The Butterfly’s Ball, and the Grasshopper’s Feast by William Roscoe, 1808
FRONTESPIZIO: Incisione che si pone davanti a un titolo e il cui soggetto è analogo allo spirito dell’opera. Il soggetto di un frontespizio. Diderot, Enciclopedia
Miniatura, non ho trovato la fonte
Sul bellissimo blog dei Topipittori, Mauro Mongarli ha inaugurato una rubrica molto interessante (qui), che “recensirà ” i diversi modi dei bambini di ascoltare storie, rapportarsi ai libri, etc.
Il tema è interessantissimo, perché c’è un rapporto strettissimo tra: fruizione dei libri da parte dei bambini/ idea che una data società ha dei bambini/ produzione di libri e oggetti a loro destinati.
Per strano che possa sembrare, le fiabe non sono sempre state un genere “per bambini”. Le fiabe nascono per intrattenere gli adulti nelle lunghe sere senza televisori che per millenni hanno preceduto la nostra epoca. Se i bambini ascoltavano, ascoltavano per caso, come membri della famiglia. Si potrebbe quasi tracciare una storia del rapporto tra bambini e fiabe attraverso i frontespizi che hanno introdotto le principali raccolte di fiabe.
Frontespizio dell’edizione bolognese del Pentamerone di Giambattista Basile, 1742
Neanche i bambini sono una realtà che esiste da sempre. Certo, c’erano lattanti che piano piano crescevano fino a prendere la statura di adulti, ma, salvo eccezioni, per millenni i bambini sono stati considerati adulti in miniatura, che bisognava trasformare e forgiare il prima possibile. L’infanzia, come idea, come categoria sociale, come soggetto, inizia a prendere timidamente forma nel 1600 e diventare realtà nel ‘700.
Con l’Emilio di Jean-Jacque Rousseau nasce “il bambino”: creatura innocente e pura che bisogna accompagnare, proteggere, preservare affinché possano perdurare, nell’età adulta, le componenti buone che lo caratterizzano.
Le raccolte di fiabe che hanno preceduto quella di Perrault, quali Le piacevoli notti di Straparola o il Pentamerone di Basile, appartenevano a un genere di narrazione che, venuto dal popolo e da fonti disparate (Plinio, Ovidio, Virgilio, Boccaccio…), era divenuto alla moda tra i letterati borghesi e aristocratici: stanchi delle troppe regole che imbalsamavano la letteratura dell’epoca, trovavano nella fiaba una libertà di espressione e di stile più congeniale. I bambini non erano contemplati come pubblico di queste forme letterarie.
Quando Perrault, nel 1697, usando il nome del figlio per paura di rovinarsi la reputazione di letterato accademico, trascrive alcune fiabe che giravano tra i salotti dell’epoca, le lima per dare loro una forma più razionale e armonica, e aggiunge ad ogni fiaba una chiosa morale che sembra destinata ai bambini, è una novità assoluta. Se osservate il frontespizio inciso su legno del 1697, anno della prima edizione (scritta a mano) delle fiabe di Perrault, quello più raffinato di Clouzier, ad acquarello, della seconda edizione, quello di un’edizione anonima del 1808, e quello di Gustave Doré del 1862, vedrete come il bambino diventa a poco a poco destinatario privilegiato della lettura delle fiabe.
1697
Frontespizio della prima edizione autografa di Perrault, del 1697, copiato poi nell’edizione inglese.
1697, Cluzier
Frontespizio di Clouzier (prima edizione a stampa), 1697, Charles Perrault Histoires ou contes du temps passés, avec des moralités – Contes de ma mère l’Oye.
1698P. G. Eugene Staal,
Les Contes des fées par Madame D**(D’Aulnoy), ill. di P. G. Eugene Staal, Paris, Claude Barbin 1698
Frontespizio di un’edizione francese delle fiabe di Perrault del 1808
Frontespizio delle fiabe di Perrault, illustrate da Gustave Doré, 1862
Il 1800 è il boom dell’infanzia. Un grande lavoro viene fatto (complice la Chiesa Cattolica che vedeva nella scuola uno strumento perfetto per il suo proselitismo) per rendere obbligatoria la scolarizzazione. Nasce così il bambino-allievo, e spuntano come funghi editori che vedono in questa nuova figura un target perfetto per libri pieni di figure, rime, alfabeti illustrati (nel 1826, in Francia, nasce Hachette).
Qui sotto, in un frontespizio inglese del 1829, vedete un maestro che racconta fiabe ai suoi allievi.
Frontespizio del “Peter Parley’s winter evening tales”, Goodrich, Samuel G. (Samuel Griswold), (illustratore sconosciuto) 1829
I fratelli Grimm danno alle fiabe il colpo d’ascia finale. Scrissero diverse versioni delle stesse fiabe, produzione che coprì decenni di lavoro. Se si ha modo di poter confrontare le prime versioni con le ultime, si può assistere al lento stillicidio della componente magica, paradossale, fantastica delle fiabe. Alla parola madre viene intenzionalmente sostituita la parola matrigna. Le insensatezze vengono censurate a vantaggio di una forma logica degli eventi. Le fiabe che conosciamo, sono il risultato di questo lungo e consapevole lavoro di limatura. Se per millenni, a limarne la forma, erano state le necessità della narrazione e dell’estetica (per spaventare, meravigliare, sorprendere meglio), nell’ottocento è un’idea che si vuole veicolare attraverso le fiabe. Che sia per promuovere l’educazione francese, o per pubblicizzare l’antica grandezza del popolo tedesco, il narratore interviene con un’intenzione meta-narrativa.
Il frontespizio della prima edizione del Kinder-und Hausmärchen dei fratelli Grimm, 1812
Chissà se le fiabe si sono via via razionalizzate, moralizzate, addolcite perché davvero i bambini chiedevano, con il loro ascolto, queste variazioni (si pensi alla nascita del “lieto fine”), o perché si adattavano meglio all’idea che la società aveva dei bambini in quel dato momento storico.
E chissà da dove viene l’idea di “bambino” che ogni momento storico ha forgiato. Mi chiedo se non sia nata per rispondere al bisogno degli adulti di mettere da qualche parte il piacere di sentirsi liberi, giocosi, fantasiosi, innocenti, in una società moderna che andava a poco a poco strutturando rigidamente (troppo) le sue regole di educazione e morale. Forse, così come i letterati si mettevano a scrivere fiabe per potersi sentire più liberi, la società ha inventato un paradiso perduto, un’Atlantide risorta, luogo di tutte le virtù, di libertà , di innocenza: l’infanzia.
Il bambino, dentro questo luogo inventato, ci si è trovato benissimo. Tanto che sembra impossibile, oggi, immaginare un bambino senza l’infanzia. Ed è buffo osservare come gli adulti siano diventati non più nostalgici, ma gelosi, di questo luogo fatato. Se io penso a come sono strutturate le scuole di oggi, all’obbligo di stare seduti ore, agli asili nido nella primissima infanzia, allo scarso aiuto che lo stato dà a genitori e maestri, all’indifferenza dei media per la cultura destinata all’infanzia, mi sembra che ci sia una diffusa forma di sadismo e intolleranza verso l’infanzia.
Ma chi è il bambino oltre l’idea che si ha di lui? Quali sono i suoi gusti? Esiste una possibilità di bambino fuori dal grembo sociale e culturale in cui ogni volta nasce? Probabilmente no.
Gustave Doré, Pollicino, 1862
Fatto è, che per adattarsi all’ascolto dei bambini, secolo dopo secolo le fiabe hanno perduto la loro lucentezza surreale e meravigliosa. Chi avesse voglia di avventurarsi nella lettura di fiabe precedenti a Perrault, incontrerà immagini arcane come emblemi, lucenti come brandelli di sogno in pieno giorno. Senza togliere nulla a Collodi, la pancia del pesce che ospita il suo Pinocchio non regge il confronto con la pancia del pesce che ospita la Nennella di Basile (Lo cunto de li cunti , 1634):
Un gran pesce fatato (…) il quale, spalancando una voragine di golaccia, se li inghiottì. (…) Ma quando la fanciulla credeva di aver finito i suoi giorni, allora trovò cose da strasecolare nel ventre di quel pesce, giacché c’erano campagne bellissime, giardini meravigliosi, una casa da signori con tutte le comodità , dove stette da principessa. Il racconto dei racconti, Adelphi
Oggi quale libro illustrato, quale fiaba moderna saprebbe far “strasecolare” un bambino?
Per come la vedo io, i bambini sui frontespizi precedenti al 1600, erano bambini culturalmente più fortunati. Potevano bere direttamente alla fonte della cultura dell’uomo, senza che niente venisse alterato o semplificato per loro. Oggi ne saremmo inorriditi. Ma se si pensa alla povertà semantica, filosofica, poetica, emotiva dei ragazzi di oggi, non viene il dubbio che questo adattamento della cultura degli adulti ad una cultura a “portata di bambino” (con, come denuncia Mongarli nel suo articolo, gli adattamenti Disney delle fiabe come ultima degradazione), sia stato fatale?
The land of lost toys, Juliena Horatia Ewing, Little Brown and Company 1900
Ho voluto pubblicare questo post come introduzione all’articolo “Seguendo le briciole nel bosco” che ho scritto per il numero 9 della rivista Hors Cadre(s), numero tutto dedicato alle fiabe. Lo pubblicherò la settimana prossima su LeFiguredeilibri. A presto!