sogliola di una certa età e dimensione. La sintesi di quel branzino/delfino/balena lì, con la sua storia e la sua cicatrice.
Senza questa precisione, l’illustrazione andrebbe nella direzione del simbolo.

pesce

PESCE

Se disegnamo un simbolo-pesce o un pesce-concetto ci avviciniamo all’astrazione del linguaggio. Non c’è nulla di male. Il solo problema è che l’illustrazione per bambini non è un’arte simbolica, ma mimica.
Grazie a questa mimesi, il bambino può capire la relazione tra parole e cose. Tra linguaggio e mondo.

betulla

Lisbeth Zwerger

Una casa illustrata sarà per forza una casa con mattoni parigini e tetto nordico, o una casa con tetto di paglia normanna, o una casetta di periferia nordamericana. Un albero sarà una betulla o un faggio, un salice o un baobab.

Qualcuno potrebbe domandare: ma se volessi usare uno stile molto grafico, potrei astrarre?
Se osservate, qui sotto, l’illustrazione di Blexbolex, noterete che si è ispirato a un’architettura francese e ha messo nel disegno due alberi: un salice piangente e un cipresso. Eppure, la sua immagine è molto semplificata. Addirittura, per disegnare gli alberi, ha usato una semplice silhouette. Più lo stile è grafico, più  la mimesi deve essere precisa.
Vediamo cosa accade se la sintesi non parte dal reale.


Blexbolex

Nel corso che ho tenuto sullo storyboard, ho dato da illustrare una poesia di Roberto Piumini (Mondadori) che recita così:

In cima alla collina
c’è una casa rosa:
ci sta una bambina
piuttosto silenziosa.
Ma si posa un uccello
sul ramo della pianta:
insegna un ritornello
e la bambina canta.

Un’allieva austriaca, Sybille Nagel, ha disegnato “la casa rosa” partendo da un’astrazione di casa che aveva già in mente.
Le ho chiesto di ridisegnarla, ma solo dopo aver fatto una ricerca su internet di case reali.
Guardate il salto che ha fatto: la prima casa è un po’ generica: non è abitabile, non attira.

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La seconda casa, invece, è viva, e porta chi la guarda a credere che, al suo interno, ci sia un tavolino con due piedini sottili, e bicchieri stretti stretti e alti alti. Esiste. Ha uno stile. Le credo.
L’illustratrice si è commossa quando ha visto nascere il secondo disegno. Ha detto: questa è proprio la mia casa.

Questo lavoro di ricerca e sintesi è da fare per ognuno degli elementi del testo che dovete illustrare, sempre.
Quale è la collina, quale è la casa, quale è la bambina – come è vestita, quanti anni ha – quale è l’uccello, quale è la pianta.
Il lavoro di illustrare un testo è proprio questo: riportare la parola astratta a un qui, così, ora. Inchiodare la parola-spillo alla farfalla insostituibile del mondo.

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Disegni di Sybille Nagel al corso Dallo storyboard al ritmo, Sarmede 2016

Il manuale dell’illustratore per ragazzi, di Anna Castagnoli

Ci siamo. A fine ottobre uscirà  Il manuale dell’illustratore, scritto dalla sottoscritta, con tanti consigli su tutti gli aspetti pratici e creativi di questo stupendo lavoro.
Lo pubblicherà Editrice Bibliografica, casa editrice specializzata in guide didattiche. Se foste interessati a non perdere la prima tiratura, potete prenotarne una copia a QUESTO LINK.

 

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Mano a Mano N7: Gaia Stella

L’universo grafico di Gaia Stella sembra semplice come un gioco dal quale sia stato bandito ogni dramma. Burattini un po’ rigidi camminano, pattinano, danzano tra le quinte di città giocattolo. Uno scoiattolo salta di tetto in tetto, una mongolfiera si stacca dai tetti, una gru alza un cubo rosso, un uomo lava una vetrina dietro cui luccica una giostra. Microscopici oggetti – un gatto, un annaffiatoio, un vaso – adornano le finestre.
La scena chiede un esercizio di attenzione: solo prestando attenzione la città dei burattini si anima di vita.
La semplicità è una complessità risolta” scriveva lo scultore Constantin Brancusi.

Gaia Stella è nata nel 1982 a Milano, dove vive e lavora come illustratrice e grafica. Ha progettato e illustrato diversi albi per editori italiani e stranieri. Ha pubblicato, tra gli altri, per Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, Salani, Topipittori, La Joie de Lire, Hélium. I suoi lavori sono stati selezionati a Lisbona per Ilustrarte 2014, importante Biennale Internazionale di Illustrazione.

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stella

Gaia_Stella7Gaia Stella, Toutes Les Choses Avec Lesquelles… Hélium Editions

‘Un regalo per Nino’. Perché scrivere. Di Lilith Moscon

Lilith e Francesco sono, rispettivamente, un’autrice e un illustratore. Sono anche una coppia. Insieme hanno fatto un libro che trovo stupendo, originale, antico e moderno allo stesso tempo: Un regalo para Nino, pubblicato in Spagna da A buen paso (spero che esca presto in Italia).
È la storia di un postino che sogna di avere una figlia e a poco a poco riceve in dono frammenti della bambina, fino a che il sogno non si avvera: a ricordarci che ogni desiderio avverato è un dono del mondo che ci circonda.

Ho chiesto a Lilith e Francesco di raccontarmi come è nato questo libro.

Leggi anche: Perché illustrare, di Francesco Chiacchio

Perché scrivere
di
Lilith Moscon

Un regalo para Nino è nato all’inizio del mio anno di formazione presso il Teatro de los Sentidos, compagnia diretta da Enrique Vargas con sede a Barcellona. Ho scritto questa storia mossa forse dal desiderio di ringraziare una persona a me molto cara che ha deciso di scomparire dalla mia vita. Il ‘forse’ è legato al fatto che è difficile, se non impossibile, rintracciare i motivi per cui si scrive. Io per esempio scrivo quasi sempre sollecitata da un’urgenza generica di scrivere. Solitamente traccio una struttura sommaria prima di iniziare, ma raramente la rispetto. Un buon racconto va sempre oltre la struttura che mi sono prefissata, come se le parole a un certo punto prendessero il sopravvento sull’autore e ideassero personaggi e trame a loro piacimento. Quando questo accade, vuol dire che il lavoro è stato onesto e posso esserne soddisfatta. Un regalo para Nino è senz’altro uno di quei racconti di cui sono stata da subito non solo molto soddisfatta, ma pure emozionata.

Francesco Chiacchio, schizzi prepratori per Un regalo para Nino

Il tema centrale dell’opera è per me contenuto nel titolo, e mi riferisco alla parola “regaloâ€. I regali arrivano quando si è creato spazio in noi stessi per farli arrivare e quando la realtà ha aperto un varco per accoglierli; possono sorprenderci nei momenti più impensati e avere le sembianze più improbabili. Bisogna non chiedersi troppo da dove provengano, poiché è proprio di ogni regalo volere un grazie silenzioso, pronunciato da una finestra, nella notte, come è possibile vedere in una delle ultime tavole del libro.

Francesco Chiacchio, schizzi prepratori per Un regalo para Nino

Pier Aldo Rovatti scrive nella premessa a “Donare il tempo†di Jacques Derrida: “Il dono, se ce n’è, è inconfessabileâ€. Mi piace pensare che Un regalo para Nino sia in qualche modo figlio della lettura di Derrida che feci da studentessa universitaria e degli insegnamenti del Teatro di Vargas.

È un’opera che deve la sua genesi a più persone e a più vissuti, in tal senso è collettiva.

Un regalo para Nino, Lilith Moscon e Francesco Chiacchio, A buen paso 2016

Tra queste persone è presente Lynn, mia compagna di avventure durante l’adolescenza. Con lei andavo nelle campagne vicino Firenze e camminavo per interi pomeriggi. Ogni tanto trovavamo un posto che ci piaceva particolarmente e lì rimanevamo, sedute, luna difronte all’altra, ad occhi chiusi. Poi ci prendevamo le mani e iniziavamo a turno a formulare i nostri desideri. Questa “ragazzata†mi ha fatto riflettere negli anni sull’efficacia dell’esprimere i propri desideri, che spesso non sono altro che i propri bisogni, al fine di realizzarli. Oggi credo che desideri e sogni prendano corpo ogni volta che vengono formulati: è possibile cioè che passino da essere realtà psichica a vissuto attraverso l’immaginazione, la parola, il rito.

Francesco Chiacchio, schizzi prepratori per Un regalo para Nino

Nino, in fondo, fa la stessa cosa che facevamo io e Lynn in privato quando, finito di lavorare, sospira: “Potessi ora tornare a casa e giocare con la mia bambinaâ€.

Ho voluto raccontare di Lynn poiché le storie, come i disegni, provengono dalla compagine di vissuti e ricordi dei loro autori e, con buone probabilità, come sostiene Jack Zipes, da ancora più lontano.

Geograficamente Un regalo para Nino nasce in Spagna, come ho precisato all’inizio di questa riflessione. Mi è sembrato perciò naturale che fosse una casa editrice spagnola, A buen paso, a volerlo pubblicare: il testo già aveva la forma e la luce di quei paesaggi, già si trovava in quella terra.

Francesco Chiacchio, schizzi prepratori per Un regalo para Nino

Concludo con una citazione dall’opera di Jack Zipes “La fiaba irresistibile. Storia culturale e sociale di un genere.†Le parole a seguire ci introducono alla riflessione che sviluppa l’autore sulla genesi delle fiabe e fanno luce su come la fiaba sia ancora, e lo sarà sempre, elemento essenziale per la comprensione di noi stessi e del mondo.

“Le fiabe, come le nostre stesse vite, sono nate dal conflitto. Le fiabe non sono state create o pensate per i bambini. Tuttavia entrano in consonanza con loro, e loro le rammentano bene, una volta cresciuti, misurandosi con le ingiustizie e le contraddizioni dei cosiddetti mondi reali. Non siamo in grado di chiarire come mai le origini della fiaba siano così inesplicabili ed elusive. Ma possiamo illuminare la ragione per cui continuano a rivelarsi irresistibili e a respirare e vivere, mimeticamente, attraverso di noi, dandoci la speranza di poter cambiare noi stessi mentre cambiamo il mondo.â€

Lilith Moscon


‘Un regalo per Nino’. Perché illustrare. Di Francesco Chiacchio

Lilith e Francesco sono, rispettivamente, un’autrice e un illustratore. Sono anche una coppia. Insieme hanno fatto un libro che trovo stupendo, originale, antico e moderno allo stesso tempo: Un regalo para Nino, pubblicato in Spagna da A buen paso (spero che esca presto in Italia). È la storia di un postino che sogna di avere una figlia e a poco a poco riceve in dono frammenti della bambina, fino a che il sogno non si avvera: a ricordarci che ogni desiderio avverato è un dono del mondo che ci circonda.
Ho chiesto a Lilith e Francesco di raccontarmi come è nato questo libro.

Leggi anche: Perché scrivere, di Lilith Moscon

Un regalo para Nino, Lilith Moscon e Francesco Chiacchio, A buen paso 2016

Perché illustrare
di
Francesco Chiacchio

Il giorno che ho letto per la prima volta la storia di Nino, ho amato molto il protagonista. Ci si affeziona alle storie perché ci si innamora dei loro personaggi, nel bene o nel male. Scatta un meccanismo bello, quello dell’immedesimazione, come una danza dolce che si fa sempre più vorticosa:  non lo si decide, ma è come se scambiassimo con i personaggi della storia i nostri occhi, gli orecchi, i movimenti, sperimentando l’opportunità speciale di scoprire il mondo sotto una nuova luce. A proposito di questa sensazione, mi piacciono tanto le parole che Francesco De Gregori canta in “Informazioni di Vincentâ€, rendono bene l’idea di quello che voglio dire: “ho affittato i miei occhi ad una banda di ladri, vedo quel che vedono loroâ€.

 

13_Nino-LUn regalo para Nino, Lilith Moscon e Francesco Chiacchio, A buen paso 2016

Penso che un illustratore, quasi come un attore, e uno scrittore, debba calarsi nelle vie principali e nei bassifondi della storia che vuole mettere in scena, entrare nella testa dei personaggi per capire i loro desideri e dargli espressione. La prima volta che ho incontrato Nino, di lui mi hanno colpito la genuinità e allo stesso tempo una dolce malinconia, quel suo modo di stare al mondo fuori dagli stereotipi. Ho provato a disegnarlo molte volte, seguendo alcune indicazioni nel testo, cercando sempre più di fare mie certe sfumature.

Un regalo para Nino, Francesco Chiacchio, schizzi preparatori

Ne ho assunto la postura, le pose, cercando di amalgamarle con le mie. Ho provato a camminare per la casa come avrebbe fatto lui, ho cenato da solo, a fianco della mia finestra, sbirciando il mio riflesso. Infine ho aggiunto un naso lungo, simile al mio, una tuta azzurra e un berretto morbido. Ora che scrivo mi accorgo di quanto sia importante questo processo di preparazione, di immedesimazione. Ultimamente noto che la freschezza che cerco nel disegno, quella che anima il segno e lo rende autentico, nasce da una sensazione fisica, dall’urgenza di un gesto, prima ancora che dal pensiero. Proprio come se le prime immagini a cui vogliamo dare una forma scaturissero da un movimento fisico, guidato solo successivamente da un ragionamento.

 

Durante questa fase di immedesimazione sono stati fondamentali i miei quaderni, i fogli sparsi, dove Nino cominciava a definirsi.

Quale stile avrei utilizzato per disegnare questa storia? La malinconia di Nino si sarebbe sposata bene con la grana dei pastelli? E la sua meraviglia, la sua gioia, sarei riuscito a tradurle con il bianco e nero della china sul foglio? Con quale segno avrei potuto dare forma alla pace della strada che si apre davanti agli occhi di Nino, alla fine del racconto?

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Arianna Squilloni di A buen paso, in questo senso, mi aveva dato libertà assoluta, e allo stesso tempo la disponibilità ad un confronto aperto e stimolante. In un primo momento avevamo fantasticato un libro in bianco e nero, o forse con un solo colore. Mentre lavoravo allo storyboard, e ad alcuni disegni preparatori, il rosso della bicicletta indicato nel testo mi ha suggerito che non sarebbe stato male provare ad affiancargli il giallo caldo delle ecoline poggiate sul tavolo di fronte a me. A quel punto ho pensato che fosse una buona idea sfruttare l’equilibrio del rapporto tra i colori primari e di conseguenza ho scelto un azzurro brillante per la tuta da lavoro di Nino, e i suoi toni più scuri per la notte e le ombre. Con questi tre colori e le loro variazioni, mi sentivo pronto per cominciare: non avevo più tra le braccia solo una chitarra, adesso sentivo alle mie spalle anche un basso elettrico e una batteria.

Un regalo para Nino, Lilith Moscon e Francesco Chiacchio, A buen paso 2016

Tutto ha cominciato a definirsi nella mia mente, così come sulla carta. Le forme dei personaggi si sono ammorbidite, e i colori degli ambienti si sono accesi, come il palco di un teatro che si illumina all’inizio di uno spettacolo.

Francesco Chiacchio

Un regalo para Nino, Lilith Moscon e Francesco Chiacchio, A buen paso 2016